AI: L'EVOLUZIONE DELLE RELAZIONI UOMO/MACCHINA PER AFFRONTARE IL FUTURO

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Se dovessimo individuare lo spirito del tempo, cioè la tendenza culturale prevalente della nostra epoca, potremmo certamente individuarla nel confronto tra uomo e macchina, o per dirla in altri modi, tra Intelligenza umana e Intelligenza artificiale. Probabilmente, siamo alla vigilia di una metamorfosi del mondo, di un salto di specie che muterà per sempre la natura umana, come quello che portò l’uomo di Neanderthal a diventare Homo sapiens. Un salto antropologico che non è passato inosservato nelle ultime edizioni del Rapporto Italia, pubblicato annualmente dall’Eurispes, che ha indagato sulla conoscenza e sul rapporto che stiamo instaurando con questa nuova tecnologia. Innanzitutto, dalle diverse indagini veniamo a conoscenza del fatto che la maggior parte degli italiani ha una vaga idea di che cosa sia l’Intelligenza artificiale e sono ancora molti coloro i quali non ne sanno nulla. Fra i più informati, invece, solo un italiano su dieci dichiara di avere una conoscenza approfondita del tema. I dati, in particolare, hanno evidenziato una sorta di incoscienza con la quale ci stiamo avviando verso un mondo nuovo, nel quale l’IA giocherà un ruolo cruciale, in primis nelle professioni future che nasceranno e che, in molti casi, sostituiranno o amplieranno quelle attuali. Si tratta di incoscienza, di poca lungimiranza o della tendenza all’entertainment che ha contagiato la politica e tanti altri saperi? Questo potrà dircelo solo un’osservazione attenta delle tendenze e dei cambiamenti in atto e che vedranno ulteriori e veloci evoluzioni nel futuro più prossimo.

Attualmente, stiamo vivendo in tre dimensioni sempre più sovrapposte: fisica, digitale e ibridata tra uomo e macchina. Quest’ultima a molti osservatori sembra rappresentare il nostro destino inevitabile, o per lo meno quello auspicato dalla filosofia transumanista che anima tanti magnati delle Big Tech. Ma prove di umanità futura le aveva già intraviste, agli albori di Internet, il ricercatore francese Joel de Rosnay definendo – con termini propri del periodo – la metafora del “cibionte” «Non cambieremo, non avremo una testa enorme e non perderemo i denti perché mangeremo pillole. Non ci credo: penso che saremo noi stessi fatti di carne e sentimenti, ma connessi con mezzi estremamente potenti di elaborazione dell’informazione e di comunicazione audiovisiva». Forse, però, la questione non è se l’Intelligenza artificiale superi o meno quella umana, ma se l’Intelligenza artificiale possa svolgere meglio alcune funzioni dell’Intelligenza umana. Questo sta già avvenendo in tantissimi campi, alcuni rilevanti come le applicazioni in medicina, dove un algoritmo è in grado di analizzare una cartella clinica e individuare una patologia con un’accuratezza superiore al 90%, contro circa il 50% di quanto riesca a fare un bravo medico.

L’IA sta modificando non solo la scienza medica, ma finanche il nostro rapporto con la morte, o meglio con la finitezza della nostra esistenza in una dimensione fisica e corporea. Sono diverse le start-up che stanno sviluppando programmi di immortalità digitale, con un algoritmo in grado di riprodurre pensieri, espressioni e atteggiamenti di una persona sulla base di tutti i dati che ha rilasciato nel corso della propria vita: discorsi, e-mail, messaggi vocali, post, testi, memorie, codici e informazioni; tutto viene utilizzato affinché la macchina riproduca conversazioni compatibili con quelle che farebbe realmente la persona in questione. Questa possibilità ha affascinato molti, che sperano di lasciare ai propri familiari una riproduzione di sé che non solo possa resistere alla morte, ma sia in grado di conversare col coniuge, di dare consigli ai propri figli, o esprimere le proprie opinioni su un argomento anche “dall’altro mondo”. Ma che succederebbe se l’immortalità digitale venisse utilizzata per perpetuare negli anni ideologie, strategie politiche, discorsi programmatici di leader, strappandoli dal loro giusto e perituro contesto storico e rendendoli immobili ed eterni? A ciò si associa la questione del “lascito digitale”, rappresentato da tutta la mole di dati che un utente lascia dietro di sé nel momento in cui muore, e alla quale nessuno dei familiari o amici può accedere. C’è da chiedersi se non sia più corretto e rassicurante avere una data di scadenza per tutte le informazioni che confluiscono nella memoria digitale. Ciò che è certo, è che il nostro rapporto con il reale sarà modificato dall’IA, e quindi quello con noi stessi, con il nostro modo di esistere come umani rispetto alla macchina.

