MICROIMPRESA, TECNOLOGIA E FORMAZIONE

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Prof. Carlo Maria Medaglia | Pro Rettore per la Ricerca LINK Campus University - Roma

La realtà che stiamo vivendo oggi sarà ricordata dalle prossime generazioni come l’inizio della Quarta rivoluzione
Industriale.

Stiamo assistendo alla nascita di modelli, strategie e paradigmi nuovi che coinvolgono ogni aspetto della nostra vita: dal modo in cui facciamo acquisti a come guardiamo la televisione.

Il termine oggi utilizzato per descrivere questa rivoluzione è quello di Industria 4.0, una tendenza del mondo industriale
che vede nell’automazione e nell’introduzione di nuove tecnologie produttive, la chiave di volta per il miglioramento delle condizioni lavorative e del
sistema produttivo globale.
Le nuove tecnologie digitali definite anche abilitanti avranno un impatto profondo nell’affermazione di questa rivoluzione. Pensiamo soltanto alla capacità di gestione ed archiviazione di grandi quantità di dati (Big data) in maniera liberamente fruibile (Open), a concetti come quello di Internet of things o all’importanza del machine-to-machine e del cloud computing per la centralizzazione delle informazioni e la loro conservazione.
Analogamente importante appare essere tutto il filone legato agli analytics: il machine learning, ossia l’apprendimento automatico delle macchine a partire dai dati via via raccolti e analizzati, attualmente ben poco diffuso a livello industriale, potrebbe subire una vera e
propria esplosione nei prossimi anni. Infine tra le tecnologie abilitanti emergono quelle destinate alla conversione del digitale al reale: pensiamo alla manifattura additiva, sistemi di produzione in grado di aumentare l’efficienza dell’uso dei materiali, la robotica o la realtà aumenta immaginata per guidare
meglio gli operatori nello svolgimento delle attività quotidiane.

Un vero e proprio boom è quello che ci si aspetta dalla tecnologia Blockchain, altra protagonista del nostro
tempo. Insieme all’Internet of things e all’Intelligenza artificiale sono infatti indicate come i principali asset di sviluppo da qui al 2020.
Come impattano queste tecnologie nel tessuto economico?
A livello globale il mercato della blockchain nel 2017 ha raggiunto quota 339,5 milioni di dollari, secondo le previsioni per il 2021 raggiungerà quota 2,3 miliardi1.
Nei primi sei mesi del 2018 quattro società italiane hanno raccolto più tramite una raccolta fondi su
blockchain che tutte le altre attraverso il venture capital italiano, come si legge dal “Report Blockchain for Business” di Casaleggio Associati. I numeri e le previsioni
sono dalla parte della tecnologia.

Ma occorre fare una valutazione sulla portata della novità di cui stiamo parlando. Per capire meglio la blockchain occorre innanzitutto accostare alcuni temi
apparentemente distanti tra loro vale a dire il concetto di fiducia e community, poi, la trasparenza, la crittografia,
la condivisione e la competizione. Dall’insieme di questi temi parte un’innovazione – non solo tecnologica – senza dubbio complessa, ma dirompente democratica e straordinariamente rivoluzionaria.
Alcuni definiscono la blockchain come la Nuova Internet, una sorta di Internet delle Transazioni. La Blockchain accosta Internet delle persone all’ Internet
del Valore ruotando su concetti fondamentali come decentralizzazione immutabilità trasparenza sicurezza. Di Blockchain se ne parla sempre più, se ne è ampiamente discusso anche in occasione del World Economic forum in cui è emerso che sono molti gli investitori che stanno puntando ad altri investimenti in ambito
Blockchain, e quindi dagli investimenti iniziali che ci sono stati soltanto nella nuova valuta e in nuovi sistemi
di pagamento, si passa finalmente a nuovi investimenti, in settori nuovi e diversi tra loro. È emerso dal Forum che entro il 2027 il 10% del Pil mondiale sarà generato
da prodotti e servizi erogati tramite blockchain.
I settori che maggiormente contribuiscono a produrre questo valore sono il finanziario, con un’incidenza del 60,5%, e il manifatturiero, con una quota del 17,6%. Recentemente un gruppo di ricercatori canadesi che ha realizzato una community (Emerge) che sfrutta le tecnologie blockchain per sostenere l’innovazione nei mercati emergenti, ha pubblicato uno studio esa-minando un totale di 448 iniziative in 85 nazioni e 29 settori, tutte basate sulla tecnologia blockchain. La
maggior parte delle iniziative (39%) riguarda il settore finanziario, fintech e la creazione di portafogli digitali.
Ulteriori iniziative riguardano il settore educativo e lo sviluppo di nuovi protocolli blockchain. Dallo studio dei progetti si evince che insieme all’Asia, l’Europa
dell’Est è il paese dove si stanno attualmente svolgendo la maggior parte delle iniziative legate alla tecnologia blockchain. Russia, Estonia e Ucraina sono i Paesi
europei più attivi.

