INTERVENTI E OPINIONI - SPECIALE DONNE

Print Friendly, PDF & Email

Speriamo che sia femmina, è il titolo di un pluripremiato film di Mario Monicelli dove le donne rappresentano il fulcro di una storia che le vede protagoniste nell’(ri)appropriarsi del proprio futuro. L’auspicio dell’arrivo di un nuovo nato di sesso femminile sottolineava una diversa idea e prospettiva di vita, migliore, evidentemente, in fatto di resilienza e di opportunità.

Se proviamo a ripercorre il tempo all’indietro, sappiamo che è stato intrapreso un lungo viaggio verso il superamento della cosiddetta questione femminile. Basterà pensare che solo nel non lontanissimo 1975 in Italia viene riformato il diritto di famiglia, sancendo la parità di diritti dei coniugi all’interno del nucleo familiare. Eppure, ancora oggi, nel 2025, a cinquant’anni di distanza da quella storica riforma, nascere donna rappresenta uno svantaggio. E lo è in termini economici, laddove la disparità lavorativa e occupazionale restano profonde; in termini familiari, a causa del ruolo di cura affidato soprattutto alle donne per la gestione della prole e, sempre di più a causa dell’invecchiamento della popolazione, per l’accudimento dei componenti anziani della famiglia; ma anche in termini di opportunità.

Lavoro: lo svantaggio di essere donna

Nonostante raccolgano risultati migliori degli uomini sul piano della formazione scolastica e universitaria, le donne nel mondo del lavoro continuano a essere sottoimpiegate e sottopagate rispetto alla componente maschile.

In questo senso, il Gender Policy Report 2024 dell’Inapp ha tracciato un quadro dettagliato. Sebbene sia in miglioramento il livello occupazionale con un incremento dell’1,4% del tasso di occupazione femminile, ciò sembra non intaccare lo svantaggio lavorativo di genere. Il gap di genere tra i tassi di occupazione resta infatti in media a 18 punti percentuali di differenza. Il Rapporto mette in luce, inoltre, come il 64% dell’inattività in Italia continua a essere femminile e come sia motivata prevalentemente da esigenze di carattere familiare, mentre per gli uomini la motivazione risiede nello studio e nella formazione.

A livello europeo, secondo i dati dell’Eurostat (2022), le donne guadagnano di meno rispetto agli uomini con un Gender Pay Gap1 pari al 12,7%. Mentre, in Italia, l’Istat rileva che questo divario sale nel comparto privato ed è pari al 15,9%, nel comparto a controllo pubblico scende al 5,2%2. Sebbene il principio della parità di retribuzione sia sancito dai Trattati europei (art. 157 del TFUE) fin dal 1957, fa riflettere che continui a essere disatteso nella maggior parte dei Paesi europei. Ma ancora, mediamente nei paesi Ocse, le laureate guadagnano l’83% dell’intero salario percepito dai laureati; in Italia questo dato scende al 58%, segnando il divario salariale più alto dei Paesi considerati.

Vi è poi un fenomeno individuato come “segregazione settoriale”3 per il quale il divario retributivo di genere è legato alla sovrarappresentazione delle donne in settori occupazionali poco remunerativi, come l’assistenza, la sanità e l’istruzione. A ciò si aggiunga che le donne fanno registrare mediamente un numero di ore lavorative settimanali superiore a quello degli uomini, ma dedicano più ore al lavoro non retribuito.

Un caso esemplificativo può essere rappresentato dall’osservazione del settore della salute. Secondo l’ultimo Rapporto pubblicato da Eurispes ed Enpam4, nella Sanità la presenza femminile è cresciuta costantemente negli anni, al punto che due terzi dei lavoratori del comparto oggi sono donne. Tuttavia, le posizioni dirigenziali e apicali sono ancora occupate da uomini; e il lavoro su turni, le difficoltà organizzative, la carenza di servizi di conciliazione vita/lavoro gravano particolarmente sulle professioniste. A dicembre 2021, sono 450.066 le donne che lavorano con contratto a tempo indeterminato presso le strutture del SSN. Più di un medico su due è donna (51,3%), una percentuale destinata a crescere, considerata la prevalenza femminile nelle classi di età più giovani. Permangono, d’altra parte, forti squilibri di potere: nel 2022 dei 106 presidenti degli Ordini professionali provinciali, 11 soltanto sono donne (10%), e solo il 19,2% dei primari è di sesso femminile. Una situazione analoga emerge quando si osservano i dati del personale docente e ricercatore in Scienze mediche presso le Università italiane: le professoresse ordinarie costituiscono appena il 19,3% del totale e, per vedere aumentata la loro presenza, è necessario scendere verso le posizioni più basse della gerarchia accademica.

E una volta conclusa la vita lavorativa, le donne si trovano di fronte a un altro sistema, quello delle pensioni che, ugualmente a quello occupazionale, non è immune dalle disparità, laddove l’Inps rileva un divario pensionistico di genere di circa il 30% a sfavore della componente femminile5.

Sicuramente quello del lavoro è uno degli ambiti nei quali la condizione femminile vive le maggiori criticità. E non solo in termini di retribuzione o di qualità dell’occupazione. Episodi di molestie e discriminazioni sul luogo di lavoro sono molto più frequenti di quanto si potrebbe immaginare e continuano a rappresentare il lato oscuro di una parità che stenta ancora a radicarsi prima di tutto dal punto di vista sociale.

Secondo le rilevazioni dell’Eurispes, infatti, quattro donne su dieci hanno sperimentato “insinuazioni” rispetto a una carriera raggiunta facilmente grazie al proprio corpo di donna. Il 44,4% ha ricevuto apprezzamenti espliciti e non richiesti da parte di un/una superiore o di un collega (47,9%). Ancora di più sono le donne, sei su dieci, che affermano di doversi impegnare di più sul lavoro, rispetto a un collega uomo, per essere apprezzate. Un importante numero di donne (41,7%) ha esperienza di lavoro in nero, senza tutele6.

Artificiale e non femminile: il pericolo che si annida negli algoritmi dell’AI

Nonostante l’avanzamento delle nostre società, è innegabile che ci troviamo continuamente di fronte a diversi divari di genere, in ambiti differenti, dove lo svantaggio femminile deve ancora essere colmato.

Un’altra importante discriminazione della figura e del ruolo della donna da non sottovalutare, perché ha a che fare con il nostro futuro, è l’avvento dell’Intelligenza artificiale e la creazione e l’utilizzo degli algoritmi.

