INTERVENTI E OPINIONI - SPECIALE AI

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Se dovessimo individuare lo spirito del tempo, cioè la tendenza culturale prevalente della nostra epoca, potremmo certamente individuarla nel confronto tra uomo e macchina, o per dirla in altri modi, tra Intelligenza umana e Intelligenza artificiale. Probabilmente, siamo alla vigilia di una metamorfosi del mondo, di un salto di specie che muterà per sempre la natura umana, come quello che portò l’uomo di Neanderthal a diventare Homo sapiens. Un salto antropologico che non è passato inosservato nelle ultime edizioni del Rapporto Italia, pubblicato annualmente dall’Eurispes, che ha indagato sulla conoscenza e sul rapporto che stiamo instaurando con questa nuova tecnologia. Innanzitutto, dalle diverse indagini veniamo a conoscenza del fatto che la maggior parte degli italiani ha una vaga idea di che cosa sia l’Intelligenza artificiale e sono ancora molti coloro i quali non ne sanno nulla. Fra i più informati, invece, solo un italiano su dieci dichiara di avere una conoscenza approfondita del tema. I dati, in particolare, hanno evidenziato una sorta di incoscienza con la quale ci stiamo avviando verso un mondo nuovo, nel quale l’IA giocherà un ruolo cruciale, in primis nelle professioni future che nasceranno e che, in molti casi, sostituiranno o amplieranno quelle attuali. Si tratta di incoscienza, di poca lungimiranza o della tendenza all’entertainment che ha contagiato la politica e tanti altri saperi? Questo potrà dircelo solo un’osservazione attenta delle tendenze e dei cambiamenti in atto e che vedranno ulteriori e veloci evoluzioni nel futuro più prossimo.

Attualmente, stiamo vivendo in tre dimensioni sempre più sovrapposte: fisica, digitale e ibridata tra uomo e macchina. Quest’ultima a molti osservatori sembra rappresentare il nostro destino inevitabile, o per lo meno quello auspicato dalla filosofia transumanista che anima tanti magnati delle Big Tech. Ma prove di umanità futura le aveva già intraviste, agli albori di Internet, il ricercatore francese Joel de Rosnay definendo – con termini propri del periodo – la metafora del “cibionte” «Non cambieremo, non avremo una testa enorme e non perderemo i denti perché mangeremo pillole. Non ci credo: penso che saremo noi stessi fatti di carne e sentimenti, ma connessi con mezzi estremamente potenti di elaborazione dell’informazione e di comunicazione audiovisiva». Forse, però, la questione non è se l’Intelligenza artificiale superi o meno quella umana, ma se l’Intelligenza artificiale possa svolgere meglio alcune funzioni dell’Intelligenza umana. Questo sta già avvenendo in tantissimi campi, alcuni rilevanti come le applicazioni in medicina, dove un algoritmo è in grado di analizzare una cartella clinica e individuare una patologia con un’accuratezza superiore al 90%, contro circa il 50% di quanto riesca a fare un bravo medico.

L’IA sta modificando non solo la scienza medica, ma finanche il nostro rapporto con la morte, o meglio con la finitezza della nostra esistenza in una dimensione fisica e corporea. Sono diverse le start-up che stanno sviluppando programmi di immortalità digitale, con un algoritmo in grado di riprodurre pensieri, espressioni e atteggiamenti di una persona sulla base di tutti i dati che ha rilasciato nel corso della propria vita: discorsi, e-mail, messaggi vocali, post, testi, memorie, codici e informazioni; tutto viene utilizzato affinché la macchina riproduca conversazioni compatibili con quelle che farebbe realmente la persona in questione. Questa possibilità ha affascinato molti, che sperano di lasciare ai propri familiari una riproduzione di sé che non solo possa resistere alla morte, ma sia in grado di conversare col coniuge, di dare consigli ai propri figli, o esprimere le proprie opinioni su un argomento anche “dall’altro mondo”. Ma che succederebbe se l’immortalità digitale venisse utilizzata per perpetuare negli anni ideologie, strategie politiche, discorsi programmatici di leader, strappandoli dal loro giusto e perituro contesto storico e rendendoli immobili ed eterni? A ciò si associa la questione del “lascito digitale”, rappresentato da tutta la mole di dati che un utente lascia dietro di sé nel momento in cui muore, e alla quale nessuno dei familiari o amici può accedere. C’è da chiedersi se non sia più corretto e rassicurante avere una data di scadenza per tutte le informazioni che confluiscono nella memoria digitale. Ciò che è certo, è che il nostro rapporto con il reale sarà modificato dall’IA, e quindi quello con noi stessi, con il nostro modo di esistere come umani rispetto alla macchina.

La domanda da porsi è, dunque, dove vuole collocarsi l’uomo in questo cambiamento. Quali questioni etiche porta in sé l’utilizzo di massa di tecnologie sempre più sofisticate tanto da poter incidere profondamente, in prospettiva, sul futuro dell’umanità.

Il potenziamento delle tecnologie richiede allo stesso tempo il potenziamento del fattore umano, un’affermazione che pone le basi per un confronto tra Intelligenza umana e Intelligenza artificiale allo stesso tempo aperto e controverso, carico di sfide e nuovi orizzonti della nostra esistenza. Controverso, perché ci sono posizioni totalmente opposte tra chi argomenta in modo convincente ed esteso come l’Intelligenza umana non potrà mai essere superata da quella artificiale, e chi si dice convinto che la macchina in futuro possa simulare la coscienza. Di sicuro, non abbiamo ancora maturato una consapevolezza delle conseguenze dello sviluppo dell’Intelligenza artificiale, come documentato dai dati Eurispes sulle motivazioni che spingono al suo utilizzo. Norberto Bobbio spiegava che l’umanità ha acquisito una coscienza nucleare, nel senso che si è coscienti delle conseguenze dell’uso di una tecnologia che potrebbe portare alla scomparsa del genere umano. Prova ne è il possesso ma non l’utilizzo della bomba nucleare da parte di Stati in guerra, come ad esempio la Russia o Israele. Eppure non abbiamo allo stesso modo maturato una coscienza dell’Intelligenza artificiale e con una differenza sostanziale: la bomba nucleare è in mano agli Stati, mentre l’Intelligenza artificiale è in mano, soprattutto, ai privati. Questo aspetto cambia radicalmente lo scenario, soprattutto se tra chi possiede l’Intelligenza artificiale c’è chi potrebbe avere una visione del mondo che supporta ambizioni personali e volontà di potere. Questa riflessione riporta al recente insediamento di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti d’America, dove ad assistere in prima fila figurava tutta l’oligarchia Tech composta da Jeff Bezos, Elon Musk, Mark Zuckerberg, Sundar Pichai, tra gli uomini più ricchi ma soprattutto più potenti del pianeta, in virtù del controllo sulle tecnologie in loro possesso. Persone e aziende in grado di generare sovra-Stati, per capacità economica, per grado di potere raggiunto e per possibilità di orientare, o anche manipolare, l’opinione pubblica e fette larghissime della popolazione mondiale.

Questo pericoloso avvicinamento tra poteri evidenzia la necessità di introdurre delle regole o finanche dei limiti da parte del Legislatore. Ma la velocità delle trasformazioni sociali non ha ancora consentito di definire parole, concetti culturali, categorie mentali e disposizioni legislative per descrivere quello che sta realmente accadendo. E se incerta è la comprensione, incerta è anche la definizione, per cui stiamo descrivendo i nuovi fenomeni del digitale con spiegazioni analogiche, che fanno riferimento a una società che sta lentamente svanendo. Va inserita in tale contesto la stessa normazione dell’Intelligenza artificiale, di recente adottata dall’Unione europea. È certamente indispensabile prevedere delle regole, per evitare il far west che stiamo riscontrando nel digitale, conferendo responsabilità e assicurando diritti, con l’obiettivo di porre al centro gli interessi dei cittadini. Tuttavia bisogna ammettere che le leggi tradizionali – maturate con le procedure parlamentari – non sono in grado di stare al passo con fenomeni come quello dell’Intelligenza artificiale che si trasforma con una velocità inedita nella storia del mondo.

La prima regolamentazione è stata prevista proprio dall’Unione europea, nella quale è stata opportunamente richiamata la responsabilità sociale e individuale, ribadendo i valori etici e della solidarietà. Eppure l’Unione europea, nell’ambito delle tecnologie digitali e dell’Intelligenza artificiale, dipende in gran parte dagli Stati Uniti e dalla Cina, sulle cui legislazioni ovviamente non ha modo di intervenire, e questa è sicuramente una delle grandi questioni aperte che minano l’esistenza stessa dell’Unione.

Internet è nata sotto la spinta della Difesa, con il supporto delle Università e con le intuizioni geniali di giovani informatici, fatte proprie e concretamente sostenute dal Governo e dalle Piazze finanziarie. Quando nasce l’i-phone, nel 2007, si avvia una sorta di dematerializzazione del mondo, con tantissime funzioni che semplificano e velocizzano la vita delle persone, dalle operazioni in banca, all’acquisto di libri. Oggi, infatti, si ha l’impressione che gran parte delle nostre azioni dipendano dalle macchine e che l’uomo sia un semplice sensore dei computer. Ne abbiamo avuta contezza nel periodo del Covid, quando le piattaforme tecnologiche hanno permesso a milioni di persone nel mondo di svolgere tantissime attività da casa. Agli indubbi effetti positivi, si collegano anche quelli negativi, con le macchine vicine a svelare le nostre identità, sconosciute a noi stessi. I nostri dati diventano arma di ricatto e di manipolazione, come dimostrato in molti casi rilevati a livello internazionale. Gli effetti sociali di questa rivoluzione digitale, guidata dagli algoritmi dell’Intelligenza artificiale, potrebbero essere ingestibili, aumentando il disagio sociale che, se supera il livello di guardia, potrebbe trasformarsi anche in una minaccia per la stabilità stessa delle Istituzioni democratiche.

