DIECI ANNI DI MAGISTERO SOCIALE DI PAPA FRANCESCO INTERVENTO DI S.E. MONS. GIUSEPPE BATURI

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“DIECI ANNI DI MAGISTERO SOCIALE DI PAPA FRANCESCO”, evento del 17 FEBBRAIO 2023 PRESSO IL CENTRO CONVEGNI CARLO AZEGLIO CIAMPI DELLA BANCA D’ITALIA

Ringrazio vivamente gli organizzatori, il presidente dell’Ente Nazionale per il Microcredito, ringrazio il dottor Schiavazzi per l’invito a questo incontro, come ringrazio il Dottor Cipollone, e tutti voi, Sua Eminenza Mons. Galantino il mio Segretario Generale.. Certamente in questo incontro e l’accoglienza che ha avuto in un pubblico così qualificato, mi ha prima sorpreso e poi non lo nascondo anche un pò imbarazzato. Accolgo la vostra presenza come un credito dato al Magistero e alla figura del Papa, ma anche alla chiesa che è in Italia. Mi sento stamani come uno che racimola dietro i vendemmiatori così come nel libro del Siracide, non potendo racchiudere nello spazio di questi intervento la ricchezza del magistero sociale del Papa, sono ben contento di poter offrire il contributo di una spiga rimasta, di un acino di gratitudine, uno sguardo ammirato che aggiungo alla profondità del Magistero del Santo Padre. C’è anche la speranza di poter vivere in queste ore, non un semplice confronto di parole e pensiero ma un incontro tra uomini che dentro le rispettive responsabilità provenienti da storie diverse, possano riconoscersi per il tentativo che fanno di vivere un compito, per l’edificazione di una storia più degna della dignità dell’uomo e un mondo migliore. Nei mesi di agosto e settembre 2020, il Santo Padre ha dedicato l’udienza generale al tema “guarire il mondo”, cioè al tema della rigenerazione e trasformazione del mondo che stava affrontato la grande incognita del covid-19. Cosa può trasformare nelle radici le infermità personali e sociali, cosa può farci sperare nella guarigione di strutture ingiuste e di pratiche distruttive che ci separa gli uni dagli altri? Il Papa indica con decisione questa strada, dobbiamo tenere ben fermo il nostro sguardo su Gesù e con questa fede abbracciare la speranza del Regno di Dio che Gesù ci porta, un Regno di guarigione e di salvezza che è già presente in mezzo a noi, un Regno di giustizia e di pace che si manifesta con opere di carità, che a loro volta accrescono la speranza e rafforzano la fede. Il Suo, quello del Papa, è un approccio profondamente teologico, perché il rinnovamento anche sociale proviene da un nuovo incontro col vangelo della fede, della speranza e dell’amore, che ci invita ad assumere uno spirito rinnovato e creativo. Nel suo documento programmatico l’esortazione apostolica evengelica gaudio, Francesco offre come una sintesi della sua considerazione del tema sociale, il kerygma possiede un contenuto ineludibilmente sociale, nel cuore stesso del Vangelo vi sono la vita comunitaria e l’impegno per gli altri. Il contenuto del primo annuncio è un’immediata ripercussione morale il cui centro è la carità, dal cuore del Vangelo al cuore del Popolo. I principi sociali non sono ciè desunti da una filosofia immutabile o dal diritto naturale come si pensava fino a qualche decennio fa, ma sono implicazioni necessarie dell’annuncio del vangelo e della sua celebrazione anche sacramentale, perché il cuore del Vangelo è l’esperienza di un amore che non può non avere conseguenze antropologiche sociali e cosmologiche, cioè per la vita della persona, della comunità, e del nostro rapporto col creato. Il Mistero dell’amore di Dio ci attira e dialoga con la nostra ricerca in unione con i fratelli uomini nelle risposte alle domande decisive circa il destino dell’uomo, l’edificazione della società, la custodia del creato. L’incontro con l’amore di Dio per l’umanità che fa della convivenza degli uomini in uno spazio di fraternità, giustizia, pace e dignità per tutti. Il Magistero sociale di Papa Francesco non può essere certo rimproverato di ideologismo, perchè nasce non dall’applicazione di principi ma nell’incontro vivo che sempre accade dentro la storia all’interno delle vicende umane tra gli uomini e Dio. E’ un magistero che sempre accompagna il cammino delle comunità, i principi sociali, quelli in cui si richiama il Papa, che sono quelli tradizionali ma rivisitati all’interno di questa profonda impostazione. Il principio della dignità della persona, del bene