SOSTENERE LE IDEE E REALIZZARE I SOGNI: IL RUOLO DEI TUTOR NELLA CRESCITA IMPRENDITORIALE
SOSTENERE LE IDEE E REALIZZARE I SOGNI: IL RUOLO DEI TUTOR NELLA CRESCITA IMPRENDITORIALE
IN QUESTO SPECIALE ABBIAMO VOLUTO RACCONTARE CHI SONO E COME OPERANO I TUTOR ENM
Di Zaira Monti Natale
Nel contesto economico attuale, ci sono persone che desiderano realizzare i propri sogni imprenditoriali, ma si trovano di fronte a ostacoli finanziari che sembrano insormontabili: immaginiamo un giovane programmatore che vuole creare una start-up tecnologica, ma non possiede beni o proprietà da utilizzare come garanzia per ottenere finanziamenti tradizionali e, nonostante le competenze tecniche eccellenti, si trova a dover affrontare difficoltà nell’accedere ai fondi necessari per avviare l’attività. O magari pensiamo a un immigrato arrivato nel nostro Paese che ha una grande passione per la ristorazione e desidera aprire un ristorante con cucina tradizionale del suo Paese d’origine, ma non dispone di risorse finanziarie adeguate, né di una rete di supporto per accedere ai finanziamenti necessari.
Ecco dove entra in gioco il tutor, un libero professionista che, dopo aver risposto al bando all’Ente Nazionale per il Microcredito e aver completato la formazione, superata la prova valutativa, si iscrive all’elenco nazionale obbligatorio e svolge un ruolo chiave nell’accompagnare questi aspiranti imprenditori passo dopo passo nel loro percorso imprenditoriale.
Il tutor diventa una guida affidabile, fornendo supporto e consulenza per aiutare i progetti imprenditoriali a prendere forma e a svilupparsi: attraverso il loro sostegno e la loro competenza, aiutano a sbloccare il potenziale di questi imprenditori, dimostrando che il desiderio di mettersi in gioco può superare le barriere finanziarie e aprire la strada verso il successo imprenditoriale.
Ecco le loro storie:
DENISE CAPPAI
Come si chiama, qual è il suo background e perché ha deciso di diventare tutor?
Mi chiamo Denise Cappai e il mio percorso di studi è prettamente economico: ho studiato ragioneria, poi all’università ho preso Economia Aziendale e in seguito ho proseguito con i tre anni per l’abilitazione, dando l’esame di Stato sia da Commercialista che da Revisore.
Dopo l’abilitazione mi sono ritrovata a lavorare con il mondo delle aziende che appunto necessitavano di una professionalità a 360° per quel che riguarda la gestione contabile fiscale, il controllo di gestione, saper leggere i documenti, il bilancio, fare budgeting, previsione.
Mi è capitato spesso che la stragrande maggioranza delle aziende avesse bisogno di finanziamenti e quindi lì mi sono trovata a scontrarmi molto spesso con le tempistiche lunghe delle banche, con le loro istruttorie lunghe e difficili, e spesso poi con esito negativo perché magari non conoscevano bene il cliente e quindi bastava un rating negativo per scartare la loro pratica.
Quindi tramite anche altri colleghi abbiamo visto il bando, il primo bando, ci siamo fatti coraggio, siamo andati a fare il corso a Roma, pensando così di poter “bypassare” queste istruttorie così farraginose per poi aiutare fondamentalmente le nostre aziende a stare in piedi perché se loro lavorano bene e guadagnano e stanno nel mercato, soprattutto nel momento in cui hanno bisogno di un finanziamento, noi avremmo potuto supportarli in questo iter.
Abbiamo quindi fatto il corso e successivamente sostenuto l’esame e siamo stati inseriti in questo elenco, su una piattaforma in cui eravamo noi ad essere contattati dalle banche per poter valutare chi fosse meritevole e chi no: questo è stato un grosso aiuto soprattutto per alcune aziende che grazie al microcredito, soprattutto durante il covid, sono riuscite ad avere un po’ di liquidità, per riprendersi e ricominciare a lavorare.
Senza un finanziamento bancario molto spesso l’attività potrebbe essere bloccata quindi, oltre a fare controllo di gestione, volevamo anche aiutarli ad avere la liquidità che poi è la cosa più importante che un’azienda deve avere per andare avanti e per la continuità aziendale, quindi il motivo è stato fondamentalmente quello di aiutare le aziende!