Già nel 1950 Norbert Wiener sosteneva che: «Dobbiamo coltivare la fertilità del pensiero come abbiamo coltivato l’efficienza dell’amministrazione. […]Se l’uomo deve continuare ad esistere, non deve più essere considerato meno importante degli affari». Una nuova educazione potrebbe assicurare maggiore consapevolezza nell’uso del mezzo, ma viene invocato in modo retorico, in quanto produce effetti a lungo termine e il sistema dell’istruzione oggi è strutturalmente inadeguato a raccogliere questa sfida. Certamente bisogna costruire un futuro nel quale saremo in grado di comprendere la differenza tra “funzionare” ed “esistere”.

Con l’Intelligenza artificiale che potrebbe svolgere la gran parte dei lavori degli umani, i popoli rischiano di essere superflui, se non “mantenuti in vita” in qualità di consumatori. Una inedita lotta di classe persa già in partenza, come osserva Harari (2017): «A differenza del XX secolo, quando le élites avevano interesse alla risoluzione dei problemi dei poveri, poiché essi erano vitali da un punto di vista militare ed economico, nel XXI secolo la strategia più efficiente potrebbe essere lasciare andare le inutili carrozze di terza classe e far procedere soltanto la prima».

Si tratta di una sfida culturale che pone un fondamentale tema filosofico ed esistenziale, mettendo l’umanità di fronte alle proprie responsabilità. Infatti, le decisioni che si assumeranno adesso, caratterizzeranno il Futuro dell’umanità.

Nel 2023 un migliaio di studiosi e operatori del settore hanno proposto una pausa nello sviluppo dell’Intelligenza artificiale, in modo da poterla preventivamente regolare. Anni prima Bill Gates aveva proposto di tassare i robot che, svolgendo un lavoro umano e non pagando imposte, avrebbero aggravato i bilanci pubblici. Tutto ciò pone il tema non rinviabile della riorganizzazione della società, che deve essere guidata dalla democrazia e non dall’economia, dagli interessi reali delle persone e non da quelli dei mercati o della finanza.

Occorre difendere i popoli dagli interessi economici che vengono radicalizzati dall’Intelligenza artificiale, che può comprimere in modo irrimediabile i diritti delle persone. Occorre, pertanto, rifugiarsi nei principi della democrazia, restare all’interno dei suoi reticolati di prassi, di valori, e di realtà poiché, oltre ad essere la meno imperfetta tra le forme di governo, è un baluardo di giustizia e di umanesimo applicato alla realtà.

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Abstract

L’intelligenza artificiale sta trasformando profondamente il mondo del lavoro, influenzando settori, professioni e competenze richieste. Questa evoluzione presenta sia opportunità che sfide, sollevando interrogativi su come l’Intelligenza Artificiale modificherà le dinamiche occupazionali e quali misure adottare per garantire una transizione equilibrata.

The Impact of Artificial Intelligence on Work

Artificial intelligence is reshaping the job market, affecting productivity, required skills, and employment policies. This article examines future opportunities and challenges.

Keywords

Intelligenza artificiale, Automazione del lavoro, Competenze digitali, Etica tecnologica, Produttività aziendale

Artificial intelligence, Work automation, Digital skills, Technological ethics, Business productivity

Introduzione all’Intelligenza Artificiale nel Contesto Lavorativo

L’intelligenza artificiale (IA) si riferisce a sistemi informatici in grado di eseguire compiti tipicamente associati all’intelligenza umana, come l’apprendimento, il ragionamento, la percezione e la risoluzione di problemi complessi. Con il crescente sviluppo delle tecnologie IA, molte aziende stanno integrando soluzioni avanzate per ottimizzare i processi produttivi, per migliorare l’efficienza e ridurre i costi operativi.

L’applicazione dell’IA nel mondo del lavoro non si limita all’automazione dei compiti ripetitivi, ma si estende alla creazione di nuove opportunità professionali e alla trasformazione delle competenze richieste. Tuttavia, l’introduzione massiva di queste tecnologie pone importanti questioni economiche e sociali. Molti esperti si interrogano sull’effetto dell’Intelligenza Artificiale sulla disoccupazione tecnologica, sulla ridistribuzione dei posti di lavoro e sulla necessità di aggiornare i modelli educativi per preparare la forza lavoro alle nuove esigenze del mercato.

Numerose aziende hanno già implementato assistenti virtuali, chatbot e strumenti di analisi predittiva per migliorare il servizio clienti, ridurre i tempi di risposta e ottimizzare le decisioni aziendali. L’adozione dell’IA è un processo in continua evoluzione, il cui impatto richiede una riflessione approfondita su come governare questa trasformazione per evitare effetti negativi sulla società.

Impatto dell’IA sulla Produttività

Uno degli effetti più significativi dell’adozione dell’IA è il miglioramento della produttività. Secondo un recente studio del McKinsey Global Institute, l’IA potrebbe incrementare la produttività globale fino all’1,5% all’anno entro il 2030. Questo incremento è dovuto alla capacità delle macchine intelligenti di analizzare rapidamente enormi quantità di dati, eseguire calcoli complessi e automatizzare compiti ripetitivi, liberando tempo per attività più strategiche e creative.

Nel settore manifatturiero, per esempio, l’Intelligenza Artificiale è utilizzata per ottimizzare le catene di montaggio, riducendo sprechi e tempi morti. La robotica avanzata permette di svolgere operazioni ad alta precisione, diminuendo il margine di errore e aumentando l’efficienza. Aziende come la BMW, la Mercedes, la Hyundai, stanno sperimentando l’introduzione di robot antropomorfi nei cicli produttivi in alcuni loro stabilimenti. Il salto della robotica antropomorfa, però, allude alla possibilità che l’introduzione della robotica possa estendere la propria capacità di introduzione nei cicli produttivi al di fuori delle linee produttive industriali. In altri settori, come in quello finanziario, algoritmi di machine learning analizzano i trend di mercato e supportano decisioni di investimento con un livello di accuratezza superiore a quello umano. Stessa cosa si sta determinando in settori strategici come nel marketing, nelle analisi previsionali, in quasi tutti i settori fino a quello sanitario.

Tuttavia, non tutti i settori beneficiano allo stesso modo di questi progressi. Alcune professioni, specialmente quelle a bassa specializzazione, sono più vulnerabili alla sostituzione tecnologica. Pertanto, mentre l’Intelligenza Artificiale può portare enormi benefici in termini di efficienza, è fondamentale accompagnare questi sviluppi con politiche di riqualificazione professionale per evitare una crescita delle disuguaglianze lavorative.

Creazione e Distruzione di Posti di Lavoro

L’Intelligenza Artificiale non è solo un agente di distruzione di posti di lavoro, ma anche un motore di creazione di nuove opportunità. Il “Rapporto sul Futuro dell’Occupazione 2025” del World Economic Forum stima che nei prossimi cinque anni saranno creati circa 170 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre 92 milioni saranno eliminati. Questo significa che, sebbene l’automazione possa ridurre la domanda di alcune professioni, ne emergeranno altre con competenze diverse.

Ad esempio, il settore dell’intelligenza artificiale stessa sta generando un’ampia domanda di esperti in machine learning, data science e cybersecurity. Inoltre, l’adozione dell’Intelligenza Artificiale richiede specialisti in etica tecnologica e regolamentazione, figure sempre più richieste dalle aziende e dai governi.

D’altra parte, alcuni settori ad alta intensità di manodopera, come la produzione industriale e i servizi di base, sono più esposti al rischio di automazione. Professioni legate a compiti ripetitivi, come cassieri, addetti al servizio clienti e impiegati amministrativi, potrebbero ridursi drasticamente nei prossimi anni. La sfida principale sarà quindi quella di facilitare la transizione dei lavoratori da professioni in declino verso nuovi settori in crescita. In questo campo, quindi, le politiche nei settori della formazione assumono una centralità nuova sia nella formazione scolastica e universitaria, sia in quella della formazione continua e professionale.

Evoluzione delle Competenze Richieste

Con l’integrazione dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro, le competenze richieste stanno cambiando rapidamente. Oltre alle conoscenze tecniche legate alla programmazione, all’analisi dei dati e alla sicurezza informatica, si sta assistendo a un crescente interesse per le soft skills, come la capacità di risolvere problemi, il pensiero critico e la creatività. In questo senso, quindi, le conoscenze di stampo umanistico riprendono una centralità sia nella fase di utilizzo delle Intelligenze Artificiali generative, nelle capacità e conoscenze nella generazione dei cosiddetti “Prompt” (le domande necessarie a raggiungere una risposta soddisfacente da parte di queste nuove “macchine da calcolo”) sia negli impatti sociali nelle singole imprese e nei corpi sociali.

Il World Economic Forum ha identificato che, entro il 2030, le competenze più richieste riguarderanno la capacità di lavorare in team interdisciplinari, l’adattabilità e la gestione dell’innovazione. In particolare, la creatività e l’intelligenza emotiva saranno sempre più apprezzate, poiché difficili da replicare con l’IA.

Le istituzioni educative, quindi, devono rispondere a queste nuove esigenze adattando i loro programmi di studio. La formazione continua e i corsi di aggiornamento professionale diventeranno strumenti essenziali per garantire che i lavoratori rimangano competitivi in un mercato in costante evoluzione. Questo passaggio, inoltre, segnala la necessità di un processo di formazione dei formatori che possano interpretare i nuovi contenuti necessari e le forme innovative con le quali possono (e probabilmente devono) essere utilizzati nell’insegnamento nel futuro.

