COMPETENZE E MICROIMPRESA: UNA SINERGIA DA CREARE (PER CRESCERE)

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COMPETENZE E MICROIMPRESA: UNA SINERGIA DA CREARE (PER CRESCERE)

Tiziana Lang | Ricercatrice Isfol Esperta politiche del lavoro e microcredito

E’ noto che le piccole e medie imprese sono le realtà produttive più di use in Europa. Esse rappresentano il 99,8% delle imprese europee e con i loro 75 milioni di addetti producono il 55,0% della ricchezza dell’UE. Meno noto è che oltre il 90,0% delle piccole e medie imprese sono microimprese, ossia imprese con meno di dieci dipendenti. Ne discende che le microimprese costituiscono la maggioranza assoluta delle imprese europee e sono le principali creatrici di posti di lavoro occupando un terzo della forza lavoro continentale sia nei mestieri artigianali sia nei servizi essenziali.

Attraverso la “Carta Europea per le Piccole Imprese”, approvata nel 2000, il Consiglio europeo ha riconosciuto l’importanza di tale aggregato e invitato gli Stati membri e la Commissione ad adottare misure per sostenere e incoraggiare le piccole imprese. Da allora l’Unione ha promosso una serie di azioni e programmi per migliorare l’ambiente operativo delle micro e piccole imprese (normativa, vincoli burocratici, incentivi, ruolo sociale, ecc.) giungendo a ride nire nella strategia di Lisbona per l’occupazione e la crescita il ruolo delle politiche imprenditoriali quali politiche attive del lavoro che favoriscono la creazione di nuova occupazione (autonoma e dipendente). A queste azioni sono seguiti lo Small Business Act del 2008 (il famoso “think small rst”) e, nel 2013, il Piano d’Azione Imprenditorialità 2020 che mira a rilanciare lo spirito imprenditoriale in Europa.

Quest’ultimo apre la via a una nuova generazione di programmi e strumenti concentrati sul miglioramento dell’accesso ai nanziamenti e ai mercati da parte delle micro e pmi e va ad incidere sull’ambiente regolatorio rivolto alle piccole imprese (eliminazione dei red tapes) per cercare di rivitalizzare lo spirito di intrapresa della popolazione europea e interrompere la moria di piccole e medie imprese veri catasi nel periodo più duro della crisi nanziaria ed economica globale.

LE MICROIMPRESE IN ITALIA

Nel secondo trimestre 2016 (dati Unioncamere), le piccolissime attività in forma di ditta individuale sono 3,2 milioni, ossia più della metà dei 6 milioni di imprese italiane, e registrano un saldo positivo di oltre 17mila unità nell’anno con un tasso di crescita pari a 0,53 punti percentuali. Nel 2015, quasi un terzo delle ditte individuali (26%) in Italia sono a guida femminile: si tratta di 846mila microimprese, ossia il 64,5% delle 1.312mila imprese gestite da donne. Queste ultime, a loro volta, rappresentano il 22,0% del totale delle imprese italiane.

I settori economici dove operano le microimprese sono: il commercio (34,2%), i servizi (25,5%) e le costruzioni (18,2%). Sia in agricoltura che nell’industria sono meno presenti, rispettivamente 9,5% e 12,7%. Tra le attività svolte quelle: commerciali (32%), artigianali (20%) e di piccola industria (22%). Mentre gli studi professionali, la consulenza alle imprese e i servizi alle persone rimangono tutti al di sotto del 10%. Le microimprese turistiche sono ancora solo il 4%. Osservando le caratteristiche delle microimprese italiane, un’ulteriore distinzione potrebbe essere fatta per tipologia di imprenditore. Secondo uno studio dell’ISFOL (2012)1 le microimprese italiane possono essere suddivise in tre categorie di conduzione: lavoratore in proprio con un dipendente (spesso nei settori elettrici, informatici e dei servizi), imprenditore con nucleo familiare (soprattutto nei settori elettrico, informatico e manifatturiero), imprenditore con soci non appartenenti al nucleo familiare (settori informatico, servizi e commercio). Le prime nascono e sono gestite per decisione di un imprenditore che desidera dare a se stesso una possibilità alternativa alla subordinazione; le seconde, a guida familiare, trasmettono spesso una tradizione imprenditoriale in cui la famiglia è stimolo ma anche limite alla sperimentazione di strategie di sviluppo innovative. In ne, le imprese non familiari si contraddistinguono per l’autonomia di crescita e l’esigenza di innovare per competere.

