AUTOIMPIEGO E IMPRENDITORIALITA'
AUTOIMPIEGO E IMPRENDITORIALITà
L’autoimpiego e lo stimolo all’attività imprenditoriale rientrano tra le azioni che la Strategia Europa 2020 promuove per il conseguimento dell’obiettivo di un’economia intelligente, sostenibile e inclusiva.
Tiziana Lang | Ricercatrice ISFOL esperta di politiche del mercato del lavoro
Promuovere la creazione di lavoro attraverso l’autoimpiego e l’imprenditorialità
La Commissione europea e il Parlamento ritengono che vada sostenuto e stimolato lo spirito imprenditoriale per favorire il ricambio generazionale nelle imprese e per incoraggiare la ricollocazione nel mercato del lavoro di chi ne è stato espulso, o non riesce ad entrarvi, a causa di una condizione di vulnerabilità pur possedendo competenze e skill idonee ad avviare un’attività in proprio.
L’ultima edizione del rapporto “Employment and social development in Europe 2015” a cura della Commissione europea1 dedica un’ampia sezione del capitolo relativo alla creazione di nuova occupazione proprio all’imprenditorialità e all’autoimpiego, quali modalità di inserimento nel mercato del lavoro per chi è privo di un’occupazione e, al contempo, di creazione di nuovo lavoro dipendente.
Secondo diversi studi e ricerche empiriche condotte negli ultimi anni (cfr. bibliografia del capitolo 1.1., Boosting job creation through self-employment and entrepreneurship, del citato rapporto), le potenzialità di creare nuova occupazione da parte di microimprese e autoimpiego possono essere influenzate da una serie di fattori:
- il grado di innovatività dell’impresa (le imprese innovative creano più lavoro),
- l’età dell’attività imprenditoriale (quanto più sono giovani le imprese, tanto più lavoro creano),
- la crescita netta occupazionale - che si è visto essere maggiore nelle imprese “gazzelle” più vocate allo sviluppo2,
- la minore dimensione delle imprese femminili e la loro scarsa propensione a utilizzare finanziamenti esterni,
- la più alta probabilità degli immigrati di essere lavoratori in proprio,
- la tendenza delle imprese famigliari a creare meno lavoro dipendente,
- la forte influenza delle problematiche connesse alla conciliazione vita/lavoro sulla sopravvivenza delle imprese,
- le maggiori possibilità di crescita delle start up “di gruppo” rispetto a quelle create da singoli start-upper,
- la scarsa attitudine ad assumere dipendenti da parte dei lavoratori in autoimpiego,
- la maggiore disposizione delle imprese sociali a prendere in carico coloro che non riescono a inserirsi nelle imprese orientate al profitto.
Ma quali sono i numeri dell’occupazione “in proprio”? Le micro e piccole imprese nel 2014, ultimo dato annuale disponibile, davano lavoro a circa un terzo degli occupati dell’Unione europea. Negli anni della crisi si è registrato un calo dell’occupazione in autoimpiego rispetto al totale dell’occupazione (passando dal 16,3% del 2005 al 15,6% del 2014, con un arretramento più marcato per le donne -1 punto percentuale rispetto agli uomini -0,3 p.p.). Nonostante ciò, l’autoimpiego e l’imprenditorialità continuano a rappresentare tipologie di lavoro che contribuiscono alla creazione di nuova occupazione.
In Italia, sempre nel 2014, la quota di lavoratori in proprio (auto-impiego e impresa) è pari al 25,6% del totale degli occupati (-1,1 p.p. rispetto al 2005); con gli uomini al 30,3 e le donne al 19,1%, rispettivamente in calo di 0,4 p.p e 1,4 punti percentuali rispetto al 2005. I settori produttivi dove si riscontra una presenza più massiccia di lavoratori autonomi e microimprese sono il commercio all’ingrosso e al dettaglio e quello delle riparazioni di auto e motoveicoli, entrambi con una percentuale del 30%.