La rappresentanza femminile nel settore dell’Intelligenza artificiale a livello globale è solo del 22%, in Italia il dato è di poco più elevato (26%), sebbene la presenza delle donne nell’AI diminuisca drasticamente nei ruoli dirigenziali e di vertice (12,4%). Dalle nuove opportunità offerte dall’uso dell’Intelligenza artificiale ancora una volta rischiano di essere tagliate fuori le donne sia sul piano della inclusione e della presenza in questa nuova industria sia a causa delle modalità di generazione degli algoritmi. Come rilevato recentemente dal Rapporto Ocse circa gli effetti dell’AI sul lavoro e la vita delle donne, il pericolo che gli algoritmi si basino su parametri discriminatori è una realtà. Ciò avviene in virtù del fatto che gli algoritmi alla base dell’AI vengono “educati” prettamente da uomini che, in maniera involontaria o no, possono inficiare l’orientamento e le conoscenze di questi “strumenti pensanti” anche per il solo fatto di rappresentare una realtà parziale e da un punto di vista unico ed esclusivo. Quindi nell’AI verrebbero inseriti elementi distorsivi e riproposti stereotipi poiché ci si rifà non solo all’esperienza personale di chi “educa” ma anche perché verrebbero riproposti modelli sociali, economici, culturali, lavorativi esistenti (e spesso già caratterizzati da elementi di esclusione femminile) senza alcun filtro. Si pensi ad esempio se l’AI dovesse essere impiegata in un’azienda per la selezione di nuovi lavoratori, essa si potrebbe rifare ai criteri usati da molti uffici delle risorse umane come ad esempio l’esclusione delle donne per alcune particolari posizioni.

Inoltre, gli aspetti legati alla sempre maggiore diffusione dell’Intelligenza artificiale e alla scarsa presenza delle donne nei luoghi di sviluppo di questa tecnologia potrebbe ulteriormente acuire il livello del divario digitale di genere già esistente. Si tratta di un gap particolarmente importante nel nostro Paese che ci vede al 21° posto su 28 paesi nella classifica WiD (Women in Digital) 2022, nella quale vengono valutate le prestazioni dei Paesi europei in termini di inclusione delle donne nell’uso di Internet, di competenze digitali e di carriere e imprenditorialità digitali: meno della metà delle italiane (43%) possiede competenze digitali di base, mentre la media europea è del 52% e solamente due su dieci possono vantare competenze avanzate.

La discriminazione sul piano economico

Sul piano economico le donne sembrano vivere una maggiore difficoltà rispetto agli uomini. E questo elemento si individua chiaramente in alcuni dei risultati emersi dalle ultime indagini dell’Eurispes (2024). Solo una donna su quattro riesce a risparmiare, ma molte di più affermano di dover utilizzare i propri risparmi per arrivare alla fine del mese (quattro su dieci).

A causa dei problemi economici il 32,9% delle donne sono ricorse al sostegno finanziario della famiglia d’origine. In molte (41,7%) hanno fatto acquisti rateizzando i pagamenti. Non manca chi si trovata a dover chiedere un prestito in banca (15,7%) o addirittura lo ha fatto rivolgendosi a privati (non parenti/amici) non potendo accedere a prestiti bancari (13,9%). Quest’ultimo è un elemento importante dal quale si può evincere la presenza di fenomeni legati all’usura nelle quali possono essere incappate alcune donne nel momento del bisogno.

Fenomeni di esclusione e discriminazione sono ricollegabili d’altronde anche alla necessità di contenere le spese per servizi fondamentali come quelli legati alla salute. Anche se si tratta di una quota minoritaria, sono state registrate rinunce importanti come visite mediche specialistiche o cure/interventi odontoiatrici, ma anche il semplice acquisto di medicinali.

Possedere competenze economiche e finanziarie diventa, dunque, per le donne un atto importante di autodeterminazione e di indipendenza. Il 64,5% delle donne concorda con l’introduzione dell’educazione finanziaria nelle scuole, un insegnamento che si concentra sullo studio dei principali strumenti finanziari e delle regole di funzionamento di base dei mercati, affinché risparmiatori, consumatori e investitori possano compiere scelte informate e consapevoli. Ciò nel nostro ordinamento è previsto dalla legge 21 del 2024 (art.25 “Misure in materia di educazione finanziaria”) che ha introdotto l’educazione finanziaria nei programmi scolastici. In questo senso, la speranza è di un sempre maggiore spazio affidato a questa materia, che alcuni commentatori vedono come troppo “diluita” all’interno del già frastagliato insegnamento dell’educazione civica.

Il corpo delle donne

Le modalità discriminatorie con le quali le donne devono convivere passano anche attraverso molteplici aspetti legati alla nostra società e a stereotipi e pregiudizi nuovi o ancora vivi. Il corpo della donna è il centro di ogni interesse; nella società moderna, schiava delle immagini veicolate tramite Social, la bellezza femminile è diventata un valore sociale, un’ambizione costante e un compito da ottemperare.

Una recente indagine dell’Eurispes7 si è concentrata proprio su questo tema, con risultati che meritano una riflessione approfondita. La larga maggioranza delle donne si trova a combattere con il proprio peso, controllando l’alimentazione e desiderando di cambiare, almeno in parte, il proprio corpo. All’estremo, i disturbi alimentari riferibili all’anoressia e alla bulimia sono stati sperimentati in circa un caso su dieci. La maggior parte delle donne lamenta di ricevere giudizi sulla sua corporatura (troppo esile, troppo rotonda, ecc.), apprezzamenti per un avvenuto dimagrimento, incoraggiamenti a prendersi maggior cura del proprio aspetto esteriore.

È molto diffuso, inoltre, un senso di inadeguatezza rispetto ai modelli femminili proposti nei film, nelle serie Tv, sui Social o nei programmi televisivi. E non sono poche le donne che riferiscono di essere state incoraggiate a ricorrere alla chirurgia estetica per “migliorare” alcune caratteristiche fisiche (43,8%).

Il “dovere” di avere figli

Avere figli è una scelta importante nella vita di una coppia, ma capita spesso che si dia per scontato che ogni donna sia destinata a diventare madre. In effetti, sempre l’indagine dell’Eurispes ha rilevato come solo una donna su cinque (il 21,8%) riferisca che non le sia mai chiesto quando avrebbe avuto un figlio come se si trattasse di un fatto certo

Una donna su quattro non ha il desiderio di avere figli: non desiderare figli è riconducibile soprattutto alla mancanza di istinto materno, al non voler limitare la propria libertà e nella scelta di dedicarsi al lavoro.

Essere genitori significa spesso fare scelte difficili e rinunciare a molte cose per garantire il benessere dei figli e la stabilità familiare. Diventare genitori richiede una costante riorganizzazione e rinegoziazione tanto del rapporto di coppia quanto dell’identità individuale. Considerando la molteplicità degli elementi che influenzano il modo in cui la genitorialità viene affrontata, non sorprende perciò che questa esperienza possa avere un impatto significativo sulla salute mentale e sull’equilibrio psicologico dei genitori, in particolare della madre8.