Sfide Etiche e Sociali

L’adozione dell’Intelligenze Artificiali, quindi, solleva diverse questioni etiche e sociali. Tra le principali preoccupazioni vi è la possibilità che gli algoritmi incorporino bias preesistenti nei dati, amplificando le disuguaglianze. Questo rischio è particolarmente evidente nei sistemi di selezione del personale, di assegnazione di crediti e di decisioni giudiziarie, dove un pregiudizio involontario può avere conseguenze significative sulla vita delle persone. Occorre, quindi, investire in algoritmi più trasparenti e processi di auditing per ridurre il rischio di discriminazione automatizzata.

Un altro problema riguarda la privacy e la sicurezza dei dati personali, con il rischio che le informazioni sensibili vengano utilizzate in modo improprio. L’aumento della raccolta di dati da parte di aziende e governi rende necessaria una regolamentazione più rigorosa per proteggere i cittadini da abusi e fughe di dati. Inoltre, è fondamentale implementare soluzioni tecniche come la crittografia avanzata e l’anonimizzazione dei dati per garantire un livello di protezione più elevato.

Inoltre, la crescente dipendenza dai sistemi automatizzati pone interrogativi sulla responsabilità legale in caso di errori o decisioni dannose prese da macchine intelligenti. Chi è responsabile quando un sistema di guida autonoma causa un incidente? Quali sono le implicazioni legali quando un’Intelligenza Artificiale diagnostica erroneamente una malattia? Questi dilemmi richiedono l’intervento di esperti legali e policy makers per definire regole chiare e strutturate.

La regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale è quindi un tema sempre più centrale nel dibattito politico globale. Paesi come l’Unione Europea stanno già lavorando a normative che stabiliscano linee guida per l’uso responsabile dell’Intelligenza Artificiale, garantendo trasparenza e accountability. È cruciale che il processo normativo sia dinamico e in grado di adattarsi rapidamente ai continui progressi della tecnologia.

Ruolo delle Politiche Pubbliche e della Formazione

Per gestire la transizione verso un’economia basata sull’IA, è fondamentale che governi, aziende e istituzioni educative lavorino insieme. Investire in programmi di riqualificazione professionale può aiutare i lavoratori a sviluppare nuove competenze e a rimanere competitivi nel mercato del lavoro. Inoltre, è necessario promuovere incentivi fiscali per le aziende che investono in formazione e aggiornamento delle competenze, garantendo un accesso equo alle opportunità di sviluppo professionale.

Parallelamente, politiche di sostegno al reddito e alla flessibilità occupazionale potrebbero ridurre l’impatto negativo della disoccupazione tecnologica. Paesi come la Germania e la Svezia stanno già sperimentando modelli di formazione continua finanziati dallo Stato per aiutare i lavoratori nella transizione verso professioni emergenti. Un ulteriore passo potrebbe essere l’implementazione di sistemi di certificazione rapida per nuove competenze digitali, agevolando il reinserimento nel mercato del lavoro.

Un altro aspetto cruciale riguarda la creazione di partnership tra istituzioni accademiche e aziende per sviluppare programmi di studio mirati, che combinino teoria e pratica, formando professionisti pronti alle esigenze del mercato. Infine, il dialogo sociale tra governo, sindacati e imprese sarà determinante per definire strategie di transizione occupazionale efficaci e sostenibili.

Conclusioni

L’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo del lavoro, creando nuove opportunità, ma anche sfide significative. Il suo impatto si estende ben oltre l’automazione dei compiti ripetitivi, influenzando settori strategici come la sanità, la finanza e l’industria manifatturiera. L’adozione dell’IA può portare a un incremento della produttività e a un miglioramento della qualità dei servizi; ma comporta anche il rischio di disuguaglianze nel mercato del lavoro, con alcuni settori più esposti alla perdita di posti di lavoro rispetto ad altri.

Un approccio strategico che combini innovazione tecnologica, formazione e regolamentazione etica è essenziale per garantire che i benefici dell’IA siano equamente distribuiti. Investire in programmi di riqualificazione professionale e nell’educazione tecnologica è cruciale per permettere ai lavoratori di adattarsi alle nuove esigenze del mercato. Inoltre, la collaborazione tra aziende, governi e istituzioni accademiche sarà determinante per sviluppare politiche che favoriscano una transizione sostenibile e inclusiva verso un’economia sempre più basata sull’intelligenza artificiale. Solo attraverso una governance attenta e un impegno condiviso sarà possibile garantire che il futuro del lavoro sia sostenibile

Abstract

L’intelligenza artificiale sta trasformando profondamente il mondo del lavoro, influenzando settori, professioni e competenze richieste. Questa evoluzione presenta sia opportunità che sfide, sollevando interrogativi su come l’Intelligenza Artificiale modificherà le dinamiche occupazionali e quali misure adottare per garantire una transizione equilibrata.

The Impact of Artificial Intelligence on Work

Artificial intelligence is reshaping the job market, affecting productivity, required skills, and employment policies. This article examines future opportunities and challenges.

Keywords

Intelligenza artificiale, Automazione del lavoro, Competenze digitali, Etica tecnologica, Produttività aziendale

Artificial intelligence, Work automation, Digital skills, Technological ethics, Business productivity

Introduzione all’Intelligenza Artificiale nel Contesto Lavorativo

L’intelligenza artificiale (IA) si riferisce a sistemi informatici in grado di eseguire compiti tipicamente associati all’intelligenza umana, come l’apprendimento, il ragionamento, la percezione e la risoluzione di problemi complessi. Con il crescente sviluppo delle tecnologie IA, molte aziende stanno integrando soluzioni avanzate per ottimizzare i processi produttivi, per migliorare l’efficienza e ridurre i costi operativi.

L’applicazione dell’IA nel mondo del lavoro non si limita all’automazione dei compiti ripetitivi, ma si estende alla creazione di nuove opportunità professionali e alla trasformazione delle competenze richieste. Tuttavia, l’introduzione massiva di queste tecnologie pone importanti questioni economiche e sociali. Molti esperti si interrogano sull’effetto dell’Intelligenza Artificiale sulla disoccupazione tecnologica, sulla ridistribuzione dei posti di lavoro e sulla necessità di aggiornare i modelli educativi per preparare la forza lavoro alle nuove esigenze del mercato.

Numerose aziende hanno già implementato assistenti virtuali, chatbot e strumenti di analisi predittiva per migliorare il servizio clienti, ridurre i tempi di risposta e ottimizzare le decisioni aziendali. L’adozione dell’IA è un processo in continua evoluzione, il cui impatto richiede una riflessione approfondita su come governare questa trasformazione per evitare effetti negativi sulla società.

Impatto dell’IA sulla Produttività

Uno degli effetti più significativi dell’adozione dell’IA è il miglioramento della produttività. Secondo un recente studio del McKinsey Global Institute, l’IA potrebbe incrementare la produttività globale fino all’1,5% all’anno entro il 2030. Questo incremento è dovuto alla capacità delle macchine intelligenti di analizzare rapidamente enormi quantità di dati, eseguire calcoli complessi e automatizzare compiti ripetitivi, liberando tempo per attività più strategiche e creative.

Nel settore manifatturiero, per esempio, l’Intelligenza Artificiale è utilizzata per ottimizzare le catene di montaggio, riducendo sprechi e tempi morti. La robotica avanzata permette di svolgere operazioni ad alta precisione, diminuendo il margine di errore e aumentando l’efficienza. Aziende come la BMW, la Mercedes, la Hyundai, stanno sperimentando l’introduzione di robot antropomorfi nei cicli produttivi in alcuni loro stabilimenti. Il salto della robotica antropomorfa, però, allude alla possibilità che l’introduzione della robotica possa estendere la propria capacità di introduzione nei cicli produttivi al di fuori delle linee produttive industriali. In altri settori, come in quello finanziario, algoritmi di machine learning analizzano i trend di mercato e supportano decisioni di investimento con un livello di accuratezza superiore a quello umano. Stessa cosa si sta determinando in settori strategici come nel marketing, nelle analisi previsionali, in quasi tutti i settori fino a quello sanitario.

Tuttavia, non tutti i settori beneficiano allo stesso modo di questi progressi. Alcune professioni, specialmente quelle a bassa specializzazione, sono più vulnerabili alla sostituzione tecnologica. Pertanto, mentre l’Intelligenza Artificiale può portare enormi benefici in termini di efficienza, è fondamentale accompagnare questi sviluppi con politiche di riqualificazione professionale per evitare una crescita delle disuguaglianze lavorative.

Creazione e Distruzione di Posti di Lavoro

L’Intelligenza Artificiale non è solo un agente di distruzione di posti di lavoro, ma anche un motore di creazione di nuove opportunità. Il “Rapporto sul Futuro dell’Occupazione 2025” del World Economic Forum stima che nei prossimi cinque anni saranno creati circa 170 milioni di nuovi posti di lavoro, mentre 92 milioni saranno eliminati. Questo significa che, sebbene l’automazione possa ridurre la domanda di alcune professioni, ne emergeranno altre con competenze diverse.

Ad esempio, il settore dell’intelligenza artificiale stessa sta generando un’ampia domanda di esperti in machine learning, data science e cybersecurity. Inoltre, l’adozione dell’Intelligenza Artificiale richiede specialisti in etica tecnologica e regolamentazione, figure sempre più richieste dalle aziende e dai governi.

D’altra parte, alcuni settori ad alta intensità di manodopera, come la produzione industriale e i servizi di base, sono più esposti al rischio di automazione. Professioni legate a compiti ripetitivi, come cassieri, addetti al servizio clienti e impiegati amministrativi, potrebbero ridursi drasticamente nei prossimi anni. La sfida principale sarà quindi quella di facilitare la transizione dei lavoratori da professioni in declino verso nuovi settori in crescita. In questo campo, quindi, le politiche nei settori della formazione assumono una centralità nuova sia nella formazione scolastica e universitaria, sia in quella della formazione continua e professionale.

