lo scenario Del mercato Del lavoro e Delle imprese nella prospettiva Di uscita Dalla crisi panDemica
di FRANCESCO VERBARO Pres. OIV Ministero dell’Economia e delle Finanze - Resp. Scientifico Progetto Yes I Start Up
I dati Istat relativi al periodo peggiore in termini di effetti reali della crisi economica generata dalla pandemia da Covid19 (periodo di osservazione febbraio 2021 rispetto a febbraio 2020) evidenziano la diminuzione degli occupati, con 945 mila unità in meno che ha riguardato uomini, donne, lavoratori dipendenti, autonomi e tutte le classi d’età. Sono di conseguenza cresciuti i disoccupati (+21 mila unità) e soprattutto gli inattivi, di oltre 700mila unità. Rispetto a febbraio 2020, il tasso di occupazione è più basso di 2,2 punti percentuali e quello di disoccupazione è più alto di 0,5 punti. Così l’Istat fotografa quello che possiamo definire l’anno nero di una crisi che da sanitaria diventata subito economica, con effetti negativi a livello mondiale. Nel contesto italiano, la lettura di questi dati deve ini ogni caso considerare i provvedimenti del Governo posti a difesa dell’occupazione attraverso importanti misure di politica passiva quali la cassa integrazione e il divieto dei licenziamenti che più volte reiterato, ha rappresentato un freno rispetto ad un potenziale aumento del numero dei disoccupati. Il dato che ormai emerge dai diversi rapporti, a circa 18 mesi dall’inizio della fase conclamata della crisi, ci dice che l’evoluzione dell’emergenza sanitaria ed economica ha avuto effetti differenziati sul mercato del lavoro, con una diffusa riduzione dell’occupazione che solo lentamente e parzialmente ha alimentato la disoccupazione, mentre ha causato in prevalenza un’uscita delle forze lavoro ritenuta verosimilmente temporanea. L’impatto sull’occupazione è infatti stato mitigato o contenuto dalle misure di lotta al contagio, dalla flessibilità della regolamentazione dei contratti (in primis con lo smartworking) e i già citati interventi straordinari di politica passiva adottati dal governo. In particolare le misure di politica passiva di tutela del lavoro hanno reso meno rappresentativi, per una analisi ciclica della produttività, gli indicatori basati sul numero di addetti, protetti appunto dagli interventi emergenziali. Il dato legato invece alla produttività, letto rispetto alle ore lavorate e alla dinamica del valore aggiunto, raffrontato con altri paesi UE fa emergere per l’Italia un incremento del 2,7 per cento a fronte di variazioni sostanzialmente nulle nelle altre tre grandi economie europee (Germania, Francia, Spagna). A livello settoriale è stato registrato un minimo incremento (+0,3 per cento) nella manifattura, un forte incremento (+2,9 per cento) nel comparto delle costruzioni, mentre la situazione è molto diversificata nel terziario, con un calo complessivo delle ore lavorate dell’11,8 ma dove emerge un aumento della produttività oraria del lavoro particolarmente sostenuto del settore dei servizi (+4,2 per cento) e del tutto anomalo, rispetto alle tendenze1 . Si tratta delle attività che hanno beneficiato dell’effetto covid, informatica, sanità, logistica. Sempre le ultime fonti Istat ci dicono che sul fronte delle imprese e soprattutto delle PMI e delle microimprese, la crisi ha colpito in misura prevalente le imprese di piccola e piccolissima dimensione soprattutto del turismo, della ristorazione, dei servizi di cura alla persona, degli eventi: la quota di unità che a fine 2020 si riteneva a rischio chiusura passa dal 34% nella classe 3-9 addetti, all’11% in quella di 250 addetti e oltre. Il 45% delle imprese con almeno 3 addetti risulta a rischio strutturale, mentre solo l’11% è solido. A livello settoriale l’industria è a rischio con il 33% delle imprese mentre nei servizi con il 50%. In