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Tiziana Lang | ricercatrice esperta politiche del mercato del lavoro, ANPAL

Un recente studio1 condotto dal King’s College di Londra in collaborazione con
RAND Europe2 ha sondato l’opinione dei cittadini britannici circa il tipo di Unione
che vorrebbero veder realizzata. Partendo dal presupposto che l’uscita dall’Unione
Europea non è riassumibile nel semplice quesito referendario binario “Dentro/Fuori” -
ma sarà frutto di un negoziato in cui la capacità di fare compromessi giocherà un ruolo
preponderante - i ricercatori inglesi hanno cercato di andare oltre la retorica politica
e le espressioni Brexit “duro” e “morbido” per capire cosa ne pensano veramente
gli inglesi. Utilizzando la tecnica economica delle indagini di preferenze dichiarate,
utilizzata anche per quantificare le preferenze delle persone per beni e servizi, è stato
chiesto a mille cittadini del Regno Unito di dichiarare le loro preferenze tra alcuni
scenari alternativi proposti dagli intervistatori.
La metodologia ha consentito, ad esempio, di quantificare l’importanza relativa che
diversi elementi della Brexit hanno per i cittadini, quali: la libera circolazione rispetto
alle rinunce sul piano della sovranità da parte della Gran Bretagna oppure all’obbligo
di conferire un contributo al bilancio dell’UE. Parimenti è stato possibile misurare le
differenze di opinione tra i cluster di popolazione e all’interno degli stessi (M/F, giovani
/anziani, ecc.) nonché sondare le simpatie per le diverse combinazioni di opzioni sul
futuro rapporto tra Regno Unito e Unione europea.
L’obiettivo finale dei ricercatori è stato quello di far luce sulle reali opinioni del pubblico
circa le varie opzioni e portarle a conoscenza dei politici incaricati di condurre i
negoziati, fornendo loro alcune indicazioni sui compromessi che potrebbero soddisfare
le preferenze dei cittadini britannici. Gli intervistati hanno dovuto scegliere tra diverse
opzioni possibili nei seguenti ambiti e nell’esercizio di alcune libertà individuali:
1. Libertà di movimento per le vacanze
2. Libertà di movimento per il lavoro
3. Contributo al bilancio dell’UE
4. La capacità di fare affari commerciali al di fuori dell’UE
5. Commercio di servizi nell’UE
6. Commercio di merci nell’UE
7. Livello di elaborazione delle proprie leggi per il Regno Unito.

Nel primo caso, ad esempio, sulla libertà di movimento, agli intervistati è stato
chiesto di scegliere tra l’opzione A) libertà di movimento/accesso a servizi medici
di qualità e l’opzione B) visto e assicurazione sanitaria richiesti. Ognuna di questi
ambiti (‘attributi’) potrebbe assumere diversi valori (‘livelli’) nelle scelte presentate ai
partecipanti, riflettendo diverse possibili posizioni di negoziazione (vedi tabella sulle
Opzioni di scelta).


Tabella 1: Opzioni di scelta indagine UK relationship with Europe, 2017

Contrariamente a quanto dichiarato immediatamente dopo il referendum dal Primo
Ministro Britannico “nessun accordo per la Gran Bretagna è meglio di un brutto affare
per la Gran Bretagna”, dall’indagine è emerso che i cittadini britannici sono per una
Brexit meno “hard”. Essi, infatti, non condividono questo approccio perché se alcuni
aspetti dello scenario “hard Brexit” potrebbero essere considerati come vantaggiosi
(possibilità di effettuare accordi commerciali, non essere soggetti alle leggi dell’UE,
cessazione dei conferimenti al bilancio dell’Unione europea) i benefici derivanti da
tali “positività” sarebbero annullati dalle difficoltà che essi stessi incontrerebbero, per
es., per andare in vacanza in un Paese dell’UE (obbligo di ottenere un visto, di aprire
un’assicurazione per la salute, di avere un permesso di lavoro, di sostenere i costi
aggiuntivi della negoziazione di beni e servizi al di fuori del mercato unico). L’analisi
condotta dimostra che, valutati i pro e i contro, secondo gli intervistati l’attuale
assetto nel rapporto Regno Unito – UE ha un valore di circa 14 sterline per nucleo
famigliare a settimana, risorse che andrebbero definitivamente perse in assenza di un
accordo negoziale preventivo con l’UE. I costi che dovrebbe sostenere il Governo per
compensare la perdita economica media di ciascuna famiglia britannica a causa di una
scissione secca dall’UE (almeno 14 sterline alla settimana) moltiplicati per il numero
di famiglie e convertiti in valore annuo comporterebbero un “indennizzo” pari a circa
20 miliardi di sterline all’anno.

