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MISSIONE ZERO NEET: ECCO IL PROGETTO DEL MINISTERO DEL LAVORO CON ENM E ADEPP ATTRAVERSO SELFIEMPLOYMENT

Angelo Perfetti

Si chiama SELFIEmployment, ed è un fondo rotativo a favore dei NEET che possono utilizzare un finanziamento a tasso zero, non coperto da garanzie reali per l’avvio di un’attività di impresa.In parole più semplici, un ausilio per l’avvio di piccole iniziative imprenditoriali, promosse da giovani. E’ ciò che sta alla base di un accordo tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali - Direzione Generale per le politiche dei servizi per il lavoro - e l’Ente Nazionale Microcredito. Una svolta per una categoria purtroppo in crescita. Un italiano su quattro infatti, tra i 15 e i 29 anni, non studia e non lavora. Per chiarire, circa un milione di NEET è attivamente alla ricerca di lavoro. Il resto, la maggioranza, si divide in persone che si dicono non interessate a trovare un impiego e altre che si dicono potenzialmente interessate ma così scoraggiate da non cercarlo più. In Europa fa peggio di noi soltanto la Grecia. Ecco chi sono i NEET, i giovani Not in Education, Employment, or Training, e in Italia ammontano al 26 per cento, contro una media europea del 17. Alla luce dei dati di contesto e delle criticità emerse, al fine di incrementare l’accesso e l’utilizzo al Fondo, SELFIEmployment si propone di valorizzare il contributo che una parte della rete degli sportelli dell’Ente Nazionale Microcredito (ENM) “Retemicrocredito”, che conta su una platea complessiva di circa 160 sportelli disseminati su tutto il territorio nazionale, può offrire al progetto. La piattaforma retemicrocredito è stata sviluppata nell’ambito del progetto “Microcredito e Servizi per il Lavoro” ed ulteriormente ampliata e potenziata nel progetto “Micro- Work: fare rete per il microcredito e l’occupazione” per consentire la gestione degli sportelli informativi sul microcredito a livello nazionale. Il portale rappresenta uno strumento a disposizione dell’operatore, per l’erogazione dei servizi informativi all’utenza in materia di microcredito e di autoimpiego nonché di finanziamenti e incentivi alla creazione di (micro)impresa. Il modello di funzionamento degli sportelli della “retemicrocredito” prevede che a livello regionale gli sportelli siano accompagnati da team di esperti territoriali (da 1 a 3 per ciascuna regione) che assicurano il raccordo con la struttura centrale dell’ENM e supportano il funzionamento della rete con azioni dirette, in raccordo con soggetti erogatori di fondi e di servizi, pubblici e privati nei rispettivi territori. A livello centrale è assicurato un coordinamento e un supporto sia agli esperti territoriali che ai singoli Sportelli. A livello operativo il funzionamento della rete è assicurato da una piattaforma informativa (retemicrocredito. it) che veicola on line le informazioni sulle iniziative attive, oltre ai supporti informativi e formativi per gli operatori di sportello. I più attivi tra questi sportelli possono essere operativamente coinvolti in un’azione di accelerazione a supporto dell’Iniziativa SELFIEmployment, in tutte le regioni, ma con particolare rilievo per Sicilia, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia 3 con una azione di affiancamento al caricamento della domanda di finanziamento sul portale di Invitalia. Tutti gli Sportelli possono potenzialmente partecipare sin dall’inizio all’azione più vasta di promozione e comunicazione generalista del Fondo rotativo (distribuzione dei materiali, sollecitazione del territorio, interlocuzione con le scuole superiori, ecc.) In particolare, l’obiettivo è il coinvolgimento di target potenziali quali quelli dei giovani che si avviano alla libera professione e degli studenti degli Istituti tecnici e professionali (con azioni mirate a livello locale) che presentano una maggiore propensione all’autoiprenditorialità. Il coinvolgimento degli Ordini e quindi dei professionisti sarebbe assicurato attraverso una collaborazione istituzionale con ADEPP, sulla base del Protocollo di Intesa stipulato con il Ministro del lavoro. Gli sportelli territoriali dell’ENM, presenti in quasi tutte le regioni italiane, sono in grado di stabilire sinergie sia con gli ordini professionali di livello provinciale, attraverso AdEPP, sia con le scuole superiori tecniche e professionali con rapporti territoriali diretti, ma anche i licei dove si sono tenuti percorsi di alternanza finalizzati all’acquisizione di competenze imprenditoriali. Per accedere ai finanziamenti bisogna essere giovani tra i 18 e 29 anni, NEET (Not in Education, Employment or Training), cioè senza un lavoro e non impegnati in percorsi di studio o di formazione professionale, iscritti al programma Garanzia Giovani, indipendentemente dalla partecipazione al percorso di accompagnamento finalizzato all’autoimprenditorialità. I giovani che intendono accedere ai percorsi “Crescere Imprenditori” entrano nel progetto tramite il sito della Garanzia Giovani o di Unioncamere; previa verifica del codice fiscale in una maschera telematica, che consente l’accesso a “Crescere Imprenditori” solo ai giovani che sono stati presi in carico e accolti nel programma (Misure 1A-1B-1C) e che non stanno usufruendo di altre misure di politica attiva. I giovani NEET svolgono un test attitudinale on line (su area protetta del sito Filo Unioncamere) e, in caso di esito positivo del test, vengono successivamente chiamati dalle strutture camerali competenti territorialmente per l’avvio dei percorsi. I percorsi “Crescere Imprenditori” hanno durata complessiva di 80 ore, delle quali 60 erogate in modalità aula o live stream interattivo e le restanti 20 erogate in accompagnamento personalizzato (min 1 max 3 allievi) per la stesura del business plan. SELFIEmployment è dunque il Fondo che finanzia NEET, attraverso la concessione di prestiti a tasso zero. E’ rivolto ai giovani che hanno una forte attitudine al lavoro autonomo e all’imprenditorialità, oltre alla voglia di mettersi in gioco. Ognuno può diventare imprenditore di se stesso, pianificare e costruire la propria carriera lavorativa, cercando di valorizzare le proprie attitudini e porre le basi per il proprio futuro lavorativo.

