Dare Credito Alle Donne: Un Messaggio Di Inclusione Che Parte Dai Centri Antiviolenza
Maria Teresa Olivieri
Giornalista
DARE CREDITO ALLE DONNE:
UN MESSAGGIO DI INCLUSIONE CHE PARTE DAI CENTRI ANTIVIOLENZA
Partiamo dalla donna che ha subito un trauma come quello della violenza per far davvero del Microcredito uno strumento di inclusione.
Una donna povera subisce una doppia discriminazione, non solo in quanto povera, ma anche per il suo genere. A distanza di un secolo a dirlo non è solo Anna Kuliscioff, ma i dati che emergono dal GEI (Gender Index Equality), in cui a rischio povertà sono sempre più le donne, ancora più allarmante se poi si pensa che il loro tenore sociale ed economico dipende da quello del ‘maschio’ di famiglia: padre, marito o compagno che sia. Nulla di tutto questo dipende dall’occupazione o dalla capacità finanziaria della donna, ma il più delle volte dal cosiddetto “gender pay gap”, ovvero il divario di genere salariale. Un fenomeno così diffuso che l’Onu ha deciso di istituire una giornata per ricordarlo (il 18 settembre). Il nostro Paese è al quarto posto per gender pay gap, tra i più alti d’Europa, con ben il 43% di salario percepito in meno dalle donne che devono anche pagare lo scotto di lasciare il lavoro se decidono di avere dei figli. Almeno una donna su cinque non prosegue la carriera per occuparsi della prole. Il 49% delle intervistate, secondo un report WeWorld afferma di aver subito violenza economica almeno una volta nella vita, percentuale che arriva al 67% tra le divorziate o separate.
Numeri da far accapponare la pelle, se si pensa che a parità di istruzione e di mansione, le donne continuano ad essere pagate meno e con percentuali a due cifre.
Partendo da queste considerazioni è stato creato il Progetto Microcredito di Libertà per le donne che hanno subito violenza. Tra le tante forme di violenza perpetrate ai danni delle donne esiste la violenza economica, una forma di coercizione, talmente assimilata dai costumi, da non essere ancora considerata del tutto violenza in alcuni atteggiamenti. Tra le forme più riconoscibili ci sono sicuramente quelle sul controllo delle spese e l’impedimento di poter gestire il denaro. Ma è violenza anche impedire alla propria partner di poter lavorare con l’attenuante ‘mi occupo io della famiglia’.
“Per violenza economica si intende, ogni atto che tende a privare la vittima della propria indipendenza economica o della partecipazione alla gestione delle finanze domestiche familiari. Se le donne non lavorano o sono sottoccupate, sottopagate, finanziariamente sfruttate, la dipendenza economica nei confronti del marito o del compagno si può trasformare in una particolare forma di violenza psicologica - più subdola perché meno visibile della violenza fisica o sessuale: è la violenza economica”.
Spesso quindi questo tipo di violenza, al contrario di quella fisica o psicologica, non è nemmeno denunciata. E questo succede principalmente per due motivi: non viene riconosciuta come tale, in quanto la società patriarcale vuole la donna dedita alle cure domestiche; le donne che subiscono questo tipo di violenza si ritrovano senza un vero supporto economico per poter lasciare il maltrattante.
Per trovare una soluzione bisogna prima di tutto individuare il problema: in questo rappresentano un focus importante per il progetto i Centri Antiviolenza. I cosiddetti Cav sono i primi a far individuare il problema a chi si ritrova in una situazione di maltrattamento.
Cosa sono i CAV – Centri AntiViolenza e perché sono fondamentali per il Microcredito di Libertà
I Centri Antiviolenza in Italia, tra quelli riconosciuti dalle Regioni, sono circa 400 e sono dei veri e propri primi soccorsi per le donne che si trovano in una situazione di difficoltà. I centri antiviolenza sono delle strutture destinate all’accoglienza delle donne vittime di violenza di genere (stalking, maltrattamenti, abusi sessuali, ecc.).