E la situazione in Italia?
Gli ultimi dati presentati dall’Istat in merito alla propensione alla trasformazione digitale in Italia gettano però qualche ombra. Dal Rapporto si legge infatti diun’ “Italia affetta da una forma estrema di morbo europeo” ovvero l’incapacità di sfruttare a pieno la rivoluzione dell’ICT.
I fattori che impatterebbero così in negativo sarebbero meccanismi largamente imperfetti di selezione del personale manageriale e carenze nell’investimento in capitale umano.
Eppure, in riferimento all’economia dei maggiori paesi avanzati (inclusa l’Italia), la relazione diretta tra propensione all’Ict e crescita della produttività d’impresa, rappresenta uno dei risultati condivisi nella letteratura empirica2.
Appare quindi evidente come per alimentare la spinta alla produttività e alla competitività del nostro sistema
produttivo occorra incentivare la capacità di cogliere le opportunità offerte dalla trasformazione digitale. Per attivare un processo di crescita dell’economia e dell’occupazione che faccia leva sull’innovazione, è essenziale porsi tre obiettivi strategici precisi:
• accrescere la produttività delle imprese esistenti,
con l’obiettivo di aumentare la loro capacità di
competere in campo nazionale ma soprattutto internazionale;
• favorire la nascita di spin-off e startup che siano in
grado di sfruttare le potenzialità delle tecnologie di
avanguardia con modelli operativi ed organizzativi
appropriati;
• sviluppare nuovi processi, prodotti e servizi, ad alto
tasso di crescita della domanda, che sappiano rispondere
adeguatamente ai bisogni della popolazione.
I numeri che ci arrivano dal rapporto di Anitec-Assinform (Associazione Italiana per l’Information and Communication Technology (ICT), sulla spesa delle aziende italiane per big data, cloud e digitale, sembrano essere estremamente positivi: 68,7 miliardi nel digitale. Effetto dei piani per la trasformazione
tecnologica delle aziende. Tuttavia il dato che colpisce riguarda soprattutto le piccole imprese. Le realtà più
piccole sembrano più restie al cambiamento soprattutto per problemi culturali più che infrastrutturali. E se da un lato i grandi gruppi sono abituati a competere sul
mercato globale, i piccoli brancolano nel buio rischiando di rimanere esclusi dai nuovi processi di cambiamento. L’11% delle aziende con più di 250 addetti ha un
livello di digitalizzazione molto alto, mentre per il 19% il livello è molto basso. Se si considerano le aziende di piccole dimensioni (10-49 addetti), soltanto l’1% di queste ha un livello di digitalizzazione molto alto, mentre il 58% lo ha molto basso.
È quanto emerge dall’indagine realizzata da EY in collaborazione con Ipsos e con il centro studi Intesa Sanpaolo,
presentata a Capri durante l’undicesima edizione di EY Capri digital summit, focalizzato sull’impatto della digital transformation su popolazione e imprese. Un’altra nota dolente è quella che viene dalla Pubblica amministrazione: l’Italia è infatti ventunesima su 28 per indice di e-government ed è in ritardo rispetto alla media europea in gran parte delle componenti che costituiscono l’indice di digitalizzazione. Questo non tanto, secondo lo studio, per una carenza nell’implementazione
dei servizi pubblici digitali, che risultano essere al livello di quelli dei Paesi dell’area Ue, quanto per il loro scarso utilizzo, dovuto alle scarse competenze digitali dei cittadini-utenti.
In questo contesto risulta particolarmente indicato puntare sulla formazione continua per chi è già inserito nel mondo del lavoro, ma soprattutto provvedere alla formazione delle nuove generazioni che si trovano in un contesto i cui perimetri cambiano in modo apparentemente imprevedibile e molto rapido.
In quest’epoca altamente tecnologica il capitale umano
resta ancora la tecnologia sulla quale investire di più,
come la pensa Elon Musk: “A volte ci si affida troppo alla robotica, per rendersi poi conto che il potenziale umano è quello che continua a contare di più”3.
E se a dirlo è Musk, il genio visionario fondatore di Paypal e TESLA, colosso della mobilità elettrica lui
che ha ispirato il supereroe della Marvel Iron Man è tutto dire. Quando si parla di Musk sembra che il confine tra narrazione fantascientifica e realtà si dissolva.
