L’ALFIERE ITALIANO SI MUOVE SULLO SCACCHIERE GLOBALE

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L’ALFIERE ITALIANO SI MUOVE SULLO SCACCHIERE GLOBALE

IL VERO MODO PER SUPERARE UNA CRISI, É TROVARE IL CORAGGIO DI AFFRONTARE IL NUOVO

Enza Colagrosso

Per questo le PMI italiane, che stanno cercando il modo di sopravvivere a una crisi che sembra determinata a schiacciarle, dovrebbero cogliere, con coraggio, l’occasione che offre il mercato globalizzato. Ma perché parliamo di coraggio? L’esportazione non è una cosa propriamente nuova nel commercio italiano, nuovo è però il fatto che questa formula è completamente superata. Quindi c’è da valutare e affrontare schemi diversi, appunto con coraggio. Pensare infatti, ancora all’esportazione come a una scelta vincente, per il proprio mercato aziendale, è come aprire una finestra, per cambiare aria, su una strada molto trafficata e inquinata. Non si ottiene nulla, e forse si peggiora la situazione! Oggi i mercati esteri rispondono solo a colui che li vive e se ne rende protagonista. Per questo il sistema vero, per affrontarli, va cercato nell’internazionalizzazione.
Già nel pronunciarla questa parola sembra difficile e un po’ astrusa quasi come il “supercalifragilistichespiralidoso di Mary Poppins” e, al pratico non è da meno, visto che c’è tutto un nostro modo di vivere e di progettare il marketing, il nostro marketing, che deve essere rivisitato, a cominciare dai limiti linguistici che ancora ci frenano e da quella certezza culturale, che ci ha lasciato il Rinascimento, che ci porta ancora ad avere la sicurezza di essere, nonostante tutto, superiori e per questo poco inclini a conoscere e apprezzare l’altro. Oggi però, i mercati esteri dettano leggi nuove e se li si vuole frequentare non si può più pensare di delegarli alla vendita di prodotti, seppur belli, inviati dal nostro Paese, ma bisogna andarci, viverli e sperimentarli fino in fondo, cercando di rispondere appieno alle esigenze che esprimono magari imparando a far proprio anche il know-how che li rende vivi, lasciando a casa il nostro che pensavamo unico. Per entrare in questo nuovo mondo commerciale una chiave importante è la ricerca di mercato che rappresenta una vera e propria arma vincente per impiantare qualsiasi strategia di business all’estero. Però, c’è un però, ed è quello che pochissime PMI italiane la utilizzano, ritenendola indispensabile solo per i mercati di grandi dimensioni. Alcune nostre PMI hanno già tentato il salto dell’internazionalizzazione, per talune è andata bene, altre invece sono rimaste schiacciate evidenziando così un’altra nostra problematica, quella cioè del tessuto connettivo delle nostre PMI, composto di imprese (il 95%) con meno di 15 dipendenti che raramente avvertono il bisogno di accorparsi. Una ragione, per il persistere di questo comportamento miope, potrebbe ricercarsi nel fatto che da noi circolano pochi dati sui mercati stranieri, cosa che non permette di avere un quadro completo, ad esempio, dei numeri che identificano le aziende degli altri Paesi europei, quelle per intendersi che poi saranno i competitor del mercato.