Sono infatti soprattutto le donne a compiere i maggiori sacrifici in tutti gli àmbiti in qualità di genitori: il 58,7% ha fatto rinunce in àmbito economico (contro il 44,2% degli uomini), il 56% ha rinunciato ai propri interessi e svaghi (vs il 48,8%), il 55,3% ha sacrificato il tempo riservato alle relazioni con gli amici e alla cura di sé (contro, rispettivamente il 46,8% e il 46,1% degli uomini), il 52,7% ha sottratto tempo ed energie al rapporto di coppia (vs il 47,4%) e il 44,7% delle donne ha rinunciato a opportunità in àmbito lavorativo (contro il 26,8%). In questo quadro, la depressione post partum colpisce almeno 3 donne su 10.

La violenza di genere

Un’indagine realizzata dall’Eurispes e dalla Direzione Centrale della Polizia Criminale9, con l’ausilio del Servizio di Analisi Criminale, ha fatto luce sugli episodi di violenza che si consumano in àmbito familiare, chiedendo ai partecipanti all’indagine se avessero subìto forme di violenza fisica o psicologica in famiglia.

Per genere, le donne hanno subìto violenza da parte del partner nel 24,5% dei casi, dell’ex partner nel 30,6% dei casi, da altro familiare nel 44,9% dei casi.

Al momento della violenza, 6 vittime su 10 si trovavano tra le mura domestiche, il 13,7% era per strada o comunque in altro luogo pubblico (12%). L’8% delle vittime ha subìto violenze mentre era sul posto di lavoro, il 5,7% sui mezzi pubblici. La violenza subita nella maggioranza dei casi non si è ripetuta (52,6%), mentre per il 47,4% delle vittime non si è trattato di un caso isolato. Una violenza su tre è avvenuta alla presenza di un minore.

Non solo in casa: nel Web le donne rischiano più degli uomini di rimanere vittime di Cyber stalking (persecuzione tramite cellulare, email, Social Network, ecc.; Revenge porn (pubblicazione di sue foto/video intimi senza il suo consenso, per vendetta, ricatto, ecc.; Violazione della privacy (con pubblicazione senza il suo consenso di foto/video in cui è presente)10

Un cambiamento di tipo culturale

Il Global Gender Gap Report 2024 conferma che l’Italia ha ancora molta strada da fare per raggiungere una vera parità, collocandosi all’87° posto su 146 Paesi per equità di genere. Una migliore ripartizione dei congedi parentali, una adeguata offerta pubblica di servizi di assistenza all’infanzia, maggiore flessibilità sul lavoro sono iniziative, così come vengono promosse in Europa, che da sole non possono bastare a creare un equilibrio tra i generi.

Negli anni si è posto l’accento sulla valutazione quantitativa più che sull’effettivo progredire della parità. Ciò significa che è necessario lavorare, più che sul piano fattuale della riuscita numerica, sul piano culturale per un cambiamento che ha ancora bisogno di realizzarsi e va accompagnato poiché non ancora maturo.

Un aspetto del quale le statistiche non parlano è la difficoltà anche per molte donne di superare retaggi ancestrali. Possono alcuni decenni di consapevolezza del ruolo della donna e di politiche di inclusione più attive superare stereotipi e soprattutto abitudini presenti nelle nostre società da millenni? Le statistiche, appunto, non lo dicono, poiché chiaramente si fermano al dato, all’aspetto esteriore e quantificabile dei fenomeni. Ma sicuramente il superamento dei retaggi culturali, esperienziali e di vita quotidiana stratificati in un tempo lunghissimo rappresentano una difficoltà, un ostacolo che non è appannaggio esclusivo del mondo maschile: investe purtroppo, e per quanto inconsapevolmente, anche l’universo femminile.

In questo senso, sempre più dovranno essere individuati strumenti per stimolare e sostenere una vita partecipativa a ogni livello, non solo creare spazi per le donne ma “formare le donne”, renderle consapevoli ed autonome.

Potrebbe servire, a questo scopo, immaginare un senso diverso del concetto di inclusione. Un termine che letto in maniera semantica significa “inserire, comprendere in un tutto”, come se qualcuno, una mano invisibile come quella dell’economia per Adam Smith, dovesse raccogliere tutta la popolazione femminile e traghettarla in un mondo fatto di parità. Occorre, a mio parere, lavorare in modo importante sul concetto di inclusione, accanto al quale deve essere innestato il seme della partecipazione attiva delle donne in tutti i campi, e adoperarsi per un cambiamento culturale profondo che possa in questo caso includere soprattutto gli uomini. Nessun cambiamento può realizzarsi infatti senza la compartecipazione di tutte le componenti di una società, nessuna legge o modifica degli ordinamenti avrà mai un effetto efficace se non trova posto anche nelle sensibilità, nel quotidiano, negli usi e nella mentalità delle persone, uomini o donne che siano.

In conclusione, oggi finalmente le donne possono rappresentare un elemento innovativo e “disgregante” rispetto a una visione univoca e maschile del mondo, ma non devono attendere che il ruolo e i luoghi da occupare vengano calati dall’alto attraverso la sola ed esclusiva creazione di normative adeguate. Sono le donne a dover essere, esse stesse, promotrici della propria presenza proattiva nella società. Per fare questo non ha senso tentare di sovrapporsi all’universo maschile, varrebbe piuttosto la pena fare leva sulla capacità femminile, che è poi una prerogativa indiscussa, di aggregare, di accogliere, di migliorare per immaginare spazi futuri nei quali il benessere e le opportunità non saranno più una mera questione di genere.

NOTE

1 Indicatore del divario salariare di genere, ossia il differenziale di salario medio annuo percepito da donne e uomini.

2 Istat, Report sulla struttura delle retribuzioni in Italia nel 2022.

3 Gender segregation in the labour market - Root causes, implications and policy responses in the EU, European Commission 2009.

4 3°Rapporto sulla Salute e il Sistema Sanitario, Eurispes-Enpam, 2024.

5 Rapporto Annuale Inps, 2024.

6 Rapporto Italia 2024, Eurispes.

7 Eurispes - “Piacersi e piacere. Il rapporto delle donne con il loro corpo”, dicembre 2023.

8 Eurispes, Rapporto Italia 2023.

9 Eurispes, Rapporto Italia 2024.

10 Dipartimento della Pubblica Sicurezza - Direzione Centrale della Polizia Criminale – Eurispes, Rapporto “La criminalità tra realtà e percezione”.

