Migliorare l’ecosistema digitale per startup innovative e aziende digitale

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Migliorare l'ecosistema digitale per startup innovative e aziende digitale

di Giuseppe Ciarliero Senior Colsuntant - Government & Public Sector EY
e Enrico Coletta Senior Manager - Government & Public Sector EY

La rivoluzione digitale è appena alle porte: sono passati poco più di 20 anni da quando due giovani studenti di Standford registravano l’account google.com che sarebbe successivamente diventato una delle più grandi aziende del mondo. Solo pochi anni dopo, nel 2007, Steve Jobs presentava il primo melafonino, destinato a rivoluzionare il modo di utilizzare il mobile fino a quel momento, aprendo attraverso le app e altre innovazioni una miriade di opportunità che sono ancora lontane dall’essere completamente esplorate ed esaurite.

In un periodo così breve, poco più di 20 anni, le tecnologie digitali hanno capovolto le nostre vite e hanno avviato la trasformazione verso un “pianeta digitale”, modificando radicalmente le modalità in cui avvengono le interazioni e gli scambi a livello sociale, politico e commerciale.

Startup innovative, aziende digitali ed ecosistema dell’innovazione

Anche in Italia cresce indubbiamente la voglia di digitale. Negli ultimi anni, per esempio, UnionCamere e InfoCamere salutavano con grande ottimismo la nascita di un grande numero di “digital companies” tricolori. Nel terzo trimestre del 2017, infatti, le imprese che operavano nei settori digitali (dal commerciomercio via Internet agli Internet service provider, dai produttori di software a chi elabora dati o gestisce portali web), avevano superato la soglia delle 122milia unità. Un dato incoraggiante e accolto con ottimismo dagli osservatori, pur rappresentando solo il 2,3% del totale delle imprese italiane.

Altri dati incoraggianti arrivano più di recente dal report “Startup innovative” del 4° Trimestre 2018 pubblicato dal Ministero dello Sviluppo Economico, Unioncamere e InfoCamere. Le imprese iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese risultano essere in aumento di ben 111 (pari all’1,2%) nel solo periodo di indagine. Le aziende di questa tipologia sono quindi ad oggi pari a 9.758 unità.

Le startup innovative, lo ricordiamo, sono una categoria di imprese introdotta dalla legge 221/2012, conversione del “decreto Crescita 2.0” (dl 179/2012). Si tratta di una società di capitali che risponde a determinati requisiti e soprattutto ha come oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi a elevato valore tecnologico.

Quelli descritti sopra sono sicuramente dati incoraggianti e gli ultimi strumenti di policy adottati dalle istituzioni italiane come lo “Startup Act” del Ministero dello Sviluppo Economico - MISE sono valutati in maniera positiva. Una recente ricerca dell’OCSE (La Valutazione dello “Startup Act” italiano) sottolinea, per esempio, gli effetti positivi dello strumento di policy anche rispetto al costo relativamente contenuto della stessa. Allo stesso tempo, la stessa OCSE, ha usato i risultati di questa analisi per una serie di raccomandazioni generali volte a migliorare l’efficacia e l’efficienza della policy sottolineando che implementare una politica per le startup non basta per creare un ambiente favorevole all’imprenditorialità innovativa. Infatti, come ribadito ancora dallo studio, le startup innovative in Italia “sembrano subire le conseguenze di un atteggiamento “culturale” refrattario all’innovazione e di una mancanza di advocacy nel dibattito pubblico”. Mentre in Paesi come gli Stati Uniti e la Francia le associazioni dell’imprenditorialità innovativa stanno diventando sempre più influenti, in Italia il dibattito politico sembra essere molto più sensibile alle esigenze degli operatori già presenti sul mercato che attraversano un periodo di difficoltà temporanea – o a volte addirittura cronica – piuttosto che a quelle delle giovani imprese”.

Il quadro finora dipinto sembra far emergere delle zone di luce, con numeri crescenti che delineano un tessuto economico che guarda con grande favore alle opportunità offerte dal mondo del digitale durante gli ultimi anni.