Le PMI tedesche sono in media 10 volte più grandi delle nostre! Abbiamo poi dei tratti di debolezza anche nel nostro sistema produttivo, registriamo infatti ancora investimenti e produzione contenuti, una formazione e una professionalità non sempre al passo coi tempi e un’innovazione tecnologica molto lenta, tanto che se andiamo a leggere i numeri constatiamo una certa fiacca nei nostri investimenti in uscita che si attestano intorno al 25,9% del PIL rispetto ad un 53,9% della Francia e un 45,6% della Germania. Restando in tema di numeri va detto che mancano anche quelli che descrivono appieno i passi già compiuti dalle nostre imprese nel processo di internazionalizzazione. Qualcosa ci raccontano i dati pubblicati ultimamente da Bankitalia, che descrivono le aziende italiane, che decidono di aprirsi all’estero, come multinazionali con dimensioni contenute, si parla infatti di una diffusione modica di aziende con 20/49 dipendenti mentre emerge la crescita di quelle con 50/199 dipendenti. I loro piani di internazionalizzazione sono molto soft e diretti principalmente nei Paesi europei, o in quelli appena limitrofi. Una qualità viene però riconosciuta ed è quella di saper intercettare, nel mercato internazionale, la domanda e di aver poi la capacità di consolidare su questa una posizione sul mercato. Nonostante questa qualità, che non va minimizzata, i dati parlano chiaro: abbiamo un passo molto lento rispetto agli altri Paesi europei, anche se non ci siamo mai persi d’animo tanto che, dal 1990, da quando cioè si è iniziato a parlare di internazionalizzazione, ad oggi, nonostante la crisi e le difficoltà che ancora esprimiamo, il processo all’interno del nostro Paese non si è mai interrotto. Alle difficoltà che incontriamo nell’aprirci ai mercati globalizzati dobbiamo aggiungere quelle che esprimiamo in quello che potremmo definire l’appeal nell’attrare capitali stranieri, fattore importante per valutare la capacità di una nazione di aprirsi all’estero. Dobbiamo anche fare i conti con l’interesse veramente scarso che suscita il Paese Italia per coloro che progettano di avviare impresa a causa di una burocrazia che immobilizza e una tassazione altissima.
Ma cerchiamo di capire qual è la spinta che porta le nostre imprese ad aprirsi ai mercati esteri. Indagini su aziende che operano fuori dai nostri confini, ormai da almeno 10 anni, ci dicono che mentre l’83% di queste imprese è alla ricerca di nuovi clienti fuori dall’Italia, nei mercati di sbocco, il 27% viene attratto solo dalla rilevante riduzione dei costi di produzione che li porta quindi a delocalizzarsi in quei Paesi detti oggi emergenti, per impiantarvi la produzione, ma non il mercato. Ora, credo che sia chiaro a tutti che, se delocalizzando la propria azienda per affacciarsi ad un mercato nuovo rappresenta l’avvio di un’internazionalizzazione, cogliere la semplice occasione della manodopera a basso costo non ha veramente nulla a che vedere con l’internazionalizzazione. Certe scelte denotano ancora una volta come il Paese Italia non abbia colto pienamente l’occasione della globalizzazione del mercato, a differenza di altre economie occidentali che, nel mantenere il passo con il cambiamento, hanno saputo riscrivere le regole dei loro mercati. Se da un lato però ci sono i limiti che esprimono le nostre PMI queste a loro volta si sono dette poco supportate dalle politiche nazionali che spesso non hanno saputo rispondere neanche con un orientamento in quei Paesi dove esse avevano mostrato l’interesse ad avviare una produzione. Anche per questo, nonostante il brand Italia sia ancora competitivo e di moda, le aziende italiane non riescono, troppo spesso, a fare il salto dell’internazionalizzazione. Ad oggi le PMI Italiane che hanno portato avanti un processo di internazionalizzazione di successo sono maggiormente individuabili tra quelle della filiera della moda (abbigliamento e pelli), dell’industria alimentare e di quella della chimica e della plastica. La “spugna” però non è stata gettata, e si è alla ricerca di sistemi che possano permettere anche alle aziende italiane di mettersi al passo con gli altri Stati europei, conquistando uno spazio sempre più importante nei mercati esteri. Marcelo Evangelista, economista, consulente della Commissione Europea ha lanciato ultimamente, durante i lavori del II Convegno Nazionale su “L’internazionalizzazione delle PMI”, l’idea di internazionalizzare più che le nostre aziende, la formula produttiva dei nostri distretti industriali. La proposta è questa: “in Italia l’esperienza dei distretti di produzione si è mostrata vincente, quindi perché non pensiamo ad esportarla per far acquistare forza alle nostre imprese, rispetto alla forza numerica e finanziaria delle aziende estere. Ma -ha aggiunto Evangelista- se l’unione fa la forza mi chiedo ancora perché viene dispersa quella che potrebbe rappresentare una vera forza