Economia e lavoro: l’Enciclica Fratelli tutti … e non solo
Economia e lavoro: l’Enciclica Fratelli tutti … e non solo
S.E. Mons. Nunzio Galantino - Presidente Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica
Premessa
Voglio anzitutto dar ragione dell’ultima parte del titolo. Oltre all’oggetto (Economia e Lavoro) e al riferimento alla Lettera Enciclica Fratelli tutti, è stato aggiunto quel “…e non solo”.
Ho voluto aggiungerlo perché di Economia, ma anche di finanza, e di lavoro non si parla solo nella Fratelli tutti (FT). Sono temi sui quali papa Francesco e la riflessione della Chiesa stanno tornando soprattutto in questi ultimi tempi. Direi addirittura in questi ultimi giorni. E io desidero mettere in comune con voi alcune intuizioni che purtroppo restano ai margini dei discorsi che comunemente si fanno sul lavoro, sull’economia e sulla finanza.
Quel “… e non solo” intende riferirsi quindi anche ad alcuni interventi occasionali, o pronunziati dal Papa in circostanze particolari.
Quel “… e non solo” fa riferimento anche all’Enciclica Laudato si’, soprattutto per quel che riguarda la definizione di Umanesimo integrale.
Quel “… e non solo” fa riferimento infine all’intero corpus della Dottrina sociale della Chiesa e alle feconde riflessioni che intorno ai temi dell’Economia, della finanza e del lavoro si vanno facendo strada all’interno di quel vero e proprio movimento – al quale aderiscono soprattutto giovani economisti - che va sotto il nome di “The Economy of Francesco”.
Senza Fraternità, ovvero il tradimento del trittico rivoluzionario
Rispetto quindi a miei precedenti interventi su temi analoghi, vorrei far tesoro di altri riferimenti, oltre alla comunque stimolante Enciclica Fratelli tutti.
Resa pubblica ad Assisi, il 3 ottobre 2020, in questa Enciclica il Papa entra in dialogo aperto e costruttivo con la tradizione di pensiero che si richiama al motto della Rivoluzione francese, del 1789: liberté, égalité, fraternité. Questo trittico «sintetizzava in una forma eccezionalmente efficace l’intero programma della modernità»1. Sappiamo però che l’ordine postrivoluzionario ha di fatto marginalizzato la fraternità dal lessico politico-economico, fino a cancellarla. È solo a partire dalla seconda metà del secolo scorso che ha ripreso vita un interesse attorno alla categoria fraternità nella riflessione giuridica, politica, economica ed anche filosofica. Quest’ultima soprattutto col contributo del filosofo francese E. Morin2.
«Che cosa accade – si chiede papa Francesco - senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia» (FT, 103).
Allo stesso modo, l’uguaglianza senza la fraternità rimane un valore astratto. Di fatto si indebolisce la dimensione comunitaria nella società umana. Il più forte s’impone e protegge i propri interessi a discapito dei più deboli e poveri. «In tal modo la politica diventa sempre più fragile di fronte ai poteri economici transnazionali che applicano il divide et impera» (ivi).
Assieme a questo modo di pensare e di fare (libertà senza fraternità e uguaglianza senza fraternità!) si fa strada un virus che, prima inganna, e poi distrugge. Facendo credere che bene comune e individualismo possano pacificamente convivere. Ma è evidente che se le scelte dei singoli sono animate soltanto dalla ricerca dell’interesse privato, il bene comune non solo non si costruisce, ma viene distrutto: i disastri ambientali, le ingiustizie sociali e gli squilibri economici tra nazioni sono lì a dimostrarcelo.
L’Enciclica Fratelli Tutti riprendendo quanto già espresso in Laudato si’ - rappresenta una forte e precisa critica al liberismo economico, quale proiezione dell’individualismo più radicale. Questo «non ci rende più liberi, più uguali, più fratelli. La mera somma degli interessi individuali non è in grado di generare un mondo migliore per tutta l’umanità» (FT, 105).
