AIUTI ALLO SVILUPPO IN ARABIA SAUDITA

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AIUTI ALLO SVILUPPO IN ARABIA SAUDITA

< >Il ruolo dell'Arabia Saudita nell'erogazione di aiuti allo sviluppo

Esaminando nello specifico il ruolo del Regno dell’Arabia Saudita riguardo l’assistenza internazionale allo sviluppo, risulta assai viva e tangibile la problematica relativa alla mancanza di trasparenza relativa ai grandi flussi di aiuti allo sviluppo. Facendo riferimento ai dati divulgati dalla World Bank nel 2010, l’Arabia Saudita risulta essere il più grande donatore di aiuti allo sviluppo all’interno del gruppo dei donatori OPEC.
Il grafico mostra che tra il 1973 e il 2008, il 64% del totale dell’ODA araba è offerta dall’Arabia Saudita, la maggioranza a condizioni molto agevolate. Ryiad ha anche svolto un ruolo importante nel sostenere Fondi arabi e banche multilaterali di sviluppo (il contributo saudita ammonta al 30% del capitale dell’OPEC Fund for International Development e al 25% del capitale dell’Islamic Development Bank, il Kuwait in seconda posizione registra rispettivamente il 7 e l’8%) oltre a essere il maggior contribuente in termini di capitali e ad aver sempre sostenuto aumenti di capitale per l’assistenza allo sviluppo al fine di introdurre strutture innovative come lo sviluppo del settore privato e fonti di finanziamento per il commercio.
Nel 1970, L’Arabia Saudita ha reso disponibili 66,6 miliardi di dollari in assistenza straniera, pari al 5,4% del prodotto interno lordo. L’assistenza allo sviluppo saudita è scesa al 2,6% del PIL nel corso degli anni ottanta, anche se i volumi complessivi di aiuto hanno raggiunto quota 74,4 miliardi dollari. A partire dal 1990, insieme a un rapido declino del prezzo del petrolio, le esigenze di ricostruzione del Kuwait, la crescita del debito pubblico e la problematica congiuntura economica che ha seguito la Guerra del Golfo del 1990-91, il dato sull’aiuto allo sviluppo saudita è ulteriormente calato fino a 11,6 miliardi di dollari (0,6% del PIL). Dal 2002 (vedi Tabella), con il sostanziale aumento dei prezzi del petrolio e nonostante la crisi finanziaria globale del 2007/2008, gli aiuti sauditi sono aumentati sia in assoluto che in termini relativi in percentuale del reddito nazionale1.
All’interno del discorso relativo ai meccanismi di distribuzione di aiuti allo sviluppo propri dell’Arabia Saudita è opportuno segnalare la presenza del Saudi Fund for Development (SFD) che nonostante non abbia, come vedremo, un ruolo di grandi dimensioni all’interno del totale degli aiuti sauditi, risulta essere molto importante ai fini della nostra analisi.
Il SFD, con sede a Riyad è stato fondato nel 1974 con il principale obiettivo di finanziare progetti in paesi in via di sviluppo attraverso prestiti agevolati e, inoltre, per promuovere le esportazioni non petrolifere nazionali attraverso finanziamenti e servizi assicurativi. Fino a oggi, agendo attraverso canali bilaterali, il fondo ha esteso l’assistenza finanziaria a oltre 71 paesi in Africa, Asia, Asia centrale e America latina, coinvolgendo circa quattrocento dipendenti.
Alla fine del 2007, SFD registrava un capitale di 8,3 miliardi di dollari, un aumento significativo rispetto ai 2,6 miliardi di dollari al momento dell’inizio delle attività (1975). I finanziamenti tramite concessione di prestiti da parte del SFD risultano molto agevolati, con un tasso di interesse medio del 2% e un periodo di rimborso di 20-30anni, e un periodo di grazia di 5-10 anni. L’attività di concessione di prestiti agevolati copre il 60% dell’attività complessiva del SFD. Questi prestiti non sono limitati a specifici paesi o regioni. Tuttavia, vi è una maggiore attenzione per l’assistenza in Asia e in Africa, dal momento in cui la maggior parte dei paesi meno sviluppati si trovano in questi due continenti. Una parte significativa dei prestiti SFD è diretta verso paesi poveri (quasi il 50%) e ai paesi dell’Africa sub-sahariana (28%). Quasi il 60% dei prestiti SFD si rivolge ad attività infrastrutturali, in maniera particolare per quanto riguarda il settore dei trasporti e dell’energia mentre il comparto agricolo ricopre il 18% di attività SFD, e le attività di welfare ricevono il 13%.

