RIVALORIZZARE L’IMPRESA-FAMIGLIA

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Giovanni Leonardi | Responsabile delle politiche sociali e strategie dell’ ISTITUTO NAZIONALE WELFARE

La famiglia è la fondamentale e naturale realizzazione della sociabilità umana, primariamente
ed universalmente presente, forma primordiale di aggregazione naturale, che comprende
gli elementi necessari e capaci a garantire l'autosufficienza di un gruppo di soggetti che
hanno un legame parentale; precede la Società e lo Stato, e la Società e lo Stato dovrebbero
essere al suo servizio.
Famiglia e lavoro derivano dalle origini dell’umanità costituendo dimensioni essenziali,
tanto che la parola “economia”, dal greco oikonomia, etimologicamente significa “gestione
della casa”, intesa come l’amministrazione delle persone e dei beni, introiti, spese, consumi
e risparmi, che gravitano intorno alla casa che simbologicamente riconduce all’immagine
della famiglia…“ dove c’è famiglia c’è casa”.
Per molti secoli il lavoro si trasmetteva come un’eredità all’interno della famiglia patriarcale,
infatti ha sempre svolto una importante funzione economico-produttiva. Si trattava di
lavoro in casa o vicino a casa, cosicché il tempo di lavoro non si distingueva dai tempi della
vita familiare.
La famiglia di un tempo, specie quella contadina, traeva la sua origine dalla ripartizione
delle terre e dall'allevamento del bestiame e rappresentava di per se una unità produttiva
giuridicamente rilevante, che realizzava il proprio scopo socio-economico con la
collaborazione di tutti i membri. Stessa cosa un tempo avveniva negli agglomerati urbani
per i gruppi famigliari artigiani e dei piccoli commercianti.
Così l'individuo faceva la propria esperienza di vita nell’alveo della famiglia, dalla nascita
all'età adulta, avendo per modello quello dei propri parenti e di coloro che componevano la
cerchia di altre famiglie consimili o territorialmente più prossime.
In passato la famiglia produceva direttamente la gran parte dei beni necessari a soddisfare i
bisogni dei propri membri (coltivava il terreno e allevava il bestiame per produrre alimenti,
preparava i capi di abbigliamento, ecc.).
Esiste una categoria di aziende che prende il nome di aziende di erogazione. Esse hanno
come scopo quello di soddisfare in modo diretto i bisogni dei soggetti che le compongono.
Sono aziende che si procurano, in vari modi, i mezzi che poi vengono erogati per acquistare
o produrre i beni e i servizi che vengono consumati.
Tra queste aziende quella principale e quella che, anche storicamente, è stata la prima forma
di azienda di erogazione, è la famiglia, che ha come scopo quello di soddisfare i bisogni
materiali e morali dei propri membri che trovano al proprio interno la loro realizzazione più
completa.
I processi di industrializzazione e di urbanesimo hanno invece separato la casa dal luogo di
lavoro, sdoppiando il vecchio ruolo dell'uomo in due ruoli giuridicamente e spazialmente
distinti. Cultura, tradizioni e vincoli di parentela sono risultati così fortemente compromessi

a causa dell'aggressione esercitata dal diffondersi della razionalità utilitaristica del mercato.
Con la rivoluzione industriale la produzione dei beni e servizi è passata dalle famiglie, alla
fabbrica, al centro commerciale, allo studio professionale, all’ufficio burocratico.
Un tale stato di cose, ha provocato una forte urbanizzazione e la dissoluzione della
famiglia patriarcale o matriarcale, che le ha fatto perdere i suoi più importanti momenti di
aggregazione assumendo, di contro, il carattere di un’ unità ristretta di consumo dei beni
acquisiti col provento di prestazioni svolte individualisticamente, lontano dal suo ambito.
Da questo scenario si passa a quello dei giorni nostri, dove registriamo una prolungata
instabilità economica la cui questione emergente è la crescente fragilità sociale del Paese,
determinata anche dalla disgregazione della famiglia, svuotata delle sue funzioni primarie,
intesa come solido fondamento della società civile.
Oggi, quasi sempre, essa ha esternalizzato la produzione dei beni di sostentamento e
lavora presso delle altre aziende per ottenere i mezzi necessari per l’acquisto di ciò di cui
ha bisogno.
La conseguenza è stata che negli ultimi decenni, si è assistito ad una corsa incessante e
solitaria al benessere economico, spesso non accompagnato da un’occupazione lavorativa,
che ha portato al disgregamento delle famiglie sempre più prive di momenti di incontro,
condivisione e coesione benché condividano lo stesso tetto.
Tali cause, unitamente al "parcheggio" di lunga durata dei giovani in famiglia anche a
causa del protrarsi dei tempi di scolarizzazione rispetto al passato e il conseguente ritardo
nella loro qualificazione professionale e del loro pieno inserimento sociale e quindi della
realizzazione di una loro vita autonoma, l'appellativo “giovane” si usa per persone che
hanno superato la soglia dei 35 anni, hanno gravato la famiglia di un peso che rischia di
diventare troppo impegnativo per la propria sussistenza.

