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  • AIUTI ALLO SVILUPPO IN ARABIA SAUDITA

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    AIUTI ALLO SVILUPPO IN ARABIA SAUDITA

    < >Il ruolo dell'Arabia Saudita nell'erogazione di aiuti allo sviluppo

    Esaminando nello specifico il ruolo del Regno dell’Arabia Saudita riguardo l’assistenza internazionale allo sviluppo, risulta assai viva e tangibile la problematica relativa alla mancanza di trasparenza relativa ai grandi flussi di aiuti allo sviluppo. Facendo riferimento ai dati divulgati dalla World Bank nel 2010, l’Arabia Saudita risulta essere il più grande donatore di aiuti allo sviluppo all’interno del gruppo dei donatori OPEC.
    Il grafico mostra che tra il 1973 e il 2008, il 64% del totale dell’ODA araba è offerta dall’Arabia Saudita, la maggioranza a condizioni molto agevolate. Ryiad ha anche svolto un ruolo importante nel sostenere Fondi arabi e banche multilaterali di sviluppo (il contributo saudita ammonta al 30% del capitale dell’OPEC Fund for International Development e al 25% del capitale dell’Islamic Development Bank, il Kuwait in seconda posizione registra rispettivamente il 7 e l’8%) oltre a essere il maggior contribuente in termini di capitali e ad aver sempre sostenuto aumenti di capitale per l’assistenza allo sviluppo al fine di introdurre strutture innovative come lo sviluppo del settore privato e fonti di finanziamento per il commercio.
    Nel 1970, L’Arabia Saudita ha reso disponibili 66,6 miliardi di dollari in assistenza straniera, pari al 5,4% del prodotto interno lordo. L’assistenza allo sviluppo saudita è scesa al 2,6% del PIL nel corso degli anni ottanta, anche se i volumi complessivi di aiuto hanno raggiunto quota 74,4 miliardi dollari. A partire dal 1990, insieme a un rapido declino del prezzo del petrolio, le esigenze di ricostruzione del Kuwait, la crescita del debito pubblico e la problematica congiuntura economica che ha seguito la Guerra del Golfo del 1990-91, il dato sull’aiuto allo sviluppo saudita è ulteriormente calato fino a 11,6 miliardi di dollari (0,6% del PIL). Dal 2002 (vedi Tabella), con il sostanziale aumento dei prezzi del petrolio e nonostante la crisi finanziaria globale del 2007/2008, gli aiuti sauditi sono aumentati sia in assoluto che in termini relativi in percentuale del reddito nazionale1.
    All’interno del discorso relativo ai meccanismi di distribuzione di aiuti allo sviluppo propri dell’Arabia Saudita è opportuno segnalare la presenza del Saudi Fund for Development (SFD) che nonostante non abbia, come vedremo, un ruolo di grandi dimensioni all’interno del totale degli aiuti sauditi, risulta essere molto importante ai fini della nostra analisi.
    Il SFD, con sede a Riyad è stato fondato nel 1974 con il principale obiettivo di finanziare progetti in paesi in via di sviluppo attraverso prestiti agevolati e, inoltre, per promuovere le esportazioni non petrolifere nazionali attraverso finanziamenti e servizi assicurativi. Fino a oggi, agendo attraverso canali bilaterali, il fondo ha esteso l’assistenza finanziaria a oltre 71 paesi in Africa, Asia, Asia centrale e America latina, coinvolgendo circa quattrocento dipendenti.
    Alla fine del 2007, SFD registrava un capitale di 8,3 miliardi di dollari, un aumento significativo rispetto ai 2,6 miliardi di dollari al momento dell’inizio delle attività (1975). I finanziamenti tramite concessione di prestiti da parte del SFD risultano molto agevolati, con un tasso di interesse medio del 2% e un periodo di rimborso di 20-30anni, e un periodo di grazia di 5-10 anni. L’attività di concessione di prestiti agevolati copre il 60% dell’attività complessiva del SFD. Questi prestiti non sono limitati a specifici paesi o regioni. Tuttavia, vi è una maggiore attenzione per l’assistenza in Asia e in Africa, dal momento in cui la maggior parte dei paesi meno sviluppati si trovano in questi due continenti. Una parte significativa dei prestiti SFD è diretta verso paesi poveri (quasi il 50%) e ai paesi dell’Africa sub-sahariana (28%). Quasi il 60% dei prestiti SFD si rivolge ad attività infrastrutturali, in maniera particolare per quanto riguarda il settore dei trasporti e dell’energia mentre il comparto agricolo ricopre il 18% di attività SFD, e le attività di welfare ricevono il 13%.

    Dalla sua nascita alla fine del 2007, il SFD ha siglato 428 accordi per finanziare 454 progetti di sviluppo e programmi economici per un totale di 8,4 miliardi di dollari distribuiti in 71 paesi in via di sviluppo in tutto il mondo. Il SFD ha anche stabilito partnership con altre istituzioni finanziarie per l’attuazione e la gestione di 265 progetti, contribuendo con il 62% di contributo totale con 4,5 miliardi di dollari. Queste attività del SFD si concentrano specialmente nel continente africano, attualmente uno dei principali beneficiari del SFD attraverso programmi di co-finanziamento e di assistenza rientranti in 173 progetti (oltre ai 256 sviluppati attraverso le partnership).
    In linea generale, il finanziamento di SFD non può superare il 50% del costo totale di ogni progetto, e nessun singolo progetto può superare il 5% del capitale totale SFD.
    Il Fondo saudita gestisce operazioni di co-finanziamento con un gran numero di istituzioni finanziarie regionali e internazionali (tra cui: Abu Dhabi Fund for Development, Fondo Monetario Internazionale, Arab Bank for Economic Development in Africa, Italian Credit Bank etc.)2.
    Il SFD applica anche a nome del Governo prestiti e donazioni a paesi in via di sviluppo per un totale di 6,7 miliardi di dollari. Tale importo comprende 569 milioni di dollari in crediti ristrutturati e 6,1 miliardi di dollari in sovvenzioni.
    Questi accordi, sottoscritti dal settembre 2001 al 2008, ammontano a circa 1,11 miliardi di dollari, oltre a 49 contratti assicurativi per l’esportazione e altre forme di garanzie sono state emesse sin dal lancio del programma, fornendo una copertura di prodotti del valore equivalente a circa 1,4 miliardi di dollari. Nel settembre del 2008, a sette anni dall’istituzione del programma, le merci esportate (prodotti petrolchimici, ferro, camion, tubi in plastica, forniture per bambini e apparecchiature informatiche) hanno raggiunto Emirati Arabi Uniti, Sudan, Iran, Yemen, Egitto, Etiopia, Qatar, e Gibuti.
    I finanziamenti per lo sviluppo forniti dal Fondo saudita dall’inizio del 1974 alla fine del 2006 rappresentano il 9% del totale dei finanziamenti per lo sviluppo arabi e il 31% del contributo finanziario bilaterale totale dei tre principali donatori arabi (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti).
    Nonostante tutto, l’assistenza finanziaria fornita da SFD rappresenta solo una piccola frazione dell’assistenza totale fornita dal Governo dell’Arabia Saudita che, secondo le recenti stime del programma Millennium Development Goals delle Nazioni Unite, ammonta a più di 103,5 miliardi di dollari tra il 1973 e il 2011, di cui solo un quinto di tale importo è stato canalizzato attraverso fondi bilaterali e organizzazioni multilaterali arabe3.
    Il Ministero delle Finanze saudita è l’agenzia di aiuto più importante in Arabia Saudita, ma le informazioni riguardo il suo funzionamento in materia di erogazione degli aiuti e l’ammontare stesso dei singoli interventi, risultano essere abbastanza carenti.4 Il SFD, d’altra parte, ha una pagina web in cui sono elencati tutti i progetti che sono stati finanziati.5
    L’Arabia Saudita assieme a Iran, Venezuela e Cina, è stata elencata da Moisés Naím6, in un suo interessante articolo apparso nel marzo del 2007 sulla rivista Foreign Policy, come donatore “canaglia”. Il perché di questa forte definizione sta nel fatto che, stando alle parole di Naím, negli ultimi anni, una serie di ricchi regimi non democratici hanno cominciato a compromettere la politica di sviluppo attraverso i propri programmi di aiuto che, sempre secondo l’autore, possono essere definiti “aiuti canaglia” (Rogue Aid) i quali determinano un’assistenza allo sviluppo non democratica in origine e non trasparente nella pratica il cui effetto è tipicamente quello di “soffocare il vero progresso”. Nel caso dell’Arabia Saudita l’autore fa riferimento al caso dei programmi di assistenza allo sviluppo nell’ambito dell’educazione, sviluppati dal governo saudita soprattutto in Pakistan, sostenendo che l’obiettivo reale degli aiuti non sia quello di aiutare altri paesi a svilupparsi e che, piuttosto, questi paesi sono motivati dal desiderio di perseguire i propri interessi nazionali, avanzare un programma ideologico e riempirsi le tasche, non curandosi del benessere di lungo periodo delle popolazioni dei paesi a cui si rivolgono, proponendo un modello alternativo di sviluppo corrotto, caotico e autoritario.7

    < >NOTE
    < >1 World Bank, Arab Development Assistance: Four decades of cooperation, Washington DC, 2010
    < >2 Saudi Fund for Development, Annual report 2008
    < >3 Millennium Development Goals, KSA Annual Report 6, Ministry of Economy and Planning, Kingdom Of Saudi Arabia, 2011
    < >4 Espen Villanger, Arab Foreign Aid: Disbursement Patterns, Aid Policies and Motives, Chr. Michelsen Insitute, 2007
    < >5 Per approfondire: www.sfd.gov.sa
    < >6 Scrittore e giornalista venezuelano, membro dell’International Economics Program del Carnegie Endowment for International Peace, già Ministro del Commercio e dell’Industria e Direttore della Banca Centrale del Venezuela e Direttore Esecutivo della Banca Mondiale.7 Moisés Naím, Rogue Aid: What’s wrong with the foreign aid programs of China, Venezuela, and Saudi Arabia? They are enormously generous. And they are toxic, Foreign Policy, Marzo 2007
    < >7 Moisés Naím, Rogue Aid: What's wrong with the foreign aid programs of China, Venezuela, and Saudi Arabia? They are enormously generous. And they are toxic, Foreign Policy, Marzo 2007

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  • ATTUALE QUADRO REGOLAMENTARE EUROPEO DELLA MICROASSICURAZIONE

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    ATTUALE QUADRO REGOLAMENTARE EUROPEO DELLA MICROASSICURAZIONE

    DEFINIRE, INCORAGGIARE, SUPPORTARE, FACILITARE, 4 PUNTI IN DETTAGLIO

    Riccardo Petrocca | Consultant Looking For Value Srl

    Attualmente la microassicurazione è regolata solamente in alcuni Paesi del Sud America, Asia e Africa1; questi Paesi hanno favorito l’integrazione finanziaria attraverso una normativa finalizzata alla rimozione degli ostacoli e alla creazione di incentivi per favorire l’ingresso nel mercato della microassicurazione. In altri Paesi dove esiste un mercato della microassicurazione, invece, non vi è una disciplina specifica, piuttosto la microassicurazione rientra nel contesto di una strategia nazionale legata alla microfinanza. In Europa, invece, si riscontra l’assenza di un quadro legislativo specifico sulla microassicurazione, principalmente per la significativa frammentazione del fenomeno e per le ridotte dimensioni. Si rilevano ad oggi iniziative di microassicurazione in Italia, Spagna, Francia e Polonia. A livello internazionale è doveroso evidenziare il grande lavoro che sta compiendo l’International Association of Insurance Supervisors (IAIS), dal 2007 ad oggi, attraverso una serie di indicazioni di policy prodotte tramite una commissione specifica, “Financial Inclusion Subcommittee”, e il gruppo di lavoro “IAIS Microinsurance Network Joint Working Group (JWG)”2. Attualmente, è in fase di consultazione il documento “Issues Paper Market Conduct, Distribution and Consumer Protection”.

    I lavori fin qui condotti, in particolare l’“Application Paper on Regulation and Supervision supporting Inclusive Insurance Markets” (Ottobre 2012) hanno prodotto delle linee guida internazionali, coerentemente ai Principles of Innovative Financial Inclusion (G20, 2010)3, per la definizione di quadri normativi a supporto dell’inclusione al mercato assicurativo. L’obiettivo primario dovrebbe essere quello di cercare di limitare o minimizzare le barriere per l’accesso e lo sviluppo di questo mercato. In particolare, dovrebbero essere previsti dei meccanismi che disincentivino forme di arbitraggio normativo focalizzandosi su aspetti chiave quali: le licenze, i requisiti prudenziali in termini di capitale, la riassicurazione, i canali di distribuzione e intermediazione, market conduct, l’educazione finanziaria dei consumatori/management/intermediari, nonché la disciplina della raccolta di dati statistici e banche dati.
    Una disciplina specifica richiede la definizione del prodotto, del mercato e dei soggetti giuridici autorizzati a operare nel settore. Tale aspetto è di notevole importanza in quanto può costituire una barriera all’accesso di operatori intenzionati a entrare in questo segmento di mercato o limitare la filiera distributiva, pregiudicando il raggiungimento di obiettivi di efficienza (fattore critico chiave soprattutto dal punto di vista della sostenibilità). Lo IAIS, raccomanda inoltre, nella definizione di un quadro normativo a supporto dell’inclusione finanziaria nel settore assicurativo, di adottare il principio di proporzionalità, per quanto concerne i requisiti in termini di governance, reporting e di capitale con approccio risk-based.
    Più in dettaglio, lo IAIS identifica alcune linee guida:
    1. Definire la microassicurazione in maniera da evitare distorsioni o forme di adverse selection rispetto agli altri mercati assicurativi (normalmente definiti “mainstream”):
    - definendo in maniera chiara confini ben specifici per colmare il gap con il mercato esistente;
    - evitando fenomeni di arbitraggio di mercato.
    2. Incoraggiare e supportare l’innovazione di prodotto e distributiva per ridurre il verificarsi di fenomeni di adverse selection e moral hazard dovuti da elevati costi amministrativi, a loro volta generati da un basso livello del premio assicurativo e una conseguente bassa copertura in caso di sinistro. In particolare incoraggiare e supportare canali distributivi efficienti agevolando delle partnership tra operatori della filiera.
    3. Supportare il miglioramento della qualità del prodotto e il grado di conoscenza e consapevolezza dei consumatori, promuovendo l’educazione finanziaria attraverso:
    - il supporto alla promozione di programmi di educazione finanziaria;
    - la disponibilità e la distribuzione dei benefici;
    - un processo di gestione e pagamento dei sinistri efficiente e di elevata qualità.
    4. Facilitare le transazioni di piccoli e informali schemi di microassicurazione tra soggetti/operatori formali e autorizzati:
    - supportando l’accesso alla riassicurazione e altre forme di trasferimento del rischio;
    - rafforzando/introducendo leggi anti frode e corruzione;
    - stabilendo requisiti prudenziali diversi dall’assicurazione tradizionale.
    Infine, si segnala l’importante traguardo raggiunto dal settore delle mutue assicuratrici nel Marzo 2014 con l’emanazione da parte del Parlamento Europeo del “Lo statuto della mutua europea”4. Le mutue rappresentano infatti un mezzo importante per favorire e ampliare l’inclusione alle coperture assicurative della popolazione, dato il loro ruolo di promotori di prodotti assicurativi accessibili (da un punto di vista economico). Tale statuto consentirà di rimuovere delle barriere alla cooperazione (cross - border) tra mutue assicuratrici di diversi Paesi tenendo in considerazione allo stesso tempo le proprie specificità, in particolare l’interesse generale dei propri membri.

    Nowadays, Microinsurance market is developed in emerging countries and more and more governments are setting up specific regulatory frameworks for a specific discipline. Conversely, Europe doesn’t have a specific discipline of microinsurance products and this is mainly due to the high fragmentation and low volumes of initiative in this market across European countries. However, at the International level, a lot of work has been done and other is currently in progress to deliver international guidelines, in line with the Insurance Core Principles (ICP) and internationally recognized standards of financial inclusion, aimed to foster and support the development of specific insurance inclusion national legal frameworks.consequat, lectus massa rhoncus magna, nec dapibus massa sem vel tellus Aliquam sed metus ut justo scelerisque scelerisque. Vivamus posuere, tellus ut aliquam consequat, lectus.is interdum.

    Note
    1 I Paesi sono: India, Messico, Perù, Filippine, Taiwan, Cina, Sud Africa, Ghana, Pakistan e Brasile. Microinsurance Network (http://www.microinsurancenetwork.org).
    2 IAIS Issues Paper in Regulation and Supervision of Microinsurance (2007), Issues Paper on the Regulation and Supervision of Mutuals, Cooperatives and other Community-based Organisations in increasing access to Insurance Markets (2010).
    3 Un altro contributo importante a livello internazionale è rappresentato da “Principles for Sustainable Insurance2, UNEP, 2012.
    4 Statute for a European Mutual Society; http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.int-opinions.30697.

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  • DAL MICROCREDITO SI VEDE IL MARE

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    DAL MICROCREDITO SI VEDE IL MARE

    IL PORTOGALLO AI TEMPI DELLA CRISI

    Joana Silva Afonso*, Stefano Battaggia**

    Il 4 maggio 2014 fu annunciata l’uscita pulita del Portogallo dal programma di assistenza finanziaria degli ultimi tre anni. Nonostante questa notizia, all’apparenza positiva, la grave crisi economica vissuta nel Paese negli ultimi anni è ben lungi dall’essere superata e le difficoltà, soprattutto per le famiglie più vulnerabili, permangono. In questo contesto, lo stimolo alla creazione del lavoro autonomo è della massima importanza e il microcredito si configura come uno strumento politico rilevante. Il Microcredito come settore si è sviluppato in tutto il mondo nel corso degli ultimi 40 anni, ma la sua storia in Portogallo è più recente, essendo associata alla creazione dell’Associazione Nazionale per il Diritto al Credito (ANDC) nel dicembre del 1998. Il primo programma di microcredito nacque dal partenariato fra ANDC Millennium, BCP (una banca privata) e IEFP (un’istituzione pubblica). Come in molti Paesi europei, la microfinanza si è sviluppata come strumento per sostenere la creazione di lavoro autonomo per le persone che non sono in grado di fornire le garanzie richieste dalle banche e si trovano escluse dall’accesso ai finanziamenti per procedere con i loro progetti imprenditoriali. I programmi esistenti si sono concentrati sul microcredito all’imprenditoria, trascurando altri aspetti della microfinanza.
    L’industria crebbe lentamente nei primi anni, e, di riflesso, ci fu carenza sia di attori che di imprenditori supportati. Diversi fattori giustificano questo lento progresso:
    • L’ignoranza del concetto di microcredito, significativa a livello dei potenziali beneficiari, e il pregiudizio negativo, sia fra le istituzioni che fra gli stessi imprenditori, dovuto all'associazione del microcredito con Paesi di estrema povertà, come il Bangladesh.

    • Un ambiente economico e sociale che non incoraggiava l’imprenditorialità. Dopo l’ingresso, nel 1986, del Portogallo nella Comunità Europea, l’afflusso di fondi comunitari ha potenziato la crescita economica e la diminuzione della disoccupazione, almeno fino al 2001 (Tabella alla pagina seguente). In questa fase non c’erano stimoli fiscali alla creazione dell’autoimpiego, e, in caso di insuccesso, i costi finanziari e sociali erano alti.

    • Lo sviluppo del settore bancario, con l'emergere di diversi istituti di credito privati, la diversificazione e sofisticazione dei prodotti e il significativo ampliamento della base clienti.