Evoluzione delle Competenze Richieste

Con l’integrazione dell’Intelligenza Artificiale nel mondo del lavoro, le competenze richieste stanno cambiando rapidamente. Oltre alle conoscenze tecniche legate alla programmazione, all’analisi dei dati e alla sicurezza informatica, si sta assistendo a un crescente interesse per le soft skills, come la capacità di risolvere problemi, il pensiero critico e la creatività. In questo senso, quindi, le conoscenze di stampo umanistico riprendono una centralità sia nella fase di utilizzo delle Intelligenze Artificiali generative, nelle capacità e conoscenze nella generazione dei cosiddetti “Prompt” (le domande necessarie a raggiungere una risposta soddisfacente da parte di queste nuove “macchine da calcolo”) sia negli impatti sociali nelle singole imprese e nei corpi sociali.

Il World Economic Forum ha identificato che, entro il 2030, le competenze più richieste riguarderanno la capacità di lavorare in team interdisciplinari, l’adattabilità e la gestione dell’innovazione. In particolare, la creatività e l’intelligenza emotiva saranno sempre più apprezzate, poiché difficili da replicare con l’IA.

Le istituzioni educative, quindi, devono rispondere a queste nuove esigenze adattando i loro programmi di studio. La formazione continua e i corsi di aggiornamento professionale diventeranno strumenti essenziali per garantire che i lavoratori rimangano competitivi in un mercato in costante evoluzione. Questo passaggio, inoltre, segnala la necessità di un processo di formazione dei formatori che possano interpretare i nuovi contenuti necessari e le forme innovative con le quali possono (e probabilmente devono) essere utilizzati nell’insegnamento nel futuro.

Sfide Etiche e Sociali

L’adozione dell’Intelligenze Artificiali, quindi, solleva diverse questioni etiche e sociali. Tra le principali preoccupazioni vi è la possibilità che gli algoritmi incorporino bias preesistenti nei dati, amplificando le disuguaglianze. Questo rischio è particolarmente evidente nei sistemi di selezione del personale, di assegnazione di crediti e di decisioni giudiziarie, dove un pregiudizio involontario può avere conseguenze significative sulla vita delle persone. Occorre, quindi, investire in algoritmi più trasparenti e processi di auditing per ridurre il rischio di discriminazione automatizzata.

Un altro problema riguarda la privacy e la sicurezza dei dati personali, con il rischio che le informazioni sensibili vengano utilizzate in modo improprio. L’aumento della raccolta di dati da parte di aziende e governi rende necessaria una regolamentazione più rigorosa per proteggere i cittadini da abusi e fughe di dati. Inoltre, è fondamentale implementare soluzioni tecniche come la crittografia avanzata e l’anonimizzazione dei dati per garantire un livello di protezione più elevato.

Inoltre, la crescente dipendenza dai sistemi automatizzati pone interrogativi sulla responsabilità legale in caso di errori o decisioni dannose prese da macchine intelligenti. Chi è responsabile quando un sistema di guida autonoma causa un incidente? Quali sono le implicazioni legali quando un’Intelligenza Artificiale diagnostica erroneamente una malattia? Questi dilemmi richiedono l’intervento di esperti legali e policy makers per definire regole chiare e strutturate.

La regolamentazione dell’Intelligenza Artificiale è quindi un tema sempre più centrale nel dibattito politico globale. Paesi come l’Unione Europea stanno già lavorando a normative che stabiliscano linee guida per l’uso responsabile dell’Intelligenza Artificiale, garantendo trasparenza e accountability. È cruciale che il processo normativo sia dinamico e in grado di adattarsi rapidamente ai continui progressi della tecnologia.

Ruolo delle Politiche Pubbliche e della Formazione

Per gestire la transizione verso un’economia basata sull’IA, è fondamentale che governi, aziende e istituzioni educative lavorino insieme. Investire in programmi di riqualificazione professionale può aiutare i lavoratori a sviluppare nuove competenze e a rimanere competitivi nel mercato del lavoro. Inoltre, è necessario promuovere incentivi fiscali per le aziende che investono in formazione e aggiornamento delle competenze, garantendo un accesso equo alle opportunità di sviluppo professionale.

Parallelamente, politiche di sostegno al reddito e alla flessibilità occupazionale potrebbero ridurre l’impatto negativo della disoccupazione tecnologica. Paesi come la Germania e la Svezia stanno già sperimentando modelli di formazione continua finanziati dallo Stato per aiutare i lavoratori nella transizione verso professioni emergenti. Un ulteriore passo potrebbe essere l’implementazione di sistemi di certificazione rapida per nuove competenze digitali, agevolando il reinserimento nel mercato del lavoro.

Un altro aspetto cruciale riguarda la creazione di partnership tra istituzioni accademiche e aziende per sviluppare programmi di studio mirati, che combinino teoria e pratica, formando professionisti pronti alle esigenze del mercato. Infine, il dialogo sociale tra governo, sindacati e imprese sarà determinante per definire strategie di transizione occupazionale efficaci e sostenibili.

Conclusioni

L’intelligenza artificiale sta trasformando il mondo del lavoro, creando nuove opportunità, ma anche sfide significative. Il suo impatto si estende ben oltre l’automazione dei compiti ripetitivi, influenzando settori strategici come la sanità, la finanza e l’industria manifatturiera. L’adozione dell’IA può portare a un incremento della produttività e a un miglioramento della qualità dei servizi; ma comporta anche il rischio di disuguaglianze nel mercato del lavoro, con alcuni settori più esposti alla perdita di posti di lavoro rispetto ad altri.

Un approccio strategico che combini innovazione tecnologica, formazione e regolamentazione etica è essenziale per garantire che i benefici dell’IA siano equamente distribuiti. Investire in programmi di riqualificazione professionale e nell’educazione tecnologica è cruciale per permettere ai lavoratori di adattarsi alle nuove esigenze del mercato. Inoltre, la collaborazione tra aziende, governi e istituzioni accademiche sarà determinante per sviluppare politiche che favoriscano una transizione sostenibile e inclusiva verso un’economia sempre più basata sull’intelligenza artificiale. Solo attraverso una governance attenta e un impegno condiviso sarà possibile garantire che il futuro del lavoro sia sostenibile

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Ludovico ha 11 anni e una fervente passione per gli insetti, tanto da chiedere a sua madre di avere in regalo una mantide da allevare. Lei gli spiega pazientemente che in casa si possono tenere solo gli animali cosiddetti domestici e, per rincarare la dose, forza la mano affermando che il regolamento comunale della sua città (Torino) vieta espressamente l’allevamento di mantidi. Il giorno dopo Ludovico si ripresenta alla mamma con un attestato in cui si afferma che il Comune di Torino ha ritirato il divieto, avendo riscontrato che il proprio territorio è perfetto per la crescita delle mantidi. Insetti che, tra l’altro, sono particolarmente indicati ad avvicinare i ragazzi allo studio della natura.

Sara di anni ne ha 26 e almeno una volta al mese si regala un fine settimana alla scoperta di una città europea. Viaggi veloci e a basso costo. Stavolta la scelta è ricaduta su Lussemburgo, la città Stato circondata da boschi e castelli. Il sito di ricerca le fa una buona offerta: volo andata e ritorno da Roma 110 euro. Prima di acquistare il biglietto Sara decide di informarsi su clima e itinerari da percorrere in due giorni. Quando un’ora dopo torna al sito che compara le compagnie aeree, scopre che il prezzo è salito a 138 euro.

Due storie minime - e vere - che potrebbero accadere a ognuno di noi.

Nel primo caso Ludovico non fa altro che affidare alla tecnologia (chatgpt) quello che i bambini di ogni epoca hanno fatto prima di lui: inventare una storia “credibile” per convincere i genitori. Semplicemente lo fa utilizzando un mezzo nuovo a suo servizio.

Nel secondo caso, senza saperlo Sara ha generato una richiesta di mercato attivando un algoritmo pensato da un essere umano per capitalizzare il più possibile i desideri di potenziali clienti.

Vengo al punto: È questa dunque l’intelligenza artificiale?

La risposta è no.

Prima di entrare nel merito della questione, mi permetto un’altra digressione che può essere utile a semplificare un tema che semplice non è.

È il 1950 quando Isaac Asimov (biochimico prima ancora che scrittore seppur prolifico) pubblica “I robot”. Libro che è l’esaltazione della logica pura e che già nel titolo contiene l’ambivalenza di cui oggi trattiamo.

I robot (con I articolo determinativo) o I robot (con I che in inglese sta per IO)?

Per Asimov non fa differenza perché tutti i racconti girano su un unico assunto (le tre leggi fondamentali): alla base di ogni comportamento illogico, contraddittorio e perfino pericoloso dei robot c’è sempre un errore umano. Sofisticatissimo, magari, filosofico perfino ma indiscutibilmente frutto di una umanissima decisione.

E allora partiamo da qui per capire cos’è l’Intelligenza Artificiale, quali applicazioni pratiche può avere e perché, o forse se, dobbiamo averne paura.

Di IA si parla per la prima volta nel 1956 (stesso decennio dei racconti di Asimov) e consiste, in sintesi estrema, nella capacità dei computer di “apprendere” superando il limite del semplice “eseguire”.

Già da tempo in Medicina la diagnostica per immagini si avvale della IA per supportare il dottore nell’individuare la malattia e relativa cura, cui la stessa IA contribuisce grazie alla gigantesca capacità di elaborare milioni di dati in poco tempo. Il suo utilizzo consente anche di pianificare percorsi terapeutici personalizzati proprio perché immagazzina e ordina informazioni dettagliate. Massima resa poi nella telemedicina che consente al robot (antropomorfo o meno che sia) di seguire pazienti che vivono in luoghi accidentati e isolati.

Alcuni studi settoriali assicurano che l’utilizzo su larga scala della IA in medicina consentirebbe di ridurre dell’86% gli errori del personale sanitario, ma sulle cifre è meglio mantenere un prudente distacco.