La famiglia intesa come "azienda famiglia" si è indebolita nel tempo perdendo quel requisito
fondamentale di rete sociale di protezione, pur rendendo tutti i componenti produttivi e
autonomi.
La fragilità sociale è destinata ad aumentare, anche e soprattutto a causa della trasformazione
demografica e socio-culturale che ha a sua volta determinato la frammentazione della società
e tale fenomeno ha avuto delle ripercussioni anche sull'evoluzione dei modelli familiari.

Recenti studi hanno evidenziato il rischio sociale derivante dalla maturazione per le giovani
generazioni, di redditi pensionistici molto inferiori alle attese e non adeguatamente integrati
dalla previdenza complementare.
Secondo le ricerche statistiche in materia di sanità è preoccupante la crescita della rinuncia
alla cura; infatti solo 11 milioni le persone negli ultimi anni hanno rinunciato o rinviato il
ricorso a prestazioni sanitarie.
La riforma del welfare negli ultimi anni si è concentrata prevalentemente sullo squilibrio
finanziario delle grandi istituzioni pubbliche: pensione e sanità.
Il welfare pubblico ha registrato un notevole abbassamento dei livelli di copertura che
ovviamente incidono sulla fragilità sociale.
Non è esagerato, dunque, pensare all’azienda famiglia come a una sorta di ancora
di salvataggio per tutto il sistema e soprattutto per lo Stato che, con il progressivo
smantellamento dei suoi servizi pubblici e la razionalizzazione delle risorse destinate alla
sanità e al welfare, sta sempre più delegando le sue tradizionali responsabilità all'iniziativa
e alla partecipazione privata. Senza il welfare familiare modello "fai da te", il sistema non ce
la farebbe e non avrebbe neanche retto ai duri anni della crisi economica.
In questo scenario un forte mutamento lo si è registrato anche nella propensione al
risparmio rispetto al passato.

Per gran parte delle famiglie è compromessa la capacità di costruire o ricostruire con il
risparmio, una condizione patrimoniale di sicurezza a lungo termine.
In particolar modo l'invecchiamento ha determinato un rapido aumento dell'indice
strutturale di dipendenza costituito dal rapporto tra la popolazione in età non attiva e la
popolazione in età attiva.
L'indice di dipendenza o tasso di dipendenza è un indicatore statistico dinamico
usato nella statistica demografica per misurare il rapporto tra individui dipendenti
e indipendenti in una popolazione. Esso si calcola facendo il rapporto tra le persone
considerate in età "non attiva" e quelle considerate in "età attiva". Nello specifico, si tratta
del rapporto tra persone con meno di 14 e più di 65 anni e le persone tra i 14 e i 64 anni.
Nei primi anni del 2000 era inferiore al 50%, mentre nel 2016 ha superato il 55%.
Ma il cambiamento demografico è solamente una delle componenti che incidono sui livelli
di dipendenza sociale, ovvero di esclusione dal lavoro di segmenti della popolazione anche
in età attiva. Pesano fattori che hanno a che fare con le difficoltà del mercato del lavoro, con
l’inadeguatezza dei servizi sociali alle famiglie e alle imprese, ma anche con limitazioni di
carattere culturale, i quali determinano le nostre aree di più grave debolezza sociale:
- le difficoltà e il ritardo dell’accesso dei giovani al lavoro;
- l’esclusione delle donne dal lavoro e dalla mobilità sociale.