D’altro canto, osservatori internazionali ed esperti ci invitano però a non fermare lo sguardo sul dito e ad osservare piuttosto la luna: dedicarci cioè a definire un ambiente maggiormente favorevole all’imprenditorialità innovativa. Creare un terreno fertile affinché le nuove aziende digitali - siano esse startup o meno – possano continuare a crescere e allo stesso tempo anche le aziende “classiche” possano trarre benefici da un ecosistema digitalizzato che investe sull’innovazione in maniera costante e continuativa.

Inoltre, dato che soprattutto le startup innovative sono molto spesso avviate da giovani e da individui che si rivolgono a enti che erogano soluzioni di microcredito, sarebbe strategico per tutto il settore della microfinanza riflettere su quali azioni e fattori lavorare al fine di abilitare sempre più attori a investire sulla crescita di un ecosistema digitale e innovativo.

Il posizionamento dell’Italia nella rivoluzione digitale

Le trasformazioni digitali non stanno accadendo ogni singolo Paese e territorio con la medesima velocità, ma si possono identificare alcuni luoghi in cui questi sono più repentini ed altri dove, al contrario, l’innovazione si muove a velocità più ridotta per vari motivi e l’ecosistema risulta lontano dall’aver raggiunto una completa transizione digitale.

L ’Italia, secondo uno studio internazionale pubblicato dalla Fletcher School della Tufts University di Boston, risulta essere in uno stato di medio avanzamento rispetto all’evoluzione digitale. Il “Digital Evolution Index” analizza lo stato ed il tasso di evoluzione digitale in 60 Paesi attraverso 4 driver principali e oltre 170 indicatori. La ricerca ha prodotto una mappa dell’evoluzione dividendo i Paesi analizzati in 4 quadranti rispetto ai livelli: stand out (Paesi fortemente avanzati e con un livello elevato di digitalizzazione); stall out (Paesi con elevatissimo avanzamento digitale, ma che in questo momento non stanno investendo in ulteriore innovazione); break out (Paesi che mostrano un basso livello di digitalizzazione, ma che stanno evolvendosi in maniera rapida), watch out (Paesi che stanno incontrando numerosi ostacoli nel loro processo di digitalizzazione).

L ’Italia si trova al centro di questa mappatura, dimostrando un livello medio di avanzamento per il proprio ecosistema digitale e il tasso di evoluzione digitale. Le economie più avanzate (come gli Stati Uniti e la Germania) si attestano tra i Paesi con un elevato livello di digitalizzazione e un medio tasso di evoluzione digitale. I Paesi asiatici, come Cina e Malesia, si confermano invece i luoghi più frizzanti e pronti ad abbracciare la rivoluzione digitale e, soprattutto, a creare un ecosistema che possa far fiorire le trasformazioni che avverranno nel prossimo futuro.

Mappatura del Digital Evolution Index – La velocità dell’economia digitale nel mondo Fonte: Digital Evolution Index 2017, The Fletcher School – Università di Tufts (USA) e Mastercard

Queste analisi sono molto utili soprattutto per le loro implicazioni e i messaggi che possono fornire ai decision-makers sia del settore privato che pubblico, come ad esempio l’Ente Nazionale del Microcredito.

È imprescindibile infatti che, da una parte, tutti coloro che innovano nel settore privato alimentino il dibattito pubblico e si pongano come enzimi catalizzatori della conversazione proponendo innovazioni e sensibilizzando i cittadini / utenti e le istituzioni. Dall’altra parte, il settore pubblico non può che restare vigile, valutando ogni singola innovazione e analizzando le modalità migliori per la loro potenziale adozione e gli impatti che possano avere sia internamente per le Pubbliche Amministrazione che esternamente per cittadini e utenti. Inoltre, il settore pubblico e le istituzioni devono preoccuparsi di pianificare e implementare le regole del gioco e le policy più adeguate per mettere tutti gli attori dell’ecosistema nella posizione di poter investire in innovazione e poter sperimentare in maniera continuativa, contribuendo alla crescita del Paese digitale del futuro.

