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LA COMUNICAZIONE DIGITALE VERO SUPPORTO DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

SILVIA SITARI

Giornalista free lance esperta in brand journalism

Per quelle imprese, piccole e medie, che sono da sempre lo zoccolo duro della nostra economia e che oggi costituiscono ancor di più un’occasione lavorativa importante e creativa, la comunicazione digitale può essere davvero un’alleata importante. È stato possibile comprenderne maggiormente le potenzialità in un ciclo di eventi denominato “FACTORY NEW(S): TALK ABOUT COMMUNICATION” - ideato da Agifactory, il Brand Journalism Lab dell’Agenzia Giornalistica Italia e diretto da Daniele Chieffi, dove, per cinque incontri, esperti e professionisti della comunicazione si sono confrontati su alcuni temi. Questi ultimi sono stati sviluppati partendo dalle “5 W” utilizzate nel giornalismo, diventando così un pretesto per parlare delle innovazioni nell’ambito della comunicazione digitale: attraverso il What/Cosa?si è parlato di quali requisiti deve avere una buona content strategy, con il Why/Perché?del ruolo di “lobby” e advocacy, con When/Quando?si è cercato capire il senso dell’instant marketing, con il Who/Chi?, sono stati definite le figure di mega e nano influencer ed infine, attraverso il Where/Dove?si è affrontato il tema dell’evento quale momento particolare di aggregazione.
A queste domande hanno dato risposta, con la loro esperienza, diversi professionisti della comunicazione.
Una content strategyefficace deve avere come obiettivi principali: soddisfare i propri stakeholder e far diventare la reputazione “il capitale” di un’azienda.
Certo, più le aziende sono grandi e complesse, più i contenuti assumono caratteristiche più ampie; i contenuti sono importanti sia per chi li produce sia per chi li “riceve”; sono “sistemi di diffusione” per le community. I contenuti devono raggiungere i “destinatari”, conoscere le loro abitudini quotidiane per creare meccanismi di attrazione, rispondere ad un’etica profonda e non devono essere frutto di manipolazione dei dati. Bisogna conoscere i “pubblici” che si vuole raggiungere e i device che questi utilizzano per adattarne gli specifici contenuti; è necessario anche avere chiari i target per usare linguaggi diversi; riuscire a risolvere un problema creando valore e avere un approccio quasi “usercentrico”. Solo in questo modo si possono giustificare gli investimenti.
Perché esistono le lobby? Perché questo termine evoca sempre un sentimento di diffidenza? Certamente bisogna riuscire a cambiare questa reputazione negativa ed è quindi necessario spiegare in cosa consiste l’azione di lobbying; ci vuole certamente una regolamentazione della professione ma non dell’attività e la prima non può essere come la “foglia di fico” degli albi di UE e UK; è necessario separare la figura del lobbista da quella del comunicatore che, entrambi, devono condividere maggiormente gli obiettivi con il management aziendale. Per chi fa lobby, specialmente giuridica, il digitale e i social sono come “arene virtuali” dove è necessario riuscire a coniugare i bisogni dei decisori, delle aziende e degli “utenti finali”, distinguendone tipologie e varietà. Il lobbista deve imparare a parlare come “il decisor” poiché ogni politico ha la sua storia, la sua cultura, i propri obiettivi e ambiti di consenso: i 5Stelle, per esempio, rifiutano le lobby perché non ne conoscono l’attività ma quanto più resteranno al governo tanto più riusciranno a comprenderne il valore. Ma è importante fare sempre l’analisi dell’impatto legislativo di uno specifico “ambito di interesse”. Diverso è il significato dell’advocacy, che è diversa dalla “campagna” e, per alcuni, ha più senso attuarla all’interno dell’azienda.