In casa la domotica è un esempio pratico di IA che permette di programmare - e quindi ottimizzare - i consumi, solo per citare uno degli usi più comuni.

Il campo di applicazione più ampio resta comunque quello del lavoro dove, non a caso, sono forti le preoccupazioni per i tagli all’occupazione come in effetti accaduto laddove sono stati introdotti robot progettati per l’automazione di processi produttivi e logistici nell’industria pesante. Nel mercato civile pure è crescente il numero di macchine utilizzate come assistenti alla vendita nei negozi per fornire informazioni ai clienti. O come camerieri nei ristoranti, come già sperimentato nei locali giapponesi.

Ma è il cosiddetto lavoro intellettuale a rischiare di farsi trovare impreparato, e quindi a essere travolto, dalla rivoluzione del terzo millennio.

Già da tempo nei tribunali si ragiona sulla possibilità di emettere sentenze “standard” per snellire e velocizzare le pratiche. Un esempio sono le richieste di separazione nelle quali lo stesso giudice anche oggi si attiene a un consolidato di casi tipizzati: casa coniugale assegnata a chi si occupa dei figli, assegno di mantenimento per i minori etc.

Nel giornalismo esistono già computer che elaborano articoli sulla scorta delle informazioni fornite da chi (e qui torna centrale la figura professionale) le ha raccolte. Resta aperto il dibattito sull’oggettività del dato per cui noi giornalisti siamo chiamati a un’ancora maggiore responsabilità. Perché se è vero che IA assorbe, elabora e rielabora tutto quello che scriviamo, il rischio che si corre è quello di una post verità dove è vero tutto e il suo contrario.

Scegliendo questo o quel giornale oggi in qualche modo sappiamo già che taglio avrà la notizia a seconda della linea editoriale di una Testata. Ma domani? La macchina continuerà a elaborare un testo sulla scorta delle informazioni di base immesse, ma come capire se chi ha immesso il dato lo fa con onestà intellettuale o per appartenenza ideologica?

Viene da chiedersi se allora non si debba limitare l’uso dell’intelligenza artificiale a quegli ambiti in cui non sia richiesto un contributo etico, morale o critico. Come, ad esempio, nella pubblica amministrazione per il disbrigo di pratiche e l’erogazione di servizi ai cittadini. Ma è proprio in questo ambito che l’altra caratteristica fondante dell’IA – ossia la sua capacità predittiva – sta trovando applicazioni che superano le aspettative. Basti pensare alla gestione delle emergenze (dall’analisi delle probabilità alla conoscenza in tempo pressoché reale della situazione su un territorio vastissimo) o alla pianificazione del traffico urbano. Alla macchina basta, infatti, prevederlo in base alle abitudini dei residenti e pianificare quando magari intervenire con la manutenzione della strada.

Dal Forum della PA del 2024 prendo questo passaggio testuale:

l’intelligenza artificiale si rivela un alleato prezioso, in grado di attuare un utilizzo più intelligente delle risorse esistenti. Algoritmi di IA possono analizzare modelli di consumo e suggerire modalità e strategie per ridurre gli sprechi, migliorare la gestione delle risorse energetiche o distribuire in modo più efficace il personale in base alle effettive necessità, contenendo lo sforzo e, al tempo stesso, promuovendo una maggiore cultura di sostenibilità all’interno dei contesti istituzionali.

L’esempio più calzante che viene proposto nel dossier riguarda ancora una volta la sanità dove l’IA può prevedere i picchi di domanda dei servizi e permettere di conseguenza una migliore distribuzione del personale e delle attrezzature sanitarie.

A questo punto la domanda è lecita. Perché siamo così diffidenti rispetto a quella che gli stessi sviluppatori considerano la più grande rivoluzione di tutti i tempi?

La risposta è facile: per le storture che ne possono derivare e per l’impatto velocissimo di qualcosa che cambia la nostra vita, senza darci il tempo di elaborare i mutamenti.

La psicologa Maria Rita Parsi parla di sindrome dell’Avatar (l’uso sistematico dei filtri ottici per modificare la propria immagine) come di una patologia crescente tra i giovani incapaci perfino di riconoscere il se stesso reale da quello creato e quindi postato.

Le cosiddette armi intelligenti sono capaci di inseguire il nemico senza stancarsi mai (se venissero programmate ad hoc) fino alla sua eliminazione prive di quella pietà umana che consente invece a un soldato in carne e ossa di abbassare il fucile di fronte a un altro uomo in fuga.

Prive di scrupoli, sentimenti, ripensamenti le macchine potrebbero superare limiti inimmaginabili e privarci nel tempo delle sfumature più profonde dell’essere umano. Ma non è quello che accade già in una qualsiasi guerra che altro non è che un lungo elenco di orrori?

Un capitolo a parte merita la commistione tra vero, falso e verosimile.

Ad oggi siamo in grado di capire che gli “abbracci impossibili” tra opposti (vedi il lupo con l’agnello o quelli tra irriducibili avversari politici) sono frutto di una campagna di comunicazione studiata ad hoc. Ma chi può sapere che la fotografia di un Vesuvio innevato visto dalle scogliere di Bacoli non esiste perché geograficamente impossibile? E come comprendere il bisogno (incomprensibile) di ritoccare al computer per rendere ancora più accattivanti scorci di città di straordinaria bellezza generando delusione (capita a cinesi e giapponesi in visita a Parigi) tra chi arriva in cerca di quell’inquadratura, di quella luce, di quei contorni che teoricamente dovrebbero migliorare quel che è già perfetto?

Da tempo le Aziende si sono dotate di esperti in grado di smascherare e smantellare campagne denigratorie costruite ad hoc per distruggerne la reputazione nel mondo degli affari. Ma quel che preoccupa è la manipolazione di immagini e documenti creati dal nulla per orientare politicamente o socialmente l’opinione pubblica.

Colpa dell’intelligenza artificiale? No. Anche in questi casi quello che deve preoccupare non è la nascita di nuovi comportamenti quanto la sofisticatezza manipolatrice. E, soprattutto, che questa possibilità di influenzare è alla portata di chiunque.

Per spiegarmi meglio: nel 1988 viene introdotto l’obbligo di indossare le cinture di sicurezza anteriori a bordo delle automobili. Pochi giorni dopo, tutti i giornali riportarono la notizia del sistema con cui i napoletani aggiravano l’imposizione indossando magliette con stampata una fascia nera trasversale. Ancora oggi qualcuno giura di averne una a casa. In realtà le t-shirt non sono mai esistite se non come frutto di una suggestione per spiegare i meccanismi di creazione delle leggende metropolitane. Autore dell’inganno, lo psichiatra Claudio Ciaravolo che utilizzò questo e altri stratagemmi per studiare come la manipolazione di massa potesse generare comportamenti virtuosi.

Questo per dire, tornando alle tre leggi di Asimov, che se è vero che oggi siamo di fronte a macchine capaci di imparare da se stesse, è altrettanto vero che sono sempre gli uomini a decidere a cosa finalizzare le strepitose potenzialità dei robot.

Mi piace concludere citando un altro libro. Siamo all’anno scorso, 2024, quando il giornalista Mauro Crippa (direttore generale dell’Informazione Mediaset) e il filosofo Giuseppe Girgenti pubblicano “Umano, poco umano”

Crippa è manager navigato, guida una corazzata che edita tre telegiornali nazionali, un canale e un sito di informazione all news e i programmi di informazione.

In trent’anni di carriera ha portato in Azienda tutte le innovazioni tecnologiche che hanno consentito a Mediaset di essere all’avanguardia. Nessuna paura del cambiamento, anzi.

Eppure un giorno, lo racconta lui stesso nelle presentazioni del libro, rimane folgorato accorgendosi di rivolgersi ad Alexa come fosse una persona e non un semplice dispositivo elettronico. Nulla di eccezionale (a chi non è capitato di insultare l’auto che non vuole saperne di partire?) visto che l’umanizzazione delle “cose” è fenomeno diffuso.

Quello che è straordinario è che Alexa (viene spontaneo scriverne il nome in maiuscolo) risponde istaurando un rapporto affettivo con l’interlocutore. Non si limita a eseguire un comando, ma si “preoccupa” di compiacere. E così facendo si insinua nel nostro bisogno di affetto e di comprensione.

E sta qui, a mio avviso, l’unico grande pericolo incombente: la progressiva rinuncia o allontanamento dai bisogni – materiali e spirituali - che fanno dell’uomo un animale sociale.

L’antidoto è dentro di noi. O per dirlo alla Kant: il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me.

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In molti di questi, l’IA è una normale evoluzione di processi classici, implementati con l’ausilio di rivoluzionari software. Appare, per certi versi, usuale siffatta transizione informatica, poiché in maniera costante e subdola la stessa è, ormai, insostituibile in molte attività e gesti consueti. Il compiacimento verso questa nuova tecnologia e per tutte le azioni che la stessa ci agevola, viene spesso amplificata dal timore di ciò che potrà accadere in un futuro che si appresta ad essere presente. Siamo così intrisi, di tali necessità digitali, al punto che prima di ogni altra cosa ci riferiamo all’IA per affrontare problemi di ogni giorno e risolvere questioni, dalle più banali alle più sofisticate.

Un’efficace definizione di IA ci viene proposta dal Politecnico di Milano: “L’Intelligenza Artificiale è il ramo della computer science che studia lo sviluppo di sistemi hardware e software dotati di capacità tipiche dell’essere umano e in grado di perseguire autonomamente una finalità definita prendendo delle decisioni che, fino a quel momento, erano solitamente affidate agli esseri umani1.