Il bene comune non è la sommatoria degli interessi dei singoli. Ci si ingannerebbe se pensassimo che «accumulando ambizioni e sicurezze individuali» si possa «costruire il bene comune» (ivi). Sono inaccettabili le ««visioni liberali individualistiche in cui la società è considerata una mera somma di interessi che coesistono» (FT, 163) e «il diritto di alcuni alla libertà di impresa e di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente» (FT, 122).
Si apre qui il grande tema della sostenibilità che, come ha ricordato papa Francesco, «è una parola a più dimensioni. Oltre a quella ambientale, ci sono infatti anche le dimensioni sociale, relazionale e spirituale»3.
Lavoro ed “economia di cura”4
Ho fatto cenno al tradimento consumato nei confronti del trittico rivoluzionario. Il posto riservato all’economia e al lavoro e il modo di intenderli risentono fortemente delle storture provocate dall’averlo privato, col tempo, della forza che gli derivava dall’aver messo a fondamento la fraternità. Quella fraternità che papa Francesco ci invita a rimettere al centro. In maniera consapevole e coraggiosa. Fino a farla diventare la rete sulla quale poggia una nuova economia e, con essa, un lavoro rispettoso della dignità della persona.
Il 21 Ottobre scorso, incontrando i partecipanti al 27° Congresso Mondiale dell’UNIAPAC5, papa Francesco ha detto: «Non c’è dubbio che il nostro mondo abbia urgente bisogno di una economia diversa, quella che fa vivere e non uccide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda. […]: É dovere di solidarietà e di giustizia, ma è anche la via migliore per far progredire l’intera umanità»6. E, vero progresso dell’umanità è solo quello che garantisce la dignità di ogni uomo. Per questo il Papa continua: «siamo chiamati a dare priorità nella nostra risposta ai lavoratori che si trovano ai margini del mercato del lavoro, [...] i lavoratori poco qualificati, i lavoratori a giornata, quelli del settore informale, i lavoratori migranti e rifugiati, quanti svolgono quello che si è soliti denominare “il lavoro delle tre dimensioni”: pericoloso, sporco e degradante, e l’elenco potrebbe andare avanti».
«Il lavoro dev’essere inteso e rispettato come un processo che va ben oltre lo scambio commerciale tra datore di lavoro e dipendente.
Tale lavoro dovrebbe essere ben integrato in una economia di cura. «La cura può essere intesa come prendersi cura delle persone e della natura, offrendo prodotti e servizi per la crescita del bene comune. Un’economia che ha cura del lavoro, creando opportunità di impiego che non sfruttano il lavoratore attraverso condizioni di lavoro degradanti e orari estenuanti». Qui non ci riferiamo solo al lavoro legato all’assistenza. «La cura va oltre, deve essere una dimensione di ogni lavoro. Un lavoro che non si prende cura, che distrugge la creazione, che mette in pericolo la sopravvivenza delle generazioni future, non è rispettoso della dignità dei lavoratori e non si può considerare dignitoso. Al contrario, un lavoro che si prende cura contribuisce al ripristino della piena dignità umana, contribuirà ad assicurare un futuro sostenibile alle generazioni future. E in questa dimensione della cura rientrano, in primo luogo, i lavoratori».
Lavoro, giovani e formazione
A questo proposito, faccio mia l’osservazione con la quale Bruno Bignami introduceva, nel 2020, un suo articolo su L’Osservatore Romano7.
“Ai lettori attenti dell’enciclica Fratelli tutti – scriveva l’attuale Direttore della Pastorale sociale e del lavoro della CEI - non dev’essere sfuggito il numero 162 dedicato al lavoro. È una sintesi della riflessione cristiana sul tema del lavoro, che mette a fuoco la centralità della persona. Ricordando che il riconoscimento della dignità umana passa dalla promozione del lavoro e dalla capacità di una società a educare le giovani generazioni alla professione. Aggiunge Papa Francesco: «In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo».