    Questa immagine comincia a offuscarsi nei primi anni del XXI secolo. Dal 2002, il Portogallo registra tassi di crescita al di sotto della media europea e la disoccupazione cresce costantemente: soprattutto negli ultimi tre anni la situazione è peggiorata.
    La globalizzazione e la liberalizzazione dei mercati hanno portato alla delocalizzazione degli stabilimenti produttivi esteri con sede in Portogallo, alterando profondamente il profilo settoriale del Paese e del suo mercato del lavoro. I nuovi disoccupati sono in maggioranza poco qualificati e molto specializzati, impreparati per le nuove esigenze, poco motivati e non in grado di gestire la propria attività. Le condizioni di lavoro in generale si sono deteriorate, con i giovani tra i più colpiti.
    Un altro cambiamento importante riguarda il livello demografico, con una popolazione che invecchia sempre più. Negli ultimi tre anni il clima di sfiducia è peggiorato, con una contrazione della domanda interna e una nuova ondata di emigrazione, in particolare di lavoratori qualificati.
    Ma non tutte le notizie sono cattive. La crisi ha portato anche a un apprezzamento dell’imprenditorialità, riducendo al minimo lo stigma associato ai fallimenti aziendali, facendo aumentare la consapevolezza della necessità di educare a essere un imprenditore in tutte le fasi della vita. Sembra esserci stato anche un cambiamento nei modelli di consumo e di risparmio; tuttavia, è ancora presto per stabilire se questo adeguamento rappresenti un cambiamento strutturale oppure un adeguamento temporaneo, dovuto alle misure di austerità.
    Un’ultima nota positiva riguarda alcune modifiche legislative che non costituiscono profondi cambiamenti del quadro giuridico esistente, ma sono comunque importanti per lo sviluppo delle piccole imprese. Particolare rilevanza in questo contesto hanno i processi della burocrazia associati alla creazione di imprese e alla concessione di licenze di servizi e attività, la possibilità di conservare i sussidi di disoccupazione nei primi mesi di attività e la flessibilità delle condizioni per avere accesso al sostegno per l’assunzione di nuovi lavoratori.
    Per quanto riguarda il microcredito, negli anni 2005-06, la situazione comincia a cambiare, guidata dalla difficile congiuntura economica, ma anche per la maggiore visibilità a livello internazionale. Nascono nuovi programmi pilota come GLOCAL o il Microcredito della Misericordia di Lisbona e nuovi attori, sia a livello di ONG che di banche (CGD, BES, Montepio), appaionio anche i primi programmi autonomi delle banche commerciali (BCP e BES).
    Anche il potere politico ha riconosciuto il ruolo potenziale del microcredito, facendone strumento di politica nel Piano d’azione nazionale per l’inclusione 2008-10. Nel 2010 due iniziative legislative sembrano potenziare ulteriormente il microcredito nel contesto della crisi:
    - il Decreto Legge n. 12/2010 ha creato le società finanziarie di microcredito, aprendo la porta alle istituzioni non finanziarie in grado di integrare l’offerta di credito con fini economici sociali;
    - viene approvato il lancio del Programma Nazionale Microcredito.
    Purtroppo, l’aggravarsi della crisi ha fatto sì che queste azioni non abbiano avuto grande seguito, non essendo stati approvati i regolamenti necessari per la creazione delle società; neppure sono state introdotte reali innovazioni per quanto riguarda i prodotti e la flessibilità e l’efficienza dei processi.
    Pertanto, anche se la domanda di microcredito è superiore a quella dei primi anni, è ancora molto al di sotto delle aspettative, se si considera il quadro economico e sociale, nonché gli sforzi di diffusione fatti dalle varie parti interessate.
    L’impatto della crisi non è stato significativo nel numero di progetti, ma altri effetti sono visibili, con cambiamenti nel profilo degli imprenditori e la tipologia dei progetti. Candidati per il microcredito sono ora prevalentemente i giovani, con qualifiche medie elevate e che presentano progetti nei settori del commercio, dei servizi, del turismo e dell'agricoltura biologica, più innovativi e utilizzatori delle nuove tecnologie.
    Questa nuova platea per la microfinanza ai tempi della crisi, assieme al mantenimento dei vincoli di credito, (benché meno asfissiante rispetto a quello osservato negli anni precedenti), costituiscono una sfida importante. Alcune iniziative sono già in corso per ampliare la base clienti; rafforzare l’assistenza tecnica agli imprenditori; educare finanziariamente le popolazioni vulnerabili, come gli immigrati e i beneficiari di assistenza sociale.
    Innovativo è il progetto pilota di ANDC con una banca locale, CCA Noroeste (Caixa Crédito Agrícola del nord-ovest) a livello di garanzie. Finora, tutti i programmi di microcredito in Portogallo chiedono garanzie per i prestiti, nella maggior parte dei casi una garanzia personale, che nel caso di ANDC è una garanzia per il 20% dell’importo del prestito. Questo significa che se chiedo un prestito di 10.000, il mio garante sarà responsabile per il 2.000 nel caso in cui non riesca a rimborsarlo. Pur con questa piccola garanzia, con la crisi è difficile per molti imprenditori, specialmente i più poveri, trovare qualcuno che si faccia garante (perché la persona oltre che accettare deve essere solvente). L’esperienza pilota che ANDC sta sperimentando con CCA Noroeste è quella di avere una associazione di persone disponibile a essere garante nel caso in cui la persona non riesca a trovarne uno da solo.
    Affinché il settore cresca e affronti le sfide dovrà essere in grado di innovare e soddisfare i reali bisogni dei vari tipi di attori.
    Grafico nota - Nota: ANDC è l’unica istituzione a divulgare regolarmente i suoi dati. Inoltre, nel Rapporto di attività del Programma Nazionale di Microcredito, i dati per il 2013 sono di 110 progetti individuali e 20 progetti di associazioni e cooperative, con un finanziamento medio di euro15.701.

    Abstract - O Microcrédito e a Crise Económica em Portugal
    O microcrédito é um instrumento de política económica e social que tem sido reconhecido a nível europeu e mundial como relevante no combate ao desemprego e à exclusão social. Em Portugal, o primeiro programa de microcrédito surgiu em 1999 mas a sua evolução foi lenta tanto no que se refere a instituições envolvidas como a créditos concretizados. No artigo apresentam-se as principais causas para esta progressão bem como o que mudou em meados dos anos 2000, principalmente na sequência da forte crise económica que o país atravessa e que levou à intervenção externa da Troika (FMI, Banco Central Europeu e Comissão Europeia). A alteração do perfil sectorial do país, o aumento do desemprego, a contração em termos de crescimento, as medidas de austeridade impostas nos últimos três anos estão a empurrar muitos portugueses para uma de duas soluções: emigrar ou tentar criar o seu próprio negócio.
    Neste contexto, o microcrédito pode desempenhar um papel fundamental no estímulo do microempreendedorismo e na fixação de população ativa no país. A experiência portuguesa aponta neste sentido, nomeadamente no que concerne aos mais jovens mas indica também que o sector necessita de evoluir e inovar para incentivar a assunção de risco pelos potenciais empreendedores e garantir a sustentabilidade dos projetos apoiados, especialmente num período de grande incerteza e menor confiança por parte dos agentes económicos.

    * Joana Silva Afonso è ricercatrice e consulente microfinanziaria e ha lavorato per ANDC (Portogallo) e IRD (Repubblica Dominicana).
    ** Stefano Battaggia è consulente in affari europei

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  • DIPLOMAZIA PREVENTIVA E AZIONI PER l'IMPRESA

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    DIPLOMAZIA PREVENTIVA E AZIONI PER l'IMPRESA

    Emma Evangelista

    < >"70 anni di SIOI raccontati da Franco Frattini

    il presidente di un'istituzione che raccoglie insieme la storia e il futuro della formazione della classe dirigente italiana e non solo."

    Qual è l’azione SIOI all’interno del sistema Paese Italia e come questa organizzazione opera nel mondo?

    La SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale) è un’istituzione che rappresenta in Italia la Federazione delle associazioni per le Nazioni Unite. Quest’anno compiamo 70 anni, è una storia importante, e tuttora la SIOI ha due direzioni di marcia. La prima è quella della valorizzazione e della moltiplicazione dei valori e dei principi delle Nazioni Unite che, ad esempio, proprio pochi giorni fa si sono ben espressi in un incontro che si è tenuto a Roma, ospiti della Fao, in cui un migliaio di giovani universitari di novanta Paesi del mondo hanno per una settimana simulato i lavori dell’Assemblea generale dell’Onu, esercizio particolarmente interessante. Il secondo filone di attività è la formazione; noi formiano da oltre 40 anni gli aspiranti diplomatici italiani con un corso di formazione di gran successo ma anche diplomatici di Paesi stranieri. Oltre 15 Paesi hanno seguito corsi di formazione per i loro diplomatici, Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa orientale, e questo ci permette di trasmettere quei messaggi che poi creano dei legami tra giovani diplomatici che vengono a seguire i corsi di formazione qui alla SIOI i e i Paesi a cui appartengono. Terzo settore di attività, noi organizziamo dei master avanzati che possono riguardare materie come la negoziazione a livello europeo, ovvero i temi dell’intelligence o persino, da tre anni, un master sull’uso geostrategico delle attività spaziali, quindi allarghiamo il nostro orizzonte in molti settori. Questo ci porta a concludere con molte università di altri Paesi e istituzioni di formazione di altri Paesi degli accordi di collaborazione che poi portano a visite, incontri, conferenze e tanto altro.

    Negli anni la sua proficua attività diplomatica a favore dello sviluppo delle imprese italiane ha sostenuto il Paese e le esportazioni. Oggi come si delinea l’orizzonte dell’export italiano?

    Io avevo lavorato molto insieme alla squadra dei sottosegretari alla Farnesina tra cui Mario Baccini per creare una cabina di regina in cui tutte le ambasciate potessero essere fortemente al servizio della promozione delle aziende italiane, medie e piccole soprattutto, che non hanno la forza di andare da sole sui mercati globali. Eravamo riusciti molto in alcuni settori; io avevo lavorato particolarmente nei Paesi del golfo, nel mondo arabo, nell’Europa orientale, nei Balcani, in Russia mentre Baccini nel Sudamerica aveva più volte avuto occasione di viaggiare e lavorare in questa direzione. Credo che francamente si sia un po’ perduta la nostra idea di creare nelle ambasciate uno sportello unico all’estero per le imprese italiane che passava necessariamente per l’unificazione funzionale tra gli sportelli dell’ICE e le ambasciate. Oggi la rete rimane duplicata, questo ovviamente crea incertezza nei nostri imprenditori ed è un ostacolo a quel fare sistema che è fondamentale che altri Paesi già fanno meglio di noi. Noi abbiamo tante potenzialità che dovremmo cogliere; io vedo questo come uno degli impegni principali anche non avendo delle responsabilità governative, ma come persona che all’interno delle istituzioni conosce il mondo e sa quali sono i problemi delle aziende italiane all’estero.

    La Cooperazione segue ancora alcune delle linee suggerite dal Suo Governo: in questi giorni è stato proposto un emendamento all’art. 49 che prevede la costituzione nei Paesi in via di sviluppo di imprese miste pubblico-private con un tutoraggio delle imprese locali per lo sviluppo delle economie locali. Vorremmo un suo parere in merito.

    Questa è una delle idee su cui io avevo lavorato a lungo. Nelle linee guida della cooperazione io dettai, sia nel 2010 che nel 2011, l’idea di creare sviluppo nei Paesi di destinazione piuttosto che limitarci alla vecchia logica del dare il dono che è una logica del passato. Noi dobbiamo promuovere lo sviluppo dal basso. Ad esempio se vogliamo prevenire alla fonte il tema della grande emigrazione di massa dobbiamo creare lo sviluppo laddove esiste la povertà e la disperazione che costringe la gente a emigrare. Se vogliamo frenarli una volta arrivati a Lampedusa è troppo tardi, li dobbiamo accogliere, ma molto meglio sarebbe creare nei loro Paesi d’origine condizioni per la crescita. L’idea di società pubblico-privata è fondamentale. La presenza del pubblico è importante ma ancora di più lo è quella del privato. Trattandosi di Paesi dove la povertà è estrema, il microcredito ha una possibilità di successo straordinaria, ce l’ha già in tante parti del mondo, ma ce l’avrebbe anche come strumento per alimentare le piccole imprese pubblico-private. Se il privato mette una sua quota di partecipazione attraverso il microcredito, ecco che allora la convergenza pubblico-privato sarebbe più facile perché troviamo il piccolo proprietario che, con una piccola somma, riesce a mettere insieme un’azienda micro che poi, da mini, diventa media, grazie a questi strumenti che hanno fruttato, non a caso, il premio Nobel ad un grande inventore del microcredito globale che viene dal Bangladesh, Paese particolarmente povero. Questo funziona bene in Africa e funzionerebbe in tanti Paesi dove, con poche centinaia di dollari, si potrebbe mettere su una piccola azienda con un intervento di cooperazione italiana a sostegno per l’equivalente in modo da realizzare qualcosa in grado di dare una vita decorosa a famiglie anche piuttosto grandi.


    Dal suo particolare punto di vista quale è la percezione che gli Stati esteri e le Nazioni Unite hanno del nostro Paese?

    E’ una percezione mista, molte volte si dice che alcuni Paesi importanti ci amano ma non ci stimano e noi italiani diciamo di Paesi importanti che li stimiamo ma non li amiamo. Io credo che dovremmo superare questa logica. Siamo un grande Paese che merita di essere amato non solo per le sue grandi bellezze o per l’apertura della sua gente al mondo, abbiamo esempi di solidarietà che sono in testa a tutte le classifiche del mondo. Basterebbe guardare a quante migliaia di persone stiamo salvando in Sicilia o nel canale di Sicilia, disperati che vengono dall’Africa. Noi meritiamo di essere stimati non solo amati, per la tecnologia straordinaria, per l’ingegneria, per la ricerca medica, per l’industria che sappiamo esprimere, per tutto ciò che il cervello italiano è in grado di fare oltre alla moda, alle automobili, al food. La percezione dipende anche dalla solidità dei governi. Noi abbiamo vissuto una stagione, quella in cui io ho avuto l’onore di essere ministro degli Esteri, in cui vi era una solidità di governo che poteva parlare al mondo e si sapeva che in Italia aveva una forte maggioranza. Abbiamo attraversato una fase di incertezza in cui sono cambiati i governi molto frequentemente; ora ci sarà una fase in cui, compiuta la riforma costituzionale, si tornerà a dare la parola agli elettori e ci sarà di nuovo un governo che vincerà le elezioni legittimato dal voto popolare. Tutti questi elementi all’estero contano molto. La stabilità politica e le riforme che si stanno facendo sono una precondizione necessaria perché il ruolo dell’Italia sia ancora più considerato nel mondo

    Ipotizzare una riforma della struttura del ministero degli Affari Esteri è possibile e auspicabile. In che senso?

    Noi abbiamo realizzato nel 2010 una riforma importante che ha abolito il sistema che guardava separatamente alle aree del mondo ed abbiamo diviso le competenze per aree orizzontali. Si guarda al grande tema della mondializzazione, al ruolo dell’Italia nel mondo, si guarda agli scenari dell’Europa e quindi al tema degli aiuti allo sviluppo, aree tematiche che non sono più limitate regionalmente. Questo è stato un passo avanti, ora la riforma si sta attuando sempre meglio e con sempre maggiore convinzione. Resta da fare la riforma, che è in corso, della cooperazione allo sviluppo, il Parlamento ci sta lavorando. Occorre, a mio avviso, rimettere mano al tema degli istituti di cultura, tema su cui abbiamo lavorato proprio con la delega che avevo affidato a Mario Baccini. La legge Quadro è una legge antica, ha oltre 20 anni, molte disfunzioni hanno portato a dire che è il momento di vedere negli istituti di cultura un ancor più forte strumento di promozione dell’Italia in quanto sistema. Non solo l’arte italiana, non solo la cultura, ma attraverso la cultura si fa politica estera, questo è l’altro tema su cui una riforma è importante.

    Il patrimonio italiano culturale è promosso attraverso gli Istituti di cultura nel mondo e le fondazioni private, quale ruolo possono giocare sullo scacchiere internazionale in un sistema così complesso attraverso le Nazioni Unite?

    Il ruolo delle fondazioni private è quello di inserirsi in un sistema; c’è un sistema che attraverso gli istituti di cultura ha un ruolo pubblico perché è lo Stato ma le fondazioni private e, direi, la generosità di chi le finanzia, permettono al bello della cultura e dell’arte italiana di essere ancora più conosciuta nel mondo. Non è solo la mostra ma il fatto che l’Italia possa, attraverso l’azione del privato, non solo del pubblico promuovere l’arte, la cultura, la storia, le tradizioni, dove noi siamo una super potenza mondiale. Abbiamo una enorme qualità non solo quantità di patrimonio culturale inutilizzato; ci sono migliaia di straordinari reperti archeologici chiusi, imballati e classificati nelle casse di comuni a cominciare dal Comune di Roma, per esempio, che rimangono lì da decenni senza che nessuno li possa neanche vedere; è evidente che occorre fare ciò che altri Paesi purtroppo hanno fatto e che io avevo cercato di fare ma, ammetto con tristezza, che dopo di me non l’ha fatto più nessuno. Un museo della città di Roma in Paesi che avrebbero pagato tutto per averlo, per avere reperti archeologici lì da Abu Dhabi a Doha, nel Qatar, hanno fatto il Louvre ad Abu Dhabi, stanno facendo il Guggenheim in quei Paesi e non c’è il museo di Roma che potrebbe esibire dei capitelli che hanno duemila anni di storia. Questi sono esempi concreti che però sono occasioni perdute.

    Il sistema di lobby in Italia non è regolamentato però esiste così come esiste in tutti i Paesi sviluppati ed industrializzati. Cosa pensa di questo sistema ? Come regolamentarlo?

    Da membro del Parlamento molti anni fa avevo partecipato ad una commissione parlamentare che studiò il tema di una legge-Quadro nazionale sulle lobby. Non se n’è fatto nulla perché c’è ancora l’idea che la parola lobby equivalga a malaffare e corruzione e non è cosi. Dobbiamo distinguere il lobbismo segreto e non regolamentato, quello sì che è strumento di corruzione che esiste proprio perché non c’è una legge che regola il lobbismo buono, cioè quello che porta interessi che legittimamente debbano essere rappresentati. È quello che accade in uno dei Parlamenti più democratici del mondo che è quello americano dove i cosiddetti lobbisti, secondo regole precise, incontrano membri del congresso per sottoporre degli interessi. Occorre una legge-Quadro, l’unica in grado si stroncare alla radice quei fenomeni opachi attraverso cui passa la corruzione, portare un interesse legittimo in modo trasparente all’attenzione del Parlamento che deve decidere, è qualcosa che in questo Paese manca e che dovrebbe essere introdotto con una legge in modo chiaro e trasparente.


    Parliamo dell’Expò 2015, l’ultimo avvenimento che l’Europa ospiterà nel prossimo ventennio, e che può dare lustro al Paese. Cosa ci lascerà Expò2015?

    Io ho vissuto da ministro degli Esteri la fase di lancio dell’Expo. Sono arrivato quando il Bureau internazionale convocava i ministri italiani una volta ogni tre mesi perché voleva essere ben certo che il progetto partisse. Oggi devo dire che il progetto sarà un grande successo, il numero dei Paesi che hanno aderito è enorme, batteremo tutti i record; certamente sarà un indotto per l’Italia che porterà entrate e benessere duraturo, al di là dei pochi mesi di apertura dell’Expo. Non sarà un evento milanese ma sarà un evento italiano, tutta l’Italia è mobilitata perché l’indotto si rifletterà su tutta la penisola anche se ovviamente la Lombardia sarà al centro della scena. C’è ancora da lavorare per realizzare quel che manca ma io non ho dubbi che si aprirà con le carte in regola il giorno dell’apertura programmata. Ho qualche tristezza se penso che dietro questa opera straordinaria si nascondevano imbrogli, illegalità, corruzione, ma questo non deve minimamente offuscare il valore di quest’opera e quindi, ancora una volta, è qualcosa che renderà l’Italia apprezzata ed apprezzabile anche perché il tema dell’Expo sarà al centro della scena per i prossimi 30 anni, la qualità dell’alimentazione, l’uso dell’acqua, le risorse disponibili e quindi la lotta alla povertà.

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  • EX DETENUTI = IMPRENDITORI

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    EX DETENUTI = IMPRENDITORI

    A Frosinone, gli ex detenuti diventano imprenditori grazie a due “intuizioni geniali”. Al via il Progetto “Reinventa” per produrre e commercializzare il cono pizza e la scatola multifunzionale

    Enza Colagrosso

    Sta partendo in questi giorni, un progetto formativo per il reinserimento lavorativo dei detenuti, voluto da un ATI del frosinate (formata da associazioni, cooperative e un ente formativo), dalla Regione Lazio e sorretto dall’azione dell’Ente Nazionale del Microcredito. Allo schema formativo “Reinventa” stanno infatti lavorando: l’ente di Formazione IT Forum srl, la Cooperativa Essegi 2012, che già opera all’interno del carcere di Frosinone, il Gruppo Idee che avrà il compito di far rete con gli altri istituti di pena, l’Associazione d’inventori “ArKetipi 2000” che mette a disposizione due brevetti, la società “Fog Master srl” che si occuperà della gestione del business che si svilupperà da tutto il progetto e il Microcredito di Mario Baccini, per la prima volta direttamente coinvolto in un programma legato al mondo delle carceri. “Reinventa” è geniale, perché pensato da l’“inventore”, medico dentista, Luigi Proietti, che ha trovato il punto di intersecazione tra il difficilissimo problema del reinserimento degli ex detenuti nella società, al termine della loro pena, e le problematiche incontrate dagli “inventori” nel far decollare un loro brevetto a causa dei costi, tra cui quello della manodopera. Una sensibilità diversa è quella che sta esprimendo questa iniziativa che sta cercando, in una realtà solcata dalla crisi, come è quella della provincia di Frosinone (LT), di far attecchire una speranza nuova in coloro che, gettate le divise del carcere potranno pensare che si apriranno nuove opportunità, e questa volta insieme a persone che “fuori le mura” cercano di veder realizzate le loro “intuizioni” avviando, con loro, impresa. E’ per questo che inventori hanno messo a disposizione i loro brevetti, i formatori la loro esperienza e altri il loro know-how con l’intento di favorire la nascita di imprese e cooperative tra ex detenuti, per produrre e commercializzare il cono pizza e la scatola multifunzionale. Il cammino tracciato dalla nostra legislazione, che vuole la formazione dei detenuti come strumento per il successivo reinserimento sociale, è sicuramente difficoltoso. La legge 196/97 e il suo decreto attuativo n.142/98, meglio nota come “pacchetto Treu”, disegna come via unica attraverso cui deve passare il recupero del detenuto, quella del lavoro e della formazione, considerati leve fondamentali per la sua riabilitazione. I tempi che viviamo però accentuano le difficoltà del reinserimento nel contesto sociale ed è per questo che l’Ente nazionale del Microcredito, ha deciso di partecipare al progetto “Reinventa”, che parte nel Lazio come pilota, ma a breve sarà poi replicato sull’intero territorio nazionale, ponendo per la prima volta la sua azione a sostegno di un intervento finalizzato a sviluppare imprenditorialità, e quindi recupero e reinserimento sociale tra gli ex detenuti. L’integrazione e la sinergia che andrà a svilupparsi tra la Casa Circondariale di Frosinone, i componenti dell’ATI e l’Ente del Microcredito sarà uno degli elementi caratterizzanti l’attuazione del progetto.