Anche sul tema della libera circolazione delle persone
gli intervistati dimostrano che le posizioni del Governo non rappresentano correttamente
le loro preferenze. Infatti, emerge la volontà di controllare
in qualche modo il movimento delle persone, anche se più
per una preoccupazione sull’eventuale conseguente
incremento della domanda di servizi pubblici da parte di
chi si reca in Gran Bretagna, piuttosto che per limitare
deliberatamente il movimento delle persone.
L’accordo negoziale preferito, pertanto, dovrebbe prevedere la libertà di
movimento sia per i cittadini britannici che per le loro controparti dell’UE, con l’obbligo
di avere un’assicurazione sanitaria per le emergenze mediche. Il desiderio di potersi
muovere senza visto, dunque, deve essere bilanciato dall’accesso ai servizi pubblici
limitato a chi ha un posto di lavoro, sia nel caso di cittadini dell’UE in Gran Bretagna
che viceversa.

Interessante il caso delle scelte inerenti la sovranità britannica nell’elaborazione e
interpretazione delle leggi. I cittadini più istruiti tra i partecipanti (laurea o master)
hanno dimostrato una netta preferenza per l’opzione dello status quo, con il Regno
Unito soggetto come tutti gli altri Stati membri alle leggi dell’UE; anche coloro che
preferirebbero una relazione futura in cui il Regno Unito sia in grado di produrre e
attuare tutte le leggi, considerano tale “sovranità” meno importante dell’accesso
al mercato unico (rapporti di libero scambio con l’UE) o della libertà di negoziare
nuove offerte commerciali in modo indipendente. Sono sempre le persone con livelli
di istruzione più elevati (25% del campione) a dimostrare una sensibilità inferiore
rispetto all’entità del contributo del Regno Unito al bilancio dell’Unione e ad attribuire
più importanza a una più stretta cooperazione economica con l’UE, sia in termini di
libero scambio di beni che di servizi finanziari, e al contempo alla facoltà di stringere
accordi commerciali indipendentemente dall’UE.
Riassumendo, l’analisi del King’s College dimostra che i cittadini britannici
preferirebbero che si costruisse un rapporto istituzionale tra la Gran Bretagna e l’UE
piuttosto che non averne alcuno. L’accordo finale preferito è quello che si ispira al
modello della Norvegia con il Regno Unito che rimarrebbe nel mercato unico per i beni
e servizi dell’UE ma al di fuori dell’unione doganale, fatto che consentirebbe al Regno
Unito di stringere accordi commerciali con altri Paesi, indipendentemente dagli Stati
membri dell’UE. A livello di bilancio è possibile calcolare il valore pubblico rappresentato
da una relazione Regno Unito – UE sul modello norvegese rispetto all’assenza di un
qualsiasi accordo, in un importo pari a 28 sterline per nucleo famigliare/abitazione a
settimana (una situazione piuttosto impegnativa da cui negoziare).

Alcune considerazioni a margine dell’indagine del King’s College.
Quale che sia la situazione a inizio del 2019 è auspicabile che le parti in causa, Governo
Britannico e Unione Europea, tengano debitamente conto delle aspettative e necessità
delle popolazioni che saranno toccate dagli effetti delle loro scelte. Dal punto di
vista di Paese “esportatore” di talenti verso il Regno Unito, l’Italia dovrebbe aprire un
confronto interno sul tema dei rapporti con il partner d’oltremanica al fine di tutelare le
condizioni di coloro che adesso, e ancor più tra due anni saranno impegnati per lavoro o
per studio in Gran Bretagna. Basti pensare ai giovani interessati dai programmi europei
Erasmus ed Eures per la mobilità studentesca e quella lavorativa. La Brexit non potrà
non incidere, soprattutto laddove sono in essere accordi specifici di cooperazione per
promuovere la ricerca di personale specializzato per il mercato del lavoro inglese (v.
il caso dell’Accordo Eures Italia - Eures GB per la ricerca di personale infermieristico).
Quali accordi potranno essere sottoscritti per consentire ai giovani italiani che si
recano nel Regno Unito per apprendere la lingua lavorando – stimati in circa 30.000
l’anno – di continuare a muoversi tra i due Paesi senza la necessità di visti preventivi
come avviene ora grazie alla libertà di movimento garantita dall’appartenenza dei
rispettivi paesi all’Unione europea? Come sostenere questi giovani nei loro percorsi di
formazione on the job e apprendimento della lingua inglese, necessaria per ottenere
altre opportunità lavorative in Italia, per es. nei servizi turistici? Tali percorsi non sono
compresi nei programmi istituzionali come il Programma Erasmus (che proseguirà con
l’Irlanda, comunque). E’ forse il caso di immaginare nuovi strumenti di microcredito
sociale finalizzati allo studio e alla permanenza all’estero per un periodo sufficiente
ad apprendere le nozioni linguistiche necessarie. Come pure a programmi bilaterali
tra i due paesi per lo scambio di apprendisti e di studenti delle scuole superiori degli
ultimi due anni e neo diplomati (con il supporto di strumenti di microcredito sociale
per gli studi, da mettere a disposizione delle famiglie che non potessero sostenere i
costi di tali percorsi).

1 What sort of Brexit do the British people want?, King’s College London, 2017
2 Rand Europe è un’organizzazione di ricerca no profit la cui mission è aiutare a migliorare la politica e il
processo decisionale attraverso la ricerca e l’analisi.

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