E’ necessario, inoltre, tener conto quando si analizza la crescita occupazionale, del popolo
degli "inattivi", una categoria che non contempla occupati e disoccupati ma bensì tutte
quelle persone che non rientrano nella forza lavoro (occupati e disoccupati), per il semplice
motivo che il lavoro non lo stanno cercando, come le casalinghe e tutte quelle persone “non
impegnate” nello studio, nel lavoro e nella formazione.
Su 23 milioni di lavoratori operativi, in Italia gli inattivi sono 13 milioni. Chi sono queste
persone? Di certo sappiamo che tra di loro si nascondono buona parte dei circa 3 milioni di
lavoratori in nero, invisibili sotto il profilo dei diritti e dei doveri.
Alla luce dell’analisi fatta, si può dedurre che occorre riscoprire l’importanza sociale della
famiglia, che produce beni essenziali per la società nel suo insieme, per il mercato e per le
imprese, anzi, a suo modo, è essa stessa una piccola impresa.
La famiglia genera persone e beni relazionali primari che costruiscono l’identità personale,
beni senza prezzo, senza assuefazione, senza competizione, senza svalutazione.
La famiglia produce virtù indispensabili per la coesione e lo sviluppo integrale della
società, indispensabili anche per il lavoro produttivo, l’impresa e il mercato. Ecco un elenco
esemplificativo di esse: gratuità, reciprocità, fiducia, solidarietà, responsabilità, cooperazione,
progettualità, capacità di sacrificio, sobrietà, propensione al risparmio, rispetto dell’ambiente.
Il mercato, istituzione dello scambio utilitario, ha bisogno di una componente di gratuità e
di solidarietà, che gli può essere comunicata da altre istituzioni, specialmente dalla famiglia.
Oggi, nell’era della digitalizzazione, l’impresa diventa sempre più immateriale e relazionale;
richiede, più che capitale fisico, risorse umane, conoscenze, idee, capacità di progettare e
lavorare insieme. Anzi è sempre più necessario che le imprese, rinunciando all’illusione di
autosufficienza, si mettano in rete tra loro.

E’ interesse del mercato promuovere l’emancipazione e l’educazione finanziaria, ma per
farlo veramente, non può contare solo su se stesso, esso deve attingere energie morali da
altri soggetti, che sono capaci di generarle. Uno di questi altri soggetti, il più idoneo, è la
famiglia.
Essendo un soggetto di grande rilevanza sociale, e anche economica, la famiglia ha diritto
di ricevere sostegno culturale, giuridico ed economico.
Per sostenere il progetto di impresa-famiglia, occorre una ragionevole sicurezza economica.
Bisogna supportare il lavoro intermittente con meccanismi di protezione, con ammortizzatori
sociali estesi anche alle piccole aziende (cassa integrazione, mobilità, pre-pensionamento).
Per numerosi lavoratori, per gli immigrati, ma non solo per essi, occorre agevolare i
ricongiungimenti familiari.
Occorre attivare servizi per le famiglie: per i bambini nidi familiari, condominiali, aziendali, di
quartiere; per gli anziani e i disabili servizi di assistenza. La cooperazione tra le famiglie (reti di
famiglie), può svolgere funzioni analoghe a quelle che un tempo svolgevano le reti parentali.
Il territorio e , in particolare, il lavoro, andrebbero gradualmente riorganizzati a misura di famiglia.
Se è vero che l’impresa è importante perché assicura la crescita economica producendo
ricchezza e offrendo posti di lavoro, la famiglia lo è ancora di più, perché oltre alla crescita
economica, assicura un futuro stabile e duraturo alla comunità stessa.
Infatti, nella famiglia, le persone crescono stando in continuo contatto con altri, in un
atteggiamento di servizio vicendevole, anche se non mancano i sani conflitti che stimolano
la crescita e il superamento delle difficoltà. Tanto migliori, più fraterni e solidali sono i
rapporti generati nella famiglia, quanto migliori sono gli effetti benefici sulla comunità. La
buona riuscita dei servizi offerti dalla famiglia, in termini di migliore educazione, istruzione,
formazione e assistenza, genera ottimismo e fiducia nei confronti dei soggetti direttamente
beneficiari; questi ultimi, a loro volta, liberano risorse positive a vantaggio di tutta la
comunità.
Ovviamente, non tutto si risolve basando lo sviluppo economico sull’attività delle famiglie,
nello stesso tempo non vi può essere sviluppo economico stabile senza assegnare alle
famiglie un ruolo centrale. Se poi vi sono da affrontare momenti difficili, soprattutto quando
si è nel cuore di una crisi, le famiglie possono offrire un contributo decisivo per superarle
proprio a motivo della loro forza morale ed economica.
Riflettere sulla famiglia come modello di un’impresa è molto stimolante ed occorre
formulare proposte concrete per ridurre il divario tra l’effettivo ruolo svolto dalle famiglie e
il suo riconoscimento da parte dei governi e degli Stati contemporanei. C’è da sottolineare
che la società e lo stesso mondo dell’impresa, normalmente sfruttano la famiglia e neppure
le riconoscono quel che essa già offre, ma soprattutto, non considerandola come un’impresa
e quindi non riconoscendone i diritti che un’impresa può avere, si privano di un importante
volano dell’economia.
Per comprendere la solidità che la famiglia dà all’azienda e rende l’azienda florida e duratura
nel tempo, basti pensare alla lunga tradizione di famiglie imprenditoriali che hanno fatto
e fanno grande l’azienda italiana nel mondo: Ferrero, Agnelli, Benetton, Barilla, Berloni,
Marinella, solo per fare alcuni nomi.
C’è una considerazione che ritengo importante. L’uomo contemporaneo - e la stessa