    DETENUTI ED EX DETENUTI NEL LAZIO E IN ITALIA

    Nel Lazio i detenuti sono 6.277, di cui 2.684 sono stranieri, e sono reclusi nei 14 istituti penitenziali regionali. Quasi 900 sono in attesa di giudizio, 1.004 sono condannati non definitivi, solo i rimanenti sono i condannati in maniera definitiva. Nel Carcere di Frosinone, che è una struttura pressoché recente risalente al 1991, ci sono 498 detenuti, censiti a luglio 2014, (dati DAP) di cui la metà sono stranieri, e vivono in celle progettate per una sola persona, ma occupate da almeno due. Allargando lo sguardo all’intero territorio nazionale la popolazione carceraria, dai dati forniti sempre dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria a luglio 2014, è di 54.414 detenuti ospitati in 205 istituti di pena. Tra questi 17.423 sono stranieri, la maggior parte provenienti dal Marocco, ci sono poi i Rumeni, i Tunisini e gli Albanesi. Italiani e stranieri fanno però i conti con il fatto che la reale recettività delle carceri è di circa 49.402 posti. Succede quindi che in ambienti dove è già veramente difficile vivere, si trovano a convivere persone che parlano lingue diverse, hanno stili di vita differenti e sono costretti a condividere servizi igienici posti nella stessa cella, magari separati solo da una tendina, e a vivere uno spazio che li obbliga a passare gran parte del giorno sdraiati sulla branda. Eppure, non dimentichiamolo, il fine ultimo della detenzione, in Italia, è la rieducazione del condannato!

    Tra i reclusi il 59,9% (circa 38.845 detenuti) sono stati condannati, il 18,9% è in attesa di una sentenza definitiva (12.302) e i rimanenti, circa 12.333 sono i detenuti in attesa di primo giudizio. Detto più semplicemente quasi 4 detenuti su 10 si trova in carcere in attesa di un giudizio definitivo. Un altro dato interessante che fotografa la popolazione carceraria ci dice che, su un rilevamento fatto sul 54,6% dei reclusi, l’età media è bassa (il 39,5% ha infatti meno di 35 anni e il 9% ne ha meno di 25), solo lo 0,9% è in possesso di una laurea, il 5,9% possiede un diploma di scuola media superiore o professionale, mentre il 32,5% risulta in possesso di un titolo di scuola media inferiore ed il 14% è privo di titolo di studio o in possesso del solo titolo di scuola elementare ed è ancora presente una percentuale dell’1% completamente analfabeta.

    I dati DAP ci dicono ancora che sono stati spesi circa 125,00 euro (al giorno) per ogni detenuto nel 2011 che, moltiplicati per tutta la popolazione carceraria, equivale a circa 1 miliardo e 239 milioni di euro. Tale cifra, destinata a coprire le spese di vitto, alloggio e del finanziamento dei progetti educativi e lavorativi finalizzati al reinserimento del carcerato, a fine pena, nel contesto sociale “fuori le mura”, affinché sia preservato dal reiterarsi del suo agire, è stata drasticamente rivista negli ultimi anni, fino a toccare tagli pari quasi al 40%. Appare quindi evidente, dopo l’analisi dei dati riportati, che la situazione generale del sistema penitenziario italiano è in netto contrasto con il fine ultimo della pena e della detenzione in carcere che, come sancito sia da fonti di diritto nazionali che da norme internazionali, deve necessariamente tendere alla rieducazione del condannato. Non va mai, infatti, dimenticato che la rieducazione e riabilitazione dei carcerati, principio cui abbiamo detto, deve necessariamente tendere la pena, non passa solamente attraverso la garanzia di condizioni di vita dignitose durante la detenzione, ma anche nel perseguire programmi specifici che mirino a contribuire alla loro formazione personale e professionale.

    La legge italiana si è espressa in tal senso andando a garantire istruzione, formazione professionale e lavoro nel percorso del soggiorno dentro il penitenziario. Pensiamo ad esempio all’art 37 comma 3 della Costituzione Italiana, ma nonostante ciò, tale aspetto sembra non essere perseguito anche dagli stessi detenuti tanto che sempre leggendo i dati del DAP risultano essere iscritti, al 30 giugno 2012, a un corso scolastico di alfabetizzazione o di scuola primaria il 23,9% dei detenuti di cui solo meno della metà hanno superato positivamente gli esami di valutazione finale, mentre appena il 3% dei detenuti sembra abbia terminato con successo un corso di formazione professionale. La situazione cambia poco anche quando si parla di attività lavorativa, i dati ci raccontano di un 21% dei detenuti che lavora alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria mentre solo 2.251 sembrano essere i lavoratori in proprio o alle dipendenze di terzi. Quella che viene descritta dai dati forniti dal DAP è l’immagine di una piattaforma veramente difficile da cui far decollare un vero ravvedimento e una nuova inclusione sociale degli ex reclusi che ci dicono arrivare a fine pena dopo aver passato gran parte del loro tempo semplicemente in cella, in attesa di libertà. Tale situazione sembra poi essere alla base degli alti tassi di recidiva che arriva a toccare punte anche del 70%. Si è visto che tali numeri cambiano drasticamente solo se i carcerati hanno seguito dei percorsi formativi che, iniziati all’interno del carcere sono stati poi proseguiti all’esterno. 58tabOgni anno escono dal carcere circa 8mila detenuti, ma solo a fine luglio 2014 ne sono usciti 14.762 tra uomini, donne e stranieri che, finita la loro pena detentiva, hanno lasciato l’Istituto spesso senza neanche i soldi per comprarsi un biglietto per quel treno che avrebbe dovuto riportarli nella loro città e nella loro famiglia. Azioni importanti sono state avviate per creare delle condizioni di reinserimento lavorativo agli ex detenuti, tra questa quella di riconoscere sgravi fiscali e contributivi alle imprese che assumono, per un periodo non inferiore a trenta giorni, lavoratori detenuti. Il credito di imposta mensile concesso alle imprese per ogni detenuto e internato assunto, è di 700,00 euro per il 2013 e 520,00 euro dal 2014; per i lavoratori semiliberi gli sgravi previsti sono di 350,00 euro per il 2013 e 300,00 dal 2014. Sgravi fiscali sono stati previsti anche per le imprese che propongono attività formativa a detenuti seguita poi dalla loro immediata assunzione o dall’impiego professionale in attività lavorative gestite dall’Amministrazione penitenziaria. Il legislatore, dopo aver constatato le difficoltà e i limiti che incontra l’amministrazione penitenziaria nel reperire occasioni di lavoro per gli ex detenuti, sta studiando strategie diverse al fine di favorire l’attività lavorativa, e dunque il reinserimento sociale, dei detenuti e degli ex detenuti. L’ente del Microcredito forse è uno dei primi che ha risposto prontamente a questa nuova visione che si sta disegnando, e ha voluto per questo finanziare 2 start up d’impresa dedicate alla produzione e commercializzazione del cono pizza e della scatola multifunzionale.

    IL PROGETTO "REINVENTA"

    Già l’art. 1 della legge 354/1975 chiede che: “Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti”. Continuando poi la lettura della stessa legge, si arriva all’art 15 dove si legge: “Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurato il lavoro”. Ribadisce poi l’importanza della formazione anche il D.P.R. 230/2000 che all’art. 48, punto 1 recita: “Le direzioni degli istituti favoriscono la partecipazione dei detenuti a corsi di formazione professionale, in base alle esigenze della popolazione detenuta, italiana e straniera, e alle richieste del mercato del lavoro. A tal fine promuovono accordi con la regione e gli enti locali competenti. Ai sensi dell’ultimo comma dell’articolo 21 della legge, i corsi possono svolgersi in tutto o in parte, con particolare riferimento alle esercitazioni pratiche, all’esterno degli istituti”. Senza però dover ricorrere al sostegno della legge, l’esigenza di strutturare un indirizzo lavorativo alle persone che escono dal carcere è certo ormai condivisa da tutti. Nel Lazio però, all’esigenza si è aggiunta l’idea e così è nato “Reinventa” che non propone ai detenuti e agli ex detenuti la semplice e consueta formazione professionale, ma la possibilità di condividere un sogno, che fino a ieri sembrava esclusivamente appartenere al mondo “fuori le mura”, ma che ora, con l’impegno e la determinazione, può diventare realtà anche “dentro le mura”: far impresa individualmente. L’idea è nata intorno a due “invenzioni”: il cono pizza e la scatola multifunzionale. Due idee incredibili, due brevetti, che per decollare con un marketing importante lamentavano il bisogno di una manodopera a prezzi equi e di ottimi promotori. Ma cosa sono il cono pizza e la scatola multiuso?

    L’Italia è famosa per i suoi coni gelato, che allietano il palato dei residenti e dei tanti stranieri che visitano il nostro Paese. L’idea allora è questa: stesso sistema di degustazione, il cono, ma fatto di pasta di pizza, e riempito, non di creme gelate, ma dei sapori tipici italiani come: mozzarella, scamorza, pomodori ecc. Idea geniale anche quella della scatola multiuso che accoglie ogni tipo di materiale e si chiude con due semplici mosse, in maniera ermetica.

    Due prodotti così appetibili Luigi Proietti, presidente dell’associazione “Arketipi 2000”, ha pensato di affidarli alla manodopera dei detenuti e ha disegnato un business che li metterà in condizione di avere la chance di diventare imprenditori, grazie all’intervento del Microcredito che finanzierà, con 25.000,00 euro, la start up delle imprese che si formeranno. Già accettato dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, ora il progetto “Reinventa” sarà ufficializzato dalla Regione Lazio che finanzierà l’intero percorso formativo con 350.000,00 euro. Con tale somma verranno garantiti, ai 25 soggetti che sono stati già selezionati all’interno dell’Istituto penitenziario di Frosinone, 12 mesi di formazione teorica e pratica organizzati in 12 moduli per un totale di 200 ore, durante le quali i corsisti impareranno a fare sia il cono pizza che la scatola multifunzionale, lavorando alle macchine che li producono. Al termine del percorso formativo i detenuti e gli ex detenuti, potranno scegliere di avviare una loro impresa, con l’aiuto appunto del Microcredito, altrimenti, se decideranno di non voler iniziare l’attività individuale o di entrare a far parte delle cooperative impegnate sul progetto del cono pizza e della scatola, potranno essere assunti nelle aziende nascenti o comunque in quelle legate alla produzione e diffusione dei due brevetti.

    DUE INVENZIONI OFFRONO UN FUTURO AI CARCERATI

    Intervista a Luigi Proietti, il medico inventore, motore di un interessante business che coniuga le esigenze degli inventori e il bisogno di ricominciare dei detenuti.

    Come nasce, e perché nasce il progetto “Reiventa”?

    E’ difficile definire quando sia nato “Reinventa”, di sicuro bisogna tornare indietro di molti anni, precisamente al 1995, quando brevettai un sistema per prevenire la formazione della nebbia. Fu allora che conobbi, o meglio entrai nel complesso mondo degli inventori e dei brevetti. In Italia non era facile allora, e non è facile ora, trasformare la propria intuizione in un vero e proprio business che possa produrre sviluppo e creare posti di lavoro.

    pizza

    Prima di continuare a parlare di “Reiventa” può illustrarci meglio la situazione degli inventori in Italia?

    Tutti gli inventori che arrivano a portare le loro “intuizioni” (come io amo definire quei “colpi di genio” che non hanno dietro anni di ricerca universitaria ma solo l’ingegno di un uomo o di una donna), in Camera di Commercio molto spesso non si rendono conto che per brevettare bisogna pagare un conto molto salato. Infatti, nel momento in cui si deposita un brevetto in realtà si firma un contratto che t’impegna a pagare una tassa per i successivi 10 o 20 anni. Una tassa a fondo perduto che non ti garantisce alcuna apertura o contatto con il mercato, né tanto meno l’appartenenza a una “categoria”, quella degli inventori appunto, in grado di coagulare una forza capace, ad esempio, di sostenere almeno la richiesta per il contributo per una start up.

    Il contesto che lei ci sta illustrando è comune a tutto il nostro territorio nazionale, o lo si vive solo nel Frosinate?

    Assolutamente sì! Gli inventori vivono questa realtà da Palermo a Trento, ed è per questo che io, un medico chirurgo, per scelta odontoiatra e inventore, ho deciso di creare nel 2000 un’associazione di inventori, “Arketipi 2000”, per valorizzare l’idea di ognuno ma soprattutto per dar voce ai tanti geni “trasparenti” a una società che non si mostra interessata al loro ingegno e che non mette a frutto le loro intuizioni. Il nostro fine era quello di diventare una forza per cui il nostro Stato sentisse il desiderio e il bisogno di legiferare per tutelarci e magari sponsorizzarci. Le porto un esempio: in Italia la protezione della proprietà intellettuale di una canzoncina di tre minuti dura per tutta la vita dell’autore e per 70 anni dopo la sua morte mentre, un brevetto industriale dura 10 o 20 anni. In pratica questo significa che se un’azienda avvia il suo business su un brevetto, questo gli scade ancor prima che i suoi operai vadano in pensione e, dal 21esimo anno in poi, chiunque potrà copiare quel brevetto e portarlo sul mercato cannibalizzando i suoi guadagni. E’ anche per questo che di idee, come il cono pizza o la scatola a chiusura integrata, al pratico gli stessi inventori non sanno come metterle a frutto.

    Può spiegarci cos’è il cono pizza e magari raccontarci qualcosa del suo inventore. Le dico il nome del suo inventore: Rossano Boscolo, un maestro dell’arte culinaria italiana, che nel 2002 deposita il brevetto del konopizza, frutto di avanzati studi di ricerca sia a carattere culinario che di innovazione tecnologica. Boscolo inizia un business forse un po’ carente sotto certi aspetti (la scelta di prodotti non italiani: pomodori cinesi, olive spagnole, mozzarella irlandese ecc) ed avvia franchising che sembrava esser stato bene accolto in Italia e all’estero ma che in realtà, da noi, è finito nel breve tempo di un fuoco di paglia. Il maestro mise a punto una macchina per sfornare il konopizza: un prodotto precotto fatto della pasta della pizza e avente appunto la forma di un cono. Boscolo fallisce in Italia e sposta l’intera produzione all’estero, dove il mercato sembra apprezzare di più il prodotto, che tra l’altro lì non veniva soffocato dagli alti prezzi di produzione da cui era stato invece gravato in Italia.

    Come arriva a lei, il Konopizza?

    Ripresento in Italia il brevetto del cono pizza definendolo un “contenitore commestibile alimentare per la degustazione dei prodotti tipici regionali”. Boscolo lo aveva deposito esclusivamente come Konopizza con le varianti di Konopizza margherita, Konopizza boscaiola, ecc. Incontro Boscolo a Roma, in uno dei suo alberghi, l’Esedra, e gli presento il mio brevetto e gli illustro l’idea di far ripartire in Italia il business del cono pizza valendomi della manodopera e dell’entusiasmo imprenditoriale dei detenuti. Lui si dice d’accordo e mi fa subito una commissione di 1milione e 200 mila coni all’anno, da rivendere poi all’estero. Come ho già detto il prodotto esce dalla macchina precotto e solo al momento della commercializzazione viene fritto oppure infornato e quindi poi farcito, su richiesta del cliente.

    Parliamo ora della scatola multifunzionale con coperchio integrato.

    A Frosinone lavorava una piccola impresa che faceva buste per lo shopping e negli ultimi tempi navigava in cattive acque a causa della concorrenza del mercato straniero. Mentre gli affari non prosperavano, il proprietario ebbe però una di quelle che io chiamo intuizioni e creò la scatola multifunzionale: un rettangolo con ai lati un gioco di pieghe del cartone, che funzionano un po’ come lo zoom di una macchina fotografica, che con due semplici gesti: avvitamento o svitamento, fanno chiudere ermeticamente l’involucro, oppure aprirlo. L’inventore, preoccupato di salvaguardare questa sua idea, quando viene a conoscenza dell’associazione “Arketipi 2000”, si rivolge a me per avere un orientamento su come tutelare la sua intuizione e su come portarla sul mercato. Io allora ho subito capito che: la scatola poteva essere pensata per molteplici destinazioni d’uso ma aveva dei costi di produzione troppo alti.

    Come le è venuta l’idea di legarla al mondo dei detenuti?

    Conosco bene la realtà dei detenuti perché esercito come dentista nel carcere di Frosinone. Ecco allora l’idea: far diventare loro, i carcerati, attraverso una formazione mirata, quella manodopera a prezzi concorrenziali, che serviva per portare questi due prodotti sul mercato. In cambio loro potevano avere, oltre a una formazione professionale altamente specialistica, la possibilità di diventare imprenditori, oppure rappresentanti del prodotto sul territorio, una volta finita la pena, o in alternativa essere assunti in una delle imprese che sarebbero nate dallo sviluppo del nuovo business.

    “Reinventa” è quindi una grande chance per i detenuti, ma chi può accedervi?

    Il progetto prevede di reclutare 250 detenuti nel carcere di Frosinone per poi selezionarne e formarne i 25 che mostrano le attitudini e le caratteristiche più attinenti al percorso che dovranno fare. La formazione sarà extramuraria e sarà fatta su macchine dedicate, dove loro impareranno a fare sia il cono pizza, che la scatola. Abbiamo già iniziato a formare due detenuti sulla macchina che produce la scatola. Ora questi, all’interno dell’istituto carcerario, formeranno i detenuti che non possono uscire perché non possono usufruire dell’art. 21. A breve poi, nel carcere di Sulmona, io stesso formerò 10 detenuti all’uso in sicurezza della macchina per la produzione del cono pizza. Questo perché, a Sulmona, dove ci sono detenuti ergastolani, e dove oggi è direttrice dell’Istituto la vice Direttrice del carcere di Frosinone, il progetto è già arrivato e a breve prenderà il via una sorta di panetteria che produrrà il milione e 200 coni all’anno, che soddisferà la richiesta di Boscolo.

    MICROCREDITO + REINVENTA, PER GLI EX DETENUTI LA CHANCE DI FARE IMPRESA

    Il parere di Angiolo Marroni, Garante dei diritti dei detenuti, nel Lazio sul progetto Reinventa

    Quali sono le novità e quali le particolarità del progetto “Reinventa” che a breve partirà nel carcere di Frosinone?

    Il progetto Reinventa, porta come novità l’azione del Microcredito a favore del reinserimento degli ex detenuti. La sua formula, quella cioè di finanziare impresa, non è però nuova perché noi l’abbiamo scelta già da tempo, da quando cioè abbiamo deciso di non elargire più i soldi pubblici a pioggia ma di finanziare ai detenuti e agli ex detenuti, solo azioni mirate alla creazione d’impresa, un’impresa che sicuramente produce reddito. La nostra non è stata una scelta semplice, abbiamo accettato che si riducesse drasticamente il numero dei destinatari dei finanziamenti puntando con determinazione al risultato che ha prodotto l’avvio di imprese, che mostrano andamenti soddisfacenti, e ha consolidato l’idea dell’obbligo di restituzione dei soldi, sia pure con un rientro programmato, anticipati da noi soli in prestito. Si, perché ci vuole serietà e severità nel gestire i soldi pubblici che, se vengono dati a fondo perduto, con una certa faciloneria, come è stato fatto appena è entrata in vigore la norma, si rischia di perdere il denaro senza portare beneficio a nessuno.

    Ci spieghi meglio: come è nata la scelta di sostenere con i soldi pubblici la creazione di impresa fatta dai detenuti e dagli ex detenuti?

    Ci sono dei fondi destinati ai detenuti, per sostenerli durante il reinserimento fuori le mura. Questi soldi dovevano e potevano esser destinati per pagare le spese iniziali correnti di gestione di attività, oppure per la manutenzione della casa ecc. Nel tempo abbiamo però constatato che i risultati ottenuti, a fronte di cifre spese anche importanti, erano deludenti e inoltre le somme impiegate non venivano quasi mai restituite. Questo andamento stava screditando la nostra azione, facendo perdere prestigio al provvedimento e lasciandoci apparire come quelli che sprecavano il denaro pubblico. E’ stato allora che abbiamo deciso di correggere il tiro destinando i finanziamenti solo a coloro che esprimevano la volontà di avviare un’impresa capace di produrre reddito. Ovviamente questo, come ho già detto, ha ristretto solo a pochissimi candidati la possibilità di accedere a questi fondi pubblici.

    In Reinventa allora la vera novità è il Microcredito? Quale sarà l’azione di questo Ente?

    Il Microcredito ha saputo cogliere lo spirito della nostra scelta, e nel progetto Reinventa sosterrà 2 startup di imprese che produrranno e commercializzeranno il Cono pizza e la Scatola multiuso. Sono stato molto interessato a questa proposta che, seppur allineata al nostro pensiero di finanziare solo impresa, allarga le possibilità di recupero dei detenuti. Reiventa infatti, finanzia impresa, e per questo si rivolge a un numero veramente ristretto di candidati che saranno selezionati alla luce di requisiti precisi, ma ha previsto anche la possibilità d’impiego dei detenuti e degli ex detenuti, nelle imprese che nasceranno e ancora l’opportunità di diventare promotori dei prodotti. Reinventa propone insomma, un sistema più composito, rispetto al nostro.

    Come hanno accolto i detenuti la nuova proposta di finanziare solo impresa? Progetti così specifici come vengono coniugati in una realtà variegata e complessa qual è quella delle nostre carceri?

    Devo dire che i detenuti hanno colto la serietà della nostra iniziativa. Noi abbiamo l’obbligo di trasmettere questa idea di serietà. Sanno poi che c’è una Commissione che lavora per scegliere i candidati e lo fa con assoluta trasparenza. Questa Commissione, per cui lavora anche il mio ufficio con un ruolo dominante, ha la possibilità di decidere a chi, e se, dare denaro. Certo negli Istituti di pena abbiamo una popolazione di detenuti variegata, ma ad oggi domande per il finanziamento d’impresa ci sono state presentate solo dagli italiani, forse anche perché richiediamo ai candidati requisiti certi tra cui una buona esperienza nel settore che sia spendibile sul nostro mercato. L’aiuto, torno a ripeterlo, viene dato in modo molto rarefatto ma cercando di centrare l’obiettivo.