Print Friendly, PDF & Email

Print Friendly, PDF & Email

In questo articolo, ci proponiamo di esaminare le similitudini e le differenze tra i modelli di microcredito sviluppati nel corso del tempo in due contesti distinti: Bangladesh e Italia. Questo strumento di welfare ha preso forma grazie al sostegno, in Bangladesh della Grameen Bank e in Italia grazie al supporto dell’allora Comitato Nazionale per il Microcredito divenuto poi Ente Nazionale per il Microcredito. Due realtà, caratterizzate da storie ed economie differenti, unite da un’iniziativa di microfinanza focalizzata sugli esclusi. Di seguito, presenteremo un’analisi di queste due esperienze, mettendo in luce il grande ruolo che gioca il microcredito come strumento di emancipazione sociale ed economico delle donne.

Il ruolo del microcredito come strumento di emancipazione nei paesi in via di sviluppo

Keywords: empowerment femminile, microcredito,

inclusion finanziaria, Grameen Bank, loan officer

La parola empowerment, entrata ormai nel vocabolario comune, significa letteralmente potenziamento ed emancipazione. Diversi studiosi hanno offerto varie definizioni del termine: secondo Alsop et al. (2006), l’empowerment è la capacità di prendere decisioni efficaci e trasformarle in azioni e risultati desiderati, mentre secondo Mason & Smith (2003) è la misura in cui le persone possono controllare la propria vita. In generale, l’empowerment si esplica nel diritto di determinare le proprie scelte e il potere di influenzare la direzione del cambiamento, ottenendo il controllo su risorse materiali e non1.

Negli ultimi decenni, l’emancipazione femminile e la riduzione del divario di genere sono diventati obiettivi chiave dello sviluppo internazionale. Le donne, in particolare, già dagli anni ‘80, rappresentavano il target privilegiato per i programmi di microcredito. Tuttavia, coinvolgere quasi esclusivamente le donne, ha rappresentato una grande sfida per le istituzioni di microfinanza (IMF) soprattutto in contesti come il Bangladesh, dove le IMF si sono dovute scontrare con numerose norme culturali, come il purdah, pratica che vieta agli uomini di vedere le donne, relegandole a una posizione marginale.

Nonostante ciò, la scelta delle IMF di rivolgersi alle categorie escluse dal sistema finanziario, come le donne, è stata vincente. Fin da subito, le donne si sono dimostrate più affidabili degli uomini nella restituzione dei prestiti: nella Grameen Bank (GB) il 97% dei clienti sono donne e la banca ha un tasso di recupero prestiti che oscilla tra il 98 e 99%2.

  1. Risultati del Microfinance Index 2024: Empowerment, Consapevolezza e Successo del Prestito di Gruppo

I dati del Microfinance Index per il 2024 (MFI 24), sulla base di un campione di 126 IMF, situate in 45 Paesi diversi e 36.000 clienti intervistati3, hanno confermato il trend costante secondo cui i due terzi dei clienti degli istituti di microfinanza, oggetto dello studio, continuano ad essere donne e che i clienti che non rispettano i pagamenti entro i 30 giorni, rappresentano solo l’8%4.

Da un punto di vista sociale e reputazionale, i risultati evidenziano il forte legame tra la consapevolezza dei diritti da parte dei clienti e il miglioramento delle loro finanze, famiglia e autonomia. I dati suggeriscono che nel momento in cui il cliente comprende chiaramente i termini del proprio prestito e impara a segnalare molestie o trattamenti ingiusti, tende a ottenere risultati finanziari migliori e una maggiore soddisfazione complessiva. Tale consapevolezza porta a una gestione più efficace delle finanze, con aumenti del reddito e dei risparmi, una miglior capacità di prendere decisioni finanziarie e di conseguenza un rafforzamento dell’empowerment5. Da ultimo, il prestito di gruppo si è rivelato molto efficace nel migliorare la qualità della vita, reputazione sociale e capacità di decision-making6 di chi lo sperimenta.

L’esperienza moderna del microcredito e il protagonismo delle donne nel microcredito si consolida a partire dal 1976, con la fondazione della Grameen Bank in Bangladesh da parte di Muhammad Yunus, che ha rivoluzionato la pratica bancaria convenzionale rimuovendo la necessità di garanzie, creando un sistema bancario basato sulla fiducia, responsabilità e partecipazione reciproca. L’esperienza della GB ha reso evidente come l’accesso ai servizi finanziari per i più poveri, funga da catalizzatore nello sviluppo complessivo delle condizioni socioeconomiche dei ceti più poveri, agendo come potente strumento contro la povertà.

  1. La figura del loan officer

Sebbene la modalità del prestito di gruppo sia la più praticata dalle IMF è altrettanto cruciale evidenziare il ruolo del prestito individuale. In particolare, per i Paesi in via di sviluppo, questo tipo di prestito coinvolge la figura del “loan officer”, che ha la responsabilità di gestire l’intero processo creditizio, dall’acquisizione dei clienti alla restituzione del prestito, fino alla gestione delle situazioni di insolvenza.

Si analizzano di seguito le principali caratteristiche e responsabilità della figura del loan officer.

Nel contesto delle istituzioni di microfinanza, come nella Grameen Bank, il lavoro sul campo è fondamentale: lo staff della banca cerca attivamente i potenziali clienti, a differenza delle banche tradizionali dove sono i clienti a cercare l’istituto. Il loan officer è direttamente coinvolto nelle comunità per identificare chi non ha accesso al credito, offrendo supporto nella richiesta del prestito e valutando l’affidabilità del cliente. Nella Grameen Bank, il loan officer, oltre a valutare il credito individuale, fornisce supporto all’interno dei gruppi e si concentra sull’emancipazione femminile, cercando di migliorare le condizioni socioeconomiche delle famiglie, attraverso il prestito alle donne.

La valutazione dell’attività per cui è richiesto il prestito avviene tramite un’attività informale che può essere lunga e complessa, richiedendo visite direttamente al domicilio e all’attività del cliente.

I loan officer agiscono anche come educatori, aiutando i clienti a comprendere la loro situazione finanziaria e a migliorare la redditività. Incrociano le informazioni fornite dai clienti per evitare frodi e identificare eventuali prestiti non dichiarati presso altre istituzioni. Anche nella Grameen Bank un ulteriore ruolo del loan officer è quello dell’educatore finanziario.

Una volta completata l’analisi dell’attività, il loan officer presenta il prestito a un comitato di credito che valuta il rischio prima dell’approvazione. Questo fornisce un ulteriore livello di gestione del rischio. Certamente anche nella Grameen Bank è previsto un processo del credito ben strutturato e definito e ciascun prestito viene sottomesso a un cosiddetto center meeting che prevede come requisito fondamentale la presenza di tutti i membri per garantire la massima trasparenza e sicurezza.

A seguito dell’approvazione da parte di un comitato dedicato, il loan officer gestisce l’amministrazione del prestito, inclusa la stesura dei contratti e la documentazione necessaria.

