LA CONDIVISIONE COME SOLUZIONE

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LA CONDIVISIONE COME SOLUZIONE

Romina Gobbo | Giornalista freelance, più volte inviata in aree di crisi e Paesi in via di sviluppo

L’economia di comunione è un modello economico proteso al “dare”, non a tenere tutto per sé». È questa la riflessione che sottende al libro “Dalle settimane sociali al microcredito e all’economia di comunione” (per i tipi di Città Nuova Edizioni), scritto da monsignor Giuseppe Silvestre - docente di teologia all’Istituto teologico calabro S. Pio X e cultore di diritto canonico, ecclesiastico e delle religioni, presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro -, assieme a Suzana Mattiello, insegnante di religione e consacrata, del Movimento dei Focolari. Un percorso di 226 pagine per riflettere sul rapporto dell’uomo con i beni e sulla necessità di un’economia sostenibile. Una via possibile, ma che rimette tutti gli attuali parametri in discussione. Il libro analizza con competenza e precisione la situazione attuale e le sue cause, ma non con rassegnazione, anzi, con lo sguardo proteso alla speranza. «Non più la produzione al centro, bensì l’uomo. È da qui che dobbiamo ripartire. Ecco la speranza», dice l’autore. Mons. Silvestre, perché oggi etica ed economia non vanno più insieme? È una storia che viene da lontano. La parola “economia” in greco - come usata da Aristotele per la prima volta - significa “regola dell’amministrazione della casa”, è cioè la regola che amministra la quotidianità di una famiglia. Fino all’Illuminismo, etica ed economia sono andate insieme, quando poi hanno cominciato a formarsi - già a Firenze con i Medici - i banchieri, allora l’etica si è distaccata dall’economia, si è cominciato a pensare solo al profitto, all’accumulo, all’aumento del capitale.

L’illuminismo, poi, ha esasperato tale concezione, e il punto di riferimento è diventato l’individuo. Non si costruiscono più relazioni, perché ciascuno si appropria di quello di cui ha bisogno, senza preoccuparsi degli altri. In un’economia basata sulla produzione e basta, tutto diventa strumento, mezzo; se l’obiettivo è il denaro, anche la persona diventa un mero strumento, Invece, ciascuno deve contribuire al cambiamento, anche rinunciando “a un po’ di proprio”, in favore “del dare”. Il libro presenta le settimane sociali (nate nel 1907 come reazione al non expedit, il divieto papale rivolto ai fedeli di partecipare alla vita politica, e poi diventate un appuntamento fisso a cadenza pluriennale, per guidare l’azione dei cattolici nel mondo del lavoro, ndr) come un’esperienza particolarmente significativa. Con le settimane sociali, la Chiesa italiana vuole raggiungere una maggiore coscientizzazione dei credenti sulla dottrina sociale della Chiesa e, nello stesso tempo, passare il messaggio che la fede va incarnata nella storia, nella vita quotidiana. Il credente non deve solo andare a messa la domenica e compiere i precetti, ma deve impegnarsi a cambiare la storia e le relazioni nella società. Solo passando dall’individualismo alla ricerca del bene collettivo, si può comprendere appieno il messaggio evangelico e arrivare a una più equa redistribuzione delle ricchezze. Già nell’Antico Testamento c’è un richiamo al bene dell’altro, alla garanzia che l’altro possa usufruire del beni della terra. Poi, a partire dalla Rerum Novarum (1891), molte encicliche hanno questi temi, fino ad arrivare alla “Caritas in Veritate” di Benedetto XVI e all’“Evangelii Gaudium”, di papa Francesco, che sono davvero rivoluzionarie. A mio avviso, riconciliare etica ed economia è possibile proprio a partire dalla dottrina sociale della Chiesa, ma dobbiamo cominciare a chiederci quale sia la nostra condizione di credenti di fronte alle sfide della società attuale. Sfide, che possono essere vinte - come dice la Mattiello, co-autrice del libro - solo se il futuro sarà fondato sulla “cultura dell’incontro e della responsabilità del bene comune”.

Mentre la prima parte del libro è densa di riferimenti teologici e biblici, la seconda si sofferma su esperienze concrete di microcredito e di economia di comunione. Sono segni di speranza che nel futuro possa esserci un’economia sostenibile. Il microcredito è un’esperienza iniziata con l’economista indiano Muhammad Yunus. Egli sceglie di mettere la scienza economica al servizio della povertà, aiutando con piccoli prestiti le famiglie dei quartieri poveri. Pochi dollari per acquistare una macchina da cucire, o una mucca da latte. Un modello che si è poi diffuso in tutto il mondo, ispirando numerosi esperimenti nei Paesi in via di sviluppo e in numerose economie avanzate. L’economia di comunione deriva da una felice intuizione di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Nel 1991, durante una visita in Brasile, ebbe modo di vedere che le aziende creavano ricchezza, ma solo per gli imprenditori, mentre i lavoratori, sfruttati, rimanevano fuori dalla ripartizione dei profitti. Lei, dunque, propose una maggiore attenzione alla manodopera, innanzitutto attraverso un salario adeguato, ma anche investendo gli utili per creare nuovi posti di lavoro e allargare la base dei beneficiari. Ma la cosa più importante è far circolare negli ambiti lavorativi la parola “amore”, perché l’altro è prima di tutto una persona che dobbiamo amare, così come dice l’enciclica “Caritas in Veritate”. Per la prima volta un documento parla di amore nell’economia, un’economia basata sulla centralità dell’uomo. Il modello della Lubich è stato adottato da alcune imprese che hanno scelto di improntare la vita aziendale alla cultura di comunione. I profitti vengono messi in comune, non solo con il fine di nuovi investimenti, ma anche per aiutare persone in difficoltà, e per creare nuovi posti di lavoro. Un circolo virtuoso che può rappresentare una risposta concreta alla crisi economica mondiale. Mons. Silvestre, che cosa pensa dell’Expo? Potrebbe essere un momento forte per fare un esame di coscienza sulla situazione del nostro pianeta, sulla necessità di una maggior attenzione, non solo allo sviluppo, ma anche ai nostri consumi, che devono essere equilibrati, perché altrimenti il pianeta non regge. Gli analisti hanno stabilito che, nel 2030-2040 se si va avanti con questo ritmo, non basteranno due pianeti per sostenere i consumi. Il pericolo è che l’Expo venga strumentalizzato dalle multinazionali, interessate a piazzare sul mercato i propri prodotti, e che non vi sia un richiamo alla necessità della sobrietà.

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