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  • FINANZA INCLUSIVA, NUOVE PROSPETTIVE

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    Finanza inclusiva, nuove prospettive

    L’ENM E' UN'ISTITUZIONE DI DIRITTO PUBBLICO, NON ECONOMICO, QUINDI UN BRACCIO OPERATIVO DELLO STATO, E QUESTA ISTITUZIONE E' UNICA NEL SUO GENERE, MOLTI PAESI EUROPEI UTILIZZANO LA NOSTRA STRUTTURA LEGISLATIVA COME RIFERIMENTO PER LA PROPRIA REGOLAMENTAZIONE IN MATERIA

    Mario Baccini | Presidente ENM

    < >Kofi Annan nel 2005 lanciò un appello ai Paesi delle Nazioni Unite per sostenere il microcredito come strumento di lotta alla povertà e all’esclusione sociale.

    L’Italia fu uno dei primi paesi a raccogliere questo appello e ad immaginare e studiare nuove formule che potessero includere, e non escludere, dal modello di vita al miglioramento della qualità della vita, alla possibilità di entrare nel mondo del lavoro. La mano pubblica è intervenuta creando una struttura, l’Ente, che non si sostituisse all’attività del sistema bancario ma che includesse e coordinasse quel network di attività, regioni, provincie, associazioni che vogliono, in qualche modo, non fare più una piccola parte ma essere parte di un grande progetto.
    L’Ente crea e sostiene servizi aggiuntivi che sostengono e caratterizzano la finanza inclusiva. Ecco questi servizi aggiuntivi sono il famoso ultimo miglio, l’ultimo miglio che tutti annunciano ma che nessuno vuole mai percorrere. Perché questo ultimo miglio è fatto di insidie, di trappole, di paludi, ma anche di oasi. I servizi aggiuntivi hanno un costo, quel costo che le banche non possono sostenere perché il costo del denaro andrebbe alle stelle.
    Quindi, chiamiamo questo ‘costo’ o meglio questo investimento monitoraggio, formazione, accompagnamento, tutela, individuazione dei processi, informazione, tutte attività necessarie per la realizzazione di un’impresa sana.
    Un’impresa che non rischia il default e per questo noi vogliamo sottolineare il valore di questo investimento che viene assorbito dall’Ente e che contestualmente solleva lo Stato dagli oneri sociali che derivano dall’abbandono di queste fasce di utenti.
    Il nostro compito è quello di ricreare una cultura dell’impresa stimolando la collettività e soprattutto i soggetti idonei selezionandoli e accompagnandoli, perché molti, in questi anni, si sono assopiti e sono diventati dei professionisti della disoccupazione. Molti giovani, donne, lavoratori immigrati o coloro che hanno le capacità ma non i mezzi per creare un’impresa spesso conoscono bene tutti gli strumenti che il mondo, il terzo settore, le istituzioni mettono a disposizione e poi ovviamente non hanno più possibilità di mettere la loro intelligenza al servizio dell’intraprendere perché non vengono seguiti nel processo di formazione dell’azienda. L’Ente nazionale per il microcredito in tal senso ha sviluppato tool kit, progettualità e progetti pilota che dimostrano come sia possibile realizzare queste idee. Sono convinto altresì che sia necessario perfezionare anche tutto il mondo della micro-finanza, come strumento di lotta alla povertà, all’esclusione sociale, bancaria di cui il nostro Paese, l’Europa e i Paesi emergenti hanno bisogno. Un esempio di come questa necessità emerga prepotente è stata la costituzione della Task Force G8 per i problemi legati all’ingegneria finanziaria e alla finanza inclusiva a cui naturalmente l’Ente nazionale per il microcredito ha portato il suo contributo nella stesura degli acta e nelle proposte normative da attuare, sempre in continua evoluzione per sostenere quelle buone prassi di microfinanza che, sono convinto, siano un volano per l’economia.

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  • GIOVANI IN MOVIMENTO

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    GIOVANI IN MOVIMENTO

    L' ITALIA É UN PAESE IN CRISI CHE NON INVESTE SULL' OCCUPAZIONE GIOVANILE. UN' ANALISI QUALUNQUISTA E FIN TROPPO SCONTATA CHE SOTTENDE PERÓ UNA REALTÀ DI FATTO CONFERMATA DALLE CIFRE DEI DATI DIFFUSI MENSILMENTE DALL'ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA.

    Emma Evangelista | Direttore MicroFinanza

    < >

    Il picco della curva, rigorosamente in discesa, non conforta e dimostra quanto sia necessario intervenire con strumenti idonei e risposte concrete al problema dell’occupazione e della produttività. Secondo i dati Istat il tasso di disoccupazione è pari al 12,3%, e i disoccupati tra i 15-24 anni sono 710 mila. L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,9%. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 44,2%, in crescita di 1,0 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 3,6 punti nel confronto tendenziale. Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni aumenta e il tasso di inattività, pari al 36,4%, cresce. Uno degli strumenti più idonei a sostenere la ripresa è sicuramente il microcredito e il sostegno dell’Unione europea e i programmi di progettazione e supporto alle politiche del lavoro giovanili ne sono la prova. Tra essi Youth on the Move, un vero e proprio inno alla capacità dei giovani d’Europa di fare. Quest’anno la manifestazione del programma è ospite della città di Napoli e in un turbinio di manifestazioni e workshop offrirà la possibilità di conoscere ed apprezzare gli strumenti a disposizione come l’ingegneria finanziaria legata alla microfinanza e al microcredito. Ma questo strumento è duttile tanto da essere indicato come il più idoneo a sostenere le politiche economiche dei paesi emergenti e per questo indicato dal Ministero degli Affari Esteri e dalla Cooperazione internazionale come utile alla promozione dello sviluppo e delle imprese locali. La via, naturalmente, nel nostro Paese è stata tracciata dall’Ente Nazionale per il Microcredito che ha partecipato anche alla stesura delle linee guida della nuova normativa sulla finanza etica promossa dalla task force per il G8.

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  • IL MICROCREDITO IN GHANA È GIOVANE

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    IL MICROCREDITO IN GHANA È GIOVANE

    Un aiuto concreto per passare dalla povertà a una condizione di vita migliore e per favorire in primis lo sviluppo umano, non solo quello economico.

    La povertà induce all’azione. Lo sapeva già Friedrich Wilhelm Raiffeisen. E lo sanno bene i volontari dell’organizzazione internazionale Projects Abroad impegnata, tra le diverse missioni umanitarie, a promuovere progetti di microcredito in Ghana per aiutare le persone bisognose ad avviare piccole attività imprenditoriali attraverso l’accesso a piccoli prestiti finanziari. Ma, ciò ancora più importante, è che Projects Abroad fornisce, oltre al credito, orientamento e formazione in modo da garantire maggiormente la sostenibilità e la replicabilità del sistema di prestiti. Perché il microcredito, prima ancora che moneta, vuol dire fiducia. Alla persona e al suo progetto.

    A raccontarci la sua entusiasmante esperienza è Ilenia Pertusi, partita con l’organizzazione Projects Abroad per seguire il progetto di microcredito in Ghana, a Koforidua.

    “Ho scelto il Microcredito perché sono fermamente convinta che l’indipendenza sia il dono più prezioso che quelle meravigliose popolazioni possano ricevere ed ho scelto Il Ghana perché mi è sembrato che racchiudesse tutto quello che desideravo come prima esperienza in Africa: l’inglese come lingua ufficiale, il volto vero ma non estremo del continente nero e la tranquillità di un Paese politicamente stabile e democratico. Arrivata a Koforidua, ho iniziato a conoscere i meccanismi di quella che poi si è rivelata l’esperienza più importante della mia vita: il Microcredito. Sono arrivata in ufficio, ho conosciuto Kizi, mio insostituibile partner locale e dopo un’introduzione generale, insieme abbiamo pianificato le diverse attività, nonché la prima settimana di lavoro. Il progetto mi ha subito entusiasmato molto, anche perché ho realizzato che mi avrebbe offerto la possibilità di trascorrere molto tempo all’esterno in giro per i diversi villaggi e regalato, quindi, un contatto reale con le popolazioni locali, con la loro quotidianità. Come probabilmente si potrebbe immaginare, infatti, tutte le dinamiche in un contesto del genere risultano estremamente diverse rispetto a quelle a cui noi siamo abituati; non erano i “clienti” (generalmente donne, necessariamente in gruppo) a venire in ufficio per richiedere un prestito, per versare la loro quota di rimborso settimanale o per qualsiasi altra evenienza ma eravamo noi ad andare da loro, nei loro villaggi, nelle loro abitazioni o nei luoghi in cui svolgevano le attività imprenditoriali per le quali era stato concesso loro un prestito.
    Dei cinque giorni settimanali lavorativi, tre erano dedicati alla raccolta delle quote di rimborso, uno all’aggiornamento e alla creazione di file e report in ufficio e l’ultimo, infine, variava di settimana in settimana in relazione a diverse esigenze, quali concessione di nuovi prestiti, verifiche sui prestiti erogati, rinegoziazione dei prestiti in caso di inadempimento e così via. I prestiti venivano concessi quasi esclusivamente a donne, necessariamente in gruppi, mediamente di tre o cinque persone. A donne perché considerate più responsabili nella gestione del denaro, ma soprattutto più attente al soddisfacimento dei bisogni primari della famiglia; essenzialmente si cerca di evitare che il prestito abbia un risultato finale diverso dal miglioramento delle condizioni di vita della famiglia. In gruppo perché si ritiene che l’idea di una responsabilità collettiva riduca al minimo la percentuale di inadempimento. Il prestito è unico e l’importo totale è la somma delle quote distribuite alle diverse donne del gruppo più un’aggiunta del 5%, copertura minima contro l’eventuale non rimborso di uno o più prestiti. I rimborsi vengono interamente utilizzati per concedere nuovi prestiti. Tutti i membri del gruppo sono teoricamente responsabili per l’intero importo ma credo che raramente questo abbia risvolti pratici. Quasi mai riuscivamo a recuperare le quote settimanali di rimborso di tutti i beneficiari dei prestiti; a volte non riuscivamo a trovarli, altre volte non avevano il denaro sufficiente. Il mancato rimborso di una o due quote non era un vero problema perché nella maggior parte dei casi la settimana successiva o quella seguente pagavano più quote insieme. Quando questo non avveniva cercavamo di fissare con la persona insolvente un appuntamento per abbassare la quota di rimborso settimanale e permetterle di pagare con regolarità. Prima del mio arrivo era stato, ad esempio, concesso un prestito a due sarte per l’acquisto di una macchina da cucire, purtroppo non riuscivano a guadagnare abbastanza per vivere e pagare la loro quota settimanale. Abbiamo dovuto rinegoziare il prestito per ben due volte, ma alla fine hanno iniziato a pagare settimanalmente. I prestiti concessi erano mediamente di importo non superiore ai 150/200 cedi (35/42 euro) per persona e dovevano servire per avviare un’attività imprenditoriale tale da permettere di provvedere al fabbisogno familiare, nella mia esperienza principalmente vendita ambulante o stabile soprattutto di prodotti alimentari (plantain, yam e così via) e cibi cotti (riso, dry fish e così via). Un’eccezione alla regola generale era il prestito concesso a due uomini per estrarre gin dalle palme.
    Al momento della concessione di un nuovo prestito preparavamo un contratto da far firmare (in realtà con un’impronta del pollice) ai beneficiari e una sorta di libretto da lasciare al gruppo, dove annotavamo i pagamenti di volta in volta effettuati, eventuali mancati pagamenti e così via. Questo il meccanismo del microcredito. Sono rientrata dal Ghana ormai già da diversi mesi e raccontare la mia esperienza mi risulta ancora difficile probabilmente perché, per quanto banale possa sembrare affermarlo, è semplicemente impossibile descrivere l’intensità delle emozioni vissute. Le persone che ho conosciuto in Ghana sono indimenticabili, sempre gentili ed estremamente disponibili. Affrontano la quotidianità con immensa dignità, anche quando la vita priva di qualsiasi confort che conducono rende i loro volti esausti. La semplicità di ciò che mi circondava mi riempiva così profondamente che per un mese intero mi sono sentita felice, serena e soddisfatta, come mai prima. A testimonianza che il mal d’Africa esiste ed è forte”.
    Al momento Projects Abroad sta lavorando con tre gruppi di donne nella regione di Juaben, area orientale del Ghana.
    Grazie ad un prestito di 1.200 cedi ghanesi, il gruppo del villaggio di Akokoa gestisce un piccolo commercio di generi alimentari e sta registrando i primi successi.
    Nel villaggio di Akwadum un numeroso gruppo di donne ha ricevuto un prestito per l’acquisto di una macchina da cucire ed una macchina da ricamo, utilissime a migliorare la produzione.
    Un terzo gruppo si è formato nel villaggio di Kwamoso per avviare un piccolo commercio alimentare. Con il credito ricevuto è stato possibile acquistare materie prime e dare inizio all’attività.
    E’ stupendo vedere come un intervento apparentemente di tipo solo economico, un micro-credito, possa innescare delle dinamiche virtuose all’interno della comunità. Per una economia ‘più umana’ e più accessibile.

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  • INVESTIRE SULLA FORZA DEI POVERI

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    INVESTIRE SULLA FORZA DEI POVERI

    IL NOSTRO COMPITO É ANCHE AIUTARE I GIOVANI IN MODO CHE POSSANO INIZIARE A FARE COSE COSTRUENDO LORO STESSI IL MONDO CHE LI CIRCONDERÀ

    Ainhoa Agullò

    "Scrivere una legge affinché le banche aiutino i poveri.” E’ l’appello che il premio Nobel, Muhammed Yunus, ospite della Camera dei deputati, ha rivolto al parlamento italiano, il 10 luglio a Montecitorio, nel corso della lectio magistralis Social Business: una strada sostenibile per risolvere i problemi più pressanti della Società. Un breve ma intenso intervento nel quale il fondatore della Grameen Bank ha raccontato come il microcredito abbia aiutato centinaia di migliaia di persone a crearsi un lavoro e sfuggire così dalla indigenza. I primi passi in Bangladesh, paese di nascita di Yunus nel quale nel 1977 ha dato l’avvio alla sua attività di finanziamento dei poveri, fino all’apertura di filiali nel ‘ricco’ occidente, a New York e in Francia, dove gli indigenti sono sempre più numerosi. Sono i non bancabili, coloro che difficilmente possono ottenere un prestito da una banca, ma che il microcredito è pronto a finanziare con il fine di creare lavoro: in Italia, secondo alcune stime, con punte del 25% della popolazione. Ma al di là dei numeri, Yunus ha voluto sottolineare il carattere sociale della sua idea: non si tratta di prestare semplicemente del denaro ma di dare un’opportunità a coloro che la società ha emarginato. In primis donne e giovani. Le banche sono di proprietà dei ricchi racconta - ed io ho reso proprietarie della mia banca donne povere. GrameenBankLogoLa Grameen Bank pratica il microcredito senza garanzie e ha concesso prestiti, prima nel Bangladesh e poi in tanti altri Paesi, a otto milioni e mezzo di persone, molte delle quali non sapevano leggere né scrivere. I giovani di queste generazioni in tutto il mondo sono i più talentuosi che abbiamo mai avuto in tutta la nostra storia.

    E’ una vergogna che questi ragazzi promettenti debbano rimanere disoccupati. E’ uno spreco di risorse umane ma la responsabilità non è loro: qualcosa li ha legati con catene invisibili e nostro compito è slegarli in modo che possano iniziare a fare cose costruendo loro stessi il mondo che li circonderà. Dobbiamo semplicemente dargli la possibilità di cercare lavoro, o forse dobbiamo fare in modo che diventino loro stessi creatori di lavoro. Per il premio Nobel, si deve fare in modo che abbiano tutti gli strumenti per diventare datori di lavoro e crearsi da soli la loro imprenditorialità. Per questo spiega - stiamo creando dei fondi per imprese sociale invitando i giovani a venire con le loro idee per fare impresa e noi diventeremo investitori nelle loro attività. Quando queste imprese avranno avuto successo, ci restituiranno i soldi che abbiamo investito e andranno avanti per la loro strada. In questo modo non devono cercare lavoro ma possono creare lavoro anche per gli altri. E l’Italia non è esclusa da questo ragionamento, anzi. L’Italia è un paese fortunato sottolinea - Non si può paragonare al Bangladesh. Eppure ovunque, anche qui, c’è una sfasatura tra l’economia di una società e l’inserimento dei giovani. Mi preoccupa la disoccupazione giovanile, in questo tempo non ha senso, di fronte ad una generazione talentuosa. Significa che stiamo sprecando le loro capacità e le risorse nazionali. YunusDonne Muhammad Yunus Nato nel 1940 a Chittagong, principale porto mercantile del Bengala. Si è laureato in Economia, ha insegnato all’Università di Boulder, Colorado, e alla Vanderbilt University di Nashville, Tennessee. Ha poi diretto il dipartimento di Economia dell’Università di Chittagong. Yunus ha ricevuto la laurea honoris causa dell’Università di Firenze nel 2004. “La povertà è la negazione di tutti i diritti umani, è una minaccia per la pace” ha detto l’economista quando nel 2006 ha ricevuto il premio Nobel per la pace.

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  • L'ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO: UNA VISIONE DEL NOSTRO TEMPO

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    L'ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO: UNA VISIONE DEL NOSTRO TEMPO

    Angelo Maria Petroni | Segretario generale ASPEN Institute
    < >
    < >Il microcredito costituisce un insieme piuttosto variegato di principi e di pratiche. Non esiste una vera e propria teoria del microcredito, esattamente come non esiste una sola visione degli ambiti e delle azioni del microcredito.

    1 LA RILEVANZA DELL'ECONOMIA SOCIALE DI MERCATO PER IL MICROCREDITO

    Il microcredito è fortemente influenzato dalle diverse tradizioni culturali, e dai diversi contesti istituzionali ed economici nel quale viene praticato. Quando si viene al microcredito nei Paesi europei, credo sia importante porsi la domanda se esso debba e possa venire inquadrato entro principi istituzionali ed economici (ma anche morali) consolidati, e che comunque godano di un vasto consenso, anche sul piano dell’azione.
    A questa domanda può venire data una risposta affermativa: il microcredito può, e con grande vantaggio, venire ricondotto ai principi della economia sociale di mercato.
    Lo scopo delle conferenze che vengono presentate in questo volume è proprio quello di delineare i concetti fondamentali della economia sociale di mercato, e di mostrare come essa sia rilevante per il contesto generale delle nostre economie ed in particolare per il microcredito.
    Per comprendere i diversi punti di vista che sono illustrati dai diversi eminente autori di questo volume, credo sia interessante ripercorrere brevemente la storia dell’economia sociale di mercato e i suoi rapporti con altre visioni dell’economia e delle istituzioni che influenzano profondamente la realtà europea, e quindi anche quella del nostro Paese.