La domanda da porsi è, dunque, dove vuole collocarsi l’uomo in questo cambiamento. Quali questioni etiche porta in sé l’utilizzo di massa di tecnologie sempre più sofisticate tanto da poter incidere profondamente, in prospettiva, sul futuro dell’umanità.

Il potenziamento delle tecnologie richiede allo stesso tempo il potenziamento del fattore umano, un’affermazione che pone le basi per un confronto tra Intelligenza umana e Intelligenza artificiale allo stesso tempo aperto e controverso, carico di sfide e nuovi orizzonti della nostra esistenza. Controverso, perché ci sono posizioni totalmente opposte tra chi argomenta in modo convincente ed esteso come l’Intelligenza umana non potrà mai essere superata da quella artificiale, e chi si dice convinto che la macchina in futuro possa simulare la coscienza. Di sicuro, non abbiamo ancora maturato una consapevolezza delle conseguenze dello sviluppo dell’Intelligenza artificiale, come documentato dai dati Eurispes sulle motivazioni che spingono al suo utilizzo. Norberto Bobbio spiegava che l’umanità ha acquisito una coscienza nucleare, nel senso che si è coscienti delle conseguenze dell’uso di una tecnologia che potrebbe portare alla scomparsa del genere umano. Prova ne è il possesso ma non l’utilizzo della bomba nucleare da parte di Stati in guerra, come ad esempio la Russia o Israele. Eppure non abbiamo allo stesso modo maturato una coscienza dell’Intelligenza artificiale e con una differenza sostanziale: la bomba nucleare è in mano agli Stati, mentre l’Intelligenza artificiale è in mano, soprattutto, ai privati. Questo aspetto cambia radicalmente lo scenario, soprattutto se tra chi possiede l’Intelligenza artificiale c’è chi potrebbe avere una visione del mondo che supporta ambizioni personali e volontà di potere. Questa riflessione riporta al recente insediamento di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America, dove ad assistere in prima fila figurava tutta l’oligarchia Tech composta da Jeff Bezos, Elon Musk, Mark Zuckerberg, Sundar Pichai, tra gli uomini più ricchi ma soprattutto più potenti del pianeta, in virtù del controllo sulle tecnologie in loro possesso. Persone e aziende in grado di generare sovra-Stati, per capacità economica, per grado di potere raggiunto e per possibilità di orientare, o anche manipolare, l’opinione pubblica e fette larghissime della popolazione mondiale.

Questo pericoloso avvicinamento tra poteri evidenzia la necessità di introdurre delle regole o finanche dei limiti da parte del Legislatore. Ma la velocità delle trasformazioni sociali non ha ancora consentito di definire parole, concetti culturali, categorie mentali e disposizioni legislative per descrivere quello che sta realmente accadendo. E se incerta è la comprensione, incerta è anche la definizione, per cui stiamo descrivendo i nuovi fenomeni del digitale con spiegazioni analogiche, che fanno riferimento a una società che sta lentamente svanendo. Va inserita in tale contesto la stessa normazione dell’Intelligenza artificiale, di recente adottata dall’Unione europea. È certamente indispensabile prevedere delle regole, per evitare il far west che stiamo riscontrando nel digitale, conferendo responsabilità e assicurando diritti, con l’obiettivo di porre al centro gli interessi dei cittadini. Tuttavia bisogna ammettere che le leggi tradizionali – maturate con le procedure parlamentari – non sono in grado di stare al passo con fenomeni come quello dell’Intelligenza artificiale che si trasforma con una velocità inedita nella storia del mondo.

La prima regolamentazione è stata prevista proprio dall’Unione europea, nella quale è stata opportunamente richiamata la responsabilità sociale e individuale, ribadendo i valori etici e della solidarietà. Eppure l’Unione europea, nell’ambito delle tecnologie digitali e dell’Intelligenza artificiale, dipende in gran parte dagli Stati Uniti e dalla Cina, sulle cui legislazioni ovviamente non ha modo di intervenire, e questa è sicuramente una delle grandi questioni aperte che minano l’esistenza stessa dell’Unione.

Internet è nata sotto la spinta della Difesa, con il supporto delle Università e con le intuizioni geniali di giovani informatici, fatte proprie e concretamente sostenute dal Governo e dalle Piazze finanziarie. Quando nasce l’i-phone, nel 2007, si avvia una sorta di dematerializzazione del mondo, con tantissime funzioni che semplificano e velocizzano la vita delle persone, dalle operazioni in banca, all’acquisto di libri. Oggi, infatti, si ha l’impressione che gran parte delle nostre azioni dipendano dalle macchine e che l’uomo sia un semplice sensore dei computer. Ne abbiamo avuta contezza nel periodo del Covid, quando le piattaforme tecnologiche hanno permesso a milioni di persone nel mondo di svolgere tantissime attività da casa. Agli indubbi effetti positivi, si collegano anche quelli negativi, con le macchine vicine a svelare le nostre identità, sconosciute a noi stessi. I nostri dati diventano arma di ricatto e di manipolazione, come dimostrato in molti casi rilevati a livello internazionale. Gli effetti sociali di questa rivoluzione digitale, guidata dagli algoritmi dell’Intelligenza artificiale, potrebbero essere ingestibili, aumentando il disagio sociale che, se supera il livello di guardia, potrebbe trasformarsi anche in una minaccia per la stabilità stessa delle Istituzioni democratiche.

Già nel 1950 Norbert Wiener sosteneva che: «Dobbiamo coltivare la fertilità del pensiero come abbiamo coltivato l’efficienza dell’amministrazione. […]Se l’uomo deve continuare ad esistere, non deve più essere considerato meno importante degli affari». Una nuova educazione potrebbe assicurare maggiore consapevolezza nell’uso del mezzo, ma viene invocato in modo retorico, in quanto produce effetti a lungo termine e il sistema dell’istruzione oggi è strutturalmente inadeguato a raccogliere questa sfida. Certamente bisogna costruire un futuro nel quale saremo in grado di comprendere la differenza tra “funzionare” ed “esistere”.

Con l’Intelligenza artificiale che potrebbe svolgere la gran parte dei lavori degli umani, i popoli rischiano di essere superflui, se non “mantenuti in vita” in qualità di consumatori. Una inedita lotta di classe persa già in partenza, come osserva Harari (2017): «A differenza del XX secolo, quando le élites avevano interesse alla risoluzione dei problemi dei poveri, poiché essi erano vitali da un punto di vista militare ed economico, nel XXI secolo la strategia più efficiente potrebbe essere lasciare andare le inutili carrozze di terza classe e far procedere soltanto la prima».

Si tratta di una sfida culturale che pone un fondamentale tema filosofico ed esistenziale, mettendo l’umanità di fronte alle proprie responsabilità. Infatti, le decisioni che si assumeranno adesso, caratterizzeranno il Futuro dell’umanità.

Nel 2023 un migliaio di studiosi e operatori del settore hanno proposto una pausa nello sviluppo dell’Intelligenza artificiale, in modo da poterla preventivamente regolare. Anni prima Bill Gates aveva proposto di tassare i robot che, svolgendo un lavoro umano e non pagando imposte, avrebbero aggravato i bilanci pubblici. Tutto ciò pone il tema non rinviabile della riorganizzazione della società, che deve essere guidata dalla democrazia e non dall’economia, dagli interessi reali delle persone e non da quelli dei mercati o della finanza.

Occorre difendere i popoli dagli interessi economici che vengono radicalizzati dall’Intelligenza artificiale, che può comprimere in modo irrimediabile i diritti delle persone. Occorre, pertanto, rifugiarsi nei principi della democrazia, restare all’interno dei suoi reticolati di prassi, di valori, e di realtà poiché, oltre ad essere la meno imperfetta tra le forme di governo, è un baluardo di giustizia e di umanesimo applicato alla realtà.

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