comune, dell’opzione preferenziale per i poveri, il principio della destinazione universale dei beni, quello della solidarietà, della sussidiarietà, il principio della cura per la nostra casa comune. Sono principi che si riassumono nelle virtù della fede, della speranza e dell’amore, che quindi vengono ripensati non come semplici sentimenti ma come atteggiamenti capaci di incidere profondamente nella storia. La forza di questa impostazione si rivela sorprendentemente, forse è per primo il Papa che da questa centralità, per rinnovare il mondo allo sguardo. Il Papa parla più volte di questo sguardo contemplativo, che non è lo sguardo astratto, è lo sguardo che sa guardare in profondità, il mondo, dice nel Laudato Sii, è qualcosa di più che un problema da risolvere è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode. E’ importante, ribadisce più volte, recuperare la dimensione contemplativa che ci fa guardare noi stessi, gli uomini e la terra come dati, come dono, non cose da usare e da sfruttare. Quando contempliamo, scopriamo qualcosa di più grande dell’utilità, contemplare serve per curare, per custodire e per lasciare un’eredità alla futura generazione. Contemplare è possibile solo nella percezione della gratuità della vita e questo conduce ad un atteggiamento di cura, certamente, dice ancora nella Laudato Sìi, quando non si impara a fermarsi ad ammirare e ad apprezzare il bello non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli. Non a caso il Papa, curando i poveri li porta alla Cappella Sistina, contemplare il bello, perché l’uomo ha diritto al bello. Questa mi pare una delle cifre del Magistero sociale del Papa, per il quale non possiamo prenderci cura di ciò che non sappiamo ascoltare e ammirare. Diceva un Vescovo siciliano, morto prematuramente: “Non possiamo amare se non ciò che ammiriamo”. L’amore nasce sempre come sorpresa, come ammirazione. È bellissimo questo passo, è originalissimo per la città, lo sguardo contemplativo sa guardare e scoprire la città che svela il suo valore a chi lo sa guardare, Dio vive tra i cittadini, cioè vive lì dove gli uomini stringono legami di convivenza, nella solidarietà, nella fraternità, nel desiderio di bene, di verità e di giustizia. Dio può essere riconosciuto da occhi contemplativi che scovano le sue tracce nella ricerca di uomini che sperano un’esistenza dignitosa, che sospirano una ragione adeguata di vita, un perdono che faccia ricominciare, che si danno la mano in segno di pace e di solidarietà e godono della fraternità ma lottano per la giustizia e la verità. Questo sguardo permette la cura, e permette di ascoltare la sete profonda dell’uomo e di scorgervi il passaggio di Dio. Sappiamo però che questo sguardo contemplativo così come lo descrive Papa Francesco sa guardare nel profondo, sa apprezzare la bellezza della realtà e della vita ma spinge in avanti. Non è mai uno sguardo rassegnato o astratto. Il Papa non a caso ha parlato di questo sguardo a proposito delle crisi, la crisi ambientale, di quella energetica. Della crisi del coronavirus abbiamo vissuto e in qualche modo viviamo ancora momenti gravi per la tenuta della nostra convivenza, la pandemia ha messo in rilievo e ha aggravato tanti problemi sociali, smascherando vulnerabilità fisiche, sociali e spirituali e grandi disuguaglianze che segnano il mondo di opportunità, di beni, di accesso alla sanità, alla tecnologia, all’educazione, e poi lo scoppio della crisi in Ucraina e le sue drammatiche conseguenze umane ed economiche che ci avvicinano ad un futuro che non conosciamo ancora ma certamente diverso da quello che speravamo. Il recente rapporto di Caritas italiana su povertà ed esclusione sociale in Italia, evidenzia tutte le debolezze della nostra società in termini di povertà economica, educativa e intergenerazionale. Le crisi si stanno accavallando e stanno accelerando alcune trasformazioni che forse in periodi normali richiedono tempi più lunghi per essere introdotte, i cui nodi decisivi però si intravedono. Il tema della Pace, della guerra, l’equilibrio tra la sorveglianza pubblica e la responsabilità dei cittadini, il perseguimento dei propri interessi e la globalità della solidarietà, il ruolo dello Stato in rapporto all’area del terzo settore della società civile. In ogni caso il magistero del Papa sulle crisi è molto chiaro, non c’è possibilità di