    2 LA SOZIALE MARKTWIRTSCHAFT E IL LIBERISMO

    La Soziale Marktwirtschaft rappresentò la spina dorsale della politica economica della Repubblica Federale Tedesca sin dagli anni dell’immediato secondo dopoguerra. Infatti, le politiche economiche messe in atto da politici come Konrad Adenauer e Ludwig Erhard erano esplicitamente guidate dalle idee elaborate da un gruppo di eminenti economisti e pensatori sociali, tra i quali vi erano Alfred Mueller-Armack, Wilhelm Röpke, Vera Lutz, Walter Eucken, e lo stesso Erhard. Questo fatto di per sé è del tutto notevole, perché è un esempio della verità di quanto credevano due pensatori di diverso e quasi opposto sentire come John Maynard Keynes e Friedrich von Hayek, ovvero che a guidare veramente le vicende umane siano le idee.
    Quella che venne chiamata ESM è il risultato della elaborazione teorica di due gruppi di intellettuali. Il primo di essi è noto come “Scuola di Friburgo”, e le sue figure principali furono quelle di Eucken, Franz Böhm, Lutz, e Fritz Meyer. Essi erano noti anche come “neo-liberali”. Un secondo gruppo è rappresentato da Mueller-Armack, Alexander Rustow, e Wilhelm Roepke. Ro
    epke esercitò una notevole influenza anche su diverse componenti del pensiero cattolico e del pensiero liberale italiano degli anni cinquanta. L’espressione Soziale Marktwirtschaft fu coniata da Mueller-Armack nel 1946.
    Il fatto di dover costruire istituzioni politiche ed economiche del tutto nuove dopo il totalitarismo
    nazista ebbe senz’altro una influenza notevole sulla maniera in cui i pensatori della ESM concepirono la questione della “spontaneità” delle istituzioni dell’economia di mercato. Un tema, questo, che da sempre costituisce un discrimine fondamentale tra le diverse visioni del liberalismo.
    Una delle linee fondamentali del pensiero economico liberale anglosassone ritiene che il mercato si caratterizzi per il suo carattere “spontaneo”, in un duplice senso.
    In primo luogo, perché la tendenza alla cooperazione e allo scambio è una caratteristica naturale dell’uomo.
    In secondo luogo, perché le sole situazioni efficienti sono quelle che risultano dal libero gioco dell’offerta e della domanda.
    Qualsiasi intervento legislativo che alteri questo gioco equivale ad una distorsione del mercato. Il solo ruolo attribuibile allo Stato è quello di garante dei diritti di proprietà, e la sola attività legislativa utile all’economia di mercato è la rimozione dei privilegi di cui godono certi gruppi, e delle barriere tariffarie.
    Nei confronti del liberismo tradizionale, l’ESM avanza in effetti tre ordini di critiche.
    In primo luogo, che un sistema economico e monetario senza regolamentazioni può rivelarsi instabile. Questo comporta la necessità dell’intervento dello Stato nella regolamentazione della moneta e del credito. Tuttavia i pensatori dell’ESM differivano tra loro riguardo alla questione se questa funzione dello Stato dovesse estendersi alle politiche anticicliche. Eucken, ad esempio, fu sempre un avversario delle politiche economiche discrezionali.
    In secondo luogo, che il mercato lasciato a se stesso può appunto generare monopoli e cartelli, i quali sono altrettanto dannosi per la libertà del controllo diretto dello Stato sull’economia. Dall’esperienza della cartellizzazione dell’economia tedesca dell’anteguerra i pensatori della ESM ricavarono la conseguenza che non vi è soltanto il potere dello Stato che deve venire contenuto per avere un mercato effettivamente libero. Vi è anche un potere economico esercitato dai privati, che va egualmente contenuto. Di qui la grande rilevanza data alla politica della concorrenza, come vedremo più avanti.
    In terzo luogo, che un puro laissez faire può condurre a una situazione che non è accettabile dal punto di vista della giustizia sociale, e ciò in un duplice senso. Primariamente, che la remunerazione del lavoro salariato in funzione della produttività marginale può non essere giusta nei confronti di specifici individui, e secondariamente che la distribuzione complessiva del reddito può essere inaccettabile dal punto di vista sociale.
    Prese in sé, queste critiche sembrerebbero condurre la ESM su di un percorso coincidente con le classiche visioni socialdemocratiche e redistribuzioniste. Tuttavia la situazione è decisamente diversa. La critica del laissez faire di stampo ottocentesco non conduce affatto i pensatori della ESM a un “terza via” tra capitalismo e socialismo, come spesso si è affermato. Il loro scopo è invece quello di produrre una visione che riassorba all’interno del liberalismo economico la dimensione morale e sociale.
    Probabilmente la migliore caratterizzazione di quale sia l’ordine economico ideale dal punto di vista della ESM venne data da Eucken.
    Per Eucken il sistema economico deve essere guidato da principi che egli distingueva in “formativi” e “regolativi”.
    I principi formativi erano i seguenti:
    1. Il primato della politica monetaria. La moneta doveva essere mantenuta stabile e isolata dall’influenza politica. Fu questa filosofia dell’ESM a ispirare direttamente la struttura e gli scopi della Bundesbank, che sono spesso considerati – e a ragione – come il più importante contributo dato dalla ESM tanto alla teoria della politica economica quanto alla prosperità della Germania.
    2. L’apertura del mercato, il cui accesso doveva essere tenuto libero da ogni tipo di restrizioni imposte tanto dallo Stato quanto dai privati.
    3. Un efficace sistema di diritti di proprietà. La proprietà privata adeguatamente protetta è la condizione necessaria di un ordine competitivo, e costituisce il legame tra decisioni economiche e responsabilità.
    4. La libertà di contratto. L’esistenza della libertà di contratto è la dimostrazione dell’esistenza della competizione economica, della quale è un prerequisito. Questa libertà non si estende ai contratti che restringono la concorrenza, i quali non sono una espressione della libertà medesima ma ne sono una perversione.
    5. La sincronizzazione tra controllo delle imprese e responsabilità giuridica. Per Eucken questo principio si giustificava sia in base all’equità, sia in quanto prerequisito del funzionamento di un efficiente sistema concorrenziale. Secondo una tradizione solidamente radicata nel pensiero liberale, egli era fortemente critico del processo generale che conduceva al prevalere del principio della responsabilità limitata. Per quanto riguardava in particolare le imprese pubbliche, che di fatto erano controllate dal management, egli riteneva che fosse essenziale attribuire al management medesimo una diretta responsabilità giuridica personale.
    6. La costanza della politica economica. La continuità della politica economica era un prerequisito affinché gli individui fossero in grado di prendere decisioni economiche razionali e li si potesse ritenere legittimamente responsabili delle loro azioni.
    A questi principi “formativi” Eucken aggiungeva quattro principi “regolativi”:
    • Il primo di essi riguardava soprattutto la questione – allora molto sentita – dei cosiddetti “monopoli naturali”. Egli riteneva che i monopoli naturali andassero gestiti da parte di una agenzia indipendente specializzata, che avrebbe dovuto agire in base a principi analoghi a quelli dei mercati competitivi. Al di là di quelli naturali, i monopoli dovevano essere combattuti da una forte politica a favore della concorrenza.
    • Il secondo principio era la “politica dei redditi”. Qui Eucken era a favore di una redistribuzione del reddito da attuarsi con una imposta progressiva. La redistribuzione si giustificava sulla base della dimensione sociale del sistema economico. In questo aspetto la ESM si differenziava fortemente dalle posizioni coeve di grandi economisti liberali come Hayek e Milton Friedman, per i quali la progressività dell’imposta era contraria al principio giuridico fondamentale della Rule of Law, e aveva effetti economici negativi, specialmente sulla accumulazione del capitale e sugli incentivi all’intrapresa e all’innovazione.
    • Il terzo principio era quello di un “calcolo economico” che doveva essere effettuato dallo Stato. Non si trattava, ovviamente, della pianificazione socialista, e neanche della pianificazione economica come veniva condotta in quegli stessi anni in Francia, della quale tutti i pensatori della ESM (e in particolare Roepke) erano fortemente critici. Il calcolo economico riguardava l’internalizzazione dei costi esterni, compresi quelli ambientali. In effetti la preoccupazione che lo sviluppo economico avvenisse in condizioni di rispetto dell’ambiente fu sempre molto forte tra i pensatori della ESM.
    • Il quarto principio regolativo riguardava il mercato del lavoro. Per Eucken il mercato del lavoro non poteva venire considerato come un sistema autenticamente competitivo. Egli accettava quindi l’esistenza di sindacati come fattore di ordine nel mercato del lavoro, a condizione che il loro comportamento si svolgesse all’interno delle regole dell’economia di mercato. In questo contesto egli accettava anche, come un “male necessario”, la fissazione di minimi salariali.
    Lo scopo globale dei principi regolativi era di evitare che il sistema di mercato portasse alla propria autodistruzione. Lo Stato aveva lo scopo di intervenire per preservare la “forma” della struttura economica fondamentale, ma non doveva intervenire nel “processo” di mercato in quanto tale.

    3 UN CASO ESEMPLARE: LA POLITICA ANTITRUST

    La questione delle politiche a favore della competizione merita qualche osservazione ulteriore, perché essa rappresenta il cuore della filosofia dell’ESM. Come ricordavamo sopra, i pensatori della ESM davano una importanza enorme a quanto era avvenuto nella Germania dell’anteguerra. La decisione della Corte Suprema tedesca del 1897 aveva riconosciuto che gli accordi di cartello erano giuridicamente leciti, e compatibili con la libertà di contratto. Questo significò che essi potevano venir fatti rispettare davanti ai tribunali. Nei decenni successivi la Germania diventò “il Paese dei cartelli”. Nella Grande Depressione i cartelli reagirono alla diminuzione della domanda mantenendo alti i prezzi e licenziando, determinando un alto tasso di disoccupazione che fu una delle cause principali della crisi politica tedesca.


    Da quella esperienza i pensatori dell’ESM trassero la conclusione che la sola maniera per evitare che un sistema di mercato si trasformasse nel suo opposto, un sistema dominato da uno Stato intervenzionista (come fu la Repubblica di Weimar) nel quale i processi economici vengono piegati alle opportunità politiche è la presenza di una politica volta a mantenere una effettiva concorrenza. Ma proprio questo obbiettivo richiede che la politica della concorrenza non sia basata sulle decisioni discrezionali dei politici e dei burocrati. La protezione della concorrenza deve essere una parte della struttura giuridica fondamentale di una società. E’ un elemento essenziale dello Stato di diritto. Questa visione formò la base della costituzione dell’autorità antitrust tedesca, il Bundeskartellamt come agenzia federale indipendente, non soggetta a specifiche istruzioni da parte del governo, e non strutturata gerarchicamente.
    E’ importante comprendere la differenza tra l’approccio alla tutela della concorrenza proprio della ESM, e l’approccio prevalente nella dottrina anglosassone. Come è noto, nel mondo anglosassone prevalgono due approcci diversi alla politica antitrust. Secondo il primo approccio l’economia capitalistica di mercato ha una tendenza innata alla cartellizzazione. Questa tendenza deve essere contrastata da politiche attive antitrust, il cui criterio ispiratore sia quello del raggiungimento della massima efficienza globale del sistema economico – o, in termini più astratti, la massimizzazione dell’utilità globale.


    Per il secondo approccio è lo stesso processo di mercato che porta a erodere le posizioni di monopolio, dominanti, e i cartelli. Questi esistono ed esercitano la loro influenza negativa soltanto in tanto e per quanto lo Stato interviene a creare e a proteggerli attraverso una legislazione che garantisce loro privilegi giuridici e sovvenzioni. L’efficienza di un mercato non è mai definibile in termini di quote di mercato, ma delle condizioni di accesso a esso. Se non esistono restrizioni legali all’ingresso in un mercato, è irrilevante che un certo produttore ne detenga il 10 o il 90%. Una grande quota del mercato significa semplicemente che quel produttore fornisce un bene o un servizio che la gran parte dei consumatori reputa migliori di quelli offerti dai concorrenti.
    Questa argomentazione si basa su due considerazioni fondamentali. La prima è di carattere storico. Di fatto, la gran parte dei monopoli (o degli oligopoli) destinati a durare nel tempo sono stati il risultato della protezione legale garantita dallo Stato. Quando questa protezione non vi è stata, il monopolio ha avuto carattere temporaneo. La seconda considerazione è che l’evidenza storica mostra come le politiche antitrust non sono affatto “neutre”. Di fatto, la regolamentazione è sempre diretta a favore di quei gruppi economici e di interesse che sono in grado di esercitare una influenza decisiva sul processo legislativo e quasi-giudiziario. Poiché nessun economista e nessuna autorità è in grado di stabilire in maniera rigorosa quali siano le quote di mercato al di sopra delle quali vi è una posizione di monopolio, o quali siano le pratiche commerciali lesive della concorrenza, lo spazio per le decisioni discrezionali è ben ampio, come hanno d’altronde mostrato le ricerche della scuola di Public Choice.


    Anche questo secondo approccio condivide l’assunto della posizione utilitarista. La questione del se, ed eventualmente quale politica antitrust adottare, viene ricondotta alla massimizzazione dell’utilità complessiva.
    La posizione dell’ESM è diversa perché sono innanzitutto diversi i presupposti filosofici. La libertà economica di ogni singolo individuo viene infatti posta come un valore in sé, che è indipendente da ogni considerazione sulla massimizzazione della ricchezza. E’ la stessa visione utilitaristica dell’uomo che viene rifiutata. I pensatori della ESM assumono una prospettiva kantiana nel senso ampio del termine, per la quale gli individui hanno una finalità propria, e non possono essere trattati solo come strumenti per altri scopi. Di conseguenza, la libertà economica di un singolo rappresenta un diritto che deve venire fatto rispettare dallo Stato, e che non può venire conculcato in nome dell’efficienza generale del sistema, considerata nel suo complesso e vista nel lungo periodo.
    Curiosamente – ma non troppo – la questione della politica antitrust mostra come la posizione della ESM riguardo i fondamenti della libertà economica sia non molto distante da quella dei libertarians antiutilitaristi! La diversità delle conseguenze deriva quindi da una diversità delle assunzioni empiriche al contorno.

    4 LA DIMENSIONE MORALE

    L’ESM non propugnava uno Stato esteso. Nella piena continuità con la visione tradizionale del liberalismo, il suo obiettivo è uno Stato forte ma limitato. I mutamenti della realtà economica e sociale rendevano impossibile riproporre lo Stato ottocentesco, semplice “guardiano notturno” a protezione dei diritti di proprietà e del mercato. Le funzioni dello Stato dovevano essere più estese. Ma allo stesso tempo lo Stato, secondo la visione del costituzionalismo liberale, doveva agire secondo regole e sotto vincoli precisi. Non vi sarà mai nessuna contiguità tra l’ESM ed un certo tipo di radicalismo inglese, incarnato da Keynes, secondo il quale la fine del laissez faire coincideva con il primato della discrezionalità del potere politico, tanto nella decisione delle sue sfere di competenza quanto nella decisione dei mezzi da usare per raggiungere gli obiettivi sociali ed economici.


    Contrariamente all’ “immoralismo” di Lord Keynes, i protagonisti dell’ESM davano una importanza fondamentale alla dimensione morale.
    Molti di essi erano credenti, sia cattolici che protestanti. Lo erano ad esempio Roepke e Erhard. Benché l’ESM, come sottolineò Mueller-Armack, non fosse derivata da un insieme specifico di convinzioni religiosi, essa fu però fortemente influenzata dalla morale cristiana, sia dal lato del valore della singola persona che andava riconosciuto al di là delle sue capacità economiche, sia dal lato del giudizio morale che l’etica cristiana doveva dare sul sistema economico nel suo complesso in quanto conforme o meno ai principi dell’etica sociale. Mueller-Armack, tuttavia, sottolineava come la società moderna sia una società pluralistica, nella quale convivono persone che seguono fedi diverse, e persone che non seguono alcuna fede. Ognuno di questi diversi gruppi ha la propria visione particolare su quale sia il buon ordine della società. Mueller-Armack riconosceva che l’ordine economico-sociale doveva essere tale da permettere a tutti i cristiani di riconoscersi in esso, in modo da assicurare che essi se ne sentissero responsabili. Tuttavia l’ordine economico-sociale non poteva essere costituito sulla base di specifiche dottrine teologiche.2
    Il rapporto tra mercato e valori è un punto particolarmente interessante della teoria dell’ESM. Secondo Mueller-Armack il mercato ha bisogno di valori: ma il mercato stesso non è produttore di valori sociali, né tende ad arricchirli. Quest’idea diventerà particolarmente discussa negli Stati Uniti a partire dalla fine degli anni Sessanta. Per i pessimisti, la società americana si trova sottoposta ad un duplice fenomeno distruttivo. Da un lato vi è la crescente anomia conseguente al processo di astrazione dell’economia capitalistica, a sua volta sempre più de-territorializzata. Dall’altro lato vi è la destrutturazione del tessuto politico tradizionale in logiche dell’appartenenza etnica o sociale. E’ il fenomeno del “multiculturalismo”, per il quale una parte importante della popolazione americana non si riconosce più né nei canoni culturali occidentali, né nei valori della tradizione cristiana.

    A denunciare la pericolosità di questo fenomeno per la stabilità della società americana sono stati intellettuali sia conservatori che progressisti, ovviamente in modi diversi. Forse i primi a farlo sono stati i cosiddetti Neoconservatives americani, tra i quali le figure maggiori sono quelle di Irving Kristol e Norman Podhoretz. Per costoro – esattamente come per i pensatori dell’ESM – il capitalismo è una forma economica e sociale che, per il suo funzionamento, ha bisogno che gli individui si conformino a un insieme condiviso di valori morali. Questi valori sono quelli della tradizione giudaico-cristiana. Alle sue origini, il capitalismo ha potuto contare sull’esistenza di un consistente stock di valori. Ma essi erano il prodotto della società agricola pre-industriale, e delle sue forme sociali strettamente legate al predominio della religione. La società capitalistica non è in grado essa stessa di generare valori morali, perché si basa sulla logica utilitaristica del perseguimento dell’interesse individuale. La società capitalistica è quindi destinata al declino, un declino che evidentemente non avrebbe non potuto riguardare la società capitalistica per eccellenza. Su questo punto i Neoconservatives si opposero fortemente ad Hayek, e la sua idea della “Great society” nella quale gli individui hanno in comune le regole ma non i fini. I Neoconservatives vedevano negli Stati Uniti degli anni Settanta un Paese in crisi economica e politica perché in una crisi morale risultato del diffondersi dell’individualismo.3
    Indipendentemente dalle conclusioni che si possono trarre a proposito di una questione così complessa e controversa, è evidente come essa confermi la straordinaria rilevanza delle intuizioni e dei principi dei pensatori dell’ESM.

    5 L’ESM NON È UNA VISIONE NEOCORPORATIVA

    Come abbiamo visto, l’ESM mira a fornire una visione globale, nella quale il sistema economico non sia separato dal sistema sociale nel suo complesso. Tuttavia questa visione non coincide affatto con una concezione corporativistica dell’economia e della società, come si è spesso portati a credere seguendo l’uso che oggi viene fatto del concetto di Soziale Marktwirtschaft nella discussione politica in Germania e nell’Unione Europea. Lo scopo era esattamente opposto. Gli esponenti dell’ESM pensavano che vi dovesse essere una netta distinzione tra lo Stato da una parte, e la società dall’altra.
    11 RustowBLo espresse nel modo più chiaro Boehm, in esplicita polemica con Carl Schmitt, nella cui visione assolutistica si giungeva alla completa identità tra Stato e società. Per Boehm un ordine sociale funzionante presuppone invece la separazione tra Stato e società. Lo Stato è una organizzazione al servizio della società. I più importanti servizi che esso fornisce sono la difesa interna ed esterna, e l’amministrazione della giustizia. Esso deve essere un’organizzazione unificata in modo da renderlo esso stesso responsabile sul piano giuridico. La società come tale invece non agisce. La società è un insieme di relazioni complesse e mutevoli nel tempo tra individui portatori di diritti, regolate dal diritto privato. La complessità e l’interdipendenza di questo sistema di relazioni fa sì che sia sbagliato che lo Stato intervenga direttamente nel processo sociale. Per evitare che questo avvenga i poteri dello Stato devono essere definiti ed enumerati in maniera esaustiva. Tutto ciò che ricade al di fuori di questi poteri è dominio della società. Ma lo Stato ha un potere di azione incomparabilmente maggiore di quello della società. Di conseguenza è necessario un sistema di tipo democratico-costituzionale per far sì che esso rimanga dentro i confini che gli sono propri.4
    La visione dell’ESM non vuole quindi essere una versione del corporativismo. Essa si ricomprende invece totalmente all’interno del liberalismo. Questo è evidente dal ruolo fondamentale che essa attribuisce alla proprietà privata, ai suoi principi fortemente internazionalisti e liberoscambisti, al rifiuto di ogni logica di pianificazione, ed al fatto che la preservazione di un mercato efficiente viene posta come obiettivo o come vincolo di ogni politica. E’ evidente anche sul piano dei rapporti umani ed intellettuali che i maggiori esponenti dell’ESM ebbero con il mondo liberale anglosassone. Roepke, Mueller-Armack, Eucken, e molti altri ancora, furono tra i primi membri della Mont Pèlerin Society, l’associazione liberale fondata da Hayek nel 1947, insieme a Friedman, George Stigler, Frank Knight, e molti altri americani.

    6 L’ESM COME VISIONE UMANISTICA

    Confrontata sia con alcune correnti del liberalismo di stampo anglosassone, quali la Scuola di Chicago, sia con altre correnti del liberalismo continentale (come quello della Scuola Austriaca), le sue posizioni implicano senz’altro un maggior intervento della mano pubblica in economia. Il carattere liberale della ESM va però compreso valutando opportunamente due fatti fondamentali. In primo luogo, che al contrario di quanto è avvenuto per le visioni strettamente liberiste di questo secolo, l’ESM ed i suoi esponenti hanno avuto per più di un ventennio un ruolo attivo di primo piano nella formazione e nella gestione delle politiche pubbliche di un grande Paese come la Repubblica Federale Tedesca. In secondo luogo, che nello stesso periodo in Europa tutti i governi, che fossero di sinistra o di destra, seguivano esplicitamente obiettivi e politiche di stampo keynesiano, di pianificazione, di nazionalizzazione.

    Non è azzardato affermare che, dal punto di vista più generale, mentre il liberalismo anglosassone (nelle sue versioni più nettamente liberiste) tende ad assumere che la libertà individuale è una condizione necessaria e sufficiente tanto per una economia efficiente e prospera quanto per un sistema politico libero e democratico, l’ESM ritiene che vi sono delle condizione “esterne” che devono essere realizzate se vogliamo che tutto questo avvenga.
    Sul piano propriamente scientifico, la debolezza del liberalismo anglosassone è che finisce inevitabilmente per considerare tutto ciò che non è offerta e domanda di beni e servizi come un qualcosa di “esogeno” rispetto al mercato, e – soprattutto - come una “interferenza” nel suo funzionamento. Esso presuppone un’antropologia estremamente ristretta, per la quale l’individuo è visto nella esclusiva dimensione di massimizzatore di utilità attesa rispetto ad un insieme di preferenze date. In questo modo rimangono aldifuori del discorso economico sia il ruolo delle istituzioni e delle norme proprie di ogni specifica realtà sociale (e quindi di ogni specifico mercato), sia tutte le preferenze individuali ed aggregate che non corrispondono a specifici beni o servizi scambiabili nel mercato. Tipicamente, rimangono aldifuori del discorso economico tutte le preferenze per assetti distributivi del reddito o della ricchezza diversi da quelli che risultano dallo scambio di mercato effettuato sulla base dei diritti di proprietà esistenti ad una dato momento.

