UNA VITA CONTRO LA VIOLENZA
UNA VITA CONTRO LA VIOLENZA. Intervista a Lella Palladino fondatrice della cooperativa EVA e vice presidente della Fondazione “Una Nessuna Centomila”
Elisa Pandolfi
Una donna forte con una personalità empatica che ha dedicato la sua vita a sostenere e difendere i diritti di chi ha avuto percorsi di vita difficili e accidentati: lei è Lella Palladino, sociologa e attivista per i diritti di genere.
Grazie al suo costante e proficuo impegno sociale ha fondato la Cooperativa Sociale EVA, che dal 1999 gestisce centri antiviolenza e case rifugio sul territorio campano ed opera attraverso la promozione dei diritti civili fondamentali favorendo il rispetto di ogni diversità culturale e di genere.
Per questa battaglia è diventata anche Vice Presidente di “Una Nessuna Centomila” la fondazione che attraverso molti volti noti della musica, dello spettacolo e della società civile, promuove e sostiene lo sviluppo integrale della persona, l’emancipazione femminile e la lotta alla violenza.
In particolare, la Cooperativa EVA promuove sul territorio la diffusione di una cultura innovativa attraverso percorsi formativi e informativi. La mission di questo gruppo di attivisti è il recupero della dignità e dell’autonomia delle donne, le quali vengono accolte mantenute e protette durante i percorsi di reinserimento socio-culturali e lavorativi.
In occasione dell’evento - sfilata, “E’ un'impresa dire no alla violenza” presentato al Teatro San Ferdinando di Napoli lo scorso gennaio, frutto dalla collaborazione tra l’Ente Nazionale per il Microcredito e la Cooperativa EVA, abbiamo invitato Lella Palladino a fare un quadro della situazione legislativa nel nostro Paese in termini di tutela di genere e a descrivere quali difficoltà incontra una donna, quando decide di denunciare le violenze subite. Le abbiamo, inoltre, domandato quali saranno i prossimi obiettivi della cooperativa Eva e in che modo il Microcredito di Libertà può aiutare le donne a recuperare la propria indipendenza economica e la propria libertà.
Parlando di violenza di genere, può spiegarci a che punto è il nostro Paese da un punto di vista normativo e legislativo su questo tema? E quali difficoltà incontrano le donne quando chiedono aiuto alle istituzioni?
Quello che le donne devono affrontare è un percorso complesso che purtroppo incontra sempre più ostacoli nonostante il sistema normativo abbia fatto tanti passi in avanti. Da trent’anni a oggi la cultura del Paese in parte è cambiata ma comunque il problema persiste perché trent’anni fa il tema della violenza era completamente negato, la violenza non esisteva, se ne parlava pochissimo mentre adesso se ne sente parlare anche troppo spesso purtroppo.
Quello che non è cambiato e che condiziona sempre di più le donne è quel groviglio di stereotipi culturali e di pregiudizi che permea gran parte della platea degli operatori sociali e sanitari di giustizia. Quando una donna chiede aiuto può molto facilmente incorrere in quella che viene definita, per sintesi, la vittimizzazione secondaria, ossia quello che è ribaltamento di responsabilità, dall’autore alla vittima. È la donna che viene posta sopra il banco d’accusa piuttosto che il suo carnefice. Spesso non viene creduta e inoltre le vengono poste tutte una serie di domande che confermano il “senso di colpa”.
Le donne, molto spesso incastrate in una relazione violenta o in un contesto di intimità violento di tipo domestico, non vengono credute e vengono sottoposte a un giudizio molto negativo. Se sono vittime di violenza sessuale, la colpa è sempre loro perché in un qualche modo “se la sono cercata”. Ci sono poi situazioni in cui, il proprio compagno, le fa sentire inadeguate, sia nel ruolo materno sia nel ruolo coniugale e questo chiaramente non facilita il processo di richiesta di aiuto al di fuori del contesto domestico. Le donne non denunciano perché non si sentono protette, perché temono, soprattutto quando sono madri, di essere sottoposte a una valutazione della genitorialità che possa mettere in crisi la possibilità dell’affidamento.