assoluto, le donne hanno subìto gli effetti pesantissimi della crisi del mercato del lavoro. I dati Istat pubblicati a fine febbraio 2021 fotografano una situazione decisamente preoccupante e stimata in crescita nel 2021 soprattutto nella prospettiva del termine del blocco dei licenziamenti. Nel 2020 l’occupazione femminile ha perso circa un punto percentuale rispetto all’anno precedente (2019). In valori assoluti, su 444 mila posti di lavoro persi, 310 sono state donne, ovvero il 70%. I dati sono ancora più allarmanti se si prende in esame il solo mese di dicembre 2020 in cui, su 101 mila posti di lavoro persi, 99 mila erano di donne, ben il 98%, e quasi interamente giovani e under 50 (fonte- rapporto Istat 2020). Secondo i dati Eurostat, si conferma che dall’inizio della pandemia sono aumentate le giovani e i giovani che non studiano e non lavorano in tutta Europa. L’Italia si conferma essere il primo Paese europeo per numero di Neet presenti sul territorio (20,7%), con un valore percentuale di circa 10 punti superiore alla media degli altri Paesi europei (12,5%). In Italia due milioni di ragazzi e ragazze tra 15 e 29 anni non lavorano e non studiano, ben 1 su 5. La pandemia ha avuto un impatto significativo sulle ragazze. Solo nel 2020, infatti, le Neet sono aumentate di 36 mila unità (+2,7%). Anche nel caso dei Neet emerge quindi un sostanziale divario di genere, confermato dai dati Istat aggiornati al terzo trimestre 2020: la condizione è più diffusa tra le giovani, che rappresentano il 30,6%, contro il 20,2% dei ragazzi. Una piccola speranza arriva dai dati di marzo 2021 che evidenziano un inversione di tendenza in linea con un primo rimbalzo positivo del PIL rispetto ai trimestri precedenti, con una ripresa dell’occupazione nel mese di marzo 2021 rispetto a febbraio. Si registra infatti una crescita degli occupati, a fronte di una diminuzione di disoccupati e inattivi. La crescita dell’occupazione (+0,2%, pari a +34mila unità) coinvolge gli uomini, i dipendenti a termine, gli autonomi e tutte le classi d’età ad eccezione dei 35-49enni che, invece, diminuiscono, così come le donne e i dipendenti permanenti. Il tasso di occupazione sale al 56,6% (+0,1 punti). Dal quadro statistico che abbiamo sintetizzato emerge che il rischio maggiore di espulsione o marginalizzazione dal mercato del lavoro riguarda sicuramente le c.d. fasce deboli ossia i giovani, in particolare i Neet, le donne e i disoccupati di lunga durata. Nel 2020 in Italia sono aumentati i Neet, i giovani che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in un percorso formativo e la maggior parte sono ragazze o giovani donne. Ambiti del mercato del lavoro che hanno trovato impiego in quei servizi di prossimità colpiti fortemente dal distanziamento fisico necessario per ridurre gli effetti della pandemia. È necessario quindi chiedersi: quali saranno le conseguenze per le giovani donne Neet, doppiamente “svantaggiate”, in quanto donne e giovani? quali strumenti di politica attiva possiamo mettere in campo per cogliere sin da subito gli effetti della ripresa che già si manifesta nel secondo trimestre 2021? Vi è il rischio concreto di vedere peggiorare il dato degli inattivi e dei disoccupati di lungo periodo, essendo colpiti soggetti fragili a bassa occupabilità e non facilmente riqualificabili. Le transizioni in atto come quella digitale e quella ecologica, accelerate dalla pandemia Covid potrebbero rendere più gravi gli effetti già pesanti dell’impatto occupazionale e quindi spingere le imprese a trattenere i lavoratori “più forti”, con maggiori competenze, e a lasciare per strada quelli low skilled (spesso giovani e donne). È necessario e doveroso “fare sistema”. Mettere in atto strategie in grado di valorizzare tutti gli attori, pubblici e privati in grado