MICROCREDITO RURALE: SEMINARE TRASFORMAZIONE NELLE AREE RURALI
MICROCREDITO RURALE: SEMINARE TRASFORMAZIONE NELLE AREE RURALI
Progettare interventi di microfinanza per chi opera in aree rurali e svantaggiate vuol dire seminare una concreta possibilità di cambiamento. Soprattutto in zone dalla marcata vocazione agricola non di rado oggetto di progressivo spopolamento come accade in diverse aree del Mezzogiorno.
La Calabria, da questo punto di vista, è una terra esemplare: a forte vocazione agricola, spesso tra gli ultimi posti tra le regioni europee a causa delle difficoltà connesse allo sviluppo territoriale, entra nel dopo-Covid arrancando. Dopo una fase di ripresa più generale che ha coinvolto l’intero Paese, la forbice del divario territoriale è tornata infatti ad allargarsi con un Mezzogiorno più in affanno. Qui due elementi in particolare rischiano di aumentare le disuguaglianze e il rischio povertà: la diffusione del lavoro povero - più diffuso qui che nel resto d’Italia - e l’onerosità del credito. Dai dati Bankitalia, infatti, è emersa la discrepanza tra i tassi praticati dal sistema bancario nelle diverse aree geografiche. Se nel Paese il tasso medio sulle nuove operazioni di finanziamento alle imprese è pari all’1,86%, in Calabria nel secondo semestre 2022 l’indice è arrivato al 3,3%, in risalita rispetto al periodo precedente. In breve, di fronte alle crisi molteplici della nostra epoca, i cittadini calabresi faticano un po’ più degli altri anche quando decidono di fare impresa. Eppure proprio questa è la patria di una storia di successo nell’ambito del microcredito rurale. A dimostrazione che lo strumento funziona come driver di trasformazione e progresso, materiale e immateriale. Ma andiamo per gradi.
L’attuale contesto nazionale, e meridionale in particolare, ha fame di strumenti finanziari innovativi, pensati e progettati per facilitare fenomeni nascenti. Un trend contemporaneo può fornire un concreto esempio per esplorare il tema: è il caso del contrasto allo spopolamento e alla desertificazione demografica attraverso la restanza. Si tratta della volontà crescente di mettere radici o di ritornare nei luoghi di origine anche se il lavoro non c’è. Qui un mestiere non va cercato, come altrove, va inventato. Secondo la ricerca su ambizioni e progetti di chi vuole rimanere realizzata dall’Associazione Riabitare l’Italia, due giovani su tre preferiscono restare nonostante le note difficoltà. Il fenomeno in tante zone del Paese assume un significato ancora più potente come ha scritto l’antropologo calabrese Vito Teti: “Restanza - ha spiegato nell’omonimo libro - significa sentirsi ancorati e insieme spaesati in un luogo da proteggere e al contempo da rigenerare”. Ecco il punto chiave: non si resta per lasciare tutto com’è, si resta per cambiare. E la domanda di cambiamento va sostenuta: a questo serve il microcredito, incontrando desideri personali e vocazioni locali, come quella agricola. Forse lo strumento può funzionare da catalizzatore di energie nuove laddove esperienze di smart working o south working, tanto menzionati nei mesi recenti, hanno fallito.
In un contesto di contrasto alla desertificazione demografica, quindi, assumono rilevanza strategica le misure volte a facilitare la nascita di nuove imprese e a promuovere la cultura dell’auto-impresa. Anche nei contesti rurali e con riferimento alle startup agricole. Certo, in questo caso non parliamo di grandi imprese ma di attività economiche diffuse ma non per questo meno innovative. I dati ISTAT sull’evoluzione del comparto, aggiornati lo scorso anno, sono chiari. Secondo il Settimo Censimento generale dell’Agricoltura a livello nazionale continua a prevalere l’azienda agricola familiare, diffusa nel 93,5% dei casi. Nonostante l’elevata e diffusa frammentazione produttiva ISTAT individua un dato particolarmente promettente. Le aziende agricole guidate dai giovani incarnano un nuovo modo di pensare e fare agricoltura profondamente diverso. Spesso, infatti, si tratta di imprese informatizzate e multifunzionali con l’apertura di agriturismi, ad esempio, o la produzione di energia da fonti rinnovabili. Non solo, l’innovazione agricola passa anche per il genere. Se infatti a livello generale l’agricoltura, secondo il Censimento, occupa sempre meno donne, è anche vero che sono in aumento le manager e le imprenditrici: il coinvolgimento femminile sta evolvendo, segno di un’agricoltura che cambia e diventa avanzata. Non solo sul piano tecnologico ma anche culturale.