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WISE: LA FILOSOFIA DEI PROFESSIONISTI CHE ADOTTANO IL MICROCREDITO

Angelo Perfetti e Rosella Troiani

Rappresenta 1 milione 600 mila liberi professionisti, con 19 Casse di previdenza privata collegate. È una realtà complessa, emanazione di professioni anche molto diverse fra loro ma che si configurano unitariamente come un modello innovativo, che coniuga l’autonomia privata degli Enti stessi con la funzione pubblica esercitata. Stiamo parlando dell’Adepp, l’Associazione degli Enti Previdenziali Privati impegnata da sempre a tutelare l’autonomia delle Casse associate e ottenere uniformità di trattamento giuridico ed economico per gli associati. Ma per i liberi professionisti non sono tempi facili: il quinto rapporto Adepp mostra una curva in declino. Una soluzione possibile per la ripresa è l’accesso al Fondo Nazionale di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese dedicato al microcredito. Di questo e di altro abbiamo parlato con il presidente dell’Adepp, Alberto Oliveti.

Presidente Oliveti, com’è cambiata la libera professione in questi anni e cosa si aspettano i giovani dalle casse previdenziali?

Il cambiamento è diventato la costante dei nostri tempi: tutto sta cambiando, si sta evolvendo con accelerazione continua. E’ chiaro che tutto ciò incide e modifica i parametri classici di interpretazione delle modalità professionali dei giovani. La globalizzazione del mercato, la tecnologizzazione evidente, l’utilizzo sempre più spinto della digitalizzazione, stanno costringendo all’adattamento. Possiamo dire che quest’ultima è la vera sfida da vincere. Per noi è fondamentale dare appoggio alle nuove leve, perché sono proprio loro a dover mantenere i nostri sistemi pensionistici. Da sempre il sistema si basa su un patto con la generazione subentrante, ma quest’ultima ve messa nella condizione di lavorare al meglio; lavoro e previdenza siano due facce della stessa medaglia.

Come farlo in un’epoca del cambiamento?

Intanto cercando di mettere in campo gli strumenti che permettano al libero professionista le condizioni di presentarsi al mercato con la massima competitività possibile: tutelando la sua formazione professionale, cercando un’inclusione rapida nel mondo professionale specifico, provando ad attenuare quelle che possano essere le normali oscillazioni professionali, cercando di evitare le interruzioni di carriera professionale o aiutando al rientro nella carriera professionale, poi cercando di tutelare i singoli dai rischi professionali, ma anche dai rischi biomedici legati all’attività professionale: infortuni, malattie, ecc. Cerchiamo anche di aiutare dal punto di vista economico-finanziario, con un sostegno al credito che possa dare la possibilità di avviare studi professionali, di accedere agli strumenti di formazione e di addestramento professionale, sostituendo piattaforme che possano configurare un sostegno sistematico alle loro attività.

L’Adepp ha un cavallo di battaglia: il Wise. Può spiegarci nel dettaglio cosa significa?

L’Adepp ha dei progetti, che non riguardano solo il territorio nazionale ma l’esercizio professionale continentale. Vengono racchiusi nell’acronimo WISE, che in inglese vuole dire saggio; è composto da 4 parole, dove la W sta per Welfare, la I sta per Investimenti, la S Sistemi di servizi e la E di Europa. In ognuno di questi 4 driver di sostegno e di cambiamento, stiamo cercando di dare il meglio della nostra capacità di sostegno. Per quanto riguarda il Welfare professionale, identifichiamo aree di prevenzione del rischio sia professionale che biometrico, aree di sostegno con la previdenza complementare, sostegno al credito per la formazione e prestiti d’onore; poi c’è il supporto sanitario, con il sistema dei fondi sanitari integrativi. Passiamo sostanzialmente da un welfare che può definirsi passivo, fino ad arrivare a un welfare di iniziativa, quindi attivo. La I significa investimenti. Abbiamo patrimoni importanti, che sono la garanzia del pagamento delle pensioni, quindi non sono patrimoni liberi; ma vanno investiti per metterli a reddito, ottimizzando i ricavi; lo facciamo cercando investimenti che da un lato siano sicuri, perché sono patrimoni che nascono dalla contribuzione obbligatoria. Poi cerchiamo di metterli a reddito, ma in un momento in cui i tassi sono prossimi allo zero, e anzi tenere i soldi in banca significa dover pagare qualcosa, ragioniamo sempre di più sulla possibilità di fare investimenti di sostegno ai nostri sistemi professionali, ai nostri bacini. Investendo sulle nostre professioni possiamo indurre aspettative di reddito ma anche fare operazioni di tutela economica sulla dinamica professionale. E stiamo ragionando in varie aree che si differenziano per la specificità delle casse: ci sono quelle che lavorano in area sanitaria, altre lavorano in area legale, quelle di aree tecniche , e quindi occorrono investimenti che vadano in questi bacini professionali per sostenere al meglio il lavoro dei professionisti.

Quindi, da un lato il sostegno ai professionisti dall’altro il sostegno al loro lavoro?