Si usa dire “cogli l’attimo” ma cosa significa essere tempestivi nella comunicazione? Le community digitali, l’intera società digitale è fondata sul “qui e ora” e dunque rapidità, prontezza e tempismo hanno sempre più valore per le aziende e le organizzazioni, e sono diventate leve di business e comunicazione. Bisogna tener conto che con l’instant marketing è anche emersa la necessità, per brand e organismi, di prendere posizione, di esporsi su determinati temi…stiamo parlando, quindi, di “social activism” dove, sostenere e impegnarsi su una determinata e “istantanea” questione significa far crescere la propria reputazione, valore primario e assoluto nella comunicazione digitale.
Saper comunicare, avendo una chiave di lettura efficace al momento giusto, con anche risvolti sociali e non solo di engagement sul “prodotto”, può fare la differenza.
Chi è un influencer? Potremmo dire che è il nipote del testimonial degli anni ’90 che è riuscito ad emergere all’interno di un social network, a diventare un leader sia sulle decisioni di acquisto che su specifiche questioni di attualità, con una reputazione sempre in crescita e la capacità di essere un modello da seguire. La sua autorevolezza è direttamente proporzionale al numero dei “follower”. Questa figura, diventata ormai una professione, è oggetto di grande attenzione da parte di molte aziende, per “spingere” i loro prodotti, e di organizzazioni per sostenere una determinata causa. Accanto all’influencer, però, sta emergendo anche la figura del nano influencer: un utente qualsiasi, che non conta sul medesimo numero di follower dell’influencer, non si è mai prestato a sostenere nessuna campagna “mettendoci la faccia” e che, proprio per questo motivo, gode di una credibilità più sana e genuina. Ora, gli influencer, che sono un fenomeno esclusivamente legato al web, ormai hanno un ruolo di comunicazione consolidato e importante ma, con un pubblico sempre più navigato e attento, la loro efficacia, così come la loro credibilità, sta venendo meno. Ed è proprio in questo contesto che s’inserisce il nano influencer che, proprio perché rispecchia la “persona comune” risulta essere più vicino alla propria community e, quindi, un modello di notorietà più raggiungibile e alla portata dei suoi follower.