I loan officer hanno il compito di monitorare il processo di rimborso, visitando regolarmente i clienti per garantire che il prestito venga restituito affrontando tempestivamente eventuali problematiche. Devono essere particolarmente attenti ai segnali di sovraindebitamento, evitando che i clienti assumano prestiti che non riusciranno a restituire. Nella Grameen Bank, i rimborsi avvengono settimanalmente attraverso visite frequenti, che servono a mantenere alta la motivazione al rimborso e a prevenire il rischio di insolvenza.

Oltre a queste responsabilità, il loan officer affronta anche diverse sfide. Una delle principali difficoltà è bilanciare correttamente la relazione personale con il cliente e la necessità di prendere decisioni di credito oggettive, poiché una connessione troppo stretta potrebbe portare a decisioni ottimistiche e rischiose. Un altro rischio significativo riguarda la frode, in particolare la possibilità di collusione o comportamenti fraudolenti tra il loan officer e il cliente, specialmente quando gli incentivi sono legati al numero o all’importo dei prestiti concessi. Queste dinamiche potrebbero compromettere l’integrità del processo di concessione del credito e la sicurezza finanziaria dell’istituzione di microfinanza.

Per evitare comportamenti inappropriati, le istituzioni di microfinanza adottano procedure standardizzate, come processi di credito uniformi e decisioni collettive dal comitato di credito. Inoltre, monitorano gli incentivi salariali dei loan officer, per garantire che siano allineati agli obiettivi dell’istituzione, ovvero mantenere portafogli di prestiti di alta qualità e a basso rischio, prevenendo pregiudizi e pratiche non etiche.

  1. Considerazioni finali

In sintesi, il loan officer oltre a svolgere un ruolo complesso e fondamentale, gestendo l’intero ciclo di vita del prestito, è anche responsabile del monitoraggio delle performance finanziarie. La sostenibilità finanziaria dell’istituto dipende dal recupero dei prestiti e dal successo degli imprenditori che li hanno ricevuti. Sebbene i prestiti siano di piccolo importo, la loro capillarità e l’efficacia nel promuovere attività economiche locali sono determinanti per l’andamento dell’istituzione.

Infine, il loan officer nella Grameen Bank ha un ruolo molto più ampio rispetto a quello tradizionale di un bancario. È un facilitatore, un educatore, un supporto psicologico e, soprattutto, una figura centrale nel successo della microfinanza poiché agisce come ponte tra la banca e le comunità vulnerabili, permettendo loro di accedere a opportunità economiche che altrimenti gli sarebbero precluse.
Il ruolo del microcredito come strumento di emancipazione in italia

Keywords: empowerment femminile, microcredito, inclusion finanziaria, Ente Nazionale per il microcredito, Tutor di Microcredito

  1. Introduzione: Dal gender gap
    all’emancipazione femminile

L’emancipazione femminile rappresenta un processo storico e culturale fondamentale per la conquista dei diritti delle donne e la loro integrazione nella società. In Italia, questo percorso ha visto significativi progressi ma ha anche rivelato l’esistenza di un persistente gender gap, ovvero una disparità di opportunità e diritti tra uomini e donne. Negli ultimi anni il microcredito ha giocato un ruolo cruciale in questo contesto, offrendo nuove opportunità di sviluppo economico e sociale e favorendo l’accesso al credito a tutte quelle categorie svantaggiate che altrimenti non avrebbero potuto fare richiesta. Quest’anno, in occasione del ventesimo anniversario del microcredito in Italia, emerge con forza il suo impatto nel rafforzare la posizione delle donne nel panorama economico nazionale.

Studi recenti evidenziano come il microcredito contribuisca a rafforzare l’emancipazione femminile7. Più precisamente, ad esso è collegato un maggior controllo da parte delle donne sulle proprie risorse finanziarie, una maggior capacità decisionale all’interno del nucleo familiare e una maggiore autostima. In aggiunta, uno studio8 sul microcredito evidenzia che al diminuire dell’importo medio del prestito erogato dalle Istituzioni finanziarie, corrisponde un maggior accesso al microcredito da parte delle donne. Questo trova giustificazione nel fatto che i prestiti di minore importo sono più facili da ottenere e da rimborsare.

Parallelamente, anche l’educazione finanziaria rappresenta una delle chiavi per l’emancipazione femminile. In Italia, infatti, il 22% delle donne vive una condizione di dipendenza economica, e il 29,4% di esse non ha alcuna fonte di reddito, rispetto al 12,1% degli uomini9. Questi dati evidenziano le maggiori difficoltà economiche che le donne devono affrontare, spesso a causa di ostacoli nella loro carriera lavorativa e di una scarsa educazione finanziaria. Pertanto, migliorare l’educazione finanziaria è cruciale per affrontare queste disuguaglianze e per ridurre l’ansia finanziaria che colpisce il 44,7% delle donne, rispetto al 28,2% degli uomini.

È interessante notare che, sebbene l’autovalutazione della conoscenza finanziaria sia più negativa tra le donne, i test somministrati durante una ricerca11 rivelano che le donne possiedono competenze finanziarie più elevate di quanto credano. Infatti, il 38% delle donne ha un’elevata alfabetizzazione finanziaria, contro il 48,2% degli uomini. Questo suggerisce che stereotipi e convinzioni sociali possono ostacolare l’autostima finanziaria delle donne, fungendo da freno all’acquisizione di competenze.

Per affrontare queste problematiche e promuovere l’educazione finanziaria femminile, sono state avviate numerose iniziative, sia private che istituzionali. È incoraggiante notare che la domanda di educazione finanziaria è in costante crescita, in particolare tra le donne. Inoltre, il dato che il gender gap finanziario diminuisce con l’aumento del livello di istruzione dimostra come l’istruzione sia un veicolo di emancipazione.

  1. I dati attuali del microcredito sull’imprenditoria femminile e il progetto Microcredito di Libertà

Il microcredito in Italia nasce venti anni fa, in risposta a un appello delle Nazioni Unite per affrontare la lotta alla povertà e all’esclusione sociale e finanziaria. L’Italia fu tra i primi Paesi al mondo a raccogliere tale invito, con la costituzione del Comitato Nazionale per il microcredito diventato poi nel 2011 Ente Nazionale per il Microcredito. Nel tempo il microcredito si è affermato come uno strumento di welfare efficace per sostenere l’imprenditoria femminile in Italia. I dati indicano che le donne imprenditrici rappresentano una parte crescente del panorama economico, infatti da fonti ENM circa il 44,2% delle richieste di microcredito imprenditoriale e sociale, pervenute presso le banche convenzionate con lo stesso ENM provengono dalle donne. Ma le difficoltà di accesso al credito tradizionale continuano a limitare le loro opportunità. Il problema non è individuale ma strutturale e affonda le sue radici nella storia, nella politica e nella cultura.