Questo è l’obiettivo dei nostri investimenti, che cerchiamo di fare con prevalenza in Italia. Poi c’è la S, ossia entriamo proprio nell’area di sostegno, ma che sia sistemica. Servizi ovviamente per fare economia di scala, cioè cercare di spendere al meglio i contributi obbligatori (ad. Esempio la centrale unica degli acquisti); però anche servizi che possano dare loro quegli strumenti di formazione professionale che sono comuni a tutte le professioni. Basti pensare all’utilizzo della tecnologia, delle lingue, alla capacità di interagire con i sistemi di erogazione dei prestiti a livello nazionale e internazionale. E qui entra in campo la E, la parola Europa. Cerchiamo di intercettare i finanziamenti europei dedicati alle libere professioni, dato che Bruxelles le ha definite uno strumento di sviluppo e di crescita al pari delle piccole e medie imprese; ora dobbiamo essere bravi ad andare lì e riuscire a prenderli. Ci sono fondi che nascono dall’Europa, e fondi che invece passano per le Regioni. Non conoscere le modalità tecniche per accedervi significa poi rinunciarvi. Ma non ci limitiamo soltanto a questa visione europea come quella di uno strumento di finanziamento: vogliamo anche essere in Europa là dove scaturiscono delle scelte di fondo, per stimolare i piani industriali, regolare il mondo del lavoro; dobbiamo riuscire a fare pressione sui grandi temi. In Europa ci sono 11 milioni di professionisti, di cui 1,6 vengono dall’Italia, e sono quelli che rappresentano l’Adepp; sono le libere professioni qualificate, cioè quelle ordinistiche, quelle che prevedono albi tenuti da ordini e collegi e che nascono dalle lauree triennali o magistrali. Crediamo che questi professionisti possano far sentire efficacemente la loro voce.

Lei mi ha parlato di due cose: di investimenti e di welfare. Le lancio una provocazione. Ma investire in un fondo di garanzia nazionale che possa reinvestire sulle persone attraverso il microcredito?

Ci stiamo pensando, è sicuramente una stimolazione intelligente che stiamo valutando. Non per nulla nei nostri sistemi si prevede il sostegno al credito. La declinazione del credito ovviamente è di accezione vasta, pensiamo per esempio in termini di microcredito la facilità di poter accedere a finanziamenti per i fattori produttivi del reddito, per lo studio professionale. Ma pensiamo anche a qualcosa di più ampio. Sappiamo che oggi il momento economico è complicato per tutti, incide sulla nostra carne viva: un microcredito di sostegno anche all’utenza, per poter usufruire dei supporti professionali, penso che potrebbe essere una buona idea. Come anche strumenti di finanziamento e di sostegno indiretto per ciò che riguardale parcelle incagliate. Insomma, credo che sul microcredito ci sia tanto da poter fare. Siamo pronti!