di supportare il mercato del lavoro e la nuova imprenditorialità. Le nuove politiche attive dovranno ragionare in ottica di sistema tra i diversi attori, centri per l’impiego, agenzie per il lavoro, enti ed organismi di formazione. Bisognerà avere più cura per la buona formazione e dovremo imparare sempre di più a leggere e ad utilizzare i dati integrando e facendo interagire le banche dati esistenti per creare strumenti digitali di mappatura delle competenze in grado di porre le basi per una valorizzazione dell’orientamento. Per far questo occorre mobilitare più soggetti e più strumenti per affrontare un mercato del lavoro polarizzato, tra soggetti forti e soggetti deboli, tra garantiti e meno, con i tradizionali divari (3G): geografici, generazionali e di genere. Occorre rivedere le misure di politica passiva come il reddito di cittadinanza che sta intrappolando molti giovani e lavoratori in sussidi che non possiamo mantenere a lungo e che certamente renderebbero ancora meno occupabili gli attuali beneficiari di tali misure. Abbiamo inoltre giacimenti di sottoccupazione giovanile e femminile ai quali attingere; soggetti fragili che vanno rafforzati e non trasformarti in soggetti dipendenti. Il progetto Yes I Start Up donne e disoccupati cerca di affrontare un pezzo del problema offrendo ad un target fragile, ma orientato alla flessibilità, la possibilità di mettersi in proprio, fornendo una consulenza orientamento e le conoscenze per poter effettuare scelte consapevoli e responsabili come quella di avviare un’attività. Il coinvolgimento degli enti di formazione come enti attuatori si rivela efficace, in quanto soggetti “prossimi” alla offerta di personale e attenti conoscitori dell’economia locale. L’esperienza YISU conferma ancora una volta come i servizi per l’occupazione e per l’occupabilità non possono essere assicurati solo dai CPI, ma da una pluralità di soggetti (come gli enti di formazione) che per la funzione che svolgono sono più efficaci ed efficienti. Andrebbero però responsabilizzati coinvolgendoli in piani locali, regionali e nazionali e valutandoli, soprattutto in caso di formazione finanziata, rispetto all’efficacia dell’intervento. Abbiamo davanti un ritardo storico nella formazione al quale si aggiungono le sfide derivanti dalla crisi e dalle transizioni in corso. Con oltre 30 mld di euro previsti nel PNRR al capitolo Education la formazione sarà la leva per la ripresa dei prossimi anni. La necessità è quella di elevare le conoscenze e competenze anche nell’uso delle nuove tecnologie, ancora inadeguate. Il dato del ritardo italiano sono noti: in Italia circa 13 mln di adulti possiede un livello di istruzione basso (equivalente alla terza media); e più di un adulto su due (tra il 53-59% dei 25-64 anni) è potenzialmente bisognoso di riqualificazione per via di competenze obsolete o che lo diverranno a breve, a causa dell’innovazione e del cambiamento tecnologico in atto. È utile concludere questo articolo ricordando le recenti considerazioni del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, che ha evidenziato l’urgenza di attrezzare ed erogare una formazione di qualità, il presupposto necessario per trovare lavoro e per mettersi in proprio. Da una formazione adeguata, infatti, dipende la possibilità per le imprese di far leva su lavoratori e dirigenti qualificati. Ci sarà una ripresa economica importante dopo il crollo causato dalla pandemia Covid, ma il livello di occupazione dipenderà dalla qualità del capitale umano. La resilienza e la capacità di competere sul mercato delle nostre PMI dipenderà dalle competenze e conoscenze che riusciremo a fornire. Una sfida questa anche per il progetto Yes I Start Up donne e disoccupati. 1 Fonte Istat-Rapporto sulla competitività dei settori produttivi aprile 2021