società - è particolarmente fragile a motivo di una radicale logica individualista. Da soli si
diventa tutti più deboli. Anche economicamente. L’enorme fatica che tante coppie, tante
famiglie, incontrano nel condividere un progetto comune che duri per sempre ha, tra le
sue motivazioni, anche la tentazione di pensarsi autosufficienti e di impostare la vita come
l’avventura di un “io” che non sa diventare un “noi”.
Al contrario, essere membro di una famiglia, significa essere spinti ad un primo e decisivo
passaggio dall’io al noi. La famiglia impone una visione di lungo termine e un impegno il
cui obiettivo trascende il benessere individuale. C’è un marito a cui pensare, una moglie
da considerare, dei figli per cui investire, e così oltre. Amare e voler costruire una famiglia,
infatti, significa “investire”, e con generosità, la propria vita sulla famiglia e il suo sviluppo.
E’ senza dubbio una decisione difficile visto che si tratta di una scelta che richiede
dedizione, cura, sacrifici, in una parola un progetto comune che vada oltre la singola
esistenza. Ma tutto questo – ne sono convinto – ha un riscontro e un effetto anche nel
mondo dell’economia. L’imprenditore di successo non è mai una donna o un uomo che si
pensano soli e unicamente proiettati sul presente. La capacità di fare sistema, di entrare
in un rapporto con l’altro e con la sua visione del mondo, hanno un indiscusso valore per
la realizzazione di successi anche economici. Una buona famiglia, con relazioni sane e
mature fondate sull’amore più autentico, è anche un piccolo modello di soggetto che sa
fare “economia”, capace di mettere a frutto nel modo migliore – più economico – le risorse
dei singoli membri per il bene di tutta la società.
Va rivisto il concetto di famiglia, le persone sono una risorsa da cui ricavare vantaggi,
ma anche e soprattutto come un bene in se stessi, come persone insostituibili, non
intercambiabili, senza prezzo e con valore assoluto. Soltanto rispettando la loro libertà
e valorizzando la loro originalità si può considerare la famiglia come un’impresa, come
un’azienda in grado di generare valore nel tempo.
L'azienda famiglia deve essere in grado di armonizzare e valorizzare le differenze fondamentali
dell’essere umano, quella dei sessi (uomo-donna) e quella delle generazioni (genitori-figli).
La differenza nell’uguaglianza non crea di per sé discriminazione; ma interazione, scambio,
complementarietà, collaborazione.

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