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IL MICROCREDITO COME NUOVA FRONTIERA PER I GIOVANI

Tiziana Bonarrigo | Avvocato

Sentiamo sempre più spesso, oggi, parlare di ripresa dalla crisi economica, di aumento del tasso degli occupati e dell’apertura dei mercati e delle aziende verso nuove assunzioni. Contemporaneamente, tuttavia, leggiamo altrettante notizie allarmanti riguardo la disoccupazione giovanile (una vera e propria piaga, in netto aumento e a livelli che non venivano registrati dal lontano 2011), le difficoltà a mantenersi, l’aumento dell’esposizione creditizia nei confronti delle banche. I motivi sono diversi: da un lato la crisi ha indubbiamente avuto il suo ingente peso, dall’altro vi è da dire che nel momento in cui un giovane ha finalmente trovato un impiego, la sua posizione tende a essere più a rischio rispetto a quella di lavoratori che sono entrati in azienda prima, che hanno maggiori esperienze e responsabilità (le imprese tendono a tutelare questi ultimi rispetto ad un neofita). A completare tutto ciò, c’è anche una triste realtà: l’aspetto economico. Un giovane che ha idee meritevoli di attenzione, che potrebbe realizzare un qualcosa di importante, dar vita ad un progetto valido, al giorno di oggi non sempre si trova nella condizione economica di avere un capitale (se pur piccolo) per creare una impresa, per realizzare “un sogno nel cassetto”. Mancano, cioè, gli strumenti finanziari per avviare, in autonomia, una qualsiasi attività: aprire un ristorante successivamente all’aver intrapreso la scuola alberghiera e/o corsi di cucina, realizzare un’idea, un brevetto, dopo aver studiato ingegneria, magari seguito un master, uno stage, diventa una utopia per mancanza di mezzi, perché, in altre parole, esiste un sistema creditizio più nemico che amico dei giovani. È vero che l’Italia è il Paese delle grandi idee, degli imprenditori che non si arrendono, dei giovani che credono nel futuro, capaci pure di inventarsi un lavoro, ma è pur vero che privi di un sostegno economico iniziale, tanti giovani rinunciano ad un progetto, quindi al loro futuro. Non è raro constatare che anche quando un giovane ha un sogno, un progetto e vorrebbe realizzarlo da solo, “sulle proprie gambe”, aprendo la sua microimpresa, avviando un business (con la prospettiva magari di poter creare, se le cose andranno bene, anche posti di lavoro per altri), imbattendosi nelle banche italiane vede sfumare la sua avventura imprenditoriale che, verosimilmente, avrebbe contribuito allo sviluppo del Paese. Se, quindi, in Italia, oggi, l’occupazione cresce è soltanto perché i cinquantenni rimangono al lavoro ben oltre i sessant’anni (ciò è dovuto alle riforme pensionistiche), mentre il tasso di occupazione dei giovani è in drammatico calo. Sempre più trentenni, invero, tendono a rimanere in casa con i genitori, a formarsi meno una propria famiglia. I giovani (e meno giovani) spesso coabitano con i propri genitori fino a tardi (soprattutto in Italia) e questo certamente rallenta il processo di transizione, anzi lo cambia nella sua stessa natura. Si entra nella vita pubblica in modo diverso, ancora un po’ dipendenti. Nella realtà odierna, da una fotografia dei giovani emergono termini come “generazione del quotidiano”, “generazione degli sprecati”, addirittura “bamboccioni”. Effettivamente, è una generazione “sprecata” perché non si ascolta la loro capacità di innovare e si dilaziona la loro possibilità di dare un contributo alla società. Ma non per colpa loro. La “colpa” – se così si può dire – è piuttosto dei genitori che non hanno colto l’importanza del ricambio generazionale e non hanno fornito loro strumenti per essere autonomi. È colpa delle istituzioni che costruiscono percorsi di esclusione istituzionalizzata, senza proteggere i giovani nelle delicate fasi di transizione, a cominciare dall’ingresso nel mercato del lavoro. Avere tassi di disoccupazione giovanile oltre il 30% non è solo un problema individuale del giovane disoccupato, è anche un problema sociale di una società. La questione, inoltre, ha anche un aspetto contingente legato alla crisi. Non è casuale l’aumento dei giovani adulti (18-34 anni) che vivono con i genitori. Nel nostro Paese, per esempio, la mancanza di un mercato degli affitti aperto ed economico riduce di molto le possibilità di uscita in presenza di redditi da lavoro dei giovani, che sono piuttosto ridotti. La mancanza di una politica della casa ormai da decenni è un forte limite strutturale. Con la crisi il fenomeno si amplifica. Ci sono molti giovani che, anche quando hanno avviato il loro percorso di vita indipendente (andando a vivere da soli e facendosi una famiglia), vivono vicino ai genitori perché sono una delle poche risorse per affrontare i bisogni più svariati. Ovviamente è una situazione che nel medio periodo diventa insostenibile. In particolare, quando diventeranno anziane le fasce di popolazione oggi in età lavorativa, la loro situazione patrimoniale, reddituale e pensionistica non permetterà più questo trasferimento di risorse e servizi, lasciando i giovani del futuro “abbandonati a loro stessi”. In virtù del fatto che la transizione all’età adulta è oggi più lunga e lenta che in passato, viene maturato nei giovani il diffondersi di un orientamento ancorato al presente e la conseguente riduzione della progettualità legata al futuro. Sicuramente, dunque, ci devono essere cambiamenti profondi, che affrontino alla radice l’esclusione sistematica che i giovani subiscono per rendere concreta questa possibilità. Bisogna, cioè, cercare di contenere gli aspetti negativi delle nuove transizioni e trasformarli in opportunità di cambiamento. In passato una laurea portava un giovane ad un miglioramento sociale, correlato da speranze ed opportunità. Oggi nemmeno l’istruzione superiore tutela i giovani dalla precarietà e dalla disoccupazione, ovvero dalla sottoccupazione, della quale sono le vittime principali. Quelli che hanno più possibilità di occupazione, forse, sono coloro che si laureano in ingegneria, nelle materie scientifiche o del gruppo chimico-farmaceutico; bisogna, tuttavia, intraprendere una strada in salita e fare fatica per emergere. Non sorprende, perciò, che quasi il 43% dei ragazzi italiani sogna di vivere all’estero e di costruire lì il proprio futuro. I giovani, inoltre, in Italia, sono pochi. Se si diventa anziani sempre più tardi, rileviamo che il numero di giovani si riduce sempre di più. Attualmente meno del 25% della popolazione italiana ha un’età compresa tra 0 e 24 anni (una quota che si è dimezzata dal 1926 ad oggi). Si tratta di una delle percentuali più basse in Europa. Il 2015 è stato un anno record per il calo delle nascite, sono state 488.000, vale a dire15.000 in meno rispetto al 2015. Oltre ciò, come detto, sei giovani su dieci vivono con i genitori. Il 62,5% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori, con una forte differenza tra le donne (56,9%) e gli uomini (68%), ma soprattutto una consistente differenza con la media europea, che si attesta al 48,1%. Vi è una tendenza a posticipare molte cose: si sposta il matrimonio, si aspetta per fare il primo figlio e anche l’età nella quale si diventa nonni è differente rispetto al passato. Tutto ciò è dovuto alle grandi difficoltà che i giovani incontrano nel mercato del lavoro, che, non garantisce stabilità e penalizza le retribuzioni. I nostri giovani sono, per la maggior parte, disoccupati. Neanche la laurea, come detto, riesce a salvaguardarli, posto che il tasso di occupazione di un laureato di 30-34 anni è passato dal 79,5% del 2005 all’attuale 73,7%. E infine tra i giovani il tasso dei sovraistruiti (in possesso di un titolo di studio superiore rispetto al lavoro che fanno) è triplo rispetto a quello degli adulti. Nel 2015, su 100 ragazzi di età compresa tra 15 e 19 anni soltanto quattro hanno trovato occupazione ( mentre erano 15 nel 1993). Il calo è dovuto esclusivamente all’aumento degli inattivi per motivi di studio: nel 2015, invero, gli studenti hanno rappresentato l’84,7 per cento dei giovanissimi. Peraltro l’allungamento dei percorsi di istruzione ha determinato l’aumento dell’inattività anche nelle classi di età successive, sebbene in misura decrescente. I ragazzi del terzo millennio sono flessibili, dinamici, aperti alle diversità e ai cambiamenti ma, certamente, la loro è una generazione che nutre una sfiducia verso la politica, che vive nella precarietà esistenziale. I giovani, tuttavia, sentono la necessità di riscattarsi, affermarsi nella società (anche economica). Per questo il concetto di autoimpiego diventa fondamentale. I nostri giovani imprenditori sono bravi, hanno idee, voglia di fare. È un vero peccato che siano tenuti a margine nella società italiana, atteso che quando hanno l’opportunità dimostrano di valere molto. Per fare un esempio: nelle microimprese, che rappresentano oltre il 85% delle unità produttive italiane, le aziende guidate da imprenditori giovani hanno aumentato i posti di lavoro in misura maggiore rispetto a quelle guidate da imprenditori anziani. In analoghe analisi svolte in precedenza dall’Istat si è mostrato come, nell’ambito delle aziende di minore dimensione, quelle con un titolare più giovane avessero una maggiore probabilità di creare posti di lavoro nell’ultimo biennio. Ne deriva che imprenditori giovani creano più lavoro degli anziani. Il microcredito, pertanto, alla luce di ciò, può essere considerato una “nuova frontiera”. Con le difficoltà economiche che si sono presentate negli ultimi tempi, gli istituti di credito si sono sempre più resi conto di quanto la popolazione italiana sia con un povero e limitato fondo finanziario. Posto che chi ne ha risentito principalmente sono soprattutto i giovani, il microcredito può essere considerato come “salvagente”, come “ancora di salvezza” per tutti coloro che hanno difficoltà a chiedere credito avvalendosi del classico sistema dei prestiti. Riuscire, invero, ad ottenere un microcredito può essere l’inizio di una partenza o realizzazione di una nuova realtà. In sostanza, per i nostri giovani, piccoli prestiti possono tramutarsi in grandi opportunità. Le iniziative del microcredito, così intese, sono finalizzate sia ad individuare le misure per stimolare lo sviluppo dei sistemi finanziati a favore dei soggetti in stato di povertà (al fine di incentivare la costituzione di microimprese in campo nazionale ed internazionale), sia a promuovere la capacità e l’efficienza dei fornitori di servizi di microcredito e di micro finanziamento, nel rispondere alle necessità dei soggetti in stato di povertà. Questo è il senso del microcredito che va a favore dei giovani: concedere finanziamenti a tasso agevolato per sostenere imprese esistenti, nuovi progetti e nuove esperienze imprenditoriali affinché possano affermarsi sul mercato, potendo così far fronte al rientro del prestito attraverso il reddito prodotto dalla stessa iniziativa imprenditoriale. Il microcredito d’impresa, infatti, garantisce all’iniziativa privata una via che non basa il suo finanziamento su garanzie reali o sul suo reddito futuro, ma solo ed esclusivamente sulla fattibilità dell’opera e sulla sua coerenza tecnica, finanziaria ed economia. Può, quindi, aprirsi un spiraglio importante per la gioventù di oggi, da cui possono derivare grandi vantaggi. Di contro al crescere della povertà e della marginalità sociale in Italia dei giovani, il microcredito non può che essere considerato un indispensabile strumento per fronteggiare i problemi che li affliggono. Il microcredito diventa, quindi, una forma di riscatto, una opportunità per gli “svantaggiati”, i giovani bisognosi, i capaci ma privi di mezzi economici per mettere in pratica e realizzare i loro progetti, “dando vita anche a piccoli sogni da non lasciare morire in un cassetto”.