Dalla sua nascita alla fine del 2007, il SFD ha siglato 428 accordi per finanziare 454 progetti di sviluppo e programmi economici per un totale di 8,4 miliardi di dollari distribuiti in 71 paesi in via di sviluppo in tutto il mondo. Il SFD ha anche stabilito partnership con altre istituzioni finanziarie per l’attuazione e la gestione di 265 progetti, contribuendo con il 62% di contributo totale con 4,5 miliardi di dollari. Queste attività del SFD si concentrano specialmente nel continente africano, attualmente uno dei principali beneficiari del SFD attraverso programmi di co-finanziamento e di assistenza rientranti in 173 progetti (oltre ai 256 sviluppati attraverso le partnership).
In linea generale, il finanziamento di SFD non può superare il 50% del costo totale di ogni progetto, e nessun singolo progetto può superare il 5% del capitale totale SFD.
Il Fondo saudita gestisce operazioni di co-finanziamento con un gran numero di istituzioni finanziarie regionali e internazionali (tra cui: Abu Dhabi Fund for Development, Fondo Monetario Internazionale, Arab Bank for Economic Development in Africa, Italian Credit Bank etc.)2.
Il SFD applica anche a nome del Governo prestiti e donazioni a paesi in via di sviluppo per un totale di 6,7 miliardi di dollari. Tale importo comprende 569 milioni di dollari in crediti ristrutturati e 6,1 miliardi di dollari in sovvenzioni.
Questi accordi, sottoscritti dal settembre 2001 al 2008, ammontano a circa 1,11 miliardi di dollari, oltre a 49 contratti assicurativi per l’esportazione e altre forme di garanzie sono state emesse sin dal lancio del programma, fornendo una copertura di prodotti del valore equivalente a circa 1,4 miliardi di dollari. Nel settembre del 2008, a sette anni dall’istituzione del programma, le merci esportate (prodotti petrolchimici, ferro, camion, tubi in plastica, forniture per bambini e apparecchiature informatiche) hanno raggiunto Emirati Arabi Uniti, Sudan, Iran, Yemen, Egitto, Etiopia, Qatar, e Gibuti.
I finanziamenti per lo sviluppo forniti dal Fondo saudita dall’inizio del 1974 alla fine del 2006 rappresentano il 9% del totale dei finanziamenti per lo sviluppo arabi e il 31% del contributo finanziario bilaterale totale dei tre principali donatori arabi (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti).
Nonostante tutto, l’assistenza finanziaria fornita da SFD rappresenta solo una piccola frazione dell’assistenza totale fornita dal Governo dell’Arabia Saudita che, secondo le recenti stime del programma Millennium Development Goals delle Nazioni Unite, ammonta a più di 103,5 miliardi di dollari tra il 1973 e il 2011, di cui solo un quinto di tale importo è stato canalizzato attraverso fondi bilaterali e organizzazioni multilaterali arabe3.
Il Ministero delle Finanze saudita è l’agenzia di aiuto più importante in Arabia Saudita, ma le informazioni riguardo il suo funzionamento in materia di erogazione degli aiuti e l’ammontare stesso dei singoli interventi, risultano essere abbastanza carenti.4 Il SFD, d’altra parte, ha una pagina web in cui sono elencati tutti i progetti che sono stati finanziati.5
L’Arabia Saudita assieme a Iran, Venezuela e Cina, è stata elencata da Moisés Naím6, in un suo interessante articolo apparso nel marzo del 2007 sulla rivista Foreign Policy, come donatore “canaglia”. Il perché di questa forte definizione sta nel fatto che, stando alle parole di Naím, negli ultimi anni, una serie di ricchi regimi non democratici hanno cominciato a compromettere la politica di sviluppo attraverso i propri programmi di aiuto che, sempre secondo l’autore, possono essere definiti “aiuti canaglia” (Rogue Aid) i quali determinano un’assistenza allo sviluppo non democratica in origine e non trasparente nella pratica il cui effetto è tipicamente quello di “soffocare il vero progresso”. Nel caso dell’Arabia Saudita l’autore fa riferimento al caso dei programmi di assistenza allo sviluppo nell’ambito dell’educazione, sviluppati dal governo saudita soprattutto in Pakistan, sostenendo che l’obiettivo reale degli aiuti non sia quello di aiutare altri paesi a svilupparsi e che, piuttosto, questi paesi sono motivati dal desiderio di perseguire i propri interessi nazionali, avanzare un programma ideologico e riempirsi le tasche, non curandosi del benessere di lungo periodo delle popolazioni dei paesi a cui si rivolgono, proponendo un modello alternativo di sviluppo corrotto, caotico e autoritario.7

< >NOTE
< >1 World Bank, Arab Development Assistance: Four decades of cooperation, Washington DC, 2010
< >2 Saudi Fund for Development, Annual report 2008
< >3 Millennium Development Goals, KSA Annual Report 6, Ministry of Economy and Planning, Kingdom Of Saudi Arabia, 2011
< >4 Espen Villanger, Arab Foreign Aid: Disbursement Patterns, Aid Policies and Motives, Chr. Michelsen Insitute, 2007
< >5 Per approfondire: www.sfd.gov.sa
< >6 Scrittore e giornalista venezuelano, membro dell’International Economics Program del Carnegie Endowment for International Peace, già Ministro del Commercio e dell’Industria e Direttore della Banca Centrale del Venezuela e Direttore Esecutivo della Banca Mondiale.7 Moisés Naím, Rogue Aid: What’s wrong with the foreign aid programs of China, Venezuela, and Saudi Arabia? They are enormously generous. And they are toxic, Foreign Policy, Marzo 2007
< >7 Moisés Naím, Rogue Aid: What's wrong with the foreign aid programs of China, Venezuela, and Saudi Arabia? They are enormously generous. And they are toxic, Foreign Policy, Marzo 2007

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