Come adattare questo termine al caso delle imprese e del microcredito? Partiamo dai dati, che sono alla base delle indagini e delle finalità a cui giungono in autonomia tali strumenti informatici. Infatti, in una società che si basa su dati e previsioni, non si può certo non considerare il mondo produttivo (in particolare quello industriale), dove la necessità di prevedere scenari futuri, di conoscere esigenze prossime, di programmare una proficua catena produttiva sempre più vicina ai bisogni reali dei fruitori; diventano asset fondamentali per la competitività e la realizzazione della ricchezza. Per le imprese, infatti, l’IA rappresenta uno strumento strategico che consente di migliorare l’efficienza, ottimizzare i processi decisionali e personalizzare l’offerta ai clienti.

Un primo cambiamento vi è stato con l’avvento dei Social Media. Le aziende hanno intrapreso un differente approccio per raccogliere dati, ottenendoli, perciò, attraverso i social, a un costo relativamente basso e in tempi ristretti. Nasce, così, un nuovo modo di fare impresa e di valutare la reputazione aziendale, basata sull’incrocio di dati analitici e di metriche qualitative. Si parla, ad esempio, di sentiment analysis, per identificare, con strumenti automatizzati, il tono (positivo, negativo o neutro) delle conversazioni sui social che menzionano un brand; di follower growth, per studiare lo sviluppo dello stesso nel tempo, sulla base del crescente numero di followers. Questi due elementi sono esempi, concreti, di come si sia spostato il concetto di valutazione, reputazione e credibilità di un’impresa, lungo sentieri inesplorati. Accanto a questa indagine, occorre altresì considerare lo studio qualitativo dei commenti e delle recensioni. Questi metodi di indagine stanno diventando sempre più fonte di ispirazione per i manager, i CEO e la governance aziendali, che li utilizzano per analizzare approfonditamente le criticità al fine di superarle e poter trasformare una situazione negativa in una possibile opportunità futura.

Tale cambiamento porta a doversi confrontare con differenti questioni “etiche”, dove queste iniziano dalla conoscenza delle fonti, dall’attendibilità del dato da analizzare e dai risultati ottenuti dall’IA.

Per rispondere alla domanda, si fa riferimento all’intelligenza artificiale spiegabile (XAI), ovvero alle procedure e ai metodi che permettono all’uomo di comprendere e valutare l’affidabilità dei risultati prodotti dagli algoritmi di apprendimento automatico.

Questo a sottolineare la necessità di poter supervisionare le decisioni che la “macchina” prende in autonomia; impellenza, che si riscontra nelle aziende, tanto nella finanza.

Basti pensare alle imprese dotate di catene di montaggio fondate sull’IA per comprendere come l’XAI diventa essenziale per orientare la vision di un’azienda.

Un ruolo privilegiato nella descrizione dell’IA e dei suoi innumerevoli rami applicativi è quello dell’Osservatorio Aritficial Intelligence del Politecnico di Milano2. Tra i suoi goals vi sono quelli dedicati alla possibilità di definire processi per meglio identificare gli effettivi campi applicativi dell’IA.

Nonostante manchino dati precisi e dettagliati sulla numerosità di PMI e di StartUP che stanno adattando i loro processi produttivi all’IA; appare evidente come questa possa essere un volano per una crescita veloce e consistente in termini di risorse umane e di miglioramento del quadro economico-finanziario. Sebbene, ancora, non del tutto sviluppata, l’IA sta sostenendo le PMI e le StartUP fornendo loro una serie di servizi e di opportunità in tempi ristretti e con costi limitati.

Per meglio adattarsi alle nuove introduzioni e alle potenzialità di questa tecnologia consideriamo una prima suddivisione, fornitaci dall’Osservatorio del PoliMi, dei suoi campi di utilizzo:

Autonomous Vehicle: È applicabile a qualsiasi tipo di trasporto su strada, autonomo o meno, come le auto a guida autonoma o i droni per la consegna di pacchi a domicilio.

Autonomous Robot: I robot possono muoversi, manipolare oggetti e compiere azioni senza l’assistenza umana, raccogliendo informazioni dall’ambiente circostante e reagendo a eventi che non sono stati precedentemente registrati.

Intelligent Object: Sono tutti questi oggetti che sono in grado di compiere azioni e prendere decisioni senza l’intervento umano, interagendo con l’ambiente circostante attraverso sensori (termometri, videocamere, ecc.) e assistenti, e imparando dalle azioni di chi interagisce con loro.

Virtual Assistant e chatbot: Sono i sistemi più evoluti, capaci di comprendere tono e contesto del dialogo, memorizzare e riutilizzare le informazioni raccolte e dimostrare intraprendenza nel corso della conversazione. Questi sistemi sono sempre più utilizzati come primo livello di contatto con il cliente per l’assistenza attraverso il Customer Care.

Recommendation: Rappresentano soluzioni per orientare le preferenze, gli interessi e le decisioni degli utenti, utilizzando informazioni fornite da loro in modo diretto o indiretto. Sono ampiamente utilizzate nell’eCommerce e nei servizi di streaming, come ad esempio Netfix o YouYube.

Image Processing: Sono quei sistemi di elaborazione delle immagini progettati per analizzare queste e i video al fine di riconoscere persone, animali e oggetti. Appartengono a tale categoria strumenti come: il riconoscimento biometrico e lestrazione di informazioni utili dai contenuti visivi.

Language Processing: È un sistema che permette di elaborare il linguaggio al fine di facilitare la comprensione dei contenuti, la traduzione e persino la generazione autonoma di testi, a partire dai dati o dai documenti forniti come input.

Intelligent Data Processing; In questa vasta categoria rientrano tutte quelle soluzioni che impiegano algoritmi di IA per analizzare dati sia strutturati e non, con l’obiettivo di estrarre informazioni significative. Tra gli esempi più rappresentativi troviamo: i sistemi per la rilevazione delle frodi finanziarie, la ricerca di modelli, i sistemi di monitoraggio e controllo, oltre all’analisi predittiva. Per quanto riguarda la prevenzione dei rischi, vengono condotte analisi estremamente sofisticate che collegano dati, eventi, comportamenti e abitudini, permettendo di anticipare possibili attività fraudolente.

Alcuni di questi software ormai sono di uso comune, al punto che, molti startupper utilizzano strumenti di IA generativa come ChatGPT, (per citare la più famosa), per supportare la propria attività nelle varie fasi, ad esempio quella: del marketing, dello sviluppo del prodotto, della sua implementazione, per la pubblicità, per la definizione di mercati e clienti potenziali. Occorre, infatti, che i titolari di PMI vedano l’IA “come un socio” per citare Sean Ammirati dell’Università di Pittsburgh.

Un socio, un alleato, un facilitatore, questo dovrebbe essere il ruolo dell’IA. Bisognerebbe, pertanto, investire in conoscenza, intesa come know-how, nel settore delle risorse umane per individuare nuove figure professionali che possano analizzare ed esaltare le potenzialità di questa tecnologia. L’IA porta con sé nuovi know-how da implementare e condividere, per accrescere esperienze e dati da analizzare. Questo recente “socio” se preso in esame e in debita considerazione non si siederà ai tavoli tecnici; non sarà un membro del CdA; ma ci faciliterà nella scelta e nelle decisioni aziendali perché i dati e le informazioni in suo possesso sono imponenti e permettono a una PMI di adattarsi meglio ai cambiamenti economici e finanziari.

Una delle più spiccate potenzialità dell’IA è la sua universalità: difatti può essere applicata a ogni impresa, piccola o grande che sia. L’IA opera con lo stesso criterio e le medesime metodologie in ogni ambito di lavoro e permette di fornire a tutti i suoi utenti pari possibilità, prospettando così un nuovo modo di fare impresa, un futuro diverso verso il quale dirigerci.

L’IA come motore di innovazione per le PMI

In questo paragrafo esploreremo che genere di applicativi vengono considerati dalle imprese e quali possono essere le effettive ricadute sulla gestione aziendale. Analizzare un contesto aziendale è una procedura ardua perché si indaga su tutti gli elementi di una catena produttiva; da chi partecipa alla produzione e alla commercializzazione del bene primario, sino ad arrivare alla trasformazione della materia stessa. Muta il modo di fare impresa, perché si modificano gli elementi salienti del processo industriale, in quanto ogni singolo componente viene pervaso dall’IA; inoltre, la necessità di ottimizzare spazi e tempi, produzione e distribuzione contribuisce in maniera significativa ad attuare questo cambiamento. Notiamo una continua quanto proficua costituzione di StartUp focalizzate sull’IA e di imprese che spostano i loro orizzonti a favore della stessa. Aldilà delle ragioni che portano a un siffatto proliferare, in che modo e dove l’IA sostiene le imprese?

Automazione e riduzione dei costi operativi

Il primo elemento da trattare riguarda la procedura di automazione dei processi aziendali, intesi come l’insieme delle attività svolte per creare prodotti o fornire servizi. Le azioni, di cui sopra, possono risultare molto spesso attività complesse, queste derivano dalla difficoltà connesse a una supply chain. Come è noto, in passato, tali lavori, venivano gestiti dall’uomo in completa autonomia. La filiera era quella nota e i processi si ripetevano con la stessa cadenza e precisione. Il risultato era sufficiente per rispondere alle esigenze di un mercato statico e poco incline al cambiamento, in un ambiente con una scarsa o quasi inesistente concorrenza. Era una società in cui le imprese si ritagliavano quella “fetta” di mercato e lì proliferavano.

Con l’avvento di questi nuovi software cambiano in maniera sostanziale la situazione economica, sociale e finanziaria del mondo contemporaneo. Tale mutamento, però, non occorre osservarlo con occhi impauriti, ma con la speranza che queste nuove introduzioni si tramutino in linfa vitale per un futuro più sostenibile nel quale, ci auspichiamo, convivano imprese e persone nel rispetto dell’ambiente, verso un’economia sostenibile e circolare.