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SOGNI NEL CASSETTO E LAVORO GIOVANILE

Tiziana Bonarrigo | Avvocato

INTERVISTA A PIETRO ZOCCONALI PRESIDENTE ASSOCIAZIONE NAZIONALE SOCIOLOGI

Cosa ne pensa del microcredito come forma di intervento sul tessuto socioeconomico e sviluppo sociale?

In questo momento, dato che è molto difficile ottenere dagli istituti bancari tradizionali denaro liquido, soprattutto da parte dei giovani che non hanno un lavoro fisso, tantomeno garanzie, penso che questa nuova forma di assistenza esistente in Italia, che si rivolge quasi esclusivamente al ceto medio-basso, sia una buona cosa. Credo, per quanto ne sappia, che il microcredito, possa anche andare a contrastare il crimine. Mi spiego: ci sono molte persone che, non avendo ottenuto denaro dagli istituti di credito, ricorrono a prestiti privati altamente costosi, o, peggio, sono costretti a rivolgersi ad individui senza scrupoli che esercitano e proliferano nell’illegalità; c’è chi pensa ci siano impiegati di banca che consigliano ai propri clienti di rivolgersi a certi personaggi, a dir poco alternativi, per cercare dei finanziamenti, anche minimi, che la banca si rifiuta di concedere, e questa è una cosa che fa paura. A proposito di piccoli prestiti mi viene in mente il film “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica: quel povero cristo interpretato da Lamberto Maggiorani, attaccava i manifesti e si guadagnava da vivere; nel momento in cui gli era stata rubata la bicicletta, il suo mezzo di trasporto necessario per l’attività professionale, aveva pensato, con un gesto disperato, di rubare a sua volta una bicicletta e si era ritrovato rincorso e malmenato; è un episodio terribile, emblematico del dopoguerra che può essere rapportato ai giorni nostri: verosimilmente pensando ad un’automobile, anziché ad una bicicletta. Se quel poveretto avesse avuto l’opportunità di chiedere un piccolo prestito per ricomprarsi una bicicletta, avrebbe potuto tranquillamente continuare a svolgere il suo lavoro. Ma anche oggi c’è mancanza di welfare, specie in riferimento ai giovani; manca proprio un mezzo, una struttura che possa favorire il ceto medio-basso che sia disposto a mettere in secondo piano quelle garanzie e certezze che sono spesso richieste dalle banche le quali, altrimenti, non concedono prestiti.

In riferimento all’economia sociale di mercato, crede che il microcredito possa essere uno strumento, un mezzo concreto per dare opportunità, per la realizzazione di progetti che, senza di esso, resterebbero dei “sogni nel cassetto” per i giovani di oggi?

Il microcredito potrebbe essere il mezzo migliore per permettere a tanti giovani di sfruttare il loro potenziale; potrebbe concedere loro certe opportunità. Sto pensando a quei ragazzi intelligenti e pieni di spirito di iniziativa, fulmini di guerra ai quali manca soltanto quel minimo di denaro, quel quid in più per far partire un progetto qualsiasi, magari l’apertura di un negozio, anche se con dei sacrifici iniziali. Tutto ciò viene vanificato di fronte alla mancanza di un tesoretto iniziale che nessuna banca è disposta a concedere senza una montagna di garanzie.

Pensa che i programmi di microcredito possano avere un impatto positivo sul contesto politico, sociale e istituzionale del nostro Paese? Pensa che possano favorire sviluppo, capacità di consumo e produttività? Se sì, in che modo?

Sì. Certamente. È, pero, importante che chi gestisce il microcredito non debba approfittarsi del fatto che le banche non soddisfano i bisogni dei giovani. Il dover richiedere meno garanzie non deve far automaticamente alzare i tassi di interesse. In questo periodo di crisi c’è tanta gente costretta a ricorrere ai prestiti e per soddisfarla bisognerà trovare delle soluzioni. A proposito del welfare di una volta mi vengono in mente due personaggi dei “Promessi sposi” di Manzoni: Don Abbondio che usava fare dei piccoli prestiti ai suoi parrocchiani, e Fra’ Cristoforo che per aiutare i poveri e i malati è stato prima espulso dal suo paese ed ha poi compiuto l’estremo sacrificio per assistere i malati di peste. Anche oggi abbiamo bisogno di eroi; ci vuole tanta umanità da parte anche di chi gestisce il microcredito, bisognerà evitare di cercare di ottenere lauti guadagni alle spalle dei più bisognosi. Lo scopo è quello di risolvere i problemi della povera gente, dei giovani in particolare, per far loro ritrovare una serenità persa.