LE MICROIMPRESE E LE COMPETENZE

L’esercizio di anticipazione dei futuri fabbisogni è essenziale per le imprese, in particolare le microimprese, per non doversi confrontare con l’assenza o scarsa disponibilità sul mercato di pro li professionali idonei. Anticipare vuol dire, da un lato, aggiornare le competenze presenti in azienda salvaguardando saperi e professionalità cresciute nell’impresa; e, dall’altro lato, saper rispondere alle variazioni delle esigenze produttive derivate da fattori esogeni quali la domanda, la crescente globalizzazione dell’economia, la comparsa di nuovi competitori (per es. le piattaforme della sharing economy). Un migliore e più e ciente sviluppo delle competenze così come l’aggiornamento continuo e la riquali cazione delle conoscenze dei lavoratori sono tra le principali s de individuate per le imprese dall’Unione europea e dalle parti sociali, nell’ottica di favorire la competitività e l’occupabilità dei lavoratori. Sia la strategia di Lisbona che la strategia Europa 2020 sottolineano la necessità di porre maggiormente l’accento sullo sviluppo e l’adeguamento delle competenze e sull’anticipazione dei futuri fabbisogni di competenze nelle imprese e nella società in genere. L’“Agenda per le nuove competenze e i nuovi lavori” (New Skills for New Jobs)2 nasce proprio per anticipare e migliorare la corrispondenza tra esigenze del mercato del lavoro e fabbisogni di competenze. In ne, l’OCSE ha di recente sviluppato una metodologia per lo studio e progettazione di strategie nazionali per le competenze ispirata dall’esperienza dell’indagine PIAAC e sperimentata inizialmente in alcuni paesi europei (Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo) e di recente proposta anche in Italia (vedi Box). Troppo spesso, infatti, nelle micro e piccole imprese le scelte imprenditoriali sono guidate dalla spontaneità, da scelte nate per reazione alla domanda del cliente o dell’addetto oppure da supposizioni personali sugli andamenti del settore produttivo di appartenenza. Sempre dallo studio dell’Isfol, si apprende che per i titolari delle imprese manifatturiere l’apprendimento è considerato un “processo di valorizzazione dell’esperienza maturata in azienda”, nel corso del tempo. L’aggiornamento di questi imprenditori è spesso limitato allo studio delle funzionalità e caratteristiche di nuovi macchinari ed è quasi sempre fatto su internet. Ed è da internet che gli imprenditori intervistati dall’Isfol dichiarano di prendere spunti per le idee innovative e le nuove tendenze. Ma non è solo una questione di strategie: le microimprese devono confrontarsi anche con alcuni fenomeni che rischiano di impedirne sia la nascita che lo sviluppo: l’e etto del trend demogra co (con la diminuzione della popolazione in età lavorativa e l’invecchiamento della forza lavoro), la scarsa attrattività del lavoro in una microimpresa rispetto a quello o erto dalle imprese di grandi dimensioni (soprattutto per i lavoratori più giovani) nonché la trasmissione d’impresa. E’ necessario, dunque, educare le imprese alla ricerca delle giuste competenze e a piani care l’ingresso e l’utilizzo di queste in azienda. La comunicazione sui fabbisogni di competenze dovrebbe essere intensi cata. Le organizzazioni imprenditoriali e le istituzioni formative dovrebbero svolgere indagini per i propri iscritti sulle trasformazioni nei settori produttivi (automatizzazione, uso di energie alternative, nuovi materiali, robotica, ecc.) o nelle economie regionali (industrializzazione, de- industrializzazione, poli logistici, ecc.) e sugli e etti di queste sulla capacità produttiva delle imprese e relativi fabbisogni di competenze. Solo in questo modo per le microimprese sarà possibile compiere il necessario passaggio dalla formazione non formale e informale – preferite in quanto semplici da attuare in azienda, realizzabili durante l’orario di lavoro e direttamente incidenti sull’aumento della produttività degli addetti – a quella formale con programmi formativi che integrino maggiormente i trend e gli sviluppi futuri. Rimane comunque il problema, segnalato da molte piccole imprese, di non potersi permettere di rinunciare ai propri lavoratori per i periodi di formazione esterna all’azienda, anche brevi.

Vi sono poi microimprese che già in partenza hanno una particolare attenzione per le competenze e le tecnologie del futuro: le start up innovative. Non sono ancora molte, non arrivano a 10mila, ma il 94% di esse sono microimprese. Presentano un valore medio della produzione pari a 130mila euro3. Nascono attorno a un’idea o un brevetto innovativi che attraggono investimenti esterni e operano soprattutto nel comparto dei servizi (oltre l’80%) - in particolare nella consulenza informatica e produzione di software (40% del totale delle start up), nella ricerca scienti ca e sviluppo (17%), nel commercio (4,5%) - mentre poco meno del 17% operano nel settore industriale. Eppure entrambe le tipologie di microimpresa (artigianale e innovativa) potrebbero avere buone possibilità di sopravvivenza nel futuro se si veri cheranno le previsioni di Unioncamere per il periodo 2016-2020, di recente pubblicate4, secondo cui il fabbisogno medio annuo previsto nel quinquennio si ripartisce tra gure in possesso di alte quali cazioni o specializzazioni tecniche (40% gure high skill), gure di livello intermedio (32,5%) e di gure di basso pro lo operaie e non quali cate (27% gure low skill). Sempre secondo l’indagine Unioncamere-Excelsior, tra il 2016 e il 2020 la domanda di competenze altamente quali cate nel periodo si concentrerà: su ingegneri, infermieri, sioterapisti che dovrebbero vedere aumentare le o erte di lavoro del 30,7%; e sulle professioni che richiedono competenze medio-basse con 60mila operai semi-specializzati e artigiani che dovrebbero trovare lavoro (+28,7%).