Nasce la necessità di affidare all’IA lo svolgimento di mansioni complesse per migliorare i processi e garantire maggiore efficienza a tutta l’attività produttiva.

Per effetto della capacità di analizzare dataset di capienza enorme in tempo reale, l’IA supporta le PMI nella previsione delle tendenze di mercato e nella pianificazione strategica. Algoritmi di apprendimento automatico possono identificare modelli nei dati storici, permettendo di prevedere la domanda futura, gestire meglio l’inventario e ottimizzare le strategie di marketing. Ad esempio, molte aziende utilizzano l’IA per analizzare i dati dei social media e anticipare le preferenze dei consumatori o per identificare potenziali minacce competitive.

In questo contesto si colloca il cosiddetto machine learning (ML) ovvero l’intelligenza artificiale che favorisce l’apprendimento delle macchine sulla base dei dati raccolti durante lo svolgimento di attività concluse. Tale procedimento aiuta a comprendere come l’utilizzo di questi algoritmi possa implementare un processo aziendale di una PMI. L’analisi dei dati permette alle macchine di adattarsi autonomamente alle nuove realtà, di modificare in maniera indipendente un’attività e, pertanto, di prendere decisioni non supervisionate. Tecniche avanzate di apprendimento automatico, infatti, vengono impiegate per gestire e ottimizzare la supply chain, rilevare frodi in tempo reale e supportare i sistemi di assistenza clienti tramite chatbot intelligenti. Questo non solo riduce i costi operativi, ma libera anche risorse umane per attività a maggiore valore aggiunto.

Per tali ragioni il ML ha acquisito un ruolo sempre più vitale nei processi aziendali. Il suo avvento si può definire come una “rivoluzione copernicana” perché ha introdotto un nuovo paradigma del fare impresa. La grande capacità di analizzare imponenti quantità di dati e apprendere da essi (che possiede il ML) permette, quindi, alle imprese di attuare processi di forecasting sempre più accurati e precisi al fine di migliorare l’efficienza produttiva, adeguare i prodotti/servizi in tempo reale alle esigenze dei fruitori ed infine, di prevedere le attese di un mercato che viaggia su strade reali e non. In questo modo è possibile individuare pattern e tendenze nei dati che risulterebbero difficili da riconoscere con metodi tradizionali. Questo è particolarmente utile in settori come la finanza, il marketing e la logistica, dove le previsioni e l’analisi dei dati sono fondamentali per la competitività aziendale. Nel marketing, il ML può essere utilizzato per personalizzare le campagne pubblicitarie in base ai comportamenti dei clienti, aumentando il tasso di conversione e migliorando la customer experience. Si colloca in quest’ambito il già citato chatbot e la visione artificiale.

Tuttavia, nonostante i numerosi vantaggi, l’adozione dell’IA nelle PMI presenta alcune sfide. Il costo iniziale delle tecnologie, la mancanza di competenze specifiche e le preoccupazioni sulla sicurezza dei dati rappresentano ostacoli significativi. Per superare tali difficoltà, è fondamentale investire nella formazione del personale e adottare soluzioni che permettano una graduale integrazione dell’IA nei processi aziendali.

Uno studio condotto dalla piattaforma Gusto, specializzate nel welfare aziendale, ha rivelato come l’attività che viene svolta con maggiore frequenza e che coinvolge l’IA è quella del marketing. Sono, infatti, il 76% le aziende fondate nel 2023 che hanno sviluppato tali strategie di mercato con l’ausilio di questi strumenti informatici.3

Nel 2023 Federmanager4 ha condotto uno studio per definire nuovi piani di “benessere aziendale”, partendo dalle esigenze dei lavoratori. Amazon e Google sono note per ricreare ambienti di lavoro molto liberi, dove i dipendenti possono trascorrere il tempo lavorativo senza stress, anche con i propri animali domestici, per meglio dedicarsi alla produzione e all’innalzamento della qualità della stessa. In questo periodo storico l’IA può giocare un ruolo importante e significativo a tal fine, definendo un nuovo modo di concepire lo spazio aziendale e il tempo. Questo a significare che l’IA non ha come scopo la sostituzione dei dipendenti, ma il miglioramento del loro status.

Un capitolo a parte merita l’e-commerce, dove l’utilizzo dell’IA è più facilmente intuibile, dalla scelta del prodotto all’assistente virtuale, che implementa l’immagine e le potenzialità di un mercato senza fine, che può raggiungere clienti in ogni parte del pianeta attraverso le Chatbot.

IA per PMI affinché vengano:

- ottimizzati gli standard di efficienza

- minimizzati gli errori umani

- abbattuti i costi

- innalzati i parametri inerenti alla qualità del lavoro e all’adattabilità

L’importanza dell’IA nel microcredito

Le tematiche appena trattate si estendono al microcredito. In primis per ciò che riguarda l’aspetto previsionale dell’IA. La stesura di un Business plan e di un piano strategico, avvengono in maniera differente per il tramite dell’IA. Basti pensare alle analisi di mercato, ai potenziali clienti, alla diffusione del brand e a tutti quei fattori che permettono di identificare una PMI nel suo stato attuale e in quello futuro. Avere un piano strategico che permetta di valutare in modo più efficiente lo sviluppo di un’impresa ammette e facilita l’avvicinamento della stessa a strutture di microcredito. Nei processi di forecasting, per esempio, vi sono molti algoritmi che consentono di valutare il rischio, sia aziendale che finanziario. Percepire contezza, in quanto in presenza di un’azienda solida, che analizza la sua collocazione futura e possiede una sana reputazione, permette agli istituti di credito di favorire l’erogazione dei finanziamenti.

L’IA, pertanto, nella sua definizione e diffusione ha in sé tutte le potenzialità per sostenere le PMI in ogni fase della loro vita. A partire dalla loro fondazione, infatti, l’IA permette di collocarsi adeguatamente e meglio definire l’oggetto e la mission aziendale. Utilizzare dati per ipotizzare scenari futuri, facilita approcci inziali appropriati e riduce il rischio di fallimento. L’IA, in una fase avanzata, asseconda la gestione consapevole di spazi e risorse umane, di processi industriali e benessere aziendale; favorisce l’approccio al microcredito e sostiene la governance in ogni sua fase decisionale.

Molte sono le potenzialità e tanti i limiti da superare, non solo etici. Urgono in questo preciso periodo storico, manager “illuminati e visionari” che possano trasformare le aziende “familiari” in colossi internazionali. La figura, dell’ormai superato manager “padre-padrone” deve lasciare spazio a team di lavoro adeguati, competenti e più inclini alle nuove esigenze e tecnologie che guardano al futuro e “al nuovo mondo”.

Bibliografia:

  • Intelligenza Artificiale nel credit scoring, bancaditalia.it
  • E. Evangelista, “Intelligenza Artificiale: un’opportunità imprescindibile”, Rivista Microcredito
  • “AI nel credito al consumo: Approccio strategico e applicativo nell’antifrode”, Financial Innovation
  • B. A Pansera, “Intelligenza Artificiale nelle imprese: quali prospettive?”, Rivista Microcredito
  • “Intelligenza Artificiale nelle imprese, come e perché applicarla”, intelligenza artificiale italia
  • “Applicazione dell’intelligenza artificiale nelle imprese”, Camera di commercio di Bolzano
  • “Il futuro dei finanziamenti: come l’intelligenza artificiale sta rivoluzionando la valutazione del rischio”, Finsenas - Agente Prexta
  • Francesco Pio Gennari, “L’Intelligenza Artificiale applicata alle vendite: Il caso Big Profiles”. Tesi. Luiss Roma.

NOTE

1 https://www.digital4.biz/executive/ai-cos-e-l-intelligenza-artificiale-e-come-puo-aiutare-le-imprese/

2 https://www.osservatori.net/artificial-intelligence/

3 https://www.assidai.it/il-welfare-aziendale-nellera-della-conoscenza-e-dellai/

4 https://www.federmanager.itV

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Nel novero delle università italiane chi si è sempre distinto per sostenere l’innovazione in ambito di comunicazione e impresa è sicuramente l’ateneo milanese IULM che nel 2018 ha dato vita a uno Spin-Off universitario, il laboratorio di Intelligenza Artificiale IULM AI Lab allo scopo di generare valore per il sistema aziendale e per il Paese, producendo cultura e idee attraverso un modello di diffusione aperta dell’innovazione legata al potenziale offerto dall’AI applicata al business. Negli anni questo laboratorio, diretto dal Prorettore Guido Di Fraia e dalla dottoressa Alessandra Massarelli, che in questa intervista doppia hanno raccontato aneddoti e progetti implementati negli anni e delle soluzioni operative proposte alle aziende che volevano razionalizzare ed efficientare la produttività con un’attenzione particolare all’implementazione di nuovi strumenti.

Intervista a Guido di Fraia e Alessandra Massarelli dello Iulm AiLab

Professore quando nasce l’idea di creare un laboratorio per l’AI, e nello specifico quando viene strutturato L’AILab Iulm?

Guido Di Fraia: “Oggi l’intelligenza artificiale è di moda, ma noi abbiamo precorso i tempi con un embrione già nel 2017. Poi nel 2018 l’università decide di investire e quindi si crea questo laboratorio, la cui sede fisica però è stata inaugurata nel 2021. Questo laboratorio nasce come un’idea anomala rispetto al posizionamento tradizionale di un’università come la nostra che è di stampo umanistico: ci occupiamo di lingue, letterature, poi anche di marketing, di comunicazione, di media e così via.

Siamo stati per certi aspetti un’anomalia, oppure, se preferite, dei pionieri rispetto al tema dell’intelligenza artificiale perché l’impressione che avevamo avuto era che si sarebbe diffusa ben più di quanto non era successo fino a quel momento, diventando uno strumento fondamentale per tutte le professioni. Il core business dello IULM e del laboratorio è sostenere il marketing, la comunicazione, i processi aziendali e le varie industrie dello spettacolo, della comunicazione, dei media, del food and beverage, su cui noi lavoriamo.