Crede che attraverso il microcredito possa esserci una maggiore integrazione tra l’individuo e il contesto socio-istituzionale? Se sì, come?

Ci sono tante persone ai margini della società, che non riescono ad entrare in quel circuito virtuoso che consiste nel vivere serenamente; c’è gente, invisibile ai più, che sta ferma a guardare, relegata in un angolo del tessuto sociale cercando di soddisfare i bisogni primari. Qualcuno, ogni tanto, dovrebbe fermarsi o rallentare per tendere una mano a queste persone. Lo strumento del microcredito, usato saggiamente, può essere una grande opportunità. In particolare, credo che, tra i giovani, le ragazze siano le più bisognose. Per un ragazzo probabilmente è più facile partire e andare a fare il cameriere in Inghilterra o mettere su una pizzeria in Australia. Per una ragazza è tutto più difficile. Se questa volesse aprire una attività, senza poter dare garanzie sufficienti ad una banca tradizionale, il microcredito è lo strumento giusto e potrebbe essere l’unica opportunità per la realizzazione di un progetto e, quindi, per aiutare una o più persone ad integrarsi nel contesto socio-istituzionale.

Dal punto di vista sociologico, che suggerimenti ha da dare per la utilità del microcredito, specialmente per i giovani?

Una volta, specie nei piccoli centri, le persone erano più a contatto; alcuni personaggi, il parroco, il maresciallo, il farmacista, sapevano tutto di tutti e in un certo senso i ragazzi erano più protetti: oltre che sulla loro famiglia potevano contare sull’aiuto di una miriade di parenti e di alcuni personaggi influenti. Oggi non è più così, la frammentazione delle famiglie e la drastica riduzione del numero dei componenti familiari rende i giovani sempre più soli. Per di più i giovani, per buona parte, si stanno allontanando dalla religione, e la mancanza di una figura che sostituisce il buon parroco, si fa sentire. Qualcuno ha asserito che il sociologo potrebbe essere il nuovo parroco del 2000, fare le funzioni del prete di una volta, ma ciò è molto difficile, sia per la loro scarsità che per la mancanza di preparazione in quel contesto. Anche gli impiegati del microcredito, a mio avviso, potrebbero prendere questa posizione di tutor e seguire step by step quei ragazzi che hanno chiesto un finanziamento. Dopo aver concesso il credito, dovrebbero seguire la loro attività e restare in contatto comportandosi da buoni consiglieri. In definitiva, alla richiesta di credito, per una diversa tipologia di garanzia non a livello economico, dovrebbero chiedere come sarà impiegato quel denaro e, anche dopo l’avvio di quella certa attività, partecipare agli sviluppi della stessa, dare consigli per rispettare leggi e regolamenti, per non fare errori di mercato; già ora, in alcune banche, ci sono impiegati che entrano in amicizia con i clienti, addirittura si recano nelle loro case, specie di chi ha soldi da investire in azioni, e questo potrebbe essere un buon suggerimento per lo sviluppo del microcredito.

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DALL’OCSE COMPETENZE PER IL LAVORO E PER L’IMPRESA, SINERGIE CON IL MICROCREDITO

Tiziana Lang | Ricercatrice INAPP

Nel mese di ottobre 2016 si è tenuto a Parigi il Comitato per l’occupazione, il lavoro e gli affari sociali (ELSA) dell’OCSE. L’agenda dei lavori ha toccato in più punti il tema delle competenze di giovani e adulti quale strumento fondamentale per una partecipazione piena e attiva alla vita economica (e sociale). Le competenze e abilità degli individui sono al centro di una serie di indagini e studi dell’OCSE2 che giungono alla medesima conclusione: competenze e abilità (competences and skills) personali devono essere adeguate alla luce dei cambiamenti introdotti nei mercati del lavoro dalle tecnologie digitali, dall’automazione, dalla globalizzazione e dal cambiamento climatico. Per cogliere appieno le nuove opportunità offerte in molti settori produttivi dalle tecnologie digitali, è indispensabile che gli individui sviluppino il giusto insieme di competenze per fare un uso significativo di tali tecnologie.

I Governi sono chiamati ad attivarsi per formare nei più giovani le competenze utili in un mercato del lavoro dinamico e, al contempo, per sostenere gli adulti già occupati nel processo di miglioramento e aggiornamento costante delle proprie capacità e competenze. Fra le politiche esaminate dal Comitato ELSA anche quelle promosse a livello globale per l’accrescimento e il miglioramento delle competenze delle donne in attuazione della Raccomandazione OCSE del 2013 “sulla parità di genere nell’istruzione, nell’occupazione e nell’imprenditorialità”. A quattro anni di distanza, l’organizzazione internazionale sta realizzando un rapporto sugli avanzamenti registrati nei diversi ambiti oggetto delle raccomandazioni: istruzione, occupazione e imprenditorialità. Il tema dell’istruzione, quello delle differenze uomo/donna nei livelli di alfabetizzazione finanziaria e quello dell’avanzamento delle donne nei tassi di imprenditorialità assumono un significato particolare se riferiti alla microfinanza e al contributo che gli strumenti finanziari possono offrire all’emancipazione delle donne (sociale e finanziaria). Secondo uno studio OCSE di quest’anno sulla parità di genere nei percorsi di istruzione(The ABC of Gender Equality in Education, 2016), meno del 5% delle ragazze di 15 anni ha in programma di intraprendere una carriera in settori tecnici (ingegneristico, informatico, ecc.) mentre il 16% di esse intende specializzarsi nel settore della salute (anche se non come infermiera e ostetrica).