Se tutto ciò è vero, affrontare la crisi lavorativa significa farsi carico seriamente della formazione dei giovani. […] Questi rischiano di vedere bloccato il lavoro nel presente, e di portare un domani il peso di un indebitamento senza precedenti. Il loro futuro appare ipotecato. Proprio l’incertezza dell’oggi richiede un investimento coraggioso sui giovani e sulla formazione al lavoro. Si sa, il tema dei giovani è una delle ferite aperte della società italiana: la loro fuga dalle aree interne e marginali del Paese in cerca di fortuna altrove rappresenta un dato che dovrebbe allarmare. Al contrario, viene guardato con rassegnazione, quasi non ci sia nulla da fare e che sia qualcosa di più grande di noi. Siamo schiacciati e non possiamo che osservare! D’altro canto, un investimento massiccio nella formazione porterebbe ad abitare il nostro tempo con stile innovativo. Il futuro lo si prepara progettando nel presente. Siccome il mondo del lavoro è in continua trasformazione, stare dentro ai cambiamenti in corso significa darsi le competenze necessarie per potersi mettere in gioco. La formazione in genere, e quella professionale in particolare, è chiamata a rispondere a questa esigenza. Rappresenta il tentativo di consegnare le chiavi in mano per aprire le porte al lavoro secondo le esigenze dei tempi, senza paure di sentirsi out, ossia fuori dal tempo e dal mondo”.
Un mondo al quale sembra interessi davvero poco sintonizzarsi con queste esigenze. Basta fermarsi a considerare lo spazio riservato – meglio dire, non riservato – alle urgenze alle quali ho appena fatto riferimento. Si tratta di urgenze che continueranno a rimanere ai margini finché non si farà qualcosa per uscire dal cerchio composto da «quelli che usano e ingannano la società per prosciugarla e da quelli che pensano di mantenere la purezza nella loro funzione critica, ma nello stesso tempo vivono di quel sistema e delle sue risorse». (FT 75). È quello che avviene, senza troppi giri di parole nella - ahimé! - diffusa finanza speculativa.
Per uscire da questo cerchio perverso è evidente che bisogna rimettere al centro la persona, con le sue storie, aspirazioni ed esperienze. E farlo con consapevolezza. «La consapevolezza è oggi una parola chiave, scrive G. Melandri in un saggio da poco pubblicato. Gli anni Venti del Duemila sono iniziati con due parole: una, sconosciuta, è Covid e l’altra, almeno in Europa, pensavamo fosse superata da tempo (anche se a ben vedere la crisi degli anni ’90 nei Balcani fu atroce) ed è guerra. Due parole e un minimo comune denominatore: la paura. Ecco perché abbiamo il dovere di costruire uno spazio di ricerca, di speranza. Un laboratorio di futuro. E la consapevolezza aumentata è l’inizio della strada»8. Una strada che ormai e per fortuna si sta cercando di battere.
Solo pochi giorni fa, ho partecipato al Forum sulla sostenibilità, organizzato dal Sole 24 Ore9. Da più parti si è detto e si è dimostrato con la presentazione di start up riuscite e, per questo premiate, che può esserci una economia e una finanza che accettano di misurare le proprie pratiche con la sostenibilità e con le reali necessità del territorio e di quanti lo abitano, con volti e storie concreti. Il Forum del 26 Ottobre ci ha detto che può esserci una finanza che non esclude dai suoi algoritmi i volti e le storie - belle o dolorose che siano! – che riempiono le nostre strade.
Finché la finanza, però, manterrà anzi allargherà la sua distanza dall’economia reale, i sogni e i desideri di futuro apparterranno solo a pochi e sempre agli stessi.
Alla maggior parte dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze, dalla tavola della finanza speculativa, cadono solo briciole. E, talvolta, si tratta di briciole indigeste, se non avvelenate!
Il ritorno della politica
Per restituire centralità alle persone nell’economia e nel mercato e creare le condizioni per un accesso credibile al lavoro, non è sufficiente «far crescere (…) una spiritualità della fraternità». É necessaria «un’organizzazione mondiale più efficiente» (FT, 165) che esprima questa centralità: «Per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, - afferma nella Fratelli tutti - è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso» (FT, 154).
In continuità con quanto già affermato nella Laudato si’ (nn.177 e 179), il Papa ricorda che le gravi carenze strutturali di cui soffre la società mondiale «non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti […]. Un’economia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune può aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo» (FT, 179)10.