Quale ruolo per l’Ente nazionale Microcredito

La microfinanza sta diventando in tutto il mondo un settore a cui sempre più operatori guardano con molta attenzione. Le opportunità di investimento e il target a cui la microfinanza è indirizzata è sempre più interessante e annovera un gran numero di stakeholder, che vanno dagli imprenditori sociali ad investitori istituzionali e banche.

Essendo il settore della microfinanza relativamente giovane e poco ingessato dalla burocrazia, è essenziale che in questo momento storico esso venga costruito seguendo il criterio del “digital first” e che inglobi dentro di sé idee e processi innovativi che consentano la sua evoluzione secondo i principi di adattabilità e agilità. Le nuove tecnologie e la digitalizzazione potrebbero consentire alla microfinanza di migliorare i propri business model, monitorando con costanza i propri risultati – e quelli dei propri investimenti – aumentando la platea raggiunta e quindi il supporto alle fasce più deboli e con minori garanzie della popolazione.

D’altronde, finanza e tecnologia agiscono da sempre in forte simbiosi e sono profondamente collegate, tale relazione si è sicuramente rafforzata, quasi a divenire imprescindibile, con l’avvento di internet e degli smartphone, come descritto all’inizio di questo articolo. La microfinanza non fa eccezione e, anche su questo settore, l’impatto delle tecnologie e della trasformazione digitale ha modificato, o è destinata a modificare, il business model e i processi.

Le nuove tecnologie hanno quindi condotto alla nascita delle cosiddette fintech – o financial services technology – definite come ogni innovazione nell’ambito dei servizi finanziari che usino le tecnologie digitali al fine di trasformare i modelli di business e capaci di generare risparmi e valore aggiunto a tutta la filiera. Secondo un recente studio del “Microfinance Centre” polacco (Digitalizing Microfinance in Europe – Research Paper, 2017), condotto all’interno del programma UE EASI per l’Occupazione e l’Innovazione Sociale, le organizzazioni giovani e relativamente giovani – tra le quali possiamo annoverare anche l’Ente Nazionale per il Microcredito - che operano nel settore dovrebbero sfruttare il vantaggio di essere “native digitali”. In questo particolare momento storico la loro situazione potrebbe essere un vantaggio competitivo non indifferente che, se adeguatamente sfruttato – attraverso l’adozione di una nuova filiera basata su principi digitali – potrebbe consentire un sostanziale salto in avanti rispetto a istituzioni più anziane che invece potrebbero fare fatica ad applicare i nuovi concetti e le nuove soluzioni.

Lo studio sottolinea inoltre come l’uso di tecnologie digitali, nel contesto dei servizi per l’inclusione finanziaria, consentirebbe l’apertura di nuovi canali attraverso i quali raggiungere un maggior numero di beneficiari che altrimenti resterebbero esclusi con il solo uso di metodi tradizionali. Inoltre, le soluzioni digitali offrono notoriamente una maggiore scalabilità e sono facilmente modulabili in base al numero di utenti e beneficiari da raggiungere.

Questo percorso, non affatto scontato, cela tante opportunità e altrettante insidie se non affrontato con la giusta dose di studio delle soluzioni tecnologiche offerte dalla rivoluzione digitale.

Alcune soluzioni tecnologiche e infrastrutture digitali abilitanti per l’ecosistema del microcredito

Una ricerca condotta dal network internazionale EY (Innovation in financial inclusion – Revenue grpwth through financial inclusion, 2017) ha individuato alcune aree di azione nell’ambito delle nuove tecnologie e dell’innovazione che consentirebbero di aumentare il tasso di inclusione finanziaria, supportate anche da un framework normativo e da scelte di policy adeguate.

Di seguito, proviamo ad elencare alcune soluzioni tecnologiche e infrastrutture digitali che potrebbe abilitare anche il maggior utilizzo del sistema del microcredito, provando anche a individuare sia le misure che sono già state adottate nel nostro Paese che le carenze che andrebbero colmate.