Come si svolge il suo lavoro di tutor, quali sono gli step che segue per aiutare i beneficiari?
Innanzitutto il cliente mi chiede cosa può fare, a quale bando può partecipare o cosa può fare per avere liquidità: io gli propongo molto spesso i bandi a fondo perduto che però sono troppo restrittivi, troppo selettivi, hanno necessità di una rendicontazione troppo precisa, quindi vogliono qualcosa di snello, veloce ed easy e quindi io gli propongo lo strumento del microcredito.
Chiedo la documentazione necessaria affinché possa io stessa dare una valutazione positiva, mi faccio raccontare soprattutto il progetto, e se è un’azienda già attiva, mi faccio raccontare magari il perché del nuovo investimento e le motivazioni oppure se è un’azienda nuova chiedo cosa esattamente vogliono fare e poi valuto soprattutto la motivazione.
Faccio comunque il test per capire se sono persone motivate e serie, che non hanno precedenti, che non stanno facendo del tutto per coprire magari altre problematiche derivate da indebitamento.
Io stessa cerco di capire se è una richiesta solo ad uso esclusivo dell’attività o se si cela qualcosa: si capisce subito da come ti parlano, da come si relazionano; anche il questionario che andiamo a fare è abbastanza dettagliato e quindi anche lì si capiscono le intenzioni.
Devo dire che comunque non mi è mai capitato di avere situazioni ambigue, erano persone che conoscevo perché comunque io sono di Cagliari e qui ci conosciamo un po’ tutti, quindi si sa chi si ha di fronte e le intenzioni.
Procedo poi con tutta la documentazione, mi faccio descrivere la loro attività, poi la porto sul nostro modulo di istruttoria e invio il tutto alla banca e aspetto la decisione finale.
Quali sono i fattori che secondo lei determinano il successo di un progetto finanziato con il microcredito?
È importante che il soggetto interessato sia il primo a credere nella sua attività, magari con un piccolo capitale proprio da investire; è importante poi che l’idea sia buona e che sia stata fatta un’analisi di mercato attenta, che non sia una classica attività dove magari c’è già molta competizione e che si parta anche un po’ dal piccolo, nel senso che è inutile voler partire subito con un mega investimento.
Il mio consiglio è sempre di partire da un piccolo investimento e poi crescere, partire sempre con umiltà, con molta motivazione e determinazione, utilizzare bene le risorse solo per l’azienda ed essere motivati, credendo veramente in quello che si sta facendo.
Sembra semplice, ma non lo è, però devo dire che le pratiche che faccio vanno sempre a buon fine.
Quali sono i successi più significativi che ha visto nel suo lavoro, quelli di cui è più fiera?
Mi era piaciuto molto il caso di una ragazza molto giovane che lavorava come dipendente per una parafarmacia del nord Sardegna e la titolare voleva chiudere l’attività: lei, invece, si è armata di coraggio, mi ha chiesto se poteva rilevarla con un finanziamento, aveva i requisiti e i titoli per poterlo fare e abbiamo fatto questa acquisizione di azienda e ha continuato l’attività che già conosceva perfettamente.
Lei ora è felice e lavora tranquilla, la sua idea mi era piaciuta fin da subito, anche perché si trattava, in un certo senso, di un’acquisizione aziendale in cui il microcredito ci ha completamente tutelato dunque sono rimasta molto soddisfatta.
Un’altra cosa importante è non improvvisarsi, magari facendo qualcosa di completamente diverso, ma puntare magari a un qualcosa dove si è già formati, si è già capaci e si ha anche una certa attitudine a quel tipo di attività e di lavoro.
Cagliari è piena di tante piccole attività, PMI e ditte individuali perché il microcredito si presta, soprattutto all’inizio, a creare delle ditte: Ho contribuito all’apertura di una pizzeria, una yogurteria, due negozi di assistenza agli autoveicoli, due parrucchierie e un ufficio di consulenza e lavorazione di dati di una tributarista.
Poi c’è la storia di un ragazzo che ha iniziato col microcredito, adesso si sta ingrandendo, sta facendo un’acquisizione di un’azienda industriale di produzione di birra: all’inizio commercializzava, poi ha usufruito di questo finanziamento per fare la logistica e la commercializzazione e adesso sta acquistando l’impianto e quindi sta chiedendo un finanziamento più grande, non più un microcredito perché quello l’ha fatto all’inizio. C’è quindi anche chi poi riesce a ingrandirsi e ad espandersi.