    Forse non è errato affermare che la principale differenza tra l’ESM ed il liberalismo anglosassone non sta negli scopi che si vogliono ottenere, ma nei mezzi da mettere in pratica per ottenerli. Non va infatti dimenticato che le stesse forme di liberalismo anglosassone considerate più “estreme”, come quella propugnata da Friedman, sono a favore di politiche redistributive come l’imposta negativa sul reddito. Di per se stessa, l’imposta negativa sul reddito corrisponde perfettamente ai principi dell’ESM. Sicuramente essa è marktconform - concetto chiave dell’ESM per valutare ogni misura di politica economica - più di quanto non lo sia un sistema previdenziale a ripartizione. Ma proposte come quelle dell’imposta negativa sul reddito si pongono comunque nella logica di separare il sistema delle relazioni di mercato dalle altre relazioni sociali, una separazione che sul piano puramente fattuale non è mai esistita in nessuna società concreta.
    L’ESM è invece una visione che sembra tenere più adeguatamente conto del fatto che l’economia capitalistica ed il mercato non esistono mai in vacuo. Capitalismo e mercato esistono perché esistono degli individui, delle persone concrete, storicamente situate, che producono e scambiano beni e servizi.
    Un sistema economico che tenga adeguatamente conto delle esigenze delle persone, dall’istruzione alla protezione dai rischi di esclusione sociale, non sarà soltanto un sistema più giusto moralmente: sarà anche un sistema economicamente più efficace.
    Proprio qui si situa lo snodo fondamentale di raccordo con la visione del microcredito. Perché il microcredito è uno strumento per inserire il maggior numero possibile di persone nel circuito virtuoso dell’economia di mercato, evitando da un lato l’esclusione sociale, e dall’altro evitando il ricorso a forme assistenzialistiche, dirigistiche e corporativistiche, che sono incompatibili con una economia prospera. Come avrebbero detto i Padri della ESM, esso è uno strumento marktconform, e quindi efficiente oltre che giusto dal punto di vista morale.
    Di più: esso è tanto più moralmente giusto quanto più è in grado di aumentare il benessere generale di una società, e quindi non deve togliere ad alcuni per dare ad altri.

    Nelle foto dall'alto in basso
    Adenauer, Erhard, Mueller-Armack, Roepke, Eucken, Maynard Keynes, VonHayek, Rustow, Friedman, Kristol
    Note
    1 Cfr. W. Eucken, Grundsaetze der Wirtschaftspolitik, Tubinga, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), 1968 (quarta edizione)
    2 A. Mueller-Armack, The Principles of the Social Market Economy, “The German Economic Review”, 1965
    3 A. M. Petroni, Comunitarismo e liberalismo, “Keiron”, 2001
    4 F. Boehm, Freiheit und Ordnung in der Marktwirtschaft, Baden Baden, Nomos, 1980

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  • MICROASSICURAZIONE IN EUROPA E NEL MONDO

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    MICROASSICURAZIONE IN EUROPA E NEL MONDO

    CRESCENTE ATTENZIONE DA PARTE DI POLITICI E STUDIOSI VERSO LA MICROINSURANCE - O ASSICURAZIONE PER I POVERI - PER LE SUE POTENZIALITÀ

    Fabrizio Santoboni* e Vittorio Schirru**

    1 La microassicurazione in soccorso degli «esclusi» dell’UE

    Le persone a basso reddito vivono generalmente in contesti caratterizzati dalla presenza di numerose alee, risultando quindi esposti alla probabilità di incorrere in eventi dannosi. Tali eventi possono essere associati al ciclo di vita di ciascun individuo, ovvero connessi a fattori economici, politici, sociali o naturali (come, ad esempio, le inondazioni ed il cambiamento climatico a cui stiamo assistendo impotenti da qualche tempo).
    I poveri non solo sono più vulnerabili ai rischi rispetto al resto della popolazione, ma risultano anche dotati di minori mezzi per far fronte agli eventi negativi ad essi associati. Del resto, non deve trascurarsi il fatto che la povertà e la vulnerabilità agli eventi dannosi sono fattori che tendono a rafforzarsi vicendevolmente, in una spirale perversa che si autoalimenta.
    A ciò si aggiunga che le persone a basso reddito affrontano i numerosi rischi cui sono esposti senza poter contare sull’accesso a strumenti di copertura dal rischio «formali», ivi compresi i prodotti assicurativi «convenzionali». Di conseguenza, diventa estremamente difficile per questa tipologia di soggetti poter gestire le spese impreviste in cui dovessero incorrere o la perdita di capacità reddituale, rendendoli altamente vulnerabili a improvvisi e imprevisti shock che possono riguardare la persona, il lavoro, il patrimonio, ecc.
    Per questi motivi, negli ultimi anni, la microinsurance – o l’assicurazione per i poveri – ha ricevuto una crescente attenzione da parte di politici e studiosi a causa della sua potenziale capacità di aiutare ad alleviare la povertà. Tuttavia, la piena affermazione della microassicurazione è ostacolata da una serie di questioni, tra cui è possibile annoverare gli elevati costi amministrativi, il limitato livello di alfabetizzazione finanziaria e di educazione alla gestione del rischio che caratterizza i potenziali destinatari.
    Tuttavia, quando si parla di microassicurazione, si è naturalmente portati a pensare a esperienze assicurative che riguardano prevalentemente paesi del nord Africa, del sud America e del sud-est asiatico, il cui comune denominatore è rappresentato dall’offerta di polizze specificamente studiate e realizzate per un target di clientela – composto sia da persone fisiche, che da persone giuridiche – a basso reddito, non in grado di accedere ai circuiti dell’assicurazione «convenzionale». D’altro canto, da quest’ultima la microassicurazione si differenzia generalmente anche per la tipologia di soggetti preposti sia alla costruzione del prodotto, che alla sua offerta, nonché per il ridotto importo del premio e, conseguentemente, della copertura offerta.
    La crisi economica cha attanaglia i paesi economicamente «sviluppati» oramai da lungo tempo ha contribuito ad acuire quella serie di problemi che atavicamente li contraddistinguono, tra cui in particolare quello delle differenze tra la parte (limitata) di popolazione «ricca» e quella (sempre più estesa) delle persone che hanno difficoltà a garantirsi un livello minimo di sussistenza.
    Da questo punto di vista, facendo leva sulle esperienze sedimentate sui versanti della microfinanza e del microcredito, sembra che i tempi siano oramai maturi per iniziare a pensare a come poter mutuare le esperienze di questi paesi «svantaggiati», dal punto di vista economico e finanziario, per individuare soluzioni idonee a soddisfare un’ampia platea di individui che rimane di fatto esclusa dai circuiti assicurativi «tradizionali» anche all’interno di quei contesti ritenuti più «maturi». Tutto ciò, in particolare, avendo come riferimento prioritario i Paesi appartenenti o candidati ad aderire all’EU, sebbene chiaramente le medesime considerazioni possano avere una valenza generale anche per altre realtà socio-economiche «sviluppate».
    Da questo punto di vista, appare opportuno un cambiamento di prospettiva, per poter guardare alla microassicurazione non più come a un fenomeno esclusivamente destinato a quella parte (che troppo spesso è rappresentata dalla quasi totalità) di popolazione «vulnerabile» che vive in contesti lontani (non solo geograficamente) da quelli dei paesi «evoluti», bensì come a una forma «alternativa» di assicurazione che, con i dovuti riadattamenti di tipo operativo e regolamentare (che la rendano «compliant» rispetto ai dettami normativi dell’UE), possa contribuire alla soddisfazione delle diverse esigenze di protezione dal rischio espresse da parte di un’ampia platea di «esclusi» non solo dai circuiti assicurativi «convenzionali» presenti nei paesi «sviluppati», ma spesso anche dai circuiti finanziari «convenzionali». Soggetti per i quali, infatti, il possesso di un adeguato «ombrello» assicurativo potrebbe non solo contribuire alla riduzione degli effetti pregiudizievoli associati al verificarsi degli eventi dannosi, ma dischiudere altresì le porte ad un più facile accesso al credito, visto che è oramai ampiamente condivisa, sia tra gli studiosi, che tra gli operatori, l’esistenza di un circuito virtuoso tra grado di copertura assicurativa, merito creditizio e accesso al credito a migliori condizioni.
    Quali sono allora i soggetti che rispondono all’identikit del potenziale sottoscrittore di una «micropolizza» all’interno dei confini UE? Tutte quelle persone che vogliano intreprendere piccole attività in proprio; i giovani senza lavoro, che non hanno la possibilità di avviarsi all’autoimpiego o alla imprenditoria e che rappresentano una urgenza sociale non più eludibile o procrastinabile nel tempo, specie in questo momento di crisi economico-finanziaria; ma, soprattutto, i microimprenditori, che rivestono un ruolo strategico per la crescita e lo sviluppo dell’economia in molti contesti europei, rappresentandone la spina dorsale e il più importante serbatoio di occupazione.
    È chiaro, esistono degli ostacoli che possono in un certo senso rendere più impervio il cammino che ci distanzia dalla piena affermazione di questo nuovo modello di «fare assicurazione» anche all’interno del contesto europeo. Come abbiamo avuto modo di sottolineare, facciamo riferimento in primis a ostacoli di natura regolamentare, che possono condizionare in maniera sensibile l’ingresso di operatori assicurativi all’interno del mercato della microassicurazione; non vanno, tuttavia, sottovalutati quelli di tipo operativo, che possono riguardare un’ampia gamma di aspetti, tra cui quelli di natura strettamente tecnica (ad esempio, la costruzione di pool assicurativi che consentano una gestione efficiente dei rischi assunti), strategica (valutare, ad esempio, l’opportunità - non solo strettamente da un punto di vista economico - di entrare o meno nel business microassicurativo), commerciale (a titolo esemplificativo, selezione dei prodotti e dei canali distributivi), organizzativa, ecc.
    Tuttavia, pur in presenza di questi elementi ostativi, è indubitabile che interrompere questo percorso oramai avviato e tornare indietro significherebbe rinunciare definitivamente agli innegabili ritorni - «sociali» e non solo - per tutti i soggetti coinvolti, sia dal lato della domanda, sia dal lato dell’offerta.

    2 La Microassicurazione in Europa e nel Mondo. Alcune esperienze internazionali

    La sempre crescente esposizione a rischi differenti da parte di soggetti diversi, indipendentemente sia dalla tipologia di attività svolta che dalla collocazione geografica, ha influenzato significativamente la domanda di protezione assicurativa che negli ultimi decenni è andata via via delineandosi, aumentando significativamente proprio al fine di soddisfare quei bisogni di tutela e garanzia derivanti dai vari contesti in cui si opera.
    Ed è proprio per tali ragioni che, unitamente al sempre crescente affermarsi della c.d. microfinanza, si è andata a sviluppare anche la branca della microassicurazione, volta ad intercettare quel tipo di esigenza.
    Originariamente la microassicurazione, di cui si intravedono le origini verso la metà degli anni 2000, ha visto incrementare la propria presenza nei paesi in via di sviluppo, dove sia operatori assicurativi già noti a livello globale, che nuovi player affacciatisi su questo mercato, hanno iniziato a operare focalizzandosi principalmente sulle classi sociali meno abbienti e più bisognose di coperture anche di entità contenuta. Nel 2007 infatti le polizze c.d. di microinsurance erano circa 80 milioni in tutto il mondo, per arrivare nel 2012 ad oltre 500 milioni, come riportato nell’ultimo report “Microinsurance Innovation Facility”, ancora in crescita negli ultimi anni.
    Per meglio comprendere il fenomeno della microassicurazione è sicuramente necessario aggiungere alle cifre sopra evidenziate, anche alcuni elementi legati alla distribuzione geografica, da cui emerge che l’80% delle coperture è concentrato nel continente Asiatico (principalmente Cina e India), e la restante parte tra America Latina (circa 15%) e Africa (5%). Gli altri paesi risultano poco impattati dal fenomeno anche se assume sempre maggior rilievo la presenza di coperture “microinsurance-like” (che potrebbero essere definite anche “iso-microriassicurative”) in aree più sviluppate, come l’Europa dove la domanda di coperture da eventi dannosi è sempre più pressante, soprattutto per quelle classi di reddito più basse le cui file tendono a infoltirsi alla luce degli ultimi anni di congiuntura economica profondamente negativa.
    Infatti, alla luce di quanto sopra descritto, si segnala che oltre 30 dei principali 50 gruppi assicurativi mondiali sono attualmente impegnati in programmi volti allo sviluppo della microassicurazione, in aree geografiche diverse e su diverse tipologie di coperture, sia nei rami tipicamente “danni e protezione” che “vita e previdenza”.
    Il contesto europeo può prendere senza dubbio spunto dalle esperienze internazionali di microassicurazione, soprattutto per quanto concerne il fenomeno del “migrant banking”, nel quale un individuo ricerca alcune coperture assicurative sia per se stesso che per il proprio nucleo familiare residente nel paese di origine. Ad esempio in Spagna la cooperativa Caixa vende sin dal 2008 prodotti a copertura assicurativa di taglio medio-piccolo, anche contro il rischio morte, principalmente rivolto ai migranti provenienti dall’America Latina e dal continente africano. Tale tipologia di prodotto assume sempre maggior importanza anche e soprattutto alla luce del duplice impatto che hanno tanto sull’economia del paese dove lavora il migrante che su quello di origine dove sono trasferiti parte dei benefici assicurativi
    Altro esempio di rilievo di approccio al fenomeno microassicurativo in Europa è rappresentato senza dubbio dai prodotti dedicati alla microimprenditoria nati in Francia grazie alla partnership locale tra il colosso assicurativo AXA, il gruppo Macif (quest’ultimo spesso orientato ad una gestione etica e solidale) e l’ADIE (“Association pour le droit à l’initiative économique”), da cui l’iniziativa ha preso forme. Tali tipologie di prodotto sono caratterizzati dal fatto di essere orientati alla microimpresa, di fornire per una durata limitata un set completo di coperture di rischio a livello individuale e imprenditoriale, con l’obiettivo di fare accedere, alla scadenza del triennio, tali soggetti ai sistemi di protezione assicurativa tradizionale da cui erano, nella sostanza, inizialmente esclusi.
    Sempre in Europa, degna di nota, è l’esperienza dell’azienda polacca Tuw Skok, che nel 2007 ha lanciato prodotti volti allo sviluppo di programmi di risparmio delle Credit Unions, verso i quali la Tuw Skok è da sempre orientata.
    Probabilmente le esperienze di Francia e Polonia sopra descritte non sono immediatamente collocabili nell’ambito della microassicurazione, ma rappresentano un tentativo di approccio alle esigenze da cui si è originato tale fenomeno, sicuramente più vicino alla realtà sociale europea, dove gli ultimi anni di congiuntura economica negativa ne hanno sensibilmente influenzato lo sviluppo.
    Si tratta sicuramente di microassicurazione quando si parla delle esperienza di Allianz, di Zurich e della “nostrana” Generali, impegnati rispettivamente in Colombia, dove il colosso tedesco fornisce copertura delle spese sanitarie a classi disagiate, vincolando ad esempio alcune cure specialistiche in determinati centri, in Bolivia dove il Gruppo svizzero supporta le microimprese nella gestione del rischio di credito, o in India dove la Compagnia del Leone, attraverso il progetto “Millennium” offre copertura assicurativa legata soprattutto a servizi sanitari, ad agricoltori e microimprenditori in regioni estremamente povere, in partenariato con istituzioni di microfinanza e social business.
    Resta ancora da trovare una chiara risposta ad alcune delle domande più frequenti che vengono a porsi relativamente ai potenziali sviluppi della microassicurazione, ovvero se sia ragionevole attendersi un incremento in un futuro prossimo della microassicurazione nelle economie europee avanzate, quale ruolo potrebbero giocare i player tradizionali e se ci sia o meno spazio per l’ingresso di nuovi operatori in tale nicchia di mercato. Alla prima domanda, visti i recenti sviluppi, l’attuale congiuntura economica e i trend macroeconomici attesi, riteniamo ragionevole affermare che la necessità di andare a coprire i bisogni assicurativi di soggetti prima non coperti, favorirà sicuramente un sempre maggior ricorso a prodotti di questo tipo. Per quanto concerne il ruolo dei player c’è sicuramente un aspetto di know-how tecnico che favorirà l’affermarsi degli operatori tradizionali, lasciando però ampi margini anche a entità nuove, di dimensioni contenute, e con una vocazione sociale, non necessariamente orientata ai tassi di rendimento attesi dal mercato (a tale riguardo si vedano le esperienza di PerMicro che ha recentemente sviluppato prodotti CPI di taglio molto contenuto, l’Associazione delle Comunità Auto-Finanziate che ha sviluppato il principio del risparmio comune volto alla creazione di un fondo di assicurazione che consente di far fronte a bisogni estemporanei di liquidità degli appartenenti alla comunità, oppure Planet Guarantee, broker assicurativo registrato che ha a iniziato a sviluppare prodotti microassicurativi associati al microcredito per coprire il rischio di default).

    ABSTRACT
    Microinsurance for «uncovered» populations in the EU
    Microinsurance is a special type of insurance that regards mainly developing countries, in particular some countries in the northern Africa, south America and south-east Asia.
    The common feature of these experiences is represented by the offer of insurance policies specifically designed and tailored for both low-income individuals and micro and small enterprises, which are not able to access to the «formal» insurance.
    However, as successfully tested in some developed countries, there are the appropriate conditions for starting similar experiences in Member States of the EU and in some countries on the road to EU membership. At the same, there are some elements - in particular, legislative elements - that may hinder the full deployment of this «new» type of insurance, but it must be emphasized that the microinsurance can bring benefits to all parties involved, both supply and demand side.
    Microassicurazione in soccorso degli «esclusi» UE
    La microassicurazione è una particolare tipologia di assicurazione che riguarda prevalentemente paesi «in via di sviluppato» del nord Africa, del sud America e del sud-est asiatico. L’aspetto comune di queste esperienze è rappresentato dall’offerta di polizze specificamente studiate e realizzate per un target di clientela - composto sia da persone fisiche, che da persone giuridiche - a basso reddito, che non è in grado accedere ai circuiti dell’assicurazione c.d. «standard».
    Tuttavia, come sperimentato con successo anche in paesi «sviluppati» dal punto di vista economico, vi sono oramai le condizioni adeguate per l’avvio di esperienze analoghe anche nei Paesi appartenenti o candidati ad aderire all’EU. Ovviamente, esistono elementi - in particolare di natura legislativa - che possono ostacolare la piena affermazione di questo nuovo modello di assicurazione, ma è innegabile che la microassicurazione è foriera di ritorni («sociali» e non solo) per tutti i soggetti coinvolti, sia dal lato della domanda, sia dal lato dell’offerta.
    Microinsurance in Europe and in the World. Some international experience
    Microinsurance has been increasing in last decade finding a relevant growth especially in those developing Countries and emerging Geographic areas where insurance needs are slowly assuming an defined shape for people approaching for the very first time to a very small enterprise experience, with the strong necessity to be covered from certain kinds of risks.
    That is the main reason why Microinsurance is mainly concentrated in Asia (mostly India and China, with aobut 80% of contracts), Latin America (15%) and Africa (5%).
    Even if the western Countries (“the rest of the world”) appear not relevant in those statistics, we must consider that those countries are often the place that people from emerging areas reach to find a better life, also for relatives still living in the native countries.
    In fact, is mainly looking at those type of needs that, i.e. Caixa (Spain) and Axa-Macif (France) started selling policies in order to cover some migrant risks.
    Furthermore, some of the most relevant world’s insurance player, such as Allianz, Zurich and Generali, have recently launched their experience in support Microinsurance in certain emerging Areas, such as Columbia, Bolivia and India.

    < >* Fabrizio Santoboni, PhD, Professore Aggregato di Economia e Gestione delle Aziende di Assicurazione “Sapienza” – Università di Roma.
    < >** Vittorio Schirru, PhD, Dottore Commercialista, Revisore Contabile
    < >

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  • MICROASSICURAZIONI NELL'UNIONE EUROPEA

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    MICROASSICURAZIONI NELL'UNIONE EUROPEA

    SULLA SCIA DEL SUCCESSO DI PAESI IN VIA DI SVILUPPO COME INDIA E BANGLADESH

    Nicola Pes*


    l microleasing, la microassicurazione e l’housing microfinance fanno parte di quell’insieme di prodotti e servizi di microfinanza studiati per un target di soggetti (microimprese o persone fisiche) che si trovano in condizioni di disagio socio-economico e che manifestano difficoltà di accesso al sistema finanziario tradizionale1. L’offerta di microfinanza, non più limitata alla sola attività di microcredito, rappresenta un’importante innovazione nell’ambito delle iniziative di inclusione finanziaria, che vede coinvolti tanto gli operatori del mercato (intermediari finanziari ed enti non-profit) quanto i soggetti pubblici preposti alle politiche di welfare e di sviluppo territoriale (Ministeri, regioni, enti locali).