In numerosi Stati membri una quota significativa di lavoratori autonomi è occupata nei settori agricolo, forestale e della pesca. Ciò rende molto complessa la lettura dei dati sulle microimprese e i self-employed a livello UE, infatti, in alcuni Stati membri i lavoratori autonomi appartengono tutti, o quasi, a questi settori (in Romania, ad esempio, l’86% dei lavoratori autonomi si trova nel settore agricolo ed è privo di dipendenti).
La quota di lavoratori autonomi e microimprenditori è diminuita o rimasta invariata rispetto al 2010 in quasi tutti i paesi dell’UE (fanno eccezione il Regno Unito, la Slovacchia, la Repubblica Ceca, la Slovenia, la Bulgaria dove sono aumentati). Le quote più elevate di persone in auto-impiego si riscontrano in Grecia, Romania, Bulgaria e Italia con percentuali superiori al 25% del totale degli occupati. I dati del Rapporto ESDE ci mostrano una presenza ancora ridotta di giovani, donne, lavoratori più anziani e immigrati tra gli occupati in autoimpiego. Questi gruppi, infatti, incontrano maggiori difficoltà nell’avviare e ampliare le proprie attività imprenditoriali/autonome anche a causa del fatto che presentano una scarsa capacità di valutazione del proprio potenziale imprenditoriale.
La Commissione ritiene sia necessario mettere in atto politiche sociali e del lavoro indirizzate a questi specifici sottogruppi, che combinate con altre politiche di settore (incentivazione/erogazione del credito, forfetizzazione dei prestiti, incentivi fiscali, rimozione delle lentezze burocratiche) e con una mirata educazione all’imprenditorialità possano aiutare a superare i colli di bottiglia e gli ostacoli che si presentano a coloro che appartengono ai target meno solidi nel gruppo “auto impiego”.
I costi sociali della mancata adozione di questo tipo di interventi, nel medio periodo, potrebbero essere piuttosto significativi; in particolare, per quanto concerne l’aumentata dipendenza dei beneficiari dai sussidie incentivi pubblici per l’avvio di impresa e di auto-impiego, il potenziale effetto spiazzamento di tali “sostegni diretti” alla creazione di impresa, l’aumento delle perdite secche (a fronte di un maggior numero di fallimenti delle attività avviate da questi soggetti), l’adozione di comportamenti opportunistici e, non ultimo, l’aumento del fenomeno della selezione avversa. Infine, è da segnalare il problema del lento sviluppo dimensionale delle microimprese e delle attività dei lavoratori in proprio. Nel 2014 meno di un terzo degli occupati in autoimpiego, secondo i dati forniti nel Rapporto ESDE 2015, ha del personale alle proprie dipendenze. La quota maggiore di microimprenditori e lavoratori autonomi con dipendenti si registra in Ungheria (49%), seguita da Germania (45%) e Austria (42%). La Romania, al contrario, presenta il tasso di microimprenditori con dipendenti più basso dell’Unione (5%), accompagnata dalla Gran Bretagna (17%), dalla Grecia e dalla Repubblica Ceca (entrambe con il 20%).