Il dato relativo alle donne che si sono laureate in discipline afferenti l’ambito ingegneristico, manifatturiero e delle costruzioni nel 2012 si ferma al 28%, se pur in crescita di 5 p.p. dal 2001 ad oggi. A conferma dello scarso interesse delle ragazze per questo tipo di studi il trend delle immatricolazioni sempre nel 2012: solo il 14% delle studentesse si sono iscritte a percorsi di laurea tecnico-scientifici contro il 39% dei colleghi uomini. Per una volta il nostro Paese si mostra in controtendenza rispetto alla media: infatti, sono donne circa 1/3 dei laureati negli ambiti tecnico-scientifici dello stesso anno. Da non sottostimare un effetto collaterale della scarsa presenza femminile nei corsi di laurea tecnici, ossia, la futura minore presenza femminile nelle professioni più richieste e meglio retribuite sia come lavoratrici autonome che lavoratrici dipendenti. Sempre con riferimento alla possibilità di svolgere lavori meglio retribuiti e affermarsi lavoro autonomo e imprenditoriale, può essere interessante riflettere sullo stato dell’arte della competenza finanziaria dal punto di vista del genere. Come più volte ribadito sulle pagine di questa rivista, le capacità finanziarie rientrano tra le abilità che possono contribuire a una piena e migliore partecipazione alla vita economica e sociale. L’alfabetizzazione finanziaria è essenziale affinché uomini e donne siano in grado di meglio comprendere la complessità dei prodotti finanziari, dei servizi e dei sistemi oggi disponibili e di utilizzare al meglio l’offerta, comprendendone i possibili rischi e le incertezze. Si deve tener conto del fatto che i giovani di oggi (maschi e femmine) saranno esposti al cosiddetto “rischio finanziario” per un periodo più lungo a causa dell’aumentata aspettativa di vita generale, della progressiva riduzione delle prestazioni sociali di natura pubblica e di un’accresciuta incertezza economica e lavorativa (continuità dei percorsi professionali, interruzioni per motivi di cura familiare, fasi di crisi, ecc.).

Secondo l’OCSE (v. grafico 4.23), non esistono grandi squilibri di genere nelle conoscenze della materia finanziaria a livello di scuole superiori. Fa eccezione l’Italia, dove i maschi sembrano essere più preparati delle femmine, con un gap di genere pari a otto punti percentuali che aumenta fino a 15 p.p. se si considerano, oltre alle capacità finanziarie, anche quelle di matematica e lettura.

L’OCSE valuta i gap di genere nelle competenze finanziarie osservando la distribuzione dei voti di ragazzi e ragazze in più materie. Tra i giovani che presentano performance superiori al 90° percentile (cosiddetti top performers) i maschi presentano risultati migliori delle femmine, mentre tra gli studenti che si piazzano al di sotto del 25° percentile (low performers) le ragazze tendono a ottenere giudizi migliori dei maschi. Secondo lo studio, dunque, quando ci si rivolge agli studenti con un livello di alfabetizzazione finanziaria insufficiente è importante rammentarsi del fatto che i maschi che presentano performance scarse hanno con ogni probabilità carenze generalizzate (voti bassi in più materie), mentre le femmine potrebbero avere bisogno di sviluppare solo le competenze utili ad aumentare l’alfabetizzazione finanziaria. Le differenze nei livelli di alfabetizzazione finanziaria si registrano, invece, tra gli adulti (Agnew et al., 2013; Arrondel et al., 2013; Fornero e Monticone, 2011; Crossan et al., 2011; Lusardi e Mitchell, 2011) e sembrerebbero dipendere soprattutto dalle diverse caratteristiche maschili e femminili dal punto di vista socio-economico. E’ come se, terminati gli studi, maschi e femmine fossero esposti a differenti opportunità di apprendere e migliorare le proprie competenze finanziarie (per es. accesso a lavori in settori diversi a causa di stereotipi culturali diffusi, minori opportunità di accesso delle ragazze al mercato finanziario, ecc.) e a causa di ciò sviluppassero sia livelli differenti di conoscenza della materia finanziaria sia strategie finanziare diverse. Il grafico 2, dedicato alle opportunità di formazione e accesso alle risorse economiche per avviare una attività autonoma ci mostra le differenze ancora esistenti tra uomini e donne. Le donne hanno meno opportunità di accedere al credito in quasi tutti i paesi OCSE. Lievemente migliore la situazione per quanto riguarda la formazione imprenditoriale.

Il gap di genere nella percentuale di imprenditori sul totale degli occupati rimane elevato in tutti i Paesi OCSE (solo in Nuova Zelanda uomini e donne hanno la medesima percentuale di imprenditori). La quota di donne lavoratrici autonome imprenditrici è pari al 10% mentre quella degli uomini supera il 18%. In Italia le imprenditrici rappresentano il 16% degli occupati, contro il 27% ca. dei colleghi uomini (vedi grafico 3 da Entrepreneurship at a Glance, 2016).

I lavoratori autonomi uomini tendono ad assumere dipendenti più frequentemente delle donne (in media 2,5 volte) e lavorano circa otto ore in più delle donne a settimana. Nella maggioranza dei paesi OCSE le imprenditrici e lavoratrici autonome si occupano di servizi (70% circa contro il 50% degli uomini imprenditori). Superate le difficoltà nell’accesso al credito e alla formazione, e avviata la propria attività, le donne imprenditrici mostrano un atteggiamento molto simile a quello dei colleghi uomini rispetto al futuro (vedi grafico 4 sul campione intervistato) con percentuali molto simili di “positività” in relazione alle condizioni delle proprie imprese.

Le piccole imprese orientate al digitale, presenti on line e che utilizzano gli strumenti dell’economia digitale per promuovere la propria attività tendono ad esprimere valutazioni più positive in relazione al futuro (vedi grafico n. 5). Non essendo possibile desumere dai dati disponibili se questo sia un segnale di un cambiamento generazionale nella conduzione delle PMI, si evidenzia come le sperimentazioni in corso anche nel nostro Paese per la fertilizzazione del tessuto imprenditoriale artigianale con i talenti digitali delle nuove generazioni (“Crescere in digitale” di Google e Unioncamere, per es.).