    Nonostante si sia abituati a considerare la microfinanza come un fenomeno che interessa prevalentemente i Paesi in via di sviluppo (si pensi, ad esempio, al successo della microassicurazione in paesi come l’India o il Bangladesh) nelle economie sviluppate si va diffondendo negli ultimi anni una crescente sensibilità verso prodotti/servizi come il microleasing, la microassicurazione, il microrisparmio e il microcredito per il settore abitativo (housing microfinance), che vengono approcciati con un’ottica moderna e di tipo integrato, cioè con il coinvolgimento di una pluralità di soggetti pubblici e privati. Nelle economie avanzate si possono trovare casi di successo.
    Tra le esperienze europee maggiormente consolidate va citata quella francese, sistematicamente monitorata dalla Banque de France, che ha istituito un apposito “Osservatorio della Microfinanza” i cui Report vengono pubblicati ogni due anni2 e ha promosso una serie di qualificati dibattiti sulla materia, come quello organizzato a Parigi nel luglio 2011 per fornire un contributo ai lavori del G20 dedicati all’inclusione finanziaria3. In tale occasione, circa quaranta personalità di tutti i continenti e appartenenti a diverse organizzazioni (banche centrali, banche, organismi internazionali, ONG, investitori, ecc.) si sono confrontati sulle esperienze dei paesi del Sud e di quelli del Nord rimarcando l’opportunità di definire una regolamentazione del fenomeno coerente con le caratteristiche di ciascun paese.
    In particolare, il dibattito ha messo in luce la necessità di allargare gli strumenti microfinanziari a una gamma di servizi e prodotti diversificati al fine di rispondere all’insieme delle necessità espresse dalle microimprese con problemi di accesso al credito o da altri soggetti in difficoltà economica. Inoltre, al di là dell’offerta finanziaria in quanto tale, è stata sottolineata l’importanza che le istituzioni di microfinanza siano fisicamente vicine ai beneficiari, che vengano attivate relazioni di tipo personale, che venga ricercata una certa flessibilità operativa, che siano introdotti servizi d’accompagnamento alla microfinanza e, soprattutto, l’importanza di inserire strumenti di microfinanza nelle politiche pubbliche di lotta all’esclusione sociale e finanziaria, al fine di realizzare un modello di crescita sostenibile.
    Su queste linee direttrici si è mosso anche il progetto Capacity Building che l’Ente Nazionale per il Microcredito sta sviluppando in Italia per le regioni dell’Obiettivo Convergenza, a valere sul cofinanziamento del Fondo Sociale Europeo, realizzando approfondimenti di particolare spessore scientifico e promuovendo dibattiti che hanno coinvolto anche i principali players del mercato tra cui, sul comparto assicurativo, le imprese assicurative e l’Ania.
    In questo numero di “Focus Europa” illustreremo quindi come e perché le micropolizze, nate e proliferate nei paesi in via di sviluppo, emergono oggi come prodotti utili a dare, insieme al credito, sostegno all’impresa anche negli Stati membri dell’UE.
    In assenza di una specifica disciplina normativa nazionale che ne consenta una definizione univoca4, il fenomeno della microassicurazione può essere inquadrato all’interno delle linee guida emanate a livello internazionale dall’International Association of Insurance Supervisors (IAIS)5. Al riguardo, viene sottolineato come secondo lo IAIS la microassicurazione non deve considerarsi come un’attività diversa da quella dell’assicurazione standard, se non per quanto riguarda la ridotta dimensione del premio da corrispondere, la ridotta copertura offerta e la tipologia dei soggetti destinatari, che vengono qualificati come soggetti a basso reddito”. Per il resto, lo IAIS non deroga da quelle che sono le regole già previste per l’assicurazione tradizionale.
    Se dunque si tratta, come nel caso del microcredito, di polizze rivolte ai cosiddetti «esclusi» dai circuiti finanziari tradizionali, i possibili destinatari sono individuati nei microimprenditori con difficoltà di accesso al credito, al cui interno possono trovare accoglienza anche gli immigrati, i neolaureati, i giovani che vogliono intraprendere un’attività imprenditoriale, ma anche le persone impegnate ad esempio in lavori domestici, alle quali una piccola polizza assicurativa consentirebbe di dare una maggiore connotazione di imprenditorialità alla propria attività.
    Sul lato dell’offerta, al contrario, i soggetti coinvolti in questo tipo di business sono le compagnie di assicurazione tradizionali e tra queste, forse, quelle che hanno una maggiore vocazione agli aspetti mutualistici. E poi le banche, che sono uno dei soggetti coinvolti anche nell’offerta del microcredito e, chiaramente, le istituzioni di microfinanza. In linea di principio, se la microassicurazione rientra nell’ambito della cornice regolamentare delle polizze tradizionali, i canali distributivi sono necessariamente quelli specificamente indicati all’interno del Registro Unico degli Intermediari assicurativi e riassicurativi.
    Per quanto riguarda l’oggetto della microassicurazione, non si ravvisano prodotti che, in linea di principio, non possano rientrare nel novero dell’offerta di micropolizze.
    Al riguardo, tuttavia, si può anche osservare che i presupposti del microcredito sono alquanto diversi da quelli della microassicurazione: innanzitutto perché il concetto di non bancabilità non coincide con il concetto di non assicurabilità (ad esempio, una persona pienamente solvibile ma gravemente malata difficilmente viene assicurata); in secondo luogo perché le assicurazioni lavorano con inversione del ciclo produttivo, nel senso che la prestazione viene erogata, in caso di sinistro futuro incerto, solo dopo il pagamento del premio.
    Tra le principali criticità, c’è il fatto che non ci sia ancora una regolamentazione sulla microassicurazione, come è per il microcredito, crea sicuramente delle incertezze e delle complessità per gli operatori. Inoltre, è necessario che le compagnie assicurative abbiano a disposizione tutta una serie di informazioni, mettendole a fattor comune tra coloro che partecipano al business microassicurativo. Occorrerebbe, infatti un contesto di riferimento definito, contesto nel quale l’impresa di assicurazione possa accedere alle informazioni alle quali oggi è impossibilitata ad accedere
    Il workshop “Microfinanaza e nuova programmazione 2014-2020”, promosso dall’Ente Nazionale per il Microcredito – progetto Capacity Building – tenutosi a Roma il 7 aprile 2014 presso gli Uffici del Parlamento Europeo, ha segnato una tappa rilevante nel dibattito nell’UE sulla materia.
    Dall’incontro, rispetto al tema della microassicurazione, si riscontra un diffuso interesse, sia presso gli operatori del settore sia presso gli studiosi della materia assicurativa, circa la possibilità di definire un pacchetto di micropolizze volte a favorire l’inclusione finanziaria di determinate categorie di soggetti. A tal fine, peraltro, occorre tener conto dei seguenti fattori ritenuti di fondamentale importanza per lo sviluppo del comparto microassicurativo:6
    1. è necessario ottimizzare:
      a) i costi amministrativi relativi alla stipula delle polizze;
      b) i costi liquidativi nel momento in cui si viene a verificare un sinistro;
      c) i costi di intermediazione.
      Infatti, in un futuro mercato delle microassicurazioni, i costi di amministrazione e di liquidazione relativi ad una micropolizza (valutazioni di adeguatezza, dichiarazione attinente alla privacy, dichiarazioni attenenti alla vigilanza dell’IVASS) sarebbero equivalenti a quelli di una polizza standard (Negri, Ania);
    2. è opportuno pervenire a una forma di stipula collettiva delle micropolizze, che consentirebbe di raggiungere un maggior numero di soggetti in un tempo più breve e di ottimizzare i costi di cui sopra (Negri, Ania; Santoboni, Sapienza);
    3. le imprese assicuratrici devono essere messe in condizione di accedere a informazioni ampie e dettagliate che consentano loro di valutare approfonditamente rischio e merito assicurativo nella fase di analisi preassuntiva (Negri, Ania; Santoboni, Sapienza). Sarebbe auspicabile che tali valutazioni fossero effettuate da soggetti terzi qualificati, poiché ciò si tradurrebbe in un importante risparmio per le imprese assicuratrici (Negri, Ania);
    4. le criticità sia dal lato della domanda che sul lato dell’offerta possono essere in gran parte superate attraverso un approccio integrato microassicurazione/microcredito che associ gli aspetti tecnici delle micropolizze a quelli dei microfinanziamenti (F. Palermo, FeBAF);
    5. una maggiore formazione ed educazione finanziaria, quindi una maggiore consapevolezza dell’imprenditore sui rischi connessi alla propria attività, indubbiamente consentirebbe di incrementarne il merito creditizio e, pertanto, dovrebbe anche determinare la revisione verso il basso dell’ammontare del premio (Santoboni, Sapienza; F. Palermo, FeBAF).
    Negli interventi che seguono Santoboni ci fornisce un approfondimento tecnico, Schirru illustra alcune best practice sviluppate in diversi Stati membri dell’UE e Petrocca presenta un breve focus sugli aspetti regolamentari.

    Note
    * Presidente Commissione Microcredito, credito al consumo, fondi strutturali presso ANSPC (Associazione Nazionale per lo Studio Dei Problemi Del Credito). Direttore presso Capacity Building per la PA (capacitybuilding.it)
    1 Secondo la definizione fornita dall’ONU, la microfinanza “si riferisce a prestiti, risparmi, assicurazioni, servizi di trasferimento, prestiti di microcredito e altri prodotti finanziari destinati a clienti a basso reddito”. Sulla base di un’altra definizione di carattere più generale, formulata da una studiosa italiana (L. Viganò, 2004), la microfinanza consiste nella “promozione e diffusione di forme di intermediazione finanziaria a favore di segmenti di mercato marginali, difficili da servire in modo efficace attraverso canali e modalità tradizionali di contatto con la clientela, per le caratteristiche dimensionali, di struttura reddituale o per carenze di carattere informativo”.
    2 Banque de France,“Rapport annuel de l’Observatoire de la microfinance”. Ultima edizione: Exercice 2012.
    3 Banque de France, “Colloque international sur la Microfinance”, luglio 2011.
    4 Dal punto di vista della normativa nazionale non esiste, allo stato, una definizione univoca della microassicurazione dal momento che tale fattispecie non trova collocazione in una cornice regolamentare, a differenza di quanto avviene per il microcredito. Infatti, mentre per il microcredito è possibile effettuare un esplicito rinvio a quanto previsto dall’art. 111 del Testo Unico Bancario, spostando l’attenzione al Codice delle Assicurazioni non si individua alcun riferimento.
    5 IAIS - International Association of Insurance Supervisors: “Issues in regulation and supervision of microinsurance”, June 2007, pag. 10. Vedi anche www.irsa.it/get_file.php?id=14420.
    6 Si riportano i principali elementi emersi nel dibattito tra i professionisti che hanno partecipato al workshop.

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  • MICROCREDITO DONNA, BELLA IMPRESA!

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    MICROCREDITO DONNA, BELLA IMPRESA!

    Progetto Microcredito Donna, a seguito degli interventi di informazione e diffusione dello strumento e della successiva azione di orientamento al microcredito, ha raggiunto la sua fase di sperimentazione sul campo attraverso la realizzazione di un progetto pilota nel territorio della Regione Lazio.

    A partire dall’aprile del 2012, l’ENM ha iniziato un lavoro teso a individuare e superare i principali ostacoli che le donne incontrano per chiedere e ottenere credito e finanza per le loro microimprese. Il primo passo è stato dunque quello di costruire un network di attenzione verso la tematica, grazie a un ciclo di incontri che ha visto la partecipazione di 25 rappresentanti dell’associazionismo femminile, da storiche sigle come l’UDI e il CIF, a quelle più recenti come SNOQ (Se non ora quando) oltre a istituti finanziari con finalità specifiche.

    Il risultato di questo lavoro ha indicato inequivocabilmente che ancora oggi le donne che intendono fare impresa si trovano di fronte a ostacoli riconducibili alle differenze di genere e principalmente all’informazione, alla formazione e all’attivazione di prodotti di mitigazione del rischio. Sul primo tema abbiamo realizzato una campagna istituzionale con il supporto Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dal titolo “Riparti da te”, attraverso un video informativo e di sensibilizzazione che è stato trasmesso sulle reti RAI e attualmente visibile sul sito www.microcreditodonna.it o scaricabile su you tube. Lo spot mira a far conoscere lo strumento del microcredito per creare impresa e occupazione basandosi sulle proprie conoscenze, attività, esperienze e attraverso dei prestiti che chiedono come garanzia una progettualità sostenibile e non garanzie reali.

    La campagna, presentata presso la sala stampa della Presidenza del Consiglio dei Ministri insieme al Ministro del Lavoro e proseguita sulla carta stampata ed il web, ha portato migliaia di cittadine a rivolgersi al nostro team, per ricevere le informazioni necessarie ad inoltrare la propria proposta progettuale alle istituzioni di microcredito attive nei propri territori d’appartenenza. Le indicazioni fornite sono rese disponibili grazie alla banca dati del “Progetto Monitoraggio”, nato da un accordo tra la Direzione generale del Mercato del lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’Ente Nazionale per il Microcredito che ha l’obiettivo generale di costruire un sistema di monitoraggio e valutazione dei programmi di Microcredito in corso in Italia.

    Proseguendo la rotta indicata dal network MicroCreditoDonna, in considerazione necessità di rafforzare l’offerta di microcredito e microfinanza attualmente disponibile sul mercato, come confermato dalle oltre 12.000 richieste di orientamento al credito ricevute sul nostro sito www.microcreditodonna.it, abbiamo voluto mettere in campo un programma di erogazione di microcredito, il “Progetto pilota MicroCreditoDonna”, rivolto alle donne disoccupate o inoccupate della Regione Lazio ma anche a quelle attività imprenditoriali che intendano avviare progetti di microimpresa impiegando personale femminile.

    Il Progetto Pilota, ha il preciso intento di trasformare i nostri modelli finanziari e gli schemi operativi in un’attività concreta che possa essere misurabile e replicabile da tutte le amministrazioni Pubbliche, private e del terzo settore. Uno strumento finanziario che consenta loro di attivare o anche partecipare al fondo di garanzia ampliando in tal modo l’area territoriale dell’intervento.

    Un approccio metodologico che pone al centro l’attenzione la persona e che porta ad accogliere, ascoltare e accompagnare coloro che si rivolgono alle istituzioni di microcredito, per tutta la durata del finanziamento. Proprio seguendo questo approccio, in partnership con la BCC di Roma, Unioncamere, abbiamo realizzato come prologo del Progetto pilota del Lazio, un corso di orientamento all’imprenditoria che potesse contribuire fattivamente alla diffusione della cultura d’impresa. Riteniamo infatti fondamentale poter acquisire quelle conoscenze di base utili a trasformare un’idea imprenditoriale in un’impresa reale. In questo modo abbiamo voluto inserire l’orientamento all’impresa tra i servizi ausiliari di carattere non finanziario, vale a dire tra le fondamenta essenziali per buon progetto di microcredito.

    Alcune, tra le 300 partecipanti alla formazione, hanno rinunciato al proprio progetto d’impresa. Un’idea spesso affascina ma va portata alla verifica delle sue reali possibilità di successo. Ecco perché questo dato, pur spiacevole, ci ha fornito la misura del lavoro che stavamo svolgendo. Un’azione che ha evitato loro di inoltrarsi su di un percorso che la avrebbe portate a un peggioramento della loro condizione di vita. Il progetto Pilota è attualmente accessibile solo alle donne residenti nella Regione Lazio tramite http://www.microcreditodonna.it/. Le utenti interessate dovranno compilare un form inserendo pochi e semplici dati in maniera tale da realizzare un ordine cronologico delle richieste. Saranno successivamente contattate dal nostro personale specializzato che le condurrà in un percorso di accompagnamento e di assistenza tecnica per consentire di valutare la reale sostenibilità della proposta e in caso positivo, di finanziarla.

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  • MICROCREDITO IN PERIFERIA

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    MICROCREDITO IN PERIFERIA

    Cultura e sport nelle periferie, terreno di coltura del microcredito.

    Microcredito: strumento di emancipazione e affermazione della dignità umana grazie al quale persone che vivono condizioni di marginalità possono sperimentare piccole iniziative lavorative. Le condizioni di marginalità, sempre più diffuse a causa della persistente crisi economica, sono particolarmente evidenti nelle periferie delle città, per tanto (troppo) tempo abbandonate al loro destino dalla miopia dell’intervento pubblico poco incline a interventi di promozione sociale in aree a scarsa “visibilità politica”. Una aberrazione oggi, fortunatamente, superata visto che l’attenzione alle “aree di cinta” è presente, sia pur a macchia di leopardo, in molte amministrazioni locali che ne hanno colto il fattore umano, sforzandosi di guidare le potenzialità di crescita.

    Cultura e sport, “aggregatori umani” per definizione, possono diventare strumenti di emancipazione e di crescita, anche economica, laddove sia data l’opportunità di gestire alcuni contenitori - penso ai teatri o ai centri sportivi - alle migliori energie in ciò sostenute anche dal microcredito.

    Il credito sociale può favorire più compiutamente virtuosi processi di sviluppo ove sia strettamente legato al territorio. La declinazione del “microcredito di periferia”, calibrato sulle specificità di ognuna di esse, restituisce protagonismo a quei soggetti che, altrimenti, non avrebbero la possibilità di sperimentare nulla nella sordità delle istituzioni finanziarie. In ragione della prossimità con i luoghi delle marginalità, il ruolo dei comuni e delle municipalità diverrebbe essenziale nell’individuare, guidare e garantire l’attivazione delle microeconomie locali generate dal credito etico.

    Nondimeno si tratterebbe di fondi a perdere poiché l’essere l’iniziativa attivata dagli stessi abitanti del quartiere, i quali intendono così offrire un servizio ai luoghi in cui essi stessi vivono, è garanzia, o quanto meno forte stimolo, di continuità dell’intrapresa, quindi di restituzione del finanziamento. Su questo terreno la cultura e lo sport vanno letti come esperienze singole ma anche come momenti di condivisione, di benessere e di creazione di legami con i luoghi nei quali si vive. Del resto come non riconoscere valore sociale e di riscatto alla riattivazione di un cinema o di un teatro dismessi in una periferia.

    Come obliterare l’importanza di una palestra nei quali la pratica dello sport sia intesa, insieme, come benessere fisico, competizione sana e costruzione dello spirito di gruppo. E’ di tutta evidenza che il microcredito si attaglia a un ampio catalogo di azioni; l’aver posto attenzione alla gestione dei contenitori culturali e sportivi, non fosse altro per la novità, è legata allo spessore dei legami che quelle attività genererebbero per essere promosse da alcuni abitanti delle periferie a beneficio di tutte le genti che quei luoghi li vivono.

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  • MICROCREDITO PER MIGLIORARE

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    MICROCREDITO PER MIGLIORARE

    Un italiano su tre non ha accesso alle banche e solo il 5% ha ottenuto un credito Il microcredito può essere uno strumento per realizzare una migliore distribuzione della ricchezza in tutto il mondo dal Sudest asiatico fino all’Italia. “Oggi l’1% della popolazione mondiale possiede la metà delle risorse disponibili; mentre la metà più povera ha accesso ad appena l’1% della ricchezza.” Queste le parole con cui la Presidente della Camera dei Deputati, on. Laura Boldrini, ha aperto, lo scorso luglio, la lectio magistralis tenuta da Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace (ottenuto insieme alla sua Grameen Bank, nel 2006), sul social business. Una situazione che, a suo avviso, non potrá reggere a lungo e che rende l’imprenditoria sociale “un’idea semplice e rivoluzionaria”, che ha consentito “a milioni di persone di uscire della povertà”, attraverso i prestiti di piccola entità concessi sulla fiducia. La Presidente ha poi fatto riferimento alla situazione italiana, giacché “anche nel nostro Paese c’è un enorme potenziale bacino d’utenza per il microcredito.

    Oggi, un italiano su tre non ha accesso alle banche e solo il 5% ha ottenuto un credito. Dunque, bisogna fare di più per rilanciare strumenti finanziari inclusivi come il microcredito”. Secondo la presidente della Camera, il Parlamento “può giocare un ruolo importante” rimuovendo gli ostacoli che impediscono una piena attuazione della legge: “nelle prossime settimane – ha sottolineato la Boldrini - cercherò di favorire un tavolo di confronto che possa coinvolgere governo, commissioni parlamentari competenti ed esperti in materia”. In Italia, la regolamentazione del microcredito è molto recente (del 2006, 30 anni dopo la creazione della Grameen Bank! Che ha fatto da apripista e solo negli ultimi anni grazie alla nascita dell’Istituto Nazionale del Microcredito si iniziano a conoscere gli strumenti che prima erano pochi e poco conosciuti ai più (una rete di onlus in diverse città e/o provincie e alcuni istituti finanziari). E tutto ciò, malgrado la crisi economica, il forte incremento che ciò ha significato per le richieste di piccoli prestiti (soltanto nel 2012, i prestiti erogati sono aumentati del 30%, secondo l’Ente Nazionale per il Microcredito) e la diversa idea di base tra il microcredito della Grameen Bank e quello che si concede nel nostro Paese: in Italia, in effetti, il microcredito viene inteso come il credito di piccolo ammontare, destinato a coloro che sono esclusi dal settore finanziario formale. Rimane però sempre la concessione del credito al singolo individuo. È nella forma di concessione del credito che si rende veramente rivoluzioniaria l’idea di Yunus: tutto gira intorno alla cosidetta “garanzia solidale”.

    Ciò implica che il credito si concede alle due persone più povere di un gruppo di cinque persone, riunitesi per chiedere lo stesso; gli altri tre individui non ricevono il loro prestito fintantoché le due prime persone non hanno provveduto alla restituzione dello stesso. Si crea così una rete di appoggio-pressione: se uno non paga, tutti perdono la possibilità di accedere a nuovi aiuti. Ciò ha reso il tasso di restituzione dei microcrediti della Grameen Bank superiore al 97%. Questa altissima percentuale di restituzione proviene anche da un’altra osservazione rivoluzionaria di Yunus: inizialmente, si previde che i prestiti venissero concessi, in identica misura, a uomini e donne, ma con l’avanzare del progetto si osservò una notevole differenza in favore delle donne, attualmente destinatarie del 90% dei microcrediti, Il tasso di restituzione non varia da un sesso all’altro, ma le donne, a differenza degli uomini, non tendono a soddisfare I propri bisogni per primi, bensì quelli familiari, seguiti da quelli domestici e di altro ordine. D’altronde ciò combacia molto bene sia con il compromesso della Grameen Bank nella lotta per la liberazione della donna che con l’accettazione dei 16 princìpi (non obbligatori) del microcredito, che fanno riferimento a tutta una serie di comportamenti, destinati a permettere (o quantomeno a favorire) di uscire dalla povertà, i destinatari dei prestiti: dalla scolarizzazione dei figli alla coltivazione di vegetali o al bere soltanto l’acqua canalizzata; il tutto passando per la consegna di un telefono cellulare, perché le nuove tecnologie permettono ai poveri di accedere alla società dell’informazione, con le importanti conseguenze che ciò implica per lo sviluppo della persona.

    La vera rivoluzione di Yunus è stata la realizzazione di un’istituzione come la Grameen Bank, capace di innescare un sistema economico funzionante sulla base di princìpi lontani e diversi da quelli che impone il capitalismo, e renderla, contemporaneamente, portatrice di valori etici e filantropici.