In questo scenario il progetto “Microcredito di Libertà” si propone di abbattere queste barriere, offrendo educazione finanziaria e finanziamenti a condizioni favorevoli per le donne che desiderano avviare o sviluppare una propria attività. Questo strumento, risultato di un accordo tra l’Ente Nazionale per il Microcredito, il Ministero delle Pari Opportunità, ABI, Federcasse, Caritas si pone come una via di accesso concreta all’indipendenza economica per chi è più vulnerabile, come le donne vittime di violenza economica che assistite dai Centri Anti Violenza o ospiti di Case Rifugio, spesso non hanno accesso al tradizionale credito bancario. Questo è un esempio concreto di come il microcredito ha permesso alle donne di accrescere la propria indipendenza economica, aprendo la strada a nuove opportunità di crescita e di emancipazione.

  1. Il Tutor di Microcredito

In Italia, a differenza di altri Paesi europei, il microcredito si distingue per l’obbligo e la massima valorizzazione dei servizi ausiliari di accompagnamento quali assistenza, monitoraggio e tutoraggio somministrati ai beneficiari nelle fasi pre e post erogazione. Questi punti essenziale previsti dall’impianto normativo italiano e promossi con tenacia dall’Ente Nazionale per il Microcredito contribuisce alla realizzazione di un tasso di restituzione superiore rispetto ad altre forme di finanziamento. Dunque la politica dell’ENM valorizza i servizi ausiliari come elemento fondamentale per il successo delle piccole e medie imprese e il recupero della sostenibilità finanziaria delle famiglie. Gli operatori che offrono questi servizi si chiamano Tutor, professionisti qualificati e iscritti in un Elenco nazionale istituito dall’ENM stesso seguendo linee guida definite in collaborazione con Banca d’Italia.

La figura professionale del Tutor che accompagna le beneficiarie nel loro percorso imprenditoriale è un elemento fondamentale nel processo di richiesta del microcredito. Il tutor non solo fornisce assistenza tecnica e analisi di sostenibilità dei progetti, ma svolge anche un ruolo motivazionale, aiutando le donne a superare le difficoltà che possono sorgere lungo il loro cammino imprenditoriale. Attraverso incontri regolari, il tutor le aiuta a definire obiettivi chiari e a pianificare strategie per il successo delle loro iniziative. Dunque si viene a creare un rapporto con le beneficiarie fondato sulla fiducia così che non si sentono più sole nel loro cammino, perché possono contare su un alleato che le guida e le orienta verso il successo. Il tutor diventa, così, non solo un facilitatore di opportunità finanziarie ma anche un catalizzatore di crescita personale e professionale. In sintesi il legame speciale che si crea tra il tutor e le beneficiarie rappresenta una pietra miliare nel processo del microcredito trasformando un semplice rapporto professionale in un’opportunità di sviluppo umano e sociale.

  1. Considerazioni finali

L’Ente Nazionale per il Microcredito ha svolto un ruolo pionieristico nel promuovere questa forma di sostegno, aumentando l’accesso al credito attraverso il rafforzamento e la valorizzazione della figura del tutor. L’impegno continuo dell’Ente e il supporto di tutor qualificati, stanno tracciando la via per una società più inclusiva, in cui le donne possano essere protagoniste attive e consapevoli del proprio sviluppo economico. Promuovere il microcredito significa, dunque, investire nel potenziale femminile, contribuendo a creare un ambiente in cui le donne possano realizzare le proprie aspirazioni.

NOTE

1 S. Ibrahim and S. Alkire, Agency and Empowerment: A Proposal for Internationally Comparable Indicators, in Oxford Development Studies, n. 4, 2007, p. 45 - 53.

2 Grameen Bank Archives, Monthly Report in USD (December’24), 2025

3 A. Baqueiro Fuentes, N. Menon, K. Reberg, S. Dichter, S. Nair, V. Thirima, 60 Decibels Microfinance Index 2024, 2024, p. 10

4 A. Baqueiro Fuentes, N. Menon, K. Reberg, S. Dichter, S. Nair, V. Thirima, op. cit., p. 14

5 A. Baqueiro Fuentes, N. Menon, K. Reberg, S. Dichter, S. Nair, V. Thirima, op. cit., p. 31

6 A. Baqueiro Fuentes, N. Menon, K. Reberg, S. Dichter, S. Nair, V. Thirima, op. cit., p. 33

7 Cheston, S. Kuhn & L. 2002. Empowering Women through Microfinance. UNIFEM, New York, NY.; Kato, M. P., & Kratzer, J. (2013). Empowering women through microfinance: Evidence from Tanzania, ACRN Journal of Entrepreneurship Perspectives, 2 (1), pp. 31-59.

8 Bezboruah, Karabi & Pillai, Vijay., 2017. Microcredit and development: a multilevel examination of women’s participation in microfinance institutions, Development in Practice, 27(3), pp. 328-339.

9 Questi dati sono emersi durante la conferenza “Le sfide dell’empowerment finanziario femminile” tenutasi a Roma ed evidenziano la necessità di interventi mirati

10 Rapporto Edufin 2022 https://www.quellocheconta.gov.it/export/sites/sitopef/modules/quaderni_ricerca/Rapporto-Comitato-Edufin-2022-finale-nov-2022.pdf

11 https://www.quellocheconta.gov.it/export/sites/sitopef/modules/

quaderni_ricerca/Rapporto-Comitato-Edufin-2022-finale-nov-2022.pdf

Print Friendly, PDF & Email

Print Friendly, PDF & Email

Sostegno alle donne vulnerabili e protezione di valori costituzionali

Tra le iniziative progettuali incentrate sull’utilizzo del microcredito, certamente riveste rilievo centrale il “Microcredito di libertà”, promosso in tempi di pandemia da covid19 dalla Ministra per le Pari Opportunità e oggetto del Protocollo di Intesa sottoscritto con l’Ente Nazionale per il Microcredito, l’Associazione Bancaria Italiana (ABI), la Federazione Italiana delle Banche di Credito Cooperativo (Federcasse) e la Caritas Italiana.

Il progetto ha fin da subito catalizzato particolare attenzione, non soltanto da parte degli addetti ai lavori e, certamente, non soltanto per effetto della denominazione quanto mai suggestiva ed efficace.

E infatti, il plusvalore del Microcredito di Libertà va individuato nella perfetta sinergia tra i soggetti coinvolti, a cominciare dalla parte pubblica (Ministero per le Pari Opportunità ed Ente Nazionale per il Microcredito), con l’apporto di una rete composita e variegata di privati, dal mondo bancario (Abi e Federcasse), al “sociale” (Caritas italiana), agli organismi attivi sul territorio (Centri antiviolenza).