rassegnazione, occorre sostituire alla quiescenza uno sguardo di speranza per essere capace di concepire visioni grandi e innovative, noi lo sappiamo, che proprio nel cuore di tante crisi abbiamo saputo immaginare un mondo nuovo, sapremo ancora farlo? È’ significativo mettere in fila alcune delle parole usate a proposito del coronavirus, soluzioni innovative, conversione, cambiamento, ripensamento, rigenerazione, nuova immaginazione del possibile. Per il Papa cioè la resistenza alla crisi non è mai un ritorno al mondo di prima, ma deve mettere mano a un cambiamento reale, in piena emergenza pandemica scriveva: ”Questo è il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo può offrirci”. La Fede per lui è realismo ma anche il coraggio di una nuova immaginazione. È necessario cioè che in situazioni di crisi si pensi alla trasformazione della società in un’occasione di sviluppo per avere una visione più ampia del futuro, più inclusiva, più positiva, più giusta, ma le crisi non generano automaticamente risultati positivi, non è mai stato così. È necessario, ha detto il Papa, mettersi insieme e dipende da noi, dipende da tutti. Uno dei dati culturali e sociali fondamentali sollevati dalle crisi che stiamo vivendo è quello della fragilità dell’uomo, della sua vulnerabilità, dell’uomo e dei sistemi che si sono improvvisamente scoperti fragili. Il Papa ha più volte parlato di un cardine come punto di svolta per poter uscire dalle ombre di un mondo chiuso e pensare e generare un mondo aperto e lo ha fatto rileggendo la parabola del buon Samaritano, quella parabola che ci insegna che quel Samaritano che era in viaggio che viene a compassione del malcapitato e ci insegna a farci i prossimi degli altri e l’esser prossimo è sempre un essere socio, ci facciamo prossimi gli altri uomini ma ci assumiamo così una responsabilità sociale, diventiamo parte della costruzione sociale, non possono essere staccati i comportamenti di prossimità individuali dalla responsabilità sociale. Che cos’è questa etica? È quella che chiama in tutti i modi l’etica della cura, la cultura della cura, perchè la cultura della cura è fondata sull’etica del non poter non vedere e non sentire, del saper guardare gli altri, ai loro bisogni e ai problemi, avendone comprensione, avvicinandosi ed entrando in comunione. Il contrario della cura è l’incuria, che si esprime, e il Papa è severo in questo, come indifferenza ed egoismo individualista, indifferente è colui che guarda da un’altra parte, sempre da un’altra parte, individualista è chi guarda soltanto se stesso e il proprio interesse. Diventiamo incuranti quando siamo sordi alle domande della realtà, specie della sua parte più fragile, quando le immagini che ci raggiungono non ci commuovono o non determinano l’azione, dice il Papa: “Quando il pianto che sentiamo non ci spinge a consolarlo”, dovremo riflettere forse su questa analisi, per la quale l’incuria è uno dei tratti del nostro modello sociale e tante diseguaglianze ne sono come il frutto. E invece la cura è pensare se stessi come in rapporto con il mondo e gli altri, non nell’ambito del dominio della logica negoziale, è un compromettersi con gli altri, sopportarli. D’altra parte permettetemi di dire che il contatto con le fragilità degli uomini ci mettono in contatto con noi stessi e con le nostre debolezze, è sempre un atto di lealtà verso di sé prendersi cura delle persone fragili, guarisce noi stessi e ci mette in contatto con quelle fragilità che spesso proviamo a mascherare, eppure noi dobbiamo stare attenti, perché le cose fragili vanno maneggiate con cura, perché sono preziose, dentro questa cura ci sono valori di sensibilità e delicatezza e di dignità che vanno recuperati. Prenderci cura degli altri, ci fa bene, perché possiamo riconoscere con più facilità il nostro valore unico e ripetibile, il senso di una responsabilità, il valore della nostra vita, superando così la contrapposizione tra interessi soggettivi e beni comunitari, scoprendo che il proprio compimento più pieno sta nell’ arricchire di senso la vita contribuendo al bene altrui e al bene di tutti, è questa l’esperienza della solidarietà e della responsabilità per la comunità. Dentro questo orizzonte è possibile valutare l’importanza delle azioni individuali, anche piccole, il cui valore etico sta nella connessione con la cura di tutta la comunità, dice Francesco: “Custodisco e coltivo qualcosa che possiedo in modo che possa essere un contributo al bene di tutti”. I politici faranno il loro compito, gli economisti, gli imprenditori, i vescovi, ma la proposta del Papa è che l’azione di ciascuno riceva il suo valore pubblico dalla possibilità di assumere su una responsabilità per il bene di tutti, ciascuno al suo lavoro. La crescita solidale della nostra società esige che le scelte individuali, come fare la spesa, vivere il tempo libero, condividere passioni, fare prestiti, portino una responsabilità sociale, tutto porta frutto, la parabola del buon Samaritano scrive, il Papa nel “Fratelli Tutti”, ci mostra con quale iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione ma si fanno prossimi e riabilitano l’uomo caduto perchè il bene sia davvero comune. Rifà la comunità, chi si fa prossimo! L’esser prossimo e indiscindibilmente legato all’essere socio, all’essere parte di quel patto di convivenza che costituisce la nostra comunità. C’è un esempio sardo, che mi ha molto colpito, Sa paradura, si chiama la riparazione, veniva praticata e ancora lo è in certi villaggi, quando un pastore perdeva le sue pecore gli altri si univano e regalando ciascuno una pecora al pastore colpito consentivano che questo potesse ricominciare la sua attività, una pecora ciascuno fa un piccolo gregge, dato a chi così può ricominciare. Questo esempio di solidarietà, di vicendevole protezione ha come riferimento la coscienza che l’esistenza di ciascuno è legata a quella degli altri e che la vita è un tempo di incontro, e che apparteniamo ad un’unica comunità di vita e di destino, non possiamo immaginare un percorso di felicità a prescindere dagli altri, serve una comunione più profonda una condivisione nuova, perché la qualità di una comunità si riconosce per il sentimento di questa appartenenza reciproca, per l’emergere di un “noi” solidale. Nella concezione del Papa per promuovere la dignità della persona umana e consentire una vera attività di cura che promuove la qualità della convivenza è necessario per questo promuove l’azione solidale della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, del volontariato, delle realtà territoriali, delle parrocchie, tutte le espressioni cioè aggregative alle quali le persone danno spontaneamente vita, con le quali liberamente partecipano, quelle comunità in cui l’uomo svolge la propria personalità, per dirla con la costituzione, e questo l’ambito della società intesa come insieme dei rapporti tra individui e tra società intermedie che si realizzano in forma originaria a quella che Giovanni Paolo II chiamava soggettività creativa del cittadino. Proprio questa soggettività creativa necessita di essere rilanciata, soprattutto nelle diverse forme del volontariato, perché la cultura nella cura vicendevole deve promuovere la partecipazione delle comunità al bene comune, e nei processi di costruzione e di guarigione. Il Papa lamenta spesso, che, questa mancanza di rispetto, di partecipazione, si diffonde così che, si ascoltino i grandi competitor finanziari ma non la gente, non le comunità, eppure la partecipazione delle reti comunitarie alla cura dei più fragili costituisce una dimensione strategica per l’efficacia e la sostenibilità del nostro Welfare in Italia, la cura delle persone all’interno di queste reti condiziona la qualità della vita e costituisce una sorta di terapia preventiva con riguardo al degrado e all’incuria. È capace di offrire una protezione sociale in cui la dimensione umana, empatica di rapporto tra persone in sofferenza, anche in termini economici e persone che danno supporto, conta almeno quanto la necessaria capacità tecnica, senza dimenticare che l’azione del terzo settore ha generato grandi innovazioni nelle modalità di risposta ai bisogni sociali insorgenti, l’accoglienza dei migranti, l’aiuto e il contrasto all’usura, l’aiuto alle persone con disabilità e/o ai longevi non autosufficienti, il contrasto alla povertà e questa sollecitazione alla partecipazione che il Papa chiede continuamente, è davvero una protezione contro un eccesso di tecnicismo o alla frammentazione dei bisogni o alla spersonalizzazione. Il Papa ribadisce, con forza, che non può esserci cammino di solidarietà senza il contributo dei cosiddetti corpi intermedi, per essere le comunità protagoniste del proprio riscatto e della costruzione