Qual è un’azienda più interessante o che ha avuto più successo tra quelle che ha seguito?
In realtà stanno andando quasi tutte bene perché sono persone che si sono dimostrate collaborative, entusiaste e dinamiche.
Mi viene in mente solo l’attività di un ragazzo che voleva fare pubblicità digitale mobile con i camion che girano in città, ma purtroppo non è andata a buon fine, non ha continuato, perché non si prodigava abbastanza.
Le altre attività vanno tutte benissimo, lavorano e molte stanno finendo di pagare il credito.
Quali sono invece le sfide che deve affrontare quando si ha a che fare con culture e background differenti?
Vivendo in Sardegna, mi chiamano anche da alcuni paesi sardi e quindi lì sicuramente c’è un gap culturale abbastanza importante: cerco di utilizzare un linguaggio molto semplice e mi approccio con grande pazienza, non tutti sono pazienti me ne rendo conto, però io capisco che non tutti hanno avuto la possibilità di studiare, soprattutto di frequentare l’università che si trova a Cagliari e alcuni magari non hanno avuto la possibilità stando lontani e non essendo ben collegata con l’entroterra.
Mi armo quindi di grande pazienza e spiego le cose in maniera molto semplice, molto elementare, cerco di capire qual è l’attività che vogliono fare, se sono in grado di farla al di là dei loro studi, ad esempio un panificio o una bottega e infine spiego con calma qual è la documentazione che devono presentare.
Devo dire che ci sono riuscita, soprattutto con i paesi di Muravera, Cabras e tutto l’interland nell’entroterra.
Poi, alcune attività richiedono manualità e non un grado di istruzione universitario, quindi lì io faccio praticamente tutto: dalla PEC allo SPID e alla documentazione, così loro devono solo fare il loro mestiere. Mi costa un po’ di fatica seguirli passo passo ma lo faccio volentieri perché in questo modo aiuto anche la mia terra e la mia regione e qui entrano in gioco anche altre motivazioni mie personali.
Tre parole per definire il tutor?
Grande pazienza, motivazione e precisione.
FULVIO BARION
Iniziamo con una piccola presentazione: come si chiama, qual è il suo backgroud e per quale motivo ha scelto di diventare tutor dell’ENM?
Sono Fulvio Barion e da 40 anni opero nel credito. Da 27 anni sono in CONFIMPRESE ITALIA. La nostra confederazione si occupa della micro-piccola e media impresa. Il presidente D’Amico mi ha chiesto se, quale vicepresidente con deleghe al credito volevo occuparmi del microcredito per la federazione, e dopo averne approfondito la conoscenza, nel 2018 sono entrato come tutor. L’Ente Nazionale per il Microcredito è portatore dei valori tipici del microcredito, strumento importante, eticamente corretto. Il microcredito è uno strumento talmente importante che al suo fondatore Muhammad Yunus venne assegnato il premio Nobel. Questo strumento di dignità e di opportunità è presente in Europa come in America, e negli altri continenti. Il principio basilare è lo stesso: dare una opportunità per la promozione e la realizzazione della dignità umana attraverso il lavoro. La qualità dello strumento che ben si sposa con il mio sentire, e con i principi fondanti di Confimprese Italia.
In sintesi, ha orientato la mia scelta.
Come si svolge il suo lavoro di tutor, quali sono gli step che segue e in che modo aiuta i beneficiari a capire il processo di richiesta di microcredito?
La prima cosa è spiegare bene in cosa consiste il microcredito che passa attraverso l’ENM (limiti e condizioni), a chi può essere concesso; importi ottenibili chi li eroga a quali condizioni. Si approfondisce se ci sono pregiudizievoli bancarie a carico del richiedente e come ha saputo del microcredito.
La seconda parte del colloquio entra nel vivo del “problema”. Ci sono situazioni che hanno caratteristiche difficilmente ascrivibili a categorie, ovvero ogni caso è a sé. Per quel che mi riguarda, parto da un colloquio che serve a capire (se startup) se chi ho davanti ha una idea concreta e le caratteristiche necessarie per portarla avanti. Se questi presupposti possono essere soddisfatti si comincia a fare lo studