EDUCAZIONE FINANZIARIA A SCUOLA: DAL PRINCIPIO ALLA PROVA DEI FATTI

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Prima della riforma: il “vuoto formativo” e i suoi costi sociali

Negli ultimi anni l’alfabetizzazione finanziaria è passata da tema per addetti ai lavori a competenza di cittadinanza. L’OCSE la definisce come l’insieme di conoscenze, competenze, atteggiamenti e comportamenti necessari per prendere decisioni efficaci e, in ultima analisi, raggiungere il benessere finanziario personale: non solo sapere cos’è l’interesse composto o come si diversifica un portafoglio, ma anche gestire un bilancio familiare, valutare rischi e orizzonti temporali, pianificare il futuro previdenziale. È la stessa cornice concettuale che un anno fa avevamo richiamato, sottolineando come l’educazione finanziaria, se ben progettata, riduca le disuguaglianze e sostenga l’inclusione economica lungo tutto l’arco della vita.

Prima dell’intervento normativo che l’ha resa parte organica dei curricula, la situazione italiana presentava fragilità strutturali documentate da diverse fonti. Sul versante degli adulti, le indagini triennali della Banca d’Italia (IACOFI) mostrano un quadro in miglioramento ma ancora insufficiente: l’indicatore complessivo di educazione finanziaria1 è salito da 10,2 nel 2020 a 10,7 nel 2023 (scala 0-20), grazie soprattutto a piccoli progressi nei comportamenti e negli atteggiamenti, mentre le conoscenze pure sono rimaste stagnanti o in lieve calo. È un segnale ambivalente: gli italiani diventano un po’ più prudenti e ordinati nella gestione del denaro, ma faticano ancora sui concetti di base e sui meccanismi fondamentali che guidano il funzionamento del sistema finanziario. La pandemia da Covid-19 ha agito come un catalizzatore dei bisogni, mettendo in luce carenze e fragilità prima nascoste dal velo della normalità: scarsità di risorse accumulate per famiglie e microimprese, difficoltà a onorare impegni finanziari pregressi e vulnerabilità alle truffe finanziarie on line.

Nei giovani la fotografia internazionalmente comparabile arriva dall’indagine PISA 2022, i cui risultati sono stati pubblicati nel 2024. Gli studenti italiani hanno ottenuto 484 punti in “financial literacy” a fronte di una media OCSE di 498 e, a parità di risultati in matematica e lettura, appaiono sotto-performanti proprio nei compiti che richiedono comprensione di prodotti finanziari, capacità di effettuare scelte ponderate e valutazione dei rischi. In questo contesto, le disuguaglianze contano: lo svantaggio socioeconomico spiega una quota rilevante della varianza nei risultati. Gli studenti provenienti da famiglie svantaggiate non solo raggiungono punteggi più bassi, ma hanno anche minori opportunità di compensare il deficit formativo attraverso conversazioni in famiglia, accesso a consulenze o esperienze dirette di gestione del denaro. Il divario di genere, già preoccupante nella rilevazione del 2018, è ulteriormente aumentato nel 2022: le ragazze ottengono sistematicamente punteggi inferiori ai ragazzi, un gap che si allarga proprio mentre aumenta la complessità dei prodotti finanziari e delle scelte da compiere. Al Nord i punteggi sono migliori rispetto al Sud e alle Isole, riproducendo, nella sfera finanziaria, quelle disparità territoriali che attraversano tutto il sistema educativo e sociale italiano.

Il “vuoto formativo” fotografato dalle indagini si traduce in esiti pratici: difficoltà a valutare costi e benefici del credito, scarsa familiarità con strumenti di investimento e previdenza, maggiore esposizione a truffe digitali e a scelte impulsive influenzate dai social, come segnalano periodicamente anche le analisi CONSOB sulle famiglie investitrici. In breve: un Paese in cui l’accesso consapevole ai mercati finanziari e al risparmio previdente risulta più incerto e problematico proprio per chi avrebbe più bisogno di queste opportunità per costruire mobilità sociale e sicurezza economica.

Tuttavia, già prima dell’introduzione dell’intervento normativo, un elemento culturale faceva ben sperare: la domanda sociale. Nel Rapporto Italia 2024 dell’Eurispes, due italiani su tre si sono dichiarati favorevoli all’introduzione dell’educazione finanziaria a scuola (64,6%), con picchi tra i 25-34enni (69,6%) e i 35-44enni (65,8%), un gradiente positivo al crescere del titolo di studio (70% tra i laureati) e la quota più ampia di favorevoli proprio nelle regioni del Sud Italia (74,5%), dove i test registrano i risultati peggiori. È il segnale di una consapevolezza diffusa, trasversale per età e condizione sociale: in un’economia complessa, globalizzata, digitalizzata e sempre più volatile, l’alfabetizzazione finanziaria non può essere un optional, ma un “saper fare” indispensabile.

La riforma: cosa prevede e come sta andando

Il salto di qualità è arrivato con la legge 5 marzo 2024, n.21 (“Legge Capitali”), entrata in vigore il 27 marzo 2024. La norma modifica la legge 92/2019 sull’educazione civica e inserisce esplicitamente l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale tra gli àmbiti tematici fondamentali che l’insegnamento di educazione civica deve obbligatoriamente sviluppare in tutti gli ordini e gradi di istruzione. I contenuti previsti spaziano dal risparmio e investimento consapevole alla cultura d’impresa e all’imprenditorialità, dal rapporto con le nuove tecnologie digitali del denaro (pagamenti elettronici, blockchain, criptovalute) alla finanza sostenibile.

Dall’anno scolastico 2024/2025 l’educazione finanziaria entra dunque a pieno titolo nei percorsi di ogni ordine e grado come componente dell’educazione civica (33 ore annue complessive, all’interno delle quali le scuole devono ora bilanciare anche i contenuti finanziari). Più che “nuova materia separata”, si configura come asse trasversale e interdisciplinare, in linea con le linee guida esistenti su educazione civica e con il principio dell’autonomia scolastica.

Sul piano operativo si sono attivati e coordinati diversi attori istituzionali:

  • Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM): pubblica e aggiorna le Linee guida per l’educazione civica, che comprendono anche i temi di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale e promuove presso le scuole la partecipazione al Mese dell’Educazione Finanziaria, dando visibilità istituzionale alle iniziative.
  • Comitato EduFin (MEF)2: continua la sua funzione di programmazione e promozione dell’educazione finanziaria a livello nazionale, funzioni di programmazione e promozione nazionale dell’educazione finanziaria, coordina la campagna annuale di sensibilizzazione (Mese dell’Educazione Finanziaria) e, fondamentale in questa prima fase di rodaggio, ha promosso nel gennaio 2025 una prima indagine conoscitiva nelle scuole secondarie di secondo grado per mappare offerta e fabbisogni a seguito della riforma.
  • Banca d’Italia attraverso il progetto “L’economia per tutti”3, mette a disposizione percorsi gratuiti di formazione per docenti e materiali didattici modulari per tutti gli ordini di scuola, pensati per attività in classe e collegamenti interdisciplinari; tra i temi: reddito e bilancio, moneta e prezzi, pagamenti, risparmio e investimento, credito, sostenibilità e cyber sicurezza. All’interno dello stesso progetto offre Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento a studenti del triennio delle scuole secondarie di secondo grado.
  • Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI): diffonde rapporti e sintesi sull’alfabetizzazione finanziaria degli studenti (PISA 2022 - FL) e, tramite INVALSIOpen, articoli e materiali divulgativi utili a inquadrare metodologie e riferimenti internazionali4.

E i dati di avanzamento? A un anno dall’avvio ordinamentale non sono disponibili statistiche ufficiali sull’implementazione nelle scuole e l’impatto sulla didattica, ma possiamo delineare tre segnali che permettono un primo bilancio, necessariamente parziale e provvisorio, sullo stato di attuazione:

  • Normativa e governance: la base giuridica è stabile, non ci sono contestazioni sulla legittimità o validità della riforma. I riferimenti attuativi collegano organicamente l’educazione finanziaria alla cornice dell’educazione civica e al Mese dell’Educazione Finanziaria (novembre), creando uno “spazio” annuale riconoscibile e prevedibile di iniziative coordinate a livello nazionale, con grande visibilità mediatica e istituzionale. Le Linee guida ministeriali sono state pubblicate e distribuite, i materiali di supporto sono disponibili online, il portale “Quello che conta” è stato potenziato con una sezione specifica per il mondo della scuola.
  • Capacità delle scuole: i primi programmi strutturati di formazione per docenti hanno preso ritmo e stanno raggiungendo gli insegnanti di tutto il territorio nazionale, attraverso corsi in presenza, webinar, piattaforme e-learning, comunità di pratica online. Tuttavia, la sfida più grande rimane quella di raggiungere capillarmente il corpo docente “non specialista”, in particolare gli insegnanti di discipline non direttamente economiche o matematiche e, costruire una vera e propria comunità professionale. La frammentazione e l’autonomia delle singole scuole, se da un lato sono un valore e permettono flessibilità e adattamento ai contesti locali, dall’altro rischiano di produrre disomogeneità eccessive e dispersione di energie. La stessa Banca d’Italia evidenzia la centralità della formazione docenti come leva per la qualità dell’educazione finanziaria.
  • Rilevazioni e ascolto: l’Indagine nazionale avviata dal Comitato EduFin nel gennaio 2025, rivolta a un campione statisticamente rappresentativo di scuole secondarie, è il primo mattone fondamentale per costruire una baseline empirica credibile su: diffusione effettiva dei programmi, carichi orari reali dedicati all’educazione finanziaria, metodologie didattiche prevalentemente adottate, bisogni formativi percepiti dai docenti, criticità organizzative e gestionali incontrate dagli Istituti. È il presupposto indispensabile per passare dalle impressioni e dalle narrative a evidenze misurabili e comparabili, capaci di orientare le decisioni informate di policy.

Perché il monitoraggio è condizione necessaria di successo

L’introduzione in ordinamento è condizione necessaria ma non sufficiente. Senza monitoraggio sistematico, l’educazione finanziaria rischia di rimanere un titolo nei PTOF: disomogenea tra scuole, affidata alla buona volontà di singoli docenti, intermittente nei contenuti e opaca negli esiti. Il monitoraggio non è burocrazia fine a sé stessa, né un adempimento formale o autoreferenziale, ma deve divenire parte di una politica pubblica basata sulla trasparenza e su evidenze empiriche che possano facilitare l’apprendimento organizzativo e il miglioramento continuo. In un àmbito delicato e strategico come questo, che tocca direttamente la cittadinanza economica, l’inclusione finanziaria, la capacità di autodeterminazione economica degli individui, il monitoraggio diventa ciò che permette di misurare empiricamente che non si stia solo adempiendo alle richieste formali di legge, ma anche riducendo asimmetrie informative, vulnerabilità strutturali e divari sociali.

Per essere efficace e utile, il sistema di monitoraggio deve operare simultaneamente su tre livelli logicamente distinti ma strettamente interconnessi, in una logica di catena causale che va dagli input (legge) agli output, dagli output agli outcome, dagli outcome agli impatti di lungo periodo:

a) Output didattici, cosa si fa concretamente nelle scuole

  • Ore erogate: quante ore vengono dedicate all’educazione finanziaria per ordine di scuola, per classe, per territorio? Qual è la quota delle 33 ore annuali di educazione civica effettivamente dedicata ai contenuti finanziari, a discapito o in integrazione con gli altri nuclei tematici? Esiste una distribuzione omogenea o ci sono scuole/territori che fanno molto di più e altri che fanno molto di meno? Queste ore sono concentrate in determinati periodi dell’anno (ad esempio, durante il Mese EduFin) o distribuite in modo più uniforme?
  • Copertura dei nuclei fondanti: i programmi effettivamente svolti coprono in modo equilibrato i diversi nuclei tematici fondamentali identificati dalle Linee guida nazionali e dalle raccomandazioni OCSE?
  • Docenti formati: quanti docenti hanno effettivamente seguito percorsi di formazione specifica sull’educazione finanziaria? Quante ore di formazione in media? Con quali certificazioni o attestazioni? Esiste una distinzione significativa per disciplina d’origine (i docenti di matematica ed economia sono più formati di quelli di lettere o scienze?) e per grado scolastico?
  • Materiali didattici: quante scuole utilizzano materiali certificati, validati da Enti istituzionali come Banca d’Italia, CONSOB, Comitato EduFin, piuttosto che materiali autoprodotti o forniti da soggetti privati? Esiste un repository condiviso di risorse didattiche open source che permetta la diffusione di best practices?
  • Metodologie: qual è la percentuale di scuole che impiega metodologie attive e approcci esperienziali come compiti autentici riferiti a situazioni reali, simulazioni di gestione finanziaria, apprendimento per progetti, educazione cooperativa, peer education, gamification educativa? La letteratura internazionale di valutazione e i dati PISA indicano chiaramente che questi approcci basati sul learning by doing producono ritorni più stabili e duraturi nel tempo rispetto alla trasmissione frontale e passiva di nozioni teoriche

b) Outcome di competenza, cosa imparano gli studenti

  • Prove di competenza standardizzate: l’Italia si avvale già dei sistemi di valutazione consolidati a livello internazionale e nazionale; in particolare, le indagini PISA dell’OCSE, che dal 2012 includono la misurazione dell’alfabetizzazione finanziaria e vengono somministrate ogni tre anni su campioni rappresentativi di quindicenni, offrono già un benchmark prezioso per il confronto internazionale e per tracciare l’evoluzione nel tempo. Tuttavia, la cadenza triennale e la natura campionaria di PISA non sono sufficienti per un monitoraggio tempestivo e capillare dell’implementazione della riforma. Serve quindi integrare questi strumenti internazionali con rilevazioni nazionali più frequenti, agili e mirate, che permettano di verificare annualmente i progressi su competenze specifiche e rilevanti per il contesto nazionale. Queste rilevazioni nazionali integrative possono essere somministrate su campioni statistici rappresentativi per territorio, tipo di scuola, sesso e background socioeconomico, fornendo una fotografia annuale dello stato di attuazione della riforma più tempestiva e dettagliata di quella offerta da PISA.
  • Analisi valutative: come è stata accolta la riforma dai diretti interessati? Gli studenti riconoscono benefici concreti dall’educazione finanziaria ricevuta? Osservano cambiamenti nei propri atteggiamenti quotidiani verso il denaro e si sentono più preparati ad affrontare le scelte finanziarie future? Queste dimensioni soggettive possono essere indagate attraverso questionari strutturati, focus group, interviste qualitative, diari di apprendimento. Non sono accessorie o secondarie rispetto alle misurazioni oggettive: il senso di autoefficacia finanziaria e la consapevolezza delle proprie capacità e limiti, sono predittori significativi dei comportamenti che le persone effettivamente adotteranno nel futuro.
  • Indicatori di equità: è fondamentale disaggregare sempre tutti i dati per variabili critiche di equità come: genere, background socioeconomico familiare, territorio di residenza (Nord/Centro/Sud, grandi città/piccoli comuni/aree interne), tipo di scuola (licei/istituti tecnici/istituti professionali

c) Impatti nel mondo reale, cosa cambia fuori dalla scuola

Il terzo livello più ambizioso e complesso da misurare ma decisivo per valutare il successo ultimo della riforma riguarda gli impatti di medio-lungo periodo sui comportamenti finanziari effettivi nella vita adulta. Follow-up su coorti di diplomati che hanno beneficiato dell’educazione finanziaria obbligatoria confrontando i loro comportamenti con quelli di generazioni precedenti non esposte a questi insegnamenti strutturati, misurazione delle variazioni nei tassi di bancarizzazione dei neo-maggiorenni, uso consapevole di strumenti di pagamento digitali, ricorso al credito o microcredito per studio/autoimpiego, sono tutti indicatori che possono aiutare a misurare l’impatto dell’educazione finanziaria al termine del ciclo di istruzione scolastica.

Per evitare dispersioni, sovrapposizioni, sprechi e conflitti, il sistema di monitoraggio dell’educazione finanziaria dovrebbe poggiare su una governance coordinata e multilivello, leggera nella struttura ma chiara nella composizione e nel mandato. Il principio fondamentale deve essere quello della responsabilità condivisa: ogni attore istituzionale e sociale coinvolto nel processo di alfabetizzazione finanziaria deve contribuire al sistema di monitoraggio secondo le proprie competenze specifiche in una logica di complementarietà e non di sovrapposizione.

Le Istituzioni scolastiche e formative dovrebbero fornire dati puntuali e affidabili sugli indicatori didattici, quali ore effettivamente erogate, docenti formati e loro distribuzione territoriale, materiali utilizzati e loro qualità, metodologie adottate nelle aule; dati che possono essere raccolti attraverso i sistemi informativi già esistenti, eventualmente potenziati con moduli specifici dedicati all’educazione finanziaria. Le Istituzioni nazionali coinvolte hanno invece la responsabilità di definire un framework unitario che tenga conto delle specificità nazionali e degli obiettivi della riforma, oltre a garantire l’allineamento del sistema di monitoraggio italiano agli standard internazionali di misurazione delle competenze. Occorre adottare standard metodologici condivisi in termini di metodi di rilevazione, definizioni univoche dei concetti chiave e protocolli di data quality che garantiscano l’affidabilità delle informazioni raccolte. Le evidenze così ottenute, se pubblicate tempestivamente e rese accessibili, possono offrire una valutazione oggettiva dell’impatto della riforma sulla società civile, contribuire ad intervenire su criticità o disuguaglianze emergenti, ad apportare tempestivamente misure correttive e, infine, orientare le scelte future.

L’educazione finanziaria nelle scuole ha tutte le carte in regola per essere una politica pubblica di inclusione sociale ed economica, capace di aprire varchi reali di opportunità, di ridurre le disuguaglianze strutturali nell’accesso alla cittadinanza economica, di costruire quella massa critica di competenze diffuse che rende una società più resiliente, più equa, più capace di affrontare l’incertezza. Misurare sistematicamente lo stato di attuazione e i suoi effetti diventa una conditio sine qua non per renderla una vera opportunità di perequazione democratica.

NOTE

1 L’indicatore complessivo di educazione finanziaria è misurato con cadenza triennale dalle indagini IACOFI/Banca d’Italia ed è dato dalla somma dei punteggi ottenuti in tre àmbiti: conoscenze, comportamenti, atteggiamenti. Le variabili sono definite secondo i criteri OECD/INFE, Toolkit for Measuring Financial Literacy and Financial Inclusion 2022.

2 https://www.comitatoeducazionefinanziaria.gov.it/home/index.html

3 https://economiapertutti.bancaditalia.it/

4 https://invalsiopen.it/educazione-finanziaria-nelle-scuole/

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