Abbiamo costituito questa SRL, uno spin off di Ateneo, e abbiamo lavorato da allora per aiutare le imprese a capire come usare l’AI. L’intelligenza artificiale è una materia vecchia che si è sempre occupata, fino al 2017, sostanzialmente di analizzare dati. Cioè quello che sapeva fare bene era analizzare dati, e quindi analizzando dati si possono fare operazioni molto utili. Si può far vincere a scacchi IBM Deep Blue contro Kasparov, insomma, si possono fare cose molto belle.

Si può, con nuovi modelli di addestramento, non più di programmazione ma di addestramento dell’intelligenza artificiale, far vincere il software AlphaGo contro il campione del gioco da tavolo “Go” (gioco strategico).

Quindi attività dove contano sostanzialmente i calcoli. Il cambiamento epocale è venuto con le intelligenze generative, che sono nate ieri.

È chiaro che quando è arrivata la AI gen siamo stati facilitati perché prima (2018/19) non era facilissimo parlare dell’intelligenza artificiale alle imprese, soprattutto alle PMI di cui è costituito il tessuto imprenditoriale italiano.

Cosa fate nel AILAB IULM?

Guido Di Fraia: facciamo formazione per le aziende e quindi formazione con progetti a vari livelli, e abbiamo trattato nel corso del tempo industrie di ogni tipo, dalla farmaceutica al consorzio della distribuzione alimentare. Non ci sono ambiti in cui l’intelligenza artificiale non si possa applicare. Poi facciamo ricerca e sviluppo di soluzioni nostre, e sosteniamo la produttività delle imprese e questo è l’aspetto che ci interessa di più. Abbiamo chiamato questo modello AlchimIA: facciamo una sorta di accompagnamento, di co-progettazione con le aziende per aiutarle a capire cosa davvero serve loro, perché l’intelligenza artificiale è talmente adatta, flessibile a poter essere impiegata per qualsiasi attività; l’idea iniziale è che se conosci bene la tua azienda, la tua realtà, la tua industry, i bisogni che possono avere i tuoi clienti interni o esterni, allora sai che cosa può fare l’intelligenza artificiale per te.

A volte le soluzioni vanno costruite e poi si scopre che è anche relativamente facile farlo, al di là della paura che le persone hanno, soprattutto gli imprenditori su cosa sia l’AI e quindi alchimIA è questo percorso di co-progettazione di soluzioni con le imprese.

Alessandra Massarelli: in questi anni abbiamo sostenuto molte asttività, potremmo raccontare degli aneddoti simpatici, perché ci sono capitati imprenditori che, iniziando a fare questo percorso, hanno capito le proprie esigenze e hanno adottato soluzioni a cui non avrebbero mai pensato. Per esempio abbiamo aiutato un’azienda che si occupa di vitivinicoltura; totalmente digiuna di tecnologia, ma che aveva l’esigenza di ripristinare il terreno originario dei propri vitigni con le erbe spontanee che li infestavano, per manentera intatte le peculiarità organolettiche del vitigno stesso. Così proponemmo di utilizzare un drone per l’analisi del terreno e dell’area; per creare una mappatura e sulla base di quella andare a ripiantare quelle erbe spontane necessarie. Il drone avrebbe prima raccolto le immagini che l’intelligenza artificiale avrebbe identificato e riconosciuto così da ricostruire il settore e valorizzare la produzione.

Qual è l’ultimo applicativo che state sperimentando?

Guido Di Fraia: Ora stiamo lavorando molto con le AIgenerative, ma soprattutto stiamo lavorando molto con questi modelli RAG (Retrieval Augmented Generation). Di qui ai prossimi mesi (e anni) sarà in assoluto quella che riuscirà a portare più valore nelle aziende.

Tecnicamente si tratta di utilizzare le intelligenze artificiali per far esplorare basi dati proprietarie. Questo detto in maniera ancor più altisonante vuol dire che l’azienda, che sia una grande impresa, l’Università, un Ministero, in teoria potrebbe avere un database di informazioni, che sono quelle che ha sempre usato e che anziché essere richiamate, andandole a cercare nei file PDF, nei regolamenti pubblicati sul sito, eccetera, si potrebbero avere queste informazioni attraverso un’interrogazione verbale. Questo è il risultato attuale delle generative, quindi ora ci stiamo lavorando molto. Oggettivamente per qualsiasi impresa, di qualsiasi dimensione, avere la possibilità di consultare cataloghi, ad esempio di bulloni, interrogando verbalbente la macchina chiedendole: “qual è il più adatto per far questo?” invece di andarli a cercare fisicamente sul sito o nel PDF, poter interrogare il database di dati o immagini o testi è una rivoluzione potentissima.

La prima volta che avete utilizzato per un’azienda tecnologia o tecnologia di alto livello, quindi intelligenza artificiale?

Alessandra Massarelli: possiamo dire che è un esperimento di marketing e comunicazione digitale che risale a qualche anno fa ed è stato abbastanza dirompente perché con l’AI abbiamo realizzato il videoclip di un successo di MINA, mentre oggi abbiamo in uscita lo spot per le barrette energetiche MATT, due esempi in continuità temporale ma con tecnologie molto più avanzate. Chiaramente la persona che ci lavora dietro ha l’idea, la creatività e tutto, però la performance della macchina e i risultati sono chiaramente di una qualità enormemente superiore.

In termini occupazionali quanto può incidere l’intelligenza artificiale o l’utilizzo dell’intelligenza artificiale? Quali figure professionali formate nei vostri corsi?

Guido Di Fraia: I nostri corsi mirano proprio a formare quella figura professionale che va a colmare il divario tra la tecnologia e chi la deve utilizzare nell’attività quotidiana, e che capisce cosa c’è bisogno di sviluppare all’interno dell’azienda: questo piuttosto che quell’altro e interviene.

Non sono data scientist, sono queste figure ibride, io li chiamo mediatori culturali, che si occupano di nuove tecnologie e forniscono soluzioni per ottimizzarle nelle imprese.

Credo che siamo l’unica, la prima Università che ha fatto questo. Il tasso di occupazione per ora è altissimo, i nostri giovani non finiscono gli stage aziendali che già sono molto operativi.

Quanto le aziende italiane sono pronte ad accogliere la nuova tecnologia?

Guido Di Fraia: Prima faccio una considerazione, le aziende non devono essere pronte ad accogliere la nuova tecnologia, le aziende devono essere pronte a continuare a fare quello che hanno sempre fatto.

Non è che ci siano grosse alternative, la concorrenza si baserà sempre di più quasi esclusivamente su questo tipo di tecnologia, quindi non possono né scegliere né decidere di aspettare. Quelli che pensano di farlo in realtà sono destinati a perdere competitività. Nella maggior parte dei casi per le piccole e medie imprese sono soluzioni già magari embeddate in piattaforme che loro comprano per fare altro, quindi non è un “mostro” da costruire ad hoc, in alcuni casi sì, fa parte delle cose che usi tutti i giorni, cioè quando usano Google dentro c’è l’intelligenza artificiale, se fanno annunci su Google c’è l’intelligenza artificiale, se fanno annunci su Facebook c’è l’intelligenza artificiale. Quindi cosa vuol dire poterlo usare o no? Non avrebbe senso. Importante è conoscerla e sapere quanto tutti possano trarne beneficio se sfruttata al massimo.

Voi siete uno dei 13 digital hub europei, cosa fate, qual’è il vostro target?

Guido Di Fraia: Sì, abbiamo vinto questo bando, siamo un ATS, siamo in 17, per cui ci sono altre 3 università e appunto 13 aziende, si chiama eMagister, un European Innovation Digital Hub che serve per aiutare appunto le imprese a capire l’IA con la parte di formazione e a implementarla perché poi si potrà arrivare fino al test before invest di una soluzione. Noi abbiamo in totale 5,2 milioni di budget., il nostro target è la formazione delle microimprese, le piccole e medie e la Pubblica Amministrazione, quindi su ciascuna di queste cose abbiamo dei KPI (Key Performance Indicators - indicatore chiave di prestazione) diversi, per cui sia per le dimensioni che per il tipo di attività. C’è interesse, anche perché la cosa importante è che le piccole e le medie imprese, soprattutto le PMI, possono beneficiare del 100% di sconto in fattura. Tutto è in sconto in fattura, quindi non devono anticipare nulla, questa cosa funziona, perché altrimenti prima bisognava investire e poi di solito arrivava il denaro, invece in questo caso arriva la fattura a zero e non si paga nulla ottenendo il servizio.

Quanto costa a un’azienda il percorso AlchimIA?

5 mila euro. Siamo un’università quindi facciamo attività sostanzialmente di progettazione, prendiamo in considerazione che ci possono volere da 3 a 5 giorni e poi restituiamo un progetto dove ci sono tutte le soluzioni possibili organizzate su un piano cartesiano dove individuiamo quelle che possono essere adatte a generare più valore, essere più o meno complesse e costare più o meno risorse, quindi poi alla fine l’azienda sceglie da dove partire e se facciamo il progetto insieme quei soldi li scontiamo dal progetto.

Cosa auspicherebbe per lo sviluppo e l’implementazione dell’IA?

Guido Di Fraia: Se intende cosa vorrei io, vorrei che uscissimo dal monopolio dei cinque grandi player che stanno detenendo il potere del globo.

Quindi auspicherei una politica europea e anche nazionale per costituire delle intelligenze artificiali potenti, open source.

Alessandra Massarelli: ... che sarebbero necessarie per una AI completa e migliore, che abbia anche altre visioni di mondo, perché chiaramente la visione di mondo che ci viene restituita dalle IAgen è quella di chi l’ha istruita.

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