Dopo la prima accoglienza e l’ascolto i CAV però svolgono un lavoro preziosissimo nell’arginare la violenza e nel supporto di chi ne è stata vittima. Che sia un colloquio telefonico o conoscitivo il Centro è un presidio che opera in contrasto alla violenza di genere in tutte le sue forme.
I Cav svolgono accolgono e supportano le donne a 360 gradi: svolgono attività di consulenza psicologica, consulenza legale, gruppi di sostegno, formazione, promozione, sensibilizzazione e prevenzione, raccolta ed elaborazione dati, orientamento ed accompagnamento al lavoro, raccolta materiale bibliografico e documentario sui temi della violenza. Le Case rifugio, spesso ad indirizzo segreto, ospitano le donne e i loro figli minorenni durante il periodo di bisogno o nella prima emergenza.
In un momento in cui lo Stato cerca in tutti i modi di sensibilizzare sul fenomeno del femminicidio, i CAV riescono in modo incisivo ad arginare il fenomeno della violenza di genere, tanto che sono le Regioni a riconoscere e a supportare i Centri, anche tramite dei bandi appositi.
La realtà variegata dei CAV non è dovuta però alle Regioni di appartenenza quanto alle associazioni a cui fanno capo. Storiche come Telefono Rosa o D.iR.E, oppure nate di recente, ogni associazione femminista conta al proprio interno un CAV con il preciso scopo di apportare un aiuto concreto alle donne.
Ma le associazioni attraverso i CAV non svolgono solo il lavoro di assistenza, ma anche di ricerca e di progettazione. Ad esempio nella Carta nazionale di D.i.r.e. – donne in rete contro la violenza – viene specificato che lo scopo del CAV è favorire la conoscenza, lo scambio, il confronto, il sostegno e la valorizzazione del sapere elaborato dai Centri, anche attraverso la diffusione di materiali prodotti dalle singole associazioni e la messa in circuito di esperienze relative a nuovi progetti e/o azioni sviluppati delle singole associazioni. Inoltre è fatta presente che la promozione di politiche di sviluppo a favore dei Centri e delle Case, anche attraverso rapporti significativi con Enti governativi nazionali e locali al fine di rafforzare ogni singola Associazione, divenendo un elemento di forza e di vantaggio per la negoziazione locale.
UDI Bologna, donne unite e in mutuo soccorso
Tra i tanti Centri Antiviolenza sul territorio nazionale il più attivo ed entusiasta per quanto riguarda il Microcredito di Libertà è stato quello dell’Udi di Bologna. L’Udi – Unione Donne Italiane – nata durante la Resistenza ma costituitasi come associazione subito dopo la seconda guerra mondiale, è stata l’unione delle donne che per prima si è battuta per l’emancipazione femminile e la parità di genere, in periodi in cui la donna era considerata giuridicamente inferiore. Oggi l’obiettivo dell’UDI è quello di impegnarsi per la difesa dell’autodeterminazione delle donne e di contrastare ciò che viene definita una piaga sociale: la violenza da parte di uomini nei confronti delle donne, specie in ambito familiare. L’UDI ricorda di mettere in pratica quanto riportato nell’art. 51 della Costituzione Italiana, secondo il quale uomini e donne debbano trovarsi in una posizione paritaria in assemblee elettive o luoghi decisionali.
Particolare apporto ha avuto l’Udi bolognese per il Progetto Microcredito di Libertà. L’associazione ha trovato di particolare rilievo la possibilità di concedere un prestito a tasso zero a donne che hanno subito violenza, in quanto, non solo si responsabilizza una persona a cui viene data fiducia da parte dello Stato, ma con il credito la donna smette di essere soggetto debole e involontario.
Udi di Bologna non è estranea a queste iniziative. L’associazione da sempre aderisce a progetti in cui le donne sono soggetto attivo, dalle carceri dove vengono svolti piccoli lavori poi venduti ai mercatini, a formazione educativa e consulenza in collaborazione con le istituzioni.
All’interno dell’Udi bolognese, tra i tanti progetti e gruppi, esiste anche un gruppo di auto- mutuo soccorso di donne che hanno subito violenza. Il gruppo di auto mutuo aiuto (AMA) Mai Più è presente a San Giovanni in Persiceto da quasi sette anni.