Non rimane che attendere l’esito dell’attività di ricognizione sull’attuazione della Raccomandazione dell’OCSE che presenterà un riepilogo delle principali barriere all’imprenditorialità femminile e delle nuove tendenze politiche che si sono dimostrate vincenti per la riduzione del gender gap nell’imprenditoria. DUE PROPOSTE PER IL FUTURO La riduzione degli squilibri di genere nell’alfabetizzazione finanziaria nel nostro Paese dovrebbe essere perseguita con una strategia apposita tesa ad evitare lo “scollamento” tra il periodo scolastico e le scelte di istruzione terziaria e di settore lavorativo da parte delle giovani donne. Dovrebbero essere sviluppati e attuati iniziative e programmi (anche a valere sulla programmazione dei Fondi SIE 2014-2020) rivolti a soddisfare i bisogni manifestati dalle donne in questo ambito e, in particolare, ad incoraggiare la loro consapevolezza, fiducia, competenza e abilità nel trattare la materia finanziaria. Tale compito dovrebbe essere svolto dalle amministrazioni competenti in materia di istruzione, educazione finanziaria, mercato del lavoro, credito alle imprese e sviluppo di impresa. Infine, in considerazione di quanto atteso da OCSE sull’attuazione della Raccomandazione del 2013, potrebbe essere utile strutturare un Osservatorio sulle imprese e l’autoimpiego delle donne. Il Dipartimento per le pari opportunità, l’ISTAT, Unioncamere, l’ENM e i dicasteri competenti in materia di inclusione sociale e incentivi alle imprese (MLPS e MiSE) potrebbero così contare su una fonte condivisa di dati sulle differenze di genere nell’imprenditorialità, nell’accesso al credito, nell’accesso ai servizi di accompagnamento alla creazione di impresa e autoimpiego, nella propensione all’innovazione e nella proiezione internazionale. Con l’obiettivo finale di sviluppare politiche innovative di settore per il miglioramento della imprenditoria femminile e del suo contributo alla crescita dell’impresa italiana.

MICROFINANZA UE PER L’INCLUSIONE E L’IMPRESA SOCIALE – LO STATO DELL’ARTE

Il 15 novembre 2016 nel corso del Comitato di Gestione del programma “Employment and Social Innovation (EaSI)” la Commissione Europea ha presentato i dati di attuazione dell’Asse Microfinanza e Impresa sociale del programma (2014- 2020) e quelli relativi allo Strumento Progress di Microfinanza a sei anni dal suo avvio. In base ai dati disponibili al 31 marzo 2016 a partire dal 2010 sono stati mobilizzati - dallo strumento finanziario europeo “Progress Microfinanza” (predecessore dell’Asse Microfinanza e Impresa Sociale di EaSI) - più di 440 milioni di euro. Tali risorse sono state utilizzate nel territorio dell’Unione Europea per l’erogazione di 53.500 microcrediti destinati a più di 50mila microimprenditori per la maggior parte persone vulnerabili a rischio di esclusione sociale e con difficoltà di accesso al credito. E’ stato pertanto ampliamente superato il target dei 46mila micro-mutuatari (beneficiari finali) inizialmente fissato per il 2020 per lo strumento finanziario. La misura ha contribuito a creare più di 85mila posti di lavoro (tra auto-impiego e personale dipendente delle microimprese avviate), dimostrando una forte capacità della misura in termini di impatto occupazionale e di inclusione sociale, nonché di efficacia nella diffusione del paradigma della microfinanza inclusiva nell’UE. Le opportunità di microcredito sono state colte soprattutto da coloro che erano privi di occupazione – circa la metà dei beneficiari finali - ed hanno avviato e sviluppato le proprie aziende rivolgendosi alle istituzioni di microfinanza e agli istituti di credito che avevano aderito al programma Progress microfinanza. Per quanto concerne gli strumenti di garanzia del programma EaSI, dal suo lancio a metà del 2015 e in base ai dati disponibili al 10 ottobre 2016, l’Asse Microfinanza e impresa sociale è stato raggiunto da una forte domanda da parte degli intermediari finanziari che fungono da erogatori dei microcrediti garantiti dall’Unione Europea (FEI e BEI) ai beneficiari finali. Sono già 33 gli accordi sottoscritti e 18 paesi in cui si erogano i “microcrediti EaSI” per un valore totale di 52,7 milioni di euro, che rappresentano più della metà del budget disponibile di 96 milioni di euro, destinato allo strumento per l’intero periodo di programmazione 2014-2020. A loro volta, queste transazioni approvate e sottoscritte dovrebbero sbloccare circa 661 milioni di euro di finanziamento in favore di circa 50mila microimprese e imprese sociali (grazie al programmato effetto leva). In totale, pertanto, la Commissione ha mobilizzato oltre 1 miliardo di euro in favore di più di 100mila micro-imprenditori in 23 Stati membri di cui 440milioni già erogati dallo strumento Progress Microfinanza e 661milioni che l’Asse Microfinanza e impresa sociale di EaSI è atteso erogare entro il 2020. Infine, come da comunicati stampa della Commissione Europea, si sta tentando di rafforzare il Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (EFSI) con l’introduzione di Piattaforme che consentano di investire in partenariati pubblico-privati nel campo dell’innovazione, inclusa quella sociale. Il Fondo rappresenta il Primo pilastro del Piano degli investimenti per l’Europa di Juncker. È istituito nell’ambito della BEI con l’obiettivo di stimolare l’economia creando un contesto favorevole agli investimenti privati anche grazie all’assunzione su di sé di parte del rischio attraverso una garanzia di prima perdita, con un previsto effetto moltiplicatore complessivo di 1:15 in termini di investimenti reali (c.d. Addizionalità pubblica). Tale effetto leva dovrebbe consentire di mobilitare più di 300 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi durante un periodo di investimento di tre anni (la garanzia diretta del Bilancio UE ammonta a 16 miliardi di euro e quella della Banca Europea per gli Investimenti a 5 miliardi).

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