vincente, quella cioè degli italiani all’estero. La loro esperienza e la loro conoscenza del territorio, gestiti come una rete di informazione e promozione, potrebbe rappresentare una sorta di passerella sicura per le nostre aziende. Gli Italiani all’estero sono già inseriti in contesti lavorativi, a volte anche imprenditoriali, e pertanto potrebbero essere fonte di dati per comprendere le dinamiche e le esigenze dei mercati a cui qui da noi, si intende arrivare”. Evangelista ha poi fatto anche un richiamo ai Parlamentari all’estero che dovrebbero e potrebbero attivarsi nel coinvolgere le comunità di nostri connazionali, al fine di promuovere un modello di cooperazione tra le imprese di Italiani già attive all’estero e le PMI, che operano in Italia, e progettano l’internazionalizzazione. I mercati dei Paesi che oggi potrebbero essere appetibili per le nostre imprese sembrano essere quelli dei paesi in forte crescita, con uno sguardo forse più attento a quelli dell’America Meridionale, conosciuti anche come quelli del Mercosul (Mercato comune dell’America meridionale), e all’America Latina, proprio per la forte presenza di Italiani. Italiani vuol dire anche impresa italiana: 500 imprese in Brasile, 200 in Argentina ecc. numeri che potrebbero rappresentare dei moltiplicatori di chance commerciali. Tali mercati dovremmo poterli raggiungere con dei prodotti che, pur mantenendo la specificità del nostro “made in Italy”, siano poi ridisegnati sulla base della loro domanda. Abbiamo prodotti che ancora ci permettono di poter fronteggiare l’agguerrita concorrenza ormai in atto sui mercati, e sono i prodotti rappresentativi dell’Italian Design, dell’Agro-Alimentare e dell’Automazione Meccanica. A questi si possono aggiungere quelli di più recente espansione come prodotti della Diagnostica e del Biomedicale, della Cosmetica, dell’Impiantistica e anche della Nautica.a, oltre ad essere radicata sul territorio, è anche una banca globale, le opportunità per l’impresa crescono notevolmente per via della disponibilità dell’ampia rete di supporto e di consulenza all’estero che sono in grado di offrire attraverso nuovi modelli di servizio legati proprio a facilitare e accompagnare processi di internazionalizzazione.
Modelli di servizio che significano: migliore conoscenza dei mercati, più efficace ricerca delle controparti, consulenza specializzata sui servizi all’internazionalizzazione, offerta completa di prodotti e servizi per tutte le attività con l’estero, come gestione on line di incassi e pagamenti, protezione del business all’estero, finanziamenti per importazioni ed esportazioni.
Per questo la duplice sfida della globalizzazione e della prolungata crisi richiede per essere superata la massima sinergia possibile tra sistema delle imprese e sistema bancario, meglio se mediato dall’interlocuzione di soggetti forti di rappresentanza quali le Associazioni di categoria.
Infine un tema anch’esso tutto italiano: la necessità che le politiche di governo nazionale generino un effettivo coordinamento di tutti i soggetti, pubblici e privati, preposti alle tematiche dell’internazionalizzazione.
Questo obiettivo rimane essenziale per numerosi motivi: per offrire alle imprese un quadro di riferimento, giuridico, istituzionale e promozionale, unitario e coerente; per portare sui mercati esteri l’immagine di un “sistema Italia” coordinato e unitario, che possa dare maggiore credibilità alle imprese; per creare un numero limitato e riconosciuto di sedi di confronto, in cui tutti gli attori possano prendere parte, eliminando la frammentazione e le duplicazioni attualmente esistenti; per convogliare strumenti ed informazioni in un’unica fonte, che sia in grado di creare appositi canali di diffusione e di accesso.
Anche in questo il ruolo delle Associazioni di categoria diventa fondamentale, sia in termini di rappresentanza che in quello più generale di vero “partner” attivo dell’impresa.
Un esempio su tutti: CONFAPI, socio di riferimento insieme a CGIL, CISL e UIL del Fondo formazione PMI, in virtù della sua appartenenza al Comitato Nazionale sulla Trade Facilitation, ha promosso la creazione della Piattaforma di sistema nota come International Trade Hub-Italia, gestita dal Ministero dello Sviluppo economico, che a breve sarà operativa e si porrà come un valido strumento di politica governativa atto a facilitare gli scambi internazionali includendo al proprio interno tutta una serie di informazioni doganali, fiscali e commerciali relative al commercio con l’estero.
Questo è un modo intelligente ed efficace per dare concrete risposte a un sistema, quello delle PMI, che non è più in grado di aspettare, ma allo stesso tempo non può essere abbandonato su temi cosi complessi e delicati che valgono, oltre che il futuro del nostro sistema imprenditoriale, anche la credibilità del nostro paese.
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