L’impegno a favore della solidarietà economica, finanziaria e sociale comporta quindi molto di più che impegnarsi in sporadici atti di generosità. C’è piuttosto la necessita di «pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione di beni da parte di alcuni. Bisogna crederci di più e lottare contro le cause strutturali della povertà, della disuguaglianza, della mancanza di lavoro, della terra e della casa, e della negazione dei diritti sociali e lavorativi... [Perché] La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia» (FT, 116). È questione di civiltà, scrivevo qualche giorno fa (6 novembre 2022) sul Sole 24 Ore. Al di là infatti delle differenze che, per ovvii motivi, spingono a riconoscere l’esistenza di più civiltà, l’elemento che tutte le civiltà rendono palese è la necessità per ogni uomo di allearsi con altri, e con altri definire le condizioni migliori di vita per tutti. Sicché, le disuguaglianze e la negazione dei diritti umani (per esempio: accoglienza, protezione, promozione e integrazione), ovunque si consumino, sono segni di negata civiltà.
NOTE
1 A.M. Baggio, Introduzione. La fraternità come categoria politica, in Id (a cura di), Caino e i suoi fratelli. Il fondamento relazionale nella politica e nel diritto, Città Nuova, Roma 2012, 8.
2 Per E. Morin, la fraternità è «mezzo per resistere alla crudeltà del mondo» (Il metodo. La vita della vita, Raffaello Cortina, Milano 2001).
3 FRANCESCO, in occasione dell’evento “ECONOMY OF FRANCESCO”, ASSISI, Sabato, 24 settembre 2022.
4 Tale lavoro dovrebbe essere ben integrato in una economia di cura. «La cura può essere intesa come prendersi cura delle persone e della natura, offrendo prodotti e servizi per la crescita del bene comune. Un’economia che ha cura del lavoro, creando opportunità di impiego che non sfruttano il lavoratore attraverso condizioni di lavoro degradanti e orari estenuanti». [5] Qui non ci riferiamo solo al lavoro legato all’assistenza. «La cura va oltre, deve essere una dimensione di ogni lavoro. Un lavoro che non si prende cura, che distrugge la creazione, che mette in pericolo la sopravvivenza delle generazioni future, non è rispettoso della dignità dei lavoratori e non si può considerare dignitoso. Al contrario, un lavoro che si prende cura contribuisce al ripristino della piena dignità umana, contribuirà ad assicurare un futuro sostenibile alle generazioni future. E in questa dimensione della cura rientrano, in primo luogo, i lavoratori». (FRANCESCO. Ai partecipanti al Congresso UNIAPAC TERNATIONAL, 21 ottobre 2022).
5 L’International Christian Union of Business Executives (UNIAPAC) è un’organizzazione ecumenica per uomini d’affari cristiani.
6 FRANCESCO. Ai partecipanti al Congresso UNIAPAC TERNATIONAL, 21 ottobre 2022
7 B. BIGNAMI, “Giovani e lavoro: priorità la formazione””, in L’Osservatore Romano del 7 Novembre 2020
8 I. GUANZINI – G. MELANDRI, Come ripartire, il melangolo, Genova 2022, p. 49.
9 C. MARRONE, “Galantino: il sistema finanziario sostenga il mondo produttivo”, Il Sole 24 Ore, p. 23.
10 La crisi finanziaria del 2007-2008 (cfr.LS 189 e FT170), non solo ha svelato che la globalizzazione del sistema finanziario - con la conseguente volatilità e mobilità dei capitali - permette, a chi ne dispone, di operare agevolmente al di là di ogni norma che non sia quella di un profitto immediato (anche con condotte immorali), ma ha anche messo in luce l’incapacità dei mercati sia a «produrre quei presupposti che ne consentono il regolare svolgimento (coesione sociale, onestà, fiducia, sicurezza, leggi…)» sia di «correggere quegli effetti e quelle esternalità che risultano nocivi alla società umana (disuguaglianze, asimmetrie, degrado ambientale, insicurezza sociale, frodi…)» [Congregazione per la dottrina della fede – Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, Oeconomicae et pecuniariae questiones, n.13 (6 gennaio 2018)].