CONCLUSIONI E PROPOSTE

Come visto le piccole e medie imprese e, in particolare, le microimprese si trovano ad a rontare barriere e ostacoli interni ed esterni per migliorare la propria base di competenze. Si tratta di barriere nanziarie e, soprattutto, organizzative. E’ più di cile

per le microimprese e piccole imprese trovare le risorse nanziarie necessarie per o rire una formazione ai loro dipendenti. I programmi di formazione e i metodi disponibili sul mercato troppo spesso non corrispondono alle dimensioni e alle esigenze di questo tipo di aziende. E’ dunque opportuno proseguire la ri essione avviata con lo SBA e con il Piano di azione imprenditorialità 2020 per il superamento delle di coltà incontrate da queste imprese per l’accesso alla formazione e l’adeguato sviluppo delle competenze sia delle risorse umane sia del management. Una soluzione a questa di coltà potrebbe essere di garantire l’accesso delle microimprese alle opportunità o erte dai programmi europei per la formazione, la mobilità e la formazione continua (Erasmus+, COSME, ecc.). In secondo luogo, bisogna sviluppare metodi e tecniche per la formazione e lo sviluppo delle competenze nelle piccole e piccolissime imprese ad esempio prevedendo formazione on the job, la job rotation, ecc. e, non ultima, la formazione manageriale dei microimprenditori. Dovrebbero, inoltre, essere integrate nella valutazione delle competenze non solo la quali cazione professionale ma, anche, le competenze informali. In ne, sarebbe utile rispondere alle s de strutturali che provengono dal cambiamento demogra co e dall’invecchiamento con lo studio di strategie di reclutamento nalizzate ad attrarre dipendenti più giovani e più quali cati per aumentare la presenza in azienda di competenze utili all’internazionalizzazione. In ne, ma non ultimo, è bene rammentare che lo skill mismatch è più evidente nei paesi dove l’apprendistato è meno di uso e dove i diplomi di istruzione spesso non corrispondono alle competenze richieste dal mercato del lavoro. In questi paesi è presente una quota elevata di diplomati delle scuole professionali e l’economia è guidata sostanzialmente dall’o erta di competenze. Al contrario, nei paesi dove la formazione in apprendistato è più di usa, il mercato del lavoro è guidato dalla domanda di competenze e dalla capacità dei lavoratori di adattarsi ai nuovi fabbisogni delle imprese. Dunque è utile proseguire con le esperienze di recente avviate in Italia dell’alternanza scuola-lavoro, dell’apprendistato per la quali ca e il diploma professionale e dell’apprendistato di alta formazione e ricerca che dovrebbero coinvolgere la microimpresa sia quella artigianale sia quella innovativa (start up).

LA “NATIONAL SKILLS STRATEGY” DELL’OCSE

Il 21 luglio scorso si è tenuto a Roma, presso il MEF, un seminario di lavoro dell’OCSE dal titolo “Costruire un’e cace “National Skills Strategy” per l’Italia”. Il programma dell’OCSE, lanciato già in altri Paesi UE, è supportato dalla Commissione europea. In Italia, il progetto è coordinato con l’OCSE da un gruppo di coordinamento interministeriale costituito da rappresentanti del Ministero dell’economia e nanze, del Ministero del lavoro, del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, della Presidenza del Consiglio. L’intento del Governo nell’aderire al progetto dell’OCSE è di identi care entro ne 2017 punti di forza e criticità per quanto concerne la quali cazione e lo sviluppo di competenze in Italia, al ne di individuare le leve per la crescita della produttività e sostenere il buon funzionamento del mercato del lavoro. Secondo l’OCSE il perno delle politiche in favore delle competenze è l’investimento nello sviluppo delle competenze lungo tutto l’arco della vita. E’ necessario incoraggiare le persone a usare le proprie competenze e, al contempo, trattenere al lavoro le persone competenti (disincentivando la scelta della pensione anticipata) e frenare la fuga dei cervelli con appositi incentivi. I datori di lavoro vanno incoraggiati a utilizzare al meglio le competenze dei loro dipendenti. In ne, gli esperti dell’OCSE raccomandano di incoraggiare lo spirito imprenditoriale attraverso l’insegnamento in età scolare e universitaria degli elementi fondamentali del ruolo di imprenditore a nché gli imprenditori di domani sappiano individuare le opportunità e trasformarle in operazioni di successo e riconoscere e far fronte alle di coltà e agli ostacoli che possono emergere nella gestione di una impresa, grande o piccola che sia.

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