del proprio futuro. Il cammino di solidarietà deve cioè coniugarsi con la sussidiarietà, dice il Papa: “Non c’è vera solidarietà senza partecipazione sociale, senza il contributo dei corpi intermedi, delle famiglie, delle associazioni, tutti devono contribuire, tutti, perchè le comunità hanno diritto ad essere protagoniste del proprio riscatto”. È interessante che, ciò che può sostenere la sussidiarietà è la speranza in un futuro più sano e la fiducia nel valore del proprio apporto. Proprio la Banca d’Italia permettetemi di dire, proprio in uno studio sulla Sardegna, collegava il deficit di partecipazione alle elezioni politiche o amministrative, al deficit di fiducia, rilevato da alcune indagini statistiche. La partecipazione che è il cuore della democrazia, ha un deficit quando manca la fiducia o quando la fiducia non viene attivata da politiche adeguate, per affermare la dignità della persona e la sua capacità di riscatto bisogna promuovere queste azioni. L’azione di questi soggetti reali, l’abbiamo vista, è efficiente nel contenimento e nel superamento di tante crisi, ma certamente è condizionata da vincoli istituzionali e da assetti normativi che forse potrebbero essere rivisti. Insomma la novità sociale viene da un faticoso coordinamento di scelte di individui e di comunità che si assumono una responsabilità per il bene comune, e anche dalla lungimiranza di azioni pubbliche di garanzia, guida e sostegno e se necessario di supplenza. Finisco con un ultimo richiamo importante, questa cultura dell’impegno comune, solidale e partecipativo, diceva il Papa pochi mesi prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, “ Serve per proteggere e promuovere la dignità e la pace” impressionante, pochi mesi prima nel messaggio per la giornata e la pace nel 2021, indicava questa cultura della cura, come un fattore di pace, perchè la guerra nasce tutte le volte in cui contrapponiamo il mio al tuo, quando ci sentiamo diversi o nemici, tutte le volte in cui come diceva Giovanni Paolo II, quando gridava con angoscia nel cuore della guerra nella Ex Jugoslavia, tutte le volte in cui priviamo di dignità qualcuno solo perché è degli altri, noi contrapposto a loro, e invece la via che propone il Papa è quella di essere pellegrini, di verità e quindi di pace. Non possiamo non pensare al grande documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale firmato con il grand Imam di Al-Azhar il 4 febbraio 2019. La fede porta i credenti a vedere nell’altro un fratello da sostenere ed amare, per questo è necessario curare l’educazione dei giovani e risvegliare il senso religioso degli uomini ma per noi la pace è il nome di Cristo che ha battuto nella croce il muro di separazione che era l’inimicizia, come a dire che la pace si costruisce in una prassi di amicizia e si deve al Papa una delle espressioni più sorprendenti, quella di amicizia sociale. Finisco con quest’ultimo richiamo, nella “Fratelli Tutti” il Papa osserva che come il viandante della parabola, il viandante occasionale, ci vuole il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, il desiderio di essere popolo per esser popolo bisogna poi pensare alla politica, all’economia, bisogna mettersi al servizio del bene degli altri, ma cosa trasforma un gruppo di individui in un popolo? Sant’Agostino nel “De Civitate Dei” dialogando idealmente con Cicerone in un suo passo memorabile, diceva che, ciò che trasforma un gruppo di individui in un popolo non è la convergenza degli interessi, che può mancare, ne l’essere assoggettato allo stesso ordinamento giuridico, cioè alla forza, perché questo può essere anche contestato, ciò che trasforma un gruppo di individui in un popolo è la concorde comunanza delle cose che ama, straordinario! Ciò che ci fa un popolo è la convergenza di un amore comune, l’amore alla vita, l’amore agli uomini, l’amore alla gente, perché è questo che ci permette anche nelle situazioni di crisi di riscoprire il valore aggregante del nostro stare assieme, del nostro volerci bene, nel nostro scambiarci la pace, come forma imprescindibile del benessere dell’uomo e forse questo per la teologia di Papa Francesco è decisivo, tutto si regge in questa volontà di essere un popolo che costruisce un futuro, che sia un bene per tutti. Grazie per la pazienza e la benevolenza dell’ascolto.

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