Capita che, in maniera quasi automatica, le donne che sporgono denuncia e che chiedono aiuto alle istituzioni si trovino ad avere la sospensione della responsabilità genitoriale e ad essere sottoposte a CTU o CTP; inoltre, siccome sono donne devastate dalla violenza, non viene preso in considerazione né valutato il nesso tra “causa - effetto” per cui, vengono considerate madri incompetenti. Accade poi che, invece di sostenere la loro competenza genitoriale restituendo in termini anche di giustizia e di risarcimento per un danno provocato dalla violenza, le donne vedono concretizzarsi quello che è il grande fantasma di tutto, cioè la minaccia da parte dei loro compagni violenti che le intimano con la frase: “Tanto se mi lasci non ti affidano nostro figlio/a”.
Questa è una situazione, che nel tempo è peggiorata. Quello che è cambiato però in positivo è l’aumento dell’indignazione collettiva nei confronti di questo tema. Abbiamo visto le piazze il 25 novembre riempirsi, c’è stato lo scossone emotivo della morte di Giulia Cecchettin, e noi vorremmo proprio cogliere il segnale positivo di tutta questa attivazione, soprattutto in un momento in cui, la cultura di questo Paese sta facendo grandi passi indietro.
Si mette ancora sotto attacco la legge n.194 e addirittura il divorzio, nonché tutti i diritti delle donne, enfatizzando il ruolo di madre e di moglie riportando così il Paese agli anni cinquanta. Viene sottolineato anche il tema della denatalità, negando che non sia connesso alla mancanza di possibilità di autorealizzazione. Registriamo quindi una duplice situazione, da una parte c’è un processo inarrestabile di miglioramento dell’altro però ci sono questi grossi balzi all’indietro pericolosi per le donne.
Il Microcredito di Libertà secondo lei può essere un valido supporto e una opportunità per queste donne di ricostruire una propria indipendenza economica?
Per quanto riguarda il Microcredito di Libertà, può essere uno strumento utile se si attua all’interno di un contesto di lavoro, in cui si procede attraverso un percorso di recupero dell’autostima. Se le donne non credono in se stesse non sono assolutamente capaci né di ritenersi idonee a un lavoro né tanto meno di pensare alla propria autonomia economica.
Il lavoro dei centri abilita a questo attraverso tutto un percorso complesso di empowerment. Riteniamo che questo sia un momento di crisi e dunque abbiamo qualche difficoltà a pensare che le donne si possano indebitare. La situazione è complessa, uscire dalle case rifugio comporta un grandissimo sforzo e si ha bisogno di molte risorse.
Qual è il prossimo passo della cooperativa Eva e quali gli obiettivi futuri volti al sostegno delle donne?
EVA continuerà a fare fare diffusione culturale e lavoro sulla prevenzione, sostenendo le attività imprenditoriali e offrendo una narrazione diversa della violenza, ossia: dalla violenza si può uscire, le donne ce la possono fare, possono ritrovare la fiducia in se stesse e ricostruire una nuova vita anche se hanno a disposizione pochi strumenti.
La nostra imprenditoria sociale dà la possibilità di dimostrare che un altro mondo è possibile; è possibile riscrivere un ordine simbolico diverso da quello patriarcale e anche un ordine economico diverso da quello che mira soltanto al profitto, e lo si può fare contemporaneamente alla giustizia sociale e ambientale. Nelle nostre imprese cerchiamo di tenere insieme, oltre al tema della legalità e quindi del buon uso dei beni confiscati alla camorra, l’economia circolare e ci stiamo riuscendo con il recupero delle arance della Reggia di Caserta.
Il nostro laboratorio EvaLab, in cui lavorano donne in uscita da percorsi di violenza ha realizzato per la sfilata di questa sera degli abiti in seta che verranno indossati da altre donne in uscita dalla violenza, proprio per testimoniare che c’è anche il tema della bellezza, una bellezza che è al di fuori dei canoni estetici e dei modelli di mercato. Si può essere belle quando si è in pace con se stesse, al di là della taglia, al di là del colore, al di là del gusto, la bellezza, lo dico alla “Bourdieu”, della NON distinzione.
Attualmente, con la Cooperativa Eva stiamo sviluppando anche altri progetti per i quali abbiamo già intercettato dei finanziamenti che ci consentiranno di aprire altre attività. Tutto questo è realizzabile soprattutto grazie a delle partnership collaborative sul nostro territorio. Noi crediamo fermamente che un certo tipo di impresa sociale faccia sviluppo locale sia in termini culturali ma anche economici.