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QUALE REGOLAMENTAZIONE PER LE IMPRESE DIGITALI?
QUALE REGOLAMENTAZIONE PER LE IMPRESE DIGITALI?
RODOLFO DE LAURENTIIS
AVVOCATO
La società contemporanea e l’economia hanno subito cambiamenti profondi dall’avvento di nuove tecnologie e in particolar modo dalla diffusione di internet. A partire dagli anni ‘70, l’introduzione del microprocessore e la nascita del personal computer hanno avviato il processo, ancora in fase di sviluppo, che sta rimodellando la società sulla base di paradigmi del tutto nuovi.
L’avvento delle tecnologie digitali ha trasformato la società industriale, tanto da ridefinirne il modello economico e sociale secondo nuove regole, quelle della “società dell’informazione”.
Tale espressione, che trova la sua origine in quella di “società post-industriale” usata per la prima volta nel 1973 da Daniel Bell, ordinario di sociologia ad Harvard, sta a indicare una società che, giunta al culmine del processo di industrializzazione, deve – per continuare a crescere – concentrare i propri sforzi verso la produzione non più di beni materiali bensì di servizi immateriali.
Alla old-economy, tradizionalmente fondata sulla combinazione tra capitale e lavoro, negli ultimi anni si è affiancato un modello di sviluppo economico, in cui gli assets fisici diventano relativamente meno importanti, mentre sono predominanti le informazioni, quali strumenti di creazione di valore.
Lo sfruttamento intensivo del valore economico dell’informazione ha dato vita alla c.d. economia digitale, al cui interno sono ricomprese sia aziende, il cui modello di business è interamente basato sullo sfruttamento di assets intangibili, distribuiti agli acquirenti in formato digitale, sia aziende che sfruttano modelli di business diversi, alcuni dei quali ancora legati alla produzione o alla distribuzione di beni tangibili.
Con il passare del tempo, diventa tra l’altro, sempre più difficile definire i confini dell’economia digitale rispetto a quelli dell’economia tradizionale, dal momento che quasi ogni azienda, in un modo o nell’altro, integra al proprio interno, con sempre maggiore forza, le tecnologie digitali.
È questa la caratteristica che ha consentito in breve tempo alle aziende che basano i propri ricavi sulla fornitura di beni intangibili di sovrastare, nel settore nel quale si trovano in competizione, le aziende ancora legate alla produzione di beni tangibili.
Si pensi, ad esempio, al successo di Netflix, che in breve tempo ha soppiantato il colosso del noleggio di prodotti home video Blockbuster, determinandone il fallimento, grazie alla possibilità offerta da internet e dalla diffusione della banda larga, di proporre direttamente a casa dell’utente il servizio che in precedenza il consumatore era costretto a reperire, recandosi presso il punto vendita Blockbuster. L’intangibilità dei beni forniti ha consentito inoltre a Netflix di recuperare il vantaggio competitivo costruito da Blockbuster nel tempo, derivante dalla rete distributiva su scala mondiale che gli consentiva di offrire il proprio prodotto in quasi ogni parte del mondo. A Netflix è bastato appoggiarsi alle infrastrutture di rete, diffuse ormai in ogni parte del mondo, per distribuire il proprio prodotto.
Questa possibilità è la caratteristica che ha consentito alle imprese digitali di espandersi in brevissimo tempo in ogni parte del mondo: a differenza delle imprese legate alla old-economy, le multinazionali del web denotano un tasso di crescita elevatissimo, dal momento che, per entrare in un mercato nuovo, non hanno la necessità di creare una rete distributiva ex novo, potendo veicolare i servizi forniti attraverso Internet.
In passato un gruppo multinazionale doveva stabilire una sede operativa nel Paese in cui intendeva svolgere i propri affari. Gli attuali progressi tecnologici, la rimozione delle barriere alla libera circolazione dei capitali e il passaggio ad un’economia basata soprattutto sui servizi hanno consentito ai gruppi multinazionali di operare come imprese globali, limitandosi ad una presenza meramente digitale nei singoli Paesi. Si pensi, per fare un esempio, agli store digitali, nei quali i beni (digitali), acquistati online, vengono trasferiti virtualmente con un semplice download.
I vantaggi offerti dall’intangibilità dei contenuti distribuiti non si fermano qui: se i beni distribuiti sono immateriali, gli investimenti in fattori produttivi e forza lavoro sono notevolmente inferiori rispetto alle aziende legate ad un’economia prettamente industriale.
Rispetto all’epoca della comunicazione analogica, che passava per il telefono o il fax, l’abbinamento tra trasmissione digitale, computer, fibra ottica e satellite consente di organizzare riunioni tra persone site in continenti diversi, come se queste fossero nella stessa stanza, tra l’altro con un evidente contenimento di costi rispetto ai tradizionali strumenti di comunicazione.
L’intangibilità dei beni forniti è dunque la caratteristica che meglio è in grado di esprimere l’aspetto peculiare dell’economia digitale, oltre ad essere il fattore che solleva i principali profili di criticità dal punto di vista giuridico e fiscale.
I profili di criticità sollevati dall’affermazione dell’economia digitale investono praticamente ogni campo della regolamentazione.
Sotto tale aspetto, va peraltro evidenziato come taluni ambiti dell’economia digitale si prestano bene ad essere regolamentati dalle norme che disciplinano le imprese della old-economy, mentre altri - i più innovativi- necessitano di trovare regole del tutto nuove, in considerazione della profonda differenza che caratterizza tali modelli di business da quelli tradizionali.
È questo il caso, ad esempio, della sharing economy, ossia il modello economico basato su un insieme di pratiche di scambio e condivisione, sia di beni materiali che di servizi, che, per il suo carattere totalmente innovativo, fatica ad essere ricompreso all’interno delle normative attuali.
Si confrontano nel tentativo di fornire la soluzione regolamentare più idonea alle sfide sollevate dall’economia digitale due modelli sostanzialmente opposti. Da una parte, c’è chi propone, sulla scorta di quanto accaduto per la Rete, cresciuta fondamentalmente in assenza di regole esterne, di evitare di imbrigliare eccessivamente le aziende digitali, mantenendo le norme attuali e favorendo modelli di autoregolamentazione.
Dall’altra, vi è chi sollecita l’emanazione di normative specifiche in modo da colmare il divario esistente tra la velocità con cui avvengono i cambiamenti tecnologici e la difficoltà di tradurli in un perimetro di leggi.
Da questo punto di vista, non è più rinviabile la necessità di rivedere il quadro normativo vigente al fine di ricomprendere al suo interno anche le nuove imprese, stabilendo regole eque per fare in modo che siano le forze del mercato e non lo Stato a stabilire vincitori e vinti.
Fondamentale è superare l’attuale impasse, rappresentata da una legislazione in perenne rincorsa tecnologica, del tutto inadeguata a coniugare le legittime aspettative degli operatori - nuovi e tradizionali- di competere secondo regole eque con le istanze dei consumatori di poter usufruire dei servizi offerti dalle imprese digitali.