Questo è l’effetto WOW che fa parlare di tecnologia oggi e a questi livelli. Quello che conta come non mai è l’uso che se ne farà della tecnologia perché, se le applicazioni
robotiche possono migliorare la vita dell’uomo e del pianeta, siamo di fronte ad un impatto socialmente
ed eticamente importante. Non è un caso a mio avviso che oggi si parli di un solo sviluppo possibile,
lo sviluppo sostenibile. La sostenibilità ambientale, sociale, inclusiva non può che permeare il tessuto economico
a più livelli. I temi “innovazione e sostenibilità” appaiono essere i veri protagonisti della scena internazionale di questo
millennio. La sostenibilità è uno degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu varata nell’autunno del 2015, è uno dei punti cardine dell’accordo
di Parigi del dicembre 2015 ed è uno degli argomenti chiave scelto per il G7 italiano nel 2017.
Questo è sicuramente vero se ragioniamo sul fatto che mentre lavoriamo per rincorrere modelli tecnologicamente avanzati, circa 2 miliardi e seicento milioni di
persone nei Paesi in Via di Sviluppo non hanno accesso costante e continuo all’elettricità, 2 miliardi e mezzo di persone nel mondo non hanno accesso a servizi sanitari,
quasi 800 milioni di persone non hanno accesso all’acqua, circa 1 miliardo e mezzo di persone non possiede servizi di telefonia affidabili.
Appare evidente che puntare solo sull’innovazione tecnologica
in quanto tale non è più la strategia vincente; è necessario favorire l’innovazione in termini di sostenibilità, per la ricerca di soluzioni ai gravi problemi che affliggono oggi una parte considerevole del pianeta.
Gli imprenditori di oggi si trovano di fronte a tante sfide ed altrettante possibilità. restare umani nel senso più alto del concetto è la tecnologia da sempre più avanzata. Non è un caso se grandi innovatori come Bill Gates e Stephen Hawking abbiano più volte espresso il loro timore per il dilagare dell’intelligenza artificiale.
La possibilità di ricevere un pacco consegnato da un drone fra poco non sarà una scena da “Ritorno al futuro”.
Per i nostri figli sarà impensabile andare a scuola senza tablet o saltare l’ora dedicata al coding. A disposizione degli studenti universitari ci sono tante risorse open che consentono loro
di investire nelle loro idee tramite percorsi di
affiancamento per avviare la loro start up. Il manager che sente il dovere e il desiderio di aggiornarsi ha solo
l’imbarazzo della scelta sul percorso più affine alle sue
esigenze e ai suoi settori di interesse.
È noto che in futuro 9 lavori su 10 prevedranno la padronanza
di competenze digitali. Secondo l’Unione
Europea le competenze digitali sono “abilità di base
nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione:
l’uso del computer per reperire, valutare, conservare,
produrre, presentare e scambiare informazioni nonché
per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite
Internet”. appare evidente come si tratti di una descrizione
sommaria e non aggiornata: infatti questa
definizione è senza dubbio corretta, ma non esaustiva
per inquadrare il tema delle “competenze digitali”.
Le digital skills spaziano dalle competenze di base a
quelle molto specifiche, richieste per determinate professioni.
Le università su questo tema giocano un ruolo determinante.
È importante perseguire e sostenere una programma
di lavoro che sia totalmente centrato sulla
persona e sulla formazione continua, spostando quindi
il focus dalla tecnologia al capitale umano e cercando
di costruire una strategia di più ampio respiro che
miri a valorizzare temi come quello dell’istruzione,
dello sviluppo delle capacità e del trasferimento tecnologico.
Dobbiamo creare una sintesi profonda nelle
nostre scuole e nelle università, tra quelli che sono gli
strumenti delle scienze umane e sociali e quelli delle
scienze tecnologiche, integrandoli in un modo nuovo
in grado di risolvere le problematiche complesse che il
nostro mondo e la nostra società ci pongono davanti.
Microfinanza • 2018 • n. 23 57
nOTE
1 Fonte: Statista, 2018 Size of the blockchain technology
market worldwide from 2016 to 2021 (in million U.S.
dollars)
2 FONTE: ISTAT. Cap.3 Rapporto sulla competitività dei
settori produttivi - edizione 2018
3 Intervista a Forbes

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