    In questo senso, lui stesso si è sempre reso disponibile all’entrata nel mondo del microcredito delle grandi istituzioni finanziarie, ma ha manifestato pure il suo timore a trasformare questi prestiti in un collaudato meccanismo che favorisca il lucro, in detrimento delle opere sociali che dovrebbero stare alla base del concetto di microcredito. Ed è proprio in questo senso che le parole della nostra Presidente della Camera assumono una particolare importanza: governo, commissioni parlamentari ed esperti dovrebbero fare di più per rilanciare questo strumento finanziario e permettere una sua piena attuazione. Tenendo anche presente, però, l’aspetto non prettamente economico della questione. Perché è lì che risiede la rivoluzionarietà del microcredito.

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  • NON DAC DONORS. PROBLEMA TRASPARENZA

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    NON DAC DONORS. PROBLEMA TRASPARENZA

    < >

    < >Obiettivo di questo articolo è analizzare la questione riguardante la disponibilità di informazioni nell’ambito dell’aiuto NON-DAC,

    <>in altri termini cercheremo di far luce sulle modalità di trasmissione delle informazioni da parte dei principali donatori non occidentali cercando di capire se negli ultimi anni si stiano compiendo dei progressi in merito.
    <>Senza l’accesso a dettagliate, trasparenti e tempestive informazioni è impossibile riportare l’esatta dimensione dell’aiuto, da quale parte proviene, dove sia diretta e in quali tempi. L’incapacità di rispondere a queste semplici domande tende a limitare la capacità di valutare l’impatto degli aiuti. Tra le iniziative a favore dello sviluppo di una perfetta informazione è opportuno sottolineare la presenza dell’International Aid Trasparency Initiative (IATI)1.
    <>Generalmente, i dati relativi all’azione dei NON-DAC donors sono considerati limitati e di difficile accesso, in quanto non soggetti agli stessi obblighi riguardo l’elaborazione delle informazioni che ricadono, invece, sui membri del DAC. Nonostante ciò, nel corso degli anni, molti donatori non occidentali si rivolgono alle banche dati OCSE/DAC per riportare i propri dati. A tal proposito i passi più importanti sono stati fatti dagli Emirati Arabi Uniti che nel 2010 hanno visto riportare i loro dati separatamente rispetto al database generale dei donatori arabi. Gli Emirati Arabi Uniti hanno compiuto sforzi significativi per rendere gli aiuti più visibili. Nel 2008 è stato istituito l’ “Office for the Coordination of Foreign Aid” (OCFA) un organismo indipendente per sostenere la realizzazione e l’attuazione dello sviluppo degli aiuti umanitari e di sviluppo degli Emirati Arabi Uniti2, anche retroattivamente, per analizzare e segnalare ogni flusso di aiuto proveniente dagli Emirati Arabi Uniti dal 1971.3
    <>D’altra parte, non è possibile ottenere una cifra precisa riguardo i flussi di aiuti allo sviluppo dei donatori NON-DAC, mentre ancora più difficile risulta essere l’elaborazione dei dati riguardo gli aiuti umanitari. Per colmare tali lacune occorre far riferimento ai dati riportati dall’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) delle Nazioni Unite e del già citato Financial Tracking Service (FTS) che nel 2009 raccoglieva informazioni direttamente da 90 donatori NON-DAC. Nonostante questi notevoli sforzi, il FTS non può intercettare tutti i flussi di aiuto in quanto basato essenzialmente su relazioni volontarie fatte dai donatori stessi. Si ritiene, infatti, che i contributi di aiuto di alcuni donatori non-DAC siano in realtà di gran lunga superiori ai livelli segnalati.4
    <>Recentemente, sono stati intrapresi notevoli sforzi per il raggiungimento di una sempre più completa informazione sui flussi di aiuti umanitari e di assistenza allo sviluppo anche da parte dei canali ufficiali OCSE/DAC.5
    <>Negli ultimi anni risulta importante l’impegno per il raggiungimento di una sempre maggiore trasparenza sia da parte dei donatori non occidentali stessi che da parte delle organizzazioni occidentali governative e non per fronteggiare questa problematica cruciale. A riguardo il programma del Global Humanitarian Assistance (GHA) identifica in tre livelli disposti in ordine piramidale/gerarchico i tre modi possibili di relazionare i dati relativi ai flussi di aiuto umanitario e di assistenza allo sviluppo da parte dei donatori NON-DAC. Questa iniziativa mira a rendere quanto più graduale l’avvicinamento di questi donatori verso forme più complete di trasparenza. Alla base della piramide abbiamo rapporti annuali da pubblicare in qualsiasi formato sia esso un rapporto annuale cartaceo, in pdf oppure su un sito ufficiale; il passo successivo sarebbe quello di fornire rapporti annuali ben catalogati ed elaborati in fogli Excel mentre in cima alla piramide si potrà raggiungere l’obiettivo finale di raccogliere tutti i dati dei flussi di aiuti umanitari e di assistenza allo sviluppo mediante un modello di riferimento cui attenersi in nome di uno standard comunemente accettato e condiviso.
    <>

    < >
    Note
    < >1 L’International Aid Trasparency Initiative è stata lanciata nel settembre 2008 ad Accra, Ghana. Si tratta di un’iniziativa multi-stakeholder, che ha riunito i donatori, i governi dei paesi in via di sviluppo, la società civile ed esperti di aid information per concordare un aperto e comune standard internazionale per la pubblicazione di maggiori, e qualitativamente migliori, informazioni sugli aiuti. Lo standard è stato approvato nel febbraio 2011, e una varietà di organizzazioni hanno iniziato la pubblicazione dei dati relativi ai loro progetti in linea con lo standard IATI. (iatistandard.org)
    < >2 Nel 2009 gli Emirati Arabi Uniti hanno stanziato 138.9 milioni di dollari in aiuti umanitari bilaterali, attestandosi al 15° posto nella classifica dei più grandi donatori governativi che hanno fatto rapporto al DAC in quell’anno. I primi cinque beneficiari degli aiuti umanitari degli Emirati Arabi Uniti nel 2009, sono apparsi anche tra i primi dieci destinatari per ODA. Nel 2009, il Pakistan ha ricevuto la più alta percentuale, il 67% (89,5 milioni dollari), seguita dalla Palestina/OPT, con il 20% (27,2 milioni dollari) e Yemen, 4% (5,2 milioni). Questi dati sullo stanziamento di aiuti umanitari degli Emirati Arabi Uniti dimostra ancora una volta il sostegno rivolto ai paesi arabi - sei dei primi dieci beneficiari. (globalhumanitarianassistance.org)
    < >3 Kerry Smith, The United Arab Emirates reports to the DAC: one step closer to better aid information?, Global Humanitarian Assistance, 2010
    < >4 Kerry Smith, Non-DAC donors and the transparency of aid information, Global Humanitarian Assistance, 2011
    < >5 Per approfondire: Improving DAC transparency: Progress to date and possible future directions, Development Assistance Committee, Meeting 3, Dicembre 2013

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  • SETTEBELLO ITALIANO

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    SETTEBELLO ITALIANO

    Il Belpaese si candida al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il biennio 2017/2018

    L’Italia ci riprova e mette in campo ogni mezzo per portare a casa la settima elezione come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza per il biennio 2017-2018. A distanza di 8 anni dal precedente mandato il Belpaese vuole tornare ad essere protagonista sullo scacchiere internazionale con un impegno formale a favore del multilateralismo. Le motivazioni per la candidatura sono molteplici e rigorose, tra i primati a favore della nazione il Governo ha sottolineato che siamo il sesto contributore al bilancio delle Nazioni Unite; il primo contributore occidentale di caschi blu ed il nono in termini assoluti; inoltre il nostro impegno a favore dei diritti umani, con le iniziative contro la pena di morte, contro la violenza nei confronti delle donne e a difesa dell’infanzia ed in particolare dei bambini soldato ci pone all’avanguardia tra i Paesi impegnati in questo settore; il nostro impegno politico nel trovare soluzioni durevoli nelle aree di crisi, dall’Afghanistan al Medio Oriente alle crisi africane, è ulteriore testimonianza della nostra volontà di diffondere e difendere quei valori che sono alla base delle Carta delle Nazioni Unite. La candidatura italiana è infine coerente con la nostra azione a favore di una riforma del Consiglio di Sicurezza in senso più democratico e rappresentativo. L’Italia ha sempre sostenuto che l’unica strada per garantire questi principi sia quella dell’elezione1. La diplomazia nazionale è già all’opera per sostenere la candidatura contro gli altri due Paesi del nostro gruppo regionale: Svezia e Paesi Bassi. L’Italia, tra l’altro, si è fatta più volte portavoce della necessità di una riforma in seno al consiglio di sicurezza con l’idea anche di istituire seggi di più lunga durata, o semipermanenti. Ora, però, la necessità è quella della creazione di un consenso intorno alla propria candidatura a un seggio come membro non permanente. Una vetrina importante sicuramente è offerta dall’Esposizione universale che si terrà a Milano nel 2015. L’obiettivo primario, che passa essenzialmente per la collaborazione, costante e instancabile, con i partners internazionali, è comunque quello di rendere il godimento dei diritti fondamentali una realtà globale. A quasi vent’anni dall’inizio del dibattito sulla riforma del Consiglio di Sicurezza permangono due visioni sostanzialmente divergenti tra i 193 stati membri delle Nazioni Unite, in particolare in riferimento all’istituzione di nuovi seggi permanenti. Una parte della comunità internazionale non ritiene che l’istituzione di nuovi seggi permanenti in Consiglio di Sicurezza risponda agli interessi della comunità internazionale e sia suscettibile di migliorare la funzionalità complessiva del Consiglio. Se la condizione degli attuali membri permanenti trova una spiegazione nelle particolari circostanze storiche che hanno portato alla fondazione delle Nazioni Unite, non sarebbe giustificabile una nuova stratificazione gerarchica della comunità internazionale, con la definizione di posizioni privilegiate non soggette a quel momento essenziale di verifica rappresentato dal passaggio elettorale. L’inevitabile ulteriore marginalizzazione dei membri eletti che ne conseguirebbe farebbe perdere credibilità al Consiglio di Sicurezza. Tale è l’orientamento dell’Italia e di altri Paesi, tra cui quelli del movimento “Uniting for Consensus”. L’Italia ritiene, inoltre, che un maggior risalto debba essere dato alle realtà regionali. In tale contesto, l’attribuzione all’Unione Europea di un seggio in Consiglio di Sicurezza rimane un obiettivo fondamentale della nostra politica estera. Per sostenere la candidatura molti sono gli strumenti a disposizione degli Stati. Tra essi il Ministero degli affari esteri ha individuato il microcredito come utile al sostegno della campagna elettorale. In particolare il tool kit e gli strumenti di ingegneria finanziaria unitamente ai servizi aggiuntivi progettati dall’Ente Nazionale per il Microcredito sono stati messi a disposizione delle azioni della cooperazione internazionale e di quei Paesi dell’area latino americana e del Caribe che vogliono sostenere politiche di microfinanza ma che non hanno gli strumenti necessari per creare un tessuto organico autonomo per lo sviluppo della microfinanza nel Paese. Il microcredito, infatti, è risultato essere lo strumento più idoneo a sostegno della finanza etica nei paesi con economia emergente. Già nel 2005 l’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, decretando l’anno internazionale del microcredito ne sancì l’efficacia quale strumento per il raggiungimento degli obiettivi del millennio per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale e finanziaria. L’Italia, che è una delle pochissime nazioni, si contano sulle dita di una mano, che fino ad oggi si è dotata di una legislazione ad hoc creando un Ente di diritto pubblico che possa promuovere e sostenere queste politiche finanziarie è pronta a raccogliere la sfida. Quale migliore occasione, se non la candidatura al Consiglio di Sicurezza, per promuovere un’eccellenza italiana che possa favorire da un lato l’economia dei Paesi attraverso un’azione di diplomazia preventiva congiunta e coordinata con la Cooperazione internazionale da un lato; e l’ascesa del Paese nella competizione elettorale per l’organismo che si occupa di sicurezza e promozione dei diritti umani.

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  • SPORTELLI INFORMATIVI: MICROCREDITO E AUTOIMPIEGO

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    SPORTELLI INFORMATIVI: MICROCREDITO E AUTOIMPIEGO

    Presentato con successo a Roma il rapporto finale del progetto “Microcredito e servizi per il lavoro” attuato dall’Ente Nazionale per il Microcredito nei territori dell’Obiettivo Convergenza

    Nel microcredito e nell’attuazione del Progetto “Microcredito e Servizi per il Lavoro” abbiamo intravisto un enorme potenziale e una possibilità importante per migliorare la situazione dell’occupazione nel nostro Paese in un momento di grave emergenza, in cui sempre più microimprese muoiono, soprattutto nel nord-est”. Con queste parole il Presidente ENM, Mario Baccini, è intervenuto nel corso del convegno conclusivo del Progetto pilota “Microcredito e Servizi per il Lavoro”, finanziato dal Fondo sociale europeo e realizzato dall’Ente Nazionale per il Microcredito in accordo con la Direzione generale dei Servizi per il lavoro del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che si è svolto lo scorso 18 giugno presso il Roma Meeting Center. L’evento, che ha riunito i principali attori che hanno dato vita all’intervento, ha rappresentato un importante momento di riflessione utile a tracciare il bilancio di un’attività intensa svolta dal Progetto nelle quattro regioni Convergenza: un percorso che è andato definendosi con dati e risultati visibili. Stando a quanto è emerso, i 95 sportelli informativi per il microcredito e l’autoimpiego attivati nelle 4 regioni Convergenza presso i Cpi, Comuni, Camere di Camere di Commercio di Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, hanno indirizzato e orientato, verso le possibilità di microcredito e autoimpiego esistenti nei territori di riferimento, più di mille utenti. Gli sportelli hanno svolto e stanno svolgendo al meglio il compito di far conoscere, attraverso operatori professionalmente preparati e appositamente formati, i programmi promossi dalle amministrazioni competenti, fornendo al contempo tutte le informazioni di corredo necessarie per promuovere in maniera efficace presso le amministrazioni di prossimità - individuate dal Progetto e selezionate attraverso una manifestazione pubblica di interesse – il microcredito e la microimpresa. Sono stati sottoscritti appositi protocolli di intesa con la quasi totalità dei promotori e i gestori di programmi di microcredito attivi nelle aree interessate, allo scopo di migliorare l’operatività degli sportelli i cui operatori hanno potuto e possono così fruire di informazioni validate dai promotori dei programmi stessi. Gli operatori formati dall’ente sui temi del microcredito e degli incentivi pubblici all’impiego sono stati oltre 120, gli stessi designati dalle amministrazioni di appartenenza alla gestione del servizio di informazione e consulenza presso gli sportelli, che hanno operato grazie al supporto della piattaforma informativa retemicrocredito.it. La piattaforma è stata creata per offrire informazioni continue e aggiornate e per restituire in tempo reale notizie certe sul comportamento dell’utenza, delineando il giusto percorso nell’avvicinamento al credito dei potenziali destinatari del microcredito, dal momento della richiesta fino all’erogazione del prestito. In circa sei mesi dall’avvio dell’attività di consulenza degli sportelli (1 gennaio 2014), 1039 risultano le consulenze a potenziali utenti di programmi di microcredito, registrati nella sezione “consulenza” della piattaforma del Progetto (Tabella). -

    I CPI sono risultati i più attivi con 604 consulenze contro le 312 dei Comuni e le 123 delle Camere di Commercio.

    La maggioranza di coloro che hanno richiesto la consulenza, a partire dal novembre 2013, rientra nell’età media (640 consulenze); a seguire la fascia dei giovani tra i 18 e i 24 anni (245 consulenze), la fascia compresa tra i 50 e i 64 anni (135 consulenze) e gli over 64 (19 consulenze). “Il principale disagio che riscontriamo è la difficoltà nell’accesso al credito – ha spiegato Baccini – e grazie a questi progetti finanziati con fondi europei, dal Capacity Building, rivolto al rafforzamento delle capacità della Pubblica Amministrazione, fino allo studio sul microcredito sociale e quello d’impresa, per arrivare ai nuovi servizi per il lavoro e l’autoimpiego sviluppati da questo Progetto, saremo sempre più pronti a rispondere alle crescenti richieste che vengono dai soggetti esclusi dai canali del credito tradizionali e a combattere la povertà e l’esclusione sociale”. Un contributo importante è stato offerto, nel corso del dibattito, da Grazia Strano, direttore generale delle Politiche dei servizi per il lavoro (MLPS) che ha precisato come il Progetto, costruendo una rete diffusa di sportelli per favorire l’inserimento lavorativo di soggetti in difficoltà, abbia raggiunto gli obiettivi prefissati e sia stato inserito tra le best practice dalla Commissione europea.

    “Il servizio pubblico deve essere il terminale di riferimento per chiunque voglia collocarsi nel mondo del lavoro - ha detto la Strano - ma questo da solo non basta, occorre una rete di organismi pubblici e privati e il supporto delle regioni, tutto in un’ottica sinergica”. Valutazioni positive anche da parte del Capo Progetto “Microcredito e Servizi per il Lavoro” Mario Esposito il quale, ringraziando tutti coloro che hanno contribuito con il loro impegno al conseguimento dei risultati, ha sottolineato come grazie agli operatori formati e agli oltre mille cittadini assistiti, il Progetto abbia rappresentato il primo esperimento di “rete pubblico-privata” al servizio del cittadino-utente del microcredito. Una rete certamente perfettibile ma virtuosa. “Occorre rivitalizzare la parte del settore pubblico interessata alle politiche del lavoro”, è stato il monito di Francesco Verbaro, Coordinatore scientifico del Progetto. “Abbiamo in Italia una PA vasta ma mancano i servizi nonostante l’altissimo livello di tasse corrisposte”. Volgendo uno sguardo alle trasformazioni che attendono il mondo del lavoro, Verbaro ha poi fatto riferimento al libro “The coming jobs war” di Jim Clifton nel quale si parla di una vera e propria guerra del lavoro che porterà la popolazione mondiale ad adattarsi a lavori semplici e sottopagati. E, alludendo alla situazione drammatica che emerge dal rapporto Svimez 2012 sull’economia del Mezzogiorno, Verbaro ha poi riscontrato un allarmante depauperamento umano e sociale dato anche dall’emigrazione dei giovani al nord.

    Vivace, produttiva e di notevole spessore la Tavola Rotonda che, moderata da Fabrizio Ratiglia, direttore di Radio Montecarlo e Radio 105, ha offerto un dibattito squisitamente tecnico tra tutti gli attori e gli stakeholder del Progetto: dalle Regioni che finanziano con i loro POR gli strumenti di ingegneria finanziaria, agli enti erogatori di microcredito con la loro esperienza di accompagnamento all’accesso al credito, fino alle agenzie centrali che gestiscono strumenti nazionali di promozione dell’autoimpiego. Interessanti gli spunti emersi dall’intervento di Andrea Vernaleone, vicedirettore generale Puglia Sviluppo, il quale si è soffermato sulla misura ‘microcredito’ promossa dalla Regione Puglia, a suo parere, un’efficace politica di sostegno per l’accesso a crediti di piccola entità e che sta contribuendo a promuovere un nuovo modello di sviluppo socio-economico regionale ad alta intensità di capitale umano e basso impatto ambientale, premiando l’attivazione femminile e delle classi giovanili. È stata poi la volta degli amministratori rappresentati in tutti i livelli di competenza con riflettori puntati su comuni e province.

    Nelli Scilabra, assessore all’Istruzione e alla formazione della Regione Sicilia, ha illustrato il Piano giovani della Regione che punta sull’occupabilità degli under 35 e sulla creazione di start up giovanili. Insomma, una boccata di ossigeno per i giovani professionisti che potranno beneficiare di un finanziamento a fondo perduto dalla Regione per mettersi in proprio o aprire uno studio in cui esercitare una professione. Puntare su occupazione, lavoro e giovani è stato il monito di Enrico Panini, assessore al Lavoro e alle Politiche Produttive del Comune di Napoli per il quale l’inclusione delle giovani generazioni è un elemento imprescindibile nella costruzione del futuro della nostra società. Ma che il microcredito rappresenti una opportunità di crescita e di autoimpiego è la convinzione anche di Giuseppe Giudiceandrea, assessore alla FP, politiche del lavoro e mercato del lavoro della Provincia di Cosenza, peccato però che l’inadeguatezza del quadro legislativo in materia non favorisca affatto la ramificazione del microcredito sul territorio.

    Sono intervenuti alla Tavola Rotonda anche Francesco De Grano, responsabile microcredito di Fincalabra e Vincenzo Genco, segretario generale Camera di Commercio di Palermo, che hanno parlato delle diverse iniziative che si stanno portando avanti nel settore imprenditoriale giovanile e hanno espresso grande soddisfazione per l’istituzione, presso la CCIAA di Palermo, dello “Sportello Legalità”, frutto di una collaborazione con la Prefettura, al fine di avviare una propria concreta iniziativa nel settore della prevenzione dei fenomeni usurai ed estorsivi. Tiziana Lang, responsabile osservatorio microcredito e programmi comunitari, ha concluso i lavori del convegno rimarcando con convinzione la necessità che il servizio per il lavoro per vivere debba ampliarsi e soprattutto debba essere collegato in rete a livello nazionale. Il riferimento è anche alle reti ‘one-stop-shop’ per la fornitura di sportelli e servizi onnicomprensivi in materia di occupazione, formazione e politiche sociali. Nel corso del convegno, inoltre, sono stati tributati dal Capo Progetto Mario Esposito importanti riconoscimenti agli sportelli più virtuosi attraverso un momento celebrativo pubblico in cui sono state consegnate delle pergamene ai responsabili degli sportelli per le migliori capacità organizzative, funzionali e di servizio. L’operatività degli sportelli e gli ottimi risultati conseguiti dal Progetto “Microcredito e Servizi per il Lavoro” dimostrano ancora una volta la validità e la specificità della mission dell’ENM che diventa azione responsabile a servizio dei più deboli nel difficile e drammatico contesto attuale con l’auspicio, ripreso dal presidente Baccini, che il Progetto venga esteso con nuove ed efficaci iniziative.

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