Si tratta di una realtà consolidata sul territorio in favore di donne che hanno subito o subiscono violenza, caratterizzato dal fatto che al suo interno le partecipanti condividono un problema comune, in questo caso la violenza.
Non è solo la condivisione delle esperienze, l’ascolto o il sostegno emotivo. A fare la differenza è l’aiuto concreto e l’individuazione delle strategie per uscire concretamente dal disagio affinché ogni donna possa riprendere in mano la propria vita e ricominciare. Il gruppo costituisce pertanto un importantissimo strumento di contrasto alla violenza di genere, anche dal punto di vista economico. Esiste una cassa comune che viene di volta, in volta utilizzata e rimpinguata. Un modus operandi che non contempla carità e autocommiserazione tra le donne: se una donna ha delle necessità chiede un prestito che viene approvato e rilasciato dal gruppo. Un esempio su tanti: una delle donne ha bisogno di cambiare le ruote alla macchina con cui si reca al lavoro. In questo caso per ovviare a una spesa non indifferente chiederà la cifra al gruppo e provvederà con piccole rate alla restituzione. Un’iniziativa che ha avuto molto successo. Ad oggi si contano una trentina di donne in questo gruppo e nessun caso di non restituzione del prestito.
“Siamo state molto liete di sapere che il Dipartimento per le Pari Opportunità abbia deciso di seguire questa linea di supporto, al posto dell’assistenza tout court che quasi mai porta a dei veri frutti”, così la presidente del CAV di Udi Bologna, Katia Graziosi, sul progetto Microcredito di Libertà.
“Soprattutto è importante che siano stati interpellati i CAV. Solo una rete consolidata che conosce il percorso pregresso di queste donne, il loro percorso economico, può certificare che questa abbia in effetti una capacità restitutiva. Onde evitare anche che ci si trovi ad affidare un credito a donne ancora troppo fragili che poi si ritroverebbero a non riuscire a gestire un debito”.
Per la presidente è un’ottima risposta a un bisogno immediato, in questo caso una vera forma di inclusione finanziaria dei soggetti non serviti dalle banche.
Tra i soggetti “non bancabili” ci sono anche le donne che hanno subito violenza, donne spesso che non hanno garanzie reali, non hanno entrate fisse, ma risultano più affidabili di molti altri soggetti che avrebbero capacità restitutive oggettive.
Il buon esempio delle donne del Microcredito di Libertà
Nonostante i numerosi casi e accertamenti che il Microcredito funziona su soggetti che hanno subito violenza, si continuano con politiche di sussidi che alleggeriscono ma non risolvono il problema.
Qui di seguito due esempi concreti di donne che stanno restituendo ed estinguendo la cifra riconosciuta dal Microcredito di Libertà.
Giulia (nome di fantasia), perde il lavoro e soffre di Fibromialgia. Ha una sola figlia che vuole frequentare l’Università, il momento è tra i peggiori, perché l’ex compagno oltre alle violenze le ha lasciato anche dei debiti sulla casa dove vive. Questa donna grazie al Microcredito sociale è riuscita non solo a tamponare una situazione di emergenza, ma anche ad avere la giusta serenità per cercare un nuovo impiego e trovare un piccolo lavoretto nella biblioteca comunale.
Fatima (nome di fantasia), ha due figli adolescenti, un lavoro part time e delle spese legali ingenti per poter avere la custodia esclusiva dei figli. Grazie al Microcredito è riuscita a coprire tutti i costi e a garantire la serenità in famiglia.
Claudia (nome di fantasia), paga due affitti, uno nella piccola casa dove vive e l’altro nella casa popolare dove dovrebbe trasferirsi, ma il cui interno fatiscente non permette il trasloco con i bambini piccoli. Grazie al Microcredito ha fatto i lavori utili all’abitazione e adesso i suoi tre figli hanno una camera diversa dalla sua.
Tutte le storie che si leggono e si raccontano mettono in evidenza quanta forza e determinazione ci sia in queste donne, quanto sia utile il Microcredito di Libertà, ma soprattutto che molte di loro, anche con lavoretti faticosi, riescono a pagare le rate e spesso con largo anticipo.