In questo contesto, è evidente: l’impatto del microcredito rurale può essere cruciale perché incrocia tendenze in atto e mutamenti in corso. Non solo l’auto-impresa può diventare strumento per la rigenerazione di luoghi altrimenti votati allo spopolamento ma nel caso dell’agricoltura può sostenere una trasformazione più profonda con il coinvolgimento di giovani, portatori di innovazione in un settore tradizionalmente più resistente alla digitalizzazione, e delle donne, nuove imprenditrici agricole. La trasformazione, insomma, passa anche dai nostri campi ma dobbiamo creare le condizioni affinché il seme germogli. Il microcredito rurale è, infatti, ancora giovane. Va curato e alimentato.
Quella rurale è la forma di microcredito imprenditoriale dedicata dall’Ente Nazionale per il Microcredito alle microimprese agricole. Se in una prima fase l’accesso allo strumento è stato possibile solo attraverso la Garanzia ISMEA, dalla scorsa primavera il Fondo di Garanzia per le PMI ha allargato la platea di fruitori anche al settore agricolo. La nascita dello strumento ha, in un certo senso, aperto una strada pionieristica intervendo in un settore dove nel tempo si sono sommate progressive difficoltà per l’accesso al circuito del credito bancario. Come hanno spiegato i ricercatori Davide D’Angelo e Saverio Senni del Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura dell’Università della Tuscia, il profilo del credito agricolo è cambiato radicalmente nel tempo. In passato, infatti, il credito nel settore è stato regolato da norme particolari che hanno agevolato l’accesso agli investimenti. Già intorno agli anni 2000, però, le trasformazioni normative hanno via via normalizzato il regime speciale di cui l’agricoltura ha goduto con il risultato di restituire rilevanza alle garanzie da offrire alle banche.
Molte aziende agricole si sono così trovate nella condizione di non poter soddisfare i requisiti richiesti per tutta una serie di ragioni tra cui il basso grado di patrimonializzazione delle imprese e una diffusa tendenza a confondere patrimonio aziendale con quello personale, soprattutto nelle imprese familiari dove spesso il bilancio risente del trasferimento di risorse dall’azienda alla famiglia che la conduce. La conseguenza, negli anni, per molte organizzazioni è stata quella di disporre di scarse e imprecise informazioni con il risultato che le banche hanno cominciato a ritenere rischiose le imprese agricole e a concedere meno prestiti se non a tassi di interesse elevati, insostenibili per le piccole e medie imprese agricole. Si è generato così un processo di esclusione finanziaria che ha tenuto ai margini del circuito creditizio interi segmenti del settore.
Ricostruire la storia del credito agricolo è fondamentale per comprendere la rilevanza, oggi, del microcredito come strumento di profonda trasformazione dell’impresa rurale. Il potenziale impatto del microcredito è di natura finanziaria, ovviamente, ma anche culturale: permette la diffusione di competenze, facilita l’evoluzione delle imprese con la nascita di startup agricole, può ridisegnare nel profondo il panorama economico rurale. Nel caso delle giovani aziende il potenziale trasformativo è evidente. Le imprese guidate dagli under 35, infatti, sono spesso portatrici di innovazione non solo per gli strumenti tecnologici che adottano ma per le idee imprenditoriali che propongono in un’ottica di diversificazione e, come confermano i dati ISTAT, di multifunzionalità. Il microcredito presenta caratteristiche adatte allo scopo: assenza di garanzie reali, assistenza tecnica, flessibilità. Non solo. Come hanno spiegato D’Angelo e Senni dell’Università della Tuscia, lo schema generale del microcredito fondato su un sistema di garanzie pubbliche a supporto della concessione di prestiti da parte di operatori privati, consolida l’evoluzione virtuosa del partenariato pubblico-privato. Il pubblico eroga meno aiuti diretti e punta al ruolo di piattaforma abilitante e di supporto all’azione dei privati. Gli operatori privati che erogano il microcredito e a cui rimane l’onere della sostenibilità economica delle attività possono valutare meglio i potenziali beneficiari del microcredito.