La rete così congegnata può configurare una concreta ed efficace combinazione del principio di sussidiarietà1 (sia nell’accezione “verticale” che “orizzontale”) e del principio di solidarietà2, entrambi immanenti al nostro ordinamento, in quanto riconducibili direttamente alle norme super-primarie della Costituzione3. Difatti, è pacifico che “le norme costituzionali – che dettano principi di rilevanza generale – sono di diritto sostanziale, non meramente interpretative…norma di comportamento idonea a incidere anche sul contenuto delle relazioni tra situazioni soggettive, funzionalizzandole ai nuovi valori4.

In particolare, nel Microcredito di Libertà, l’attivazione congiunta dei due principi ha una valenza feconda e innovativa, idonea a generare non soltanto nuove modalità di rapporti tra pubblico e privato, tra amministrazioni e cittadini, ma ancor più a dare attuazione alla parte prima della Costituzione.

Giustamente si è osservato che il principio di sussidiarietà può consentire di ampliare la gamma degli strumenti utilizzabili per la realizzazione dell’obiettivo esiziale della rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese, come prescritto dalla Costituzione all’articolo 3, comma 2. E infatti, il principio di sussidiarietà orizzontale modifica profondamente le interazioni tra pubblico e privato, consentendo di coinvolgere direttamente anche organismi privati al fine del perseguimento del detto obiettivo5, caratterizzante l’intero sistema ordinamentale, appartenendo personalismo e solidarismo “all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana6.

Tale alchimia è stata codificata e sancita dall’art.118 della Costituzione, secondo cui “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Conseguentemente, da una parte, l’amministrazione deve favorire le iniziative che siano rivolte al perseguimento dell’interesse generale, anche quando promanino da semplici cittadini, e d’altra parte, non vi è dubbio che la creazione delle condizioni per la piena realizzazione della persona è sicuramente nell’interesse generale.

In conclusione, nella prospettiva su esposta, la Repubblica può perseguire anche con strumenti diversi da quelli tradizionali e in collaborazione con gli organismi intermedi e con i cittadini, la missione affidatale dall’articolo 3, comma 2 della Costituzione. E soprattutto, l’interesse generale diventa il ponte che unisce non soltanto l’articolo 3, comma 2 e l’articolo 118 della Costituzione, ma anche “i soggetti pubblici e i cittadini: in un caso tale interesse è perseguito direttamente dai poteri pubblici, in un altro dai cittadini ma sostenuti dai soggetti pubblici, in un rapporto “sussidiario” nel senso più letterale del termine, in quanto è un rapporto di reciproca collaborazione e aiuto per il raggiungimento di un obiettivo comune7.

Il modello organizzativo del Microcredito di Libertà per le donne vittime di violenza incarna perfettamente la sinergia sussidiaria postulata dai principi costituzionali, stante il diversificato e composito apporto di ciascuno degli attori coinvolti. In più, si configura un ulteriore pregnante collegamento con i princìpi fondamentali della Costituzione nella parte in cui, all’articolo 2, “richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

E difatti, il Microcredito di libertà esprime in pieno la propria valenza solidaristica allorché declina le due tipologie di finanziamento disciplinate dall’art. 111 TUB, microcredito produttivo/imprenditoriale e microcredito sociale, in favore delle donne che hanno subito violenza, promuovendone l’inclusione sociale e finanziaria.

Il modulo operativo non soltanto consente accesso al credito per una categoria cui esso è pressoché precluso, ma soprattutto, in uno con la datio in denaro, prevede un quid pluris, l’accompagnamento di un tutor, che va ben al di là del superamento di una fase “emergenziale”, contribuendo a formare o ad accrescere le capacità, competenze e abilità di questa gravemente svantaggiata categoria di donne.

Il bagaglio che esse conseguono all’esito del percorso, principalmente in termini di educazione finanziaria, può consentire loro di affrancarsi da situazioni di dipendenza economica, in una prospettiva durevole, tale che le sovvenute possano conseguire una propria autonomia personale e lavorativa, che prosegue anche oltre e al di là della durata dell’intervento finanziato.

Una così proficua sussidiarietà solidale merita ben più ampia diffusione, soprattutto a fonte delle gravi criticità per le politiche di welfare, non più soltanto congiunturali, ma oramai endemiche, stanti le ricorrenti crisi economico-finanziarie e la conseguente diminuzione delle risorse disponibili, a fronte dell’accresciuta complessità dei bisogni emergenti a livello sociale.

Si è dimostrato come i tempi siano maturi per sperimentare un analogo intervento che vada a sopperire alla “tossicità finanziaria8, che affligge le donne affette da neoplasia della mammella, supportandole per far fronte alle ricadute economiche che la patologia e le relative cure determinano sulla paziente, sia in termini oggettivi che soggettivi9.

Si presta particolarmente a sopperire a tali situazioni di esiziale criticità il microcredito sociale10, posto che l’articolo 111, comma 3, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, il c.d. T.U.B., si rivolge “a favore di persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica o sociale”. Il sopravvenuto stato di malattia può configurare “le obiettive condizioni di bisogno” richieste dall’articolo 5 del D.M. n. 176/201411, che consente di considerare ammissibili le relative spese mediche.

Il finanziamento, di importo massimo di 10.000 euro, sarà destinato a coprire spese mediche che esulano dal sistema sanitario, ovvero esigenze economiche legate alla malattia (ad esempio, spese familiari, spostamenti per cure, ecc.), tali da configurare le obiettive condizioni di bisogno delineate dal richiamato D.M. n. 176/2014.

L’impegno più sfidante di un progetto siffatto sta nella costituzione di un apposito Fondo di Garanzia, da istituire in collaborazione con enti pubblici, fondazioni o istituti bancari, per coprire una percentuale del prestito o, meglio ancora, vista l’alta meritevolezza dell’iniziativa, l’intera sorte capitale.

In questo modo verrebbe agevolata la concessione dei finanziamenti a donne in condizioni di fragilità economica, da favorire altresì con la previsione del tasso zero, in modo che non debbano gravare pesi e oneri su categorie già duramente colpite da gravi patologie.

Una duplicazione del modulo operativo del Microcredito di Libertà così articolata si tradurrebbe in una vera e propria tecnica di attuazione del valore salute definito dalla Costituzione ed “espressamente qualificato come «fondamentale» per renderne immediatamente percepibile il carattere basilare, di presupposto per il pieno e libero esercizio di ogni altra libertà12.

