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PUNTO DI VISTA PRIVILEGIATO SUL DIBATTITO ESG. INTERVISTA ALL’EURODEPUTATA PATRIZIA TOIA

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    Mercoledì, 03 Maggio 2023
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    Numero 45 | OPINIONI

PUNTO DI VISTA PRIVILEGIATO SUL DIBATTITO ESG. INTERVISTA ALL’EURODEPUTATA PATRIZIA TOIA

Tiziana Lang, esperta di politiche del mercato del lavoro

La proposta di revisione della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa al dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità è stata esaminata da diverse commissioni del PE. Se non si giungerà a un testo condiviso per il prosieguo del negoziato, si dovrà ricorrere al voto in plenaria? Quando e quale sarà la posizione del suo gruppo in questo caso?

Confermo che al momento sono in corso intensi negoziati tra i gruppi politici nella Commissione competente per merito, ossia la Commissione Giuridica (JURI, nel nostro gergo parlamentare). Infatti, mentre si è concluso il lavoro di esame della direttiva presso le altre commissioni associate per parere (io sono stata relatrice ombra per il mio gruppo in Commissione Industria), l’onere-onore di portare in votazione un testo quanto più condiviso possibile è adesso in capo alla JURI, o meglio alla relatrice del provvedimento, la collega socialista olandese Lara Wolters. Proprio per il lavoro svolto in Commissione Industria, sono pienamente consapevole di quanto possa essere complicato trovare un terreno comune tra forze politiche che hanno visioni a tratti diametralmente opposte su questo specifico fascicolo.

C’è anche da dire che quasi ogni dossier legislativo che trattiamo qui in Parlamento ha il suo livello di difficoltà intrinseco, ma questo molto raramente impedisce l’adozione di un atto. La forza del processo legislativo europeo, al netto delle critiche spesso troppo ingiuste, è proprio la capacità di raggiungere compromessi, step by step, con un approccio che deve poter tener conto anche della grande pluralità dei portatori di interesse coinvolti. È vero, pertanto, che i negoziati sui compromessi possono essere lunghi ed estenuanti, ma è la migliore garanzia affinché l’approvazione dei testi non subisca “sabotaggi” o ritorsioni politiche nelle fasi successive, spesso ancor più complicate, del negoziato inter-istituzionale (il cosiddetto trilogo).

Per ritornare alle domande: considerando l’approssimarsi delle elezioni europee, è interesse dei co-legislatori di finalizzare un accordo di trilogo entro i primi mesi del prossimo anno. Data questa premessa, è probabile che la Plenaria sarà chiamata ad esprimersi sul mandato negoziale prima della pausa estiva, se si vuole lasciare il giusto spazio ai negoziati con il Consiglio tra autunno e inverno prossimi. Calendario alla mano, se la relatrice e i relatori ombra procedono spediti con il voto in JURI già questo mese, potrebbe essere inserito all’ordine del giorno di una delle due sessioni plenarie di maggio; altrimenti alla prima occasione utile tra giugno e luglio.

Ovviamente, questo è un calcolo che non può tener conto di eventuali posticipi, ritardi o fattori imprevedibili che sono insiti in qualunque tipo di negoziato. Il calendario subirà dunque un’accelerata solo se i gruppi politici si sintonizzano su un percorso condiviso, altrimenti occorrerà più tempo per dirimere le divergenze.

Il mio gruppo considera questa direttiva una priorità. L’approccio della relatrice Wolters è stato sicuramente molto inclusivo e molto chiaro sugli obiettivi che come socialisti e democratici vogliamo contribuire a definire. S&D è sicuramente la forza politica che più premerà per avviare i triloghi quanto prima, in modo tale da adottare formalmente l’atto legislativo entro la primavera 2024.

Che tipo di effetti diretti e indiretti sulle piccole e medie imprese potrebbe avere l’obbligo di verifica e assicurazione del rispetto degli obiettivi ESG in tutta la catena di fornitura globale? E sulle imprese delle filiere produttive nazionali che spesso sono di piccole e micro-dimensioni (immaginiamo gli indotti automotive, o la produzione agricola, o dei presidi medici, ecc.)?

Il marchio distintivo di questa legislatura, al netto di tutte le crisi che abbiamo vissuto, è sicuramente il Green Deal. Per la prima volta ci siamo posti l’obiettivo legalmente vincolante di raggiungere come continente la neutralità climatica nei prossimi trent’anni, con target intermedi al 2030 molto ambiziosi. Questo richiede uno sforzo immane delle amministrazioni pubbliche, certamente, che devono implementare tutta una serie di misure abilitanti a questo scopo, ma anche del settore privato e dell’industria, che sono parti in causa di questo cambiamento epocale che chiamiamo transizione verde. Dunque, è indubbio che ognuno debba fare la propria parte, specie quella fetta di imprenditoria che dipende da catene di approvvigionamento molto esposte a rischi ambientali, sociali o di rispetto dei diritti umani. Nessuno, quindi, potrebbe mai mettere in discussione la necessità di assicurarsi, per esempio, che nessun bambino venga sfruttato e reso in schiavitù per l’estrazione di metalli rari; che nessuna popolazione indigena subisca ritorsioni, minacce o espropri indebiti delle proprie terre; che nessuna attività umana possa deturpare o distruggere irrimediabilmente il patrimonio ambientale e di biodiversità di intere comunità che da esso dipendono, troppo spesso per la propria sopravvivenza.

Certamente, però, occorre applicare un criterio di proporzionalità che rispecchi le effettive capacità delle singole imprese in questo esercizio. Una multinazionale con centinaia, se non migliaia di dipendenti avrà sicuramente un margine di manovra (e di bilancio) molto più elevato di una piccola o media impresa la cui catena del valore è generalmente più circoscritta. E infatti, stando alla proposta legislativa adottata dalla Commissione, gli obblighi di due diligence non si applicherebbero a queste entità, ma è pur vero che le PMI sono inserite nel sistema delle catene di approvvigionamento delle aziende più grandi. A queste realtà non può pertanto mancare in alcun modo tutto il supporto tecnico, amministrativo e finanziario possibile, e questa è la linea che ho tenuto durante i negoziati in Commissione Industria. Se vogliamo imporre degli obblighi stringenti, non possiamo farlo con un aggravio indebito sulle spalle di chi faticherebbe a sostenerlo.

Conoscendo le posizioni dei vari gruppi politici, sono quasi sicura che si arriverà a un compromesso che terrà conto di queste istanze, magari rimodulando qualche parametro del campo di applicazione. Personalmente, mi auguro che venga prevista un’esenzione mirata almeno per le micro-imprese, senza però snaturare il fondamento logico della direttiva, cosi come avevo proposto con un mio emendamento in Commissione Industria qualche mese fa.

Non è un segreto che è su questo punto che si gioca gran parte dello scontro politico in atto, agitato però da alcune forze che, per bieca convenienza politica, stanno facendo mancare il supporto iniziale alle politiche del Green Deal, forse spinte da tornaconti elettoralistici in vista delle prossime elezioni. Lo abbiamo visto di recente sull’approvazione del regolamento CO2 per le automobili e la direttiva sull’efficienza energetica degli edifici; lo vedremo sicuramente a breve quando dovremo ratificare gli accordi su CBAM e ETS, o votare sui nuovi provvedimenti per l’industria green tech o per l’approvvigionamento di terre rare.

In quest’ultimo sprint di legislatura, quello che occorre è un buon mix di ambizione, pragmatismo, serietà e responsabilità da parte di tutte le istituzioni europee e i governi nazionali.

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