Oltre alle riflessioni e ai numeri, però, c’è di più.
Ci sono le storie di microcredito che mostrano come, nel concreto, lo strumento finanziario rappresenti una efficace porta di ingresso all’evoluzione aziendale, su più fronti: accesso al credito, acquisizione di know-how, introduzione di strumenti innovativi. Può persino contrastare la polverizzazione del tessuto imprenditoriale agricolo e favorire l’aggregazione tra più aziende. Lo dimostra il progetto realizzato dal Consorzio Jintao in Calabria.
Qui, come ricordato, il contesto non è semplice. Nonostante, però, il fenomeno dell’abbandono delle terre continui ad essere significativo, con un aumento connesso del rischio idrogeologico, la vocazione agricola regionale resta oggi solida. Come ha spiegato l’Associazione di Studi e Ricerche di Economia e Politica Agraria Alessandro Bartola, l’agricoltura nelle aree interne calabresi svolge ancora un ruolo cruciale. Il livello del reddito per occupato, leggermente superiore al reddito medio imponibile che in queste aree si aggira intorno ai 13.300 euro, resta uno scudo allo spopolamento rurale e garantisce alle famiglie coltivatrici l’autonomia e il sostentamento economico. In Calabria, inoltre, nonostante il numero complessivo delle aziende agricole sia in calo - ISTAT ha censito nel 2020 95.538 aziende e ha rilevato una diminuzione del 30,7% sul censimento precedente - la superficie agricola totale è in leggero in aumento con un + 2% rispetto a dieci anni fa.
Un contesto non facile, quindi, dove però il microcredito rurale ha messo radici anche grazie alla lungimiranza di Consolato Caccamo, referente regionale de La Buona Frutta tra le sorelle del Consorzio JinGold con l’esclusiva mondiale per la produzione e la commercializzazione dell’omonima varietà di kiwi a polpa gialla. Caccamo, giovane business Angel con una esperienza di studio e lavoro a Milano, ha raccolto la sfida di tornare in Calabria per implementare strumenti innovativi per l’agricoltura regionale. In particolare ha individuato nel microcredito rurale lo strumento più adatto per facilitare la trasformazione produttiva che stava prendendo già piede nella Piana di Rosarno. Qui, infatti, diversi piccoli produttori avevano iniziato il processo di estirpazione degli alberi di agrumi la cui qualità era poco remunerata sul mercato per sostituirli con la produzione di kiwi e, negli ultimi tempi, dei kiwi a pasta gialla Jintao.
Grazie alla forza dell’unione consortile e al supporto dell’Ente Nazionale per il Microcredito che in quest’area, tra le altre, ha recentemente siglato una convenzione con la BCC Calabria Ulteriore, i piccoli produttori con poche decine di ettari di terreno hanno ritrovato posizionamento sul mercato e allo stesso tempo hanno aumentato il proprio Know-how imprenditoriale e sono riusciti a razionalizzare i costi di produzione e commercializzazione. Il microcredito rurale è così diventato vettore di evoluzione per l’agricoltura locale e portatore di concrete nuove opportunità per i giovani agricoltori locali. Santo La Rosa, ad esempio, che nel 2022 ha deciso di avviare la propria azienda agricola aderendo al Consorzio e che grazie al microcredito ha potuto convertire due ettari di terreno per la coltura di kiwi gold e bio ad alto rendimento. “Ho potuto realizzare il sogno di portare avanti l’azienda di famiglia trasformandola in un’impresa più sostenibile e redditizia”, ha spiegato.
La restanza non è romanticismo, è economia viva per le aree più complesse. Si facilita così: con una buona idea e gli strumenti finanziari più adatti.