Favorire una più rapida adozione di tecnologie basate su smartphone e i pagamenti digitali. La diminuzione dei prezzi degli smartphone ed il miglioramento dei livelli di connettività possono essere fattori che, se accompagnati da un’adeguata regolamentazione e da strumenti di policy innovativi, potrebbero aumentare il coinvolgimento degli individui più deboli ed esclusi dal sistema finanziario ad entrare nel circuito con maggiore facilità e fiducia.

Un maggiore livello di adozione degli smartphone, se accoppiato con azioni istituzionali che pubblicizzano e garantiscano metodi sicuri di pagamenti digitali, potrebbero rappresentare dei catalizzatori per soggetti a basso reddito che risulterebbero essere incentivati all’adozione di servizi finanziari non utilizzati fino a questo momento.

Espandere ed incentivare l’uso dei sistemi per l’identità digitale. Una delle innovazioni maggiormente discusse negli ultimi tempi è certamente quella dell’identificazione digitale. Esistono vari metodi che variano dall’uso delle impronte digitali, alla scansione dell’iride, fino al riconoscimento facciale. Il vantaggio di questi strumenti per l’identificazione digitale è quello di rendere un cittadino-utente riconoscibile e verificato secondo i termini di legge di fronte a qualunque soggetto terzo. L ’Italia in questo particolare settore risulta anche in uno stato di lavoro avanzato, avendo lanciato il progetto SPID - Sistema Pubblico di Identità Digitale - promosso dall’AgID che dovrebbe consentire a cittadini e imprese di accedere con un unico login a tutti i servizi online di pubbliche amministrazioni e imprese aderenti. SPID nasceva infatti per favorire la diffusione dei servizi online e agevolarne l’utilizzo da parte di cittadini e imprese.

La diffusione di sistemi per l’identità digitale affidabili e capaci di interoperare sono dei fattori abilitanti imprescindibili che potrebbero aumentare la possibilità di identificare potenziali beneficiari di microfinanziamenti e allo stesso tempo rendere più veloci ed affidabili le istituzioni sia nella fase di individuazione dei soggetti che nel loro coinvolgimento.


Sviluppare database informativi. Istituzioni ed enti governativi potrebbero farsi garanti nello sviluppo di un database / infrastruttura che possa aggregare dati su potenziali beneficiari di misure di microcredito. Se queste informazioni venissero raccolte in modalità affidabile e trasparente potrebbero facilitare la condivisione tra più soggetti ed il collegamento tra gli istituti, le organizzazioni che emettono credito e coloro che potrebbero usufruirne in maniera più dinamica e rapida.


Promuovere la cultura dell’ “open access” ai dati. L ’uso innovativo di dati e risorse web - come social media e altri canali di comunicazione - potrebbero fornire analisi comportamentali funzionali al raggiungimento di una maggiore inclusione finanziaria. Allo stesso tempo, una maggiore cura di strumenti come le cosiddette APIs (Application Programming Interfaces) potrebbe consentire maggiore interoperabilità e collaborazione tra istituzioni governative, aziende FinTech, partner privati che lavorano su applicazioni per i dispositivi mobili e soluzioni di pagamenti digitali.


Promuovere e supportare sperimentazioni sulle monete digitali. Le valute virtuali hanno il potenziale per migliorare la qualità delle transazioni in modo da ridurre in maniera consistente anche le probabilità di frode e contraffazione. Le valute digitali inoltre potrebbero abbassare i costi di transazione e potrebbero guidare l’inclusione finanziaria, compreso il collegamento con il denaro legale.

Immettere innovazione nell’intero ecosistema

Da quanto descritto finora appare cogente e strategico per l’intero settore del microcredito e della microfinanza avviare un dibattito per riflettere sul suo ruolo come promotore e catalizzatore di innovazione nel panorama istituzionale ed economico italiano, europeo e globale. Un ruolo che, se interpretato con apertura e proattività, potrebbe portare benefici non solo economici attraverso la nascita di nuove aziende - ma anche sociali - grazie all’integrazione socio economica di fasce più deboli ed in difficoltà della popolazione - e maggiore credibilità e apertura a livello europeo e internazionale.

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