Funzionalità questa più che auspicabile nell’attuale congiuntura di grave crisi economico-sociale, con l’indebolimento del SSN per carenza di risorse finanziarie e umane e per l’incremento dei costi delle attività sanitarie13, ancor più ove si consideri che “la salute non può essere protetta mediante l’utilizzazione di normative ispirate a esclusiva logica patrimoniale14.

Uno strumento quindi promozionale dei valori super-primari dell’ordinamento15, destinato a produrre i suoi frutti su ampia scala, essendo suscettibile di molteplici successive applicazioni nel tempo.

Con l’ulteriore non trascurabile vantaggio di consentire un auspicabile potenziamento del microcredito sociale, da più parti invocato quale efficace strumento di ausilio per finalità di inclusione sociale per le fasce più deboli della popolazione.

In conclusione, è evidente che il Microcredito di Libertà come metodo di politiche sociali sussidiarie e solidali va ad assumere una preponderante funzione promozionale dei valori super-primari dell’ordinamento e, in quanto tale, costituisce una potente spinta propulsiva allo sviluppo di ulteriori iniziative di analogo valore. Senza dimenticare che tale modello organizzativo si traduce, nella pratica, in un profluvio di iniziative sul territorio, di talché una così preziosa ricchezza diffusa merita di essere adeguatamente promossa e valorizzata dall’azione politica e amministrativa, in favore del novero di beneficiari più ampio possibile e per il soddisfacimento di esigenze emergenti, in un’ottica di welfare contemporaneo, responsabilizzante e incentivante16.

NOTE

1 Per approfondimenti sul tema, v. VITTADINI G., a cura di, Che cosa è la sussidiarietà. Un altro nome della libertà, Milano, 2007; CERULLI IRELLI, V. e CAMELI, R. Il principio di sussidiarietà orizzontale nei lavori dell’Assemblea Costituente, http://www.astrid-online.it/Sussidiari/Contributi/principio-sussidiariet—assemblea-costituente.pdf; FERRERA, M. (2008) Dal welfare state alle welfare regions: la riconfigurazione spaziale della protezione sociale in Europa, in Riv. Pol.Soc., 3, pp. 17-49; MILLON-DELSOL C., Il principio di sussidiarietà, Milano, 2003; PACI, M., Welfare, solidarietà sociale e coesione della società nazionale, in Stato e Mercato, 2008, XXVIII, 1, pp. 3-30; RESCIGNO, G.U. (2002) Principio di sussidiarietà orizzontale e diritti sociali, in Diritto Pubblico, 1, pp. 5-50; SIRIMARCO, M. e IVALDI, M.C. (a cura di) Casa borgo Stato. Intorno alla sussidiarietà, Roma, 2011.

2 Sul principio di solidarietà v. LOMBARDI G.M., Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967; GIUFFRÈ F., La solidarietà nell’ordinamento costituzionale, Milano, 2002; RODOTÀ S., Solidarietà. Un’utopia necessaria, Roma–Bari, 2014; POLACCHINI F., Doveri costituzionali e principio di solidarietà, Bologna, 2016; CARAVITA B., Oltre l’eguaglianza formale, Padova 1984.

3 Una interessante trattazione su tali tematiche può rinvenirsi in BRUNI L., ZAMAGNI S., Economia civile. Efficienza, equità, felicità pubblica, Bologna, 2004.

4 PERLINGIERI P., Il diritto civile nella legalità costituzionale, Napoli, 1991, pagg. 194 e 199.

5 ARENA G., Il principio di sussidiarietà orizzontale nell’art.118, u.c. della Costituzione, in Studi in onore di Giorgio Berti, Napoli, 2005, p. 179-221.

6 Corte Cost., 15.12.1988, n. 1146.

7 ARENA G., Op. l. u. c..

8 DI MAIO M., a cura di, in Miscellanea, 4 settembre 2023, online su www.oncotwitting.it. Il tema della “financial toxicity” è emerso di recente negli Stati Uniti, laddove l’assenza di welfare sanitario comporta un elevatissimo rischio economico per i cittadini che incorrano nella patologia oncologica. Stante la rilevanza e diffusività del problema, per la progressiva ingravescente incidenza delle patologie tumorali, è auspicabile un adeguato approfondimento dei profili economici in un’ottica di prevenzione e contenimento del fenomeno.

9 V. su questa Rivista “Donne, Microcredito, tutela della Salute. È tempo di un nuovo Welfare”, n. 48/2023, XI; “Il Microcredito strumento ausiliario in sanità per le donne. Una prospettiva di sostegno”, n. 54/2024, XII. E anche “Donne, tumore al seno e tossicità finanziaria: è tempo di un nuovo Welfare”, in Sanità24 – Il Sole 24 Ore, 20 marzo 2024.

10 Finanziamento di importo massimo di € 10.000, prestati a condizioni più favorevoli di quelle prevalenti sul mercato, non assistito da garanzie reali e accompagnato dalla prestazione di servizi ausiliari di bilancio familiare, allo scopo di consentire l’inclusione sociale e finanziaria del beneficiario.

11 È il Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 17 ottobre 2014, n. 176, “Disciplina del microcredito, in attuazione dell’articolo 111, comma 5, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385”.

12 SCACCIA G., Art. 32, in CLEMENTI F., CUOCOLO L., ROSA F. VIGEVANI G.E. (a cura di), La Costituzione italiana, Bologna, 2021, pag. 226.

13 Per un approfondimento sul tema, v. 7° Rapporto GIMBE sul Servizio Sanitario Nazionale, su www.gimbe.org.

14 PERLINGIERI P., Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., pag. 363.

15 “La salute, sia pure prevista autonomamente a livello costituzionale, deve essere considerata unitamente alla norma che quale clausola generale, riconosce e garantisce i diritti dell’uomo con esclusione di qualsiasi loro tassatività o tipicità (artt. 2 e 3, comma 2).” Così PERLINGIERI P., Op. cit.,pag. 354.

16 Sul tema, ex plurimis, v. ANTONINI L., La sussidiarietà e la cifra democratica del patto costituzionale, in VITTADINI G., a cura di, Che cosa è la sussidiarietà. Cit.; COLASANTO M., LODIGIANI R., Welfare possibili. Tra workfare e learnfare, Milano, 2008; FERRERA M. Dal welfare state alle welfare regions: la riconfigurazione spaziale della protezione sociale in Europa, in Riv. Pol. Soc., 2008, 3, pp. 17-49; PACI M., Welfare, solidarietà sociale e coesione della società nazionale, in Stato e Merc., vol. XXVIII, 2008, 1, pp. 3-30; ZAMAGNI S., L’evoluzione dell’idea di Welfare: verso il welfare civile, Milano, 2015, VECCHIATO T., Verso un Welfare generativo, da costo a investimento, Padova, 2013.

Print Friendly, PDF & Email
© 2019 Rivista Microfinanza. All Rights Reserved.