Nell’era della comunicazione digitale ha senso organizzare eventi? Sarebbe un errore pensare che, sebbene siamo tutti costantemente connessi, tramite vari device, non abbiamo bisogno anche di momenti di “connessione umana”. Gli eventi possiedono proprio questo valore aggiunto: far incontrare e far condividere un momento “fisico” alle persone. Questo confronto diretto è ancora una chiave di comunicazione molto importante per tutti noi. E il digitale riesce a favorire questo incontro fisico, “mettendo in sinergia rete e territorio”. Grazie ai social le persone che condividono un interesse si mettono in contatto fisicamente, nascono associazioni, punti di raccolta, reti di amicizie. Certo, per la buona riuscita di un evento, ci sono grande impegno, lavoro pesante, un elevato numero di persone e di professionalità coinvolte, investimenti onerosi. Naturalmente, però, esistono anche gli eventi “digital” che non sono certo meno impegnativi. Ma se l’evento è parte di una strategia marketing ben concepita, può essere uno strumento molto efficace, proprio perché costituisce un momento di connessione tra le persone. Abbiamo chiesto a Daniele Chieffi, Direttore Comunicazione e PR – Dipartimento per l’Innovazione e la digitalizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, come/how– tanto per aggiungere la sesta domanda alla quale deve trovare risposta ogni giornalista - questi cinque strumenti possono venire in aiuto alle piccole e medie imprese che hanno bisogno di crescere e consolidare la loro posizione.
Le piccole imprese possono “fare lobby”? Certo che le piccole imprese possono fare lobby, ma non prese singolarmente. Possono, invece, costruirsi un potere contrattuale se riescono a mettere a fattor comune la loro forza e specificità. Per realizzare questo, ovviamente, hanno bisogno non solo di una capacità di incidere sui “decisori” ma soprattutto di incidere sul consenso che sostiene, o non sostiene, le decisioni prese dai “decisori” ovvero: se devono incidere in qualche modo sui processi decisionali, legislativi, regolamentari, è ovvio che hanno bisogno di costituire un loro soggetto collettivo che sia in grado di incidere sul consenso del loro pubblico di riferimento. Tale consenso si rifletterà, in termini operativi, in influenza sui decisori. Si chiama B2C2B ed è un processo molto legato alla tecnica dell’advocacy, che si sta sviluppando nel mondo delle relazioni istituzionali e, per far questo è necessario avere delle forti competenze in ambito di comunicazione, comunicazione digitale, coordinata e strategica, che non può essere improvvisata.
Quanto è importante una buona content strategy per le piccole imprese, che rivolgendosi ad una nicchia di consumatori, sono molto “utentecentriche”? È ancora più importante perché in realtà le piccole e medie imprese, soprattutto se sono B2C, basano la loro ragion d’essere sulla capacità di essere ritenute affidabili e qualitativamente elevate dal loro pubblico di riferimento. In un mondo in cui tutto viene narrato e in qualche modo reputato è ovvio che il saper raccontare se stesse, quello che si fa e il valore aggiunto di quello che fai in termini qualitativi e di durata, di abilità e di estetica, è sicuramente una leva molto potente che ti permette da una parte di distinguerti dai tuoi competitor, dall’altra di entrare in relazione direttamente con i tuoi stakeholder, nello specifico con i clienti, con una relazione piuttosto solida e duratura nel tempo. Se non comunichi in questo modo è ovvio che il rischio vero è quello di sparire in una sorta di nebbia e di non essere più visibile né credibile.
Continuando su questo tema, un nano influencer diventa più strategico per queste imprese? Probabilmente il nano influencer è lo strumento più adatto per questo tipo di realtà. I nano influencer sono, per definizione, delle persone normali ritenute credibili da un gruppo abbastanza ristretto di persone che sono indubbiamente la comunità di riferimento di imprese piccole e medie. In questo senso la capacità di avere e sfruttare il potere di influenza di nano influencer, per quanto riguarda piccola e media impresa, è a tutti gli effetti un driver strategico molto più che non rivolgersi a testimonial di peso maggiore.
L’instant marketing può essere utile ad una piccola impresa? È uno strumento che va maneggiato con molta cura. Le piccole imprese hanno dalla loro parte la creatività e la velocità nelle decisioni, che sono elementi fondamentali della capacità di cogliere attraverso l’instant marketing l’onda dell’attualità e cavalcarla opportunamente. Dall’altra parte, però, per farlo c’è bisogno di skill professionali molto precise perché l’instant marketing, come tutte le cose nelle quali cammini sul filo del rasoio, è un’opportunità ma piò essere, anche, un grande rischio: ben venga se a farlo sono persone che sanno di cosa stiamo parlando; per chi non è strutturato professionalmente per fare questo tipo di scelte, il rischio è che, poi, finisce per innescare dei problemi piuttosto che cogliere delle opportunità.
Infine: un evento è parte indispensabile di un piano di comunicazione strategica per una piccola impresa? Dipende dagli obiettivi di comunicazione che ci si pone e dai tipi di pubblici ai quali si vuole parlare. Se gli obiettivi di comunicazione ai quali si vuole parlare rispondono bene a quel tipo di piattaforma e di soluzione, allora, perché no. Ovviamente in questo caso l’evento non deve essere pensato come qualcosa di faraonico da budget stellare, ma può essere, per esempio, la partecipazione da parte di un’azienda all’evento di un’altra, riuscendo a trasformare questa sua stessa partecipazione in un evento mediatico utilizzando in maniera intelligente tutta una serie di strumenti che ha a disposizione in termini di social e digital PR. Al netto dell’obiettivo strategico non è tanto l’evento in sé che può essere più o meno uno strumento ma è il modo in cui un’azienda riesce a trasformare in un evento mediatico la propria comunicazione. Se un’azienda riesce a fare questo può anche pensare di riuscire ad organizzare un evento virtuale che, naturalmente, ha dei costi decisamente meno pesanti.

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