In Italia, gli auto-imprenditori che danno lavoro ad altre persone ammontano a circa il 28%. Per queste microimprese sarebbe utile prevedere dei piani di sviluppo “accompagnato” che vadano oltre la fase dell’avvio di attività (start up) con interventi di formazione per le competenze manageriali (soprattutto nei giovani e nelle donne), forme di sostegno all’innovazione (per es. rafforzando le e-skills), la riduzione dei costi di assunzione e licenziamento, la creazione di programmi per la creazione di reti tra imprenditori e, non ultimo, l’offerta di attività di coaching per i microimprenditori su come conciliare la cura familiare e la gestione di impresa. Il lavoro autonomo, secondo la Commissione europea, presenta ancora oggi un elevato potenziale di contributo allo sviluppo occupazionale perché ha dimostrato di poter offrire a chi è privo di un’occupazione, o parte da altre condizioni di svantaggio, l’opportunità di partecipare pienamente all’economia rientrando (o entrando per la prima volta) nel mercato del lavoro. Tuttavia, perché tale potenziale si esplichi pienamente e con vantaggio di tutta la società, devono essere messe in atto alcune condizioni di contesto soggette, tra l’altro, all’evoluzione delle politiche sociali e del lavoro. Ci riferiamo - mutuando le conclusioni del Rapporto, ma non solo3 - alla diffusione della cultura imprenditoriale che dovrebbe essere incoraggiata e sostenuta già durante i percorsi di istruzione scolastica (corsi di educazione all’imprenditorialità, esperienze di “impresa a scuola”, incubatori di start up, alternanza scuola-lavoro - per conoscere l’attività di impresa e le responsabilità che ne derivano-, educazione finanziaria e alla gestione dei redditi, ecc.).
Dovrebbe anche essere promosso un diverso atteggiamento nella popolazione - soprattutto in quella adulta - nei confronti del “fallimento” di impresa e relativa stigmatizzazione sociale ed economica dell’imprenditore fallito (diffusione di buone pratiche sulle politiche di “second chance/opportunity” per gli imprenditori hanno avuto “fallimenti onesti”, ecc.); o, ancora, si potrebbero rendere disponibili finanziamenti e capitali privati (con garanzie pubbliche) per la gestione o prevenzione dei fallimenti; come pure prevedere schemi di tassazione differenziata per l’autoimpiego e la microimpresa. Infine, tra le condizioni di contesto da realizzare rientra la presenza (creazione) di schemi di protezione sociale specificamente diretti ai self-employed (lavoratori autonomi e professionisti non ordinistici) che adeguino via via le protezioni del lavoro indipendente a quelle del lavoro dipendente (maternità, disoccupazione, previdenza, ecc.). Non ultima, la necessaria semplificazione delle pratiche burocratiche e della regolazione in materia di impresa (per es. adottando il modello del one-stop-shop e rendendo disponibili servizi per lo sviluppo d’impresa a costi accessibili, per es. servizi legali, fiscali, ecc.) che dovrebbe essere incoraggiata dalla Commissione e dal Parlamento europeo in tutti gli Stati membri a fronte di un impegno concreto dell’Unione per la realizzazione di politiche volte al rafforzamento del mercato unico e alla stabilità macro-economica del territorio. Con riferimento specifico alla necessità di garantire un contesto normativo adeguato allo sviluppo di impresa e alla tutela dei lavoratori autonomi è utile ricordare, per l’Italia, il disegno di legge sul lavoro autonomo (c.d. Jobs Act del lavoro autonomo) licenziato dal Consiglio dei Ministri del 28 gennaio scorso. Il Ddl di riordino dei rapporti di lavoro autonomo rappresenta uno dei due pilastri della nuova azione del Governo a sostegno del lavoro autonomo e professionale (assieme alle misure fiscali previste nella Legge di Stabilità per il 2016). Il Titolo I del disegno di legge (che si occupa anche di “lavoro agile”4) è dedicato alle nuove tutele per i lavoratori autonomi (declinate sulla base dei diritti sociali dei lavoratori dipendenti). Vengono introdotti, infatti, il congedo parentale di sei mesi (nei primi tre anni di vita del bambino) e l’indennità di maternità - da poter godere in contemporanea allo svolgimento della propria attività professionale.
Sono previsti meccanismi di protezione nel ritardo dei pagamenti dei compensi da parte delle Pubbliche amministrazioni e nella difesa della proprietà intellettuale delle invenzioni del lavoratore professionista. È inoltre prevista la deducibilità totale delle spese sostenute per la formazione e l’aggiornamento permanente (prima era limitata al 50%). Un’importante novità introdotta dalla norma (art.6) è l’inclusione dei lavoratori autonomi tra i destinatari delle politiche attive del lavoro erogate dai servizi per il lavoro pubblici e privati accreditati, che dovranno dotarsi di uno sportello dedicato al lavoro autonomo, incaricato di raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo a livello locale e di fornire informazioni su: la domanda e offerta di lavoro autonomo ai professionisti e alle imprese interessate; le procedure per l’avvio di attività autonome; i requisiti per l’accesso alle commesse ed appalti pubblici; le opportunità di credito e le agevolazioni pubbliche nazionali e locali.
I lavoratori autonomi, non imprenditori, sono infine equiparati alle piccole e medie imprese nel diritto ad accedere alle opportunità offerte dai programmi operativi regionali e nazionali a valere sui fondi strutturali e di investimento dell’Unione europea.
Le condizioni di contesto per la creazione di nuova occupazione da parte delle microimprese e dei lavoratori autonomi
a) aumento del tasso di sopravvivenza delle imprese (rafforzamento della capacità di far fronte al rischio degli operatori del microcredito, aumento della dimensione d’impresa, formazione al ruolo imprenditoriale, aumento delle opportunità di “second chance” per i fallimenti non fraudolenti)
b) sviluppo delle competenze imprenditoriali comprese quelle finanziarie e di gestione delle problematiche connesse alla conciliazione vita-lavoro
c) sostegno all’imprenditorialità innovativa e alle soluzioni che rispondono alle sfide sociali più pressanti
d) adeguata preparazione delle microimprese ad una economia mondiale interconnessa (come competere in campo internazionale con scarse risorse economiche)
e) rafforzamento delle condizioni di lavoro (rafforzamento della sicurezza del lavoro secondo i principi della flessicurezza)
f) diminuzione dei costi di assunzione e licenziamento (ripensare le soglie ai fini di una regolazione più stringente, sfruttare appieno le reti per la mobilità dei lavoratori)
g) ricerca di soluzioni alle necessità espresse dalle nuove forme di impresa (per es. i professionisti indipendenti (iPros) e il crowsourcing)
Bibliografia
Banca d’Italia, Bollettino economico, n.1 2016
EAPN, Quality of work and employment in Europe, 2014
Eurofound, Youth entrepreneurship in Europe, 2015
Eurofoung, Sixth European Working Conditions Survey, 2015 European Commission, Employment and social developments in Europe 2015, 2016
European Commission, Labour Market and Wage Developments in Europe, 2015
European Commission, Activating Jobseekers through entrepreneurship: start up incentives in Europe, EEPO Review, 2014
European Commission, A map of social enterprises and their eco-systems in Europe, 2014
European Commission, Social economy and social entrepreneurship, 2013 ILO, World Employment Social Outlook 2015, 2016 OECD, Employment Outlook 2014, 2015 OECD, Supporting youth entrepreneurship in Italy, 2015, in corso di pubblicazione
NOTE
- Employment and social developments in Europe 2015, European Commission, DG Employment, social affairs and inclusion, January 2016.
- Sono definite imprese “gazzelle” le piccole aziende che mostrano un tasso di sviluppo molto veloce, con una crescita costante del fatturato che oscilla tra il 20%-25% annuo.
- Cfr. il rapporto dell’OCSE “Supporting youth entrepreneurship in Italy”, 2015, in corso di pubblicazione da parte del Programma LEED dell’OCSE e della Commissione europea.
- Ai sensi della bozza di Ddl approvato il 28 gennaio dal Consiglio dei Ministri, per “lavoro agile” si intende una prestazione di lavoro subordinato eseguita secondo modalità flessibili allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. In particolare, il lavoro agile prevede l’esecuzione della prestazione lavorativa sia all’interno che all’esterno dei locali aziendali nei limiti di durata della giornata lavorativa o dell’orario di lavoro settimanale fissati dalla normativa/contrattazione collettiva; la possibilità di utilizzare strumenti tecnologici per lo svolgimento del proprio lavoro; l’assenza di una postazione fissa per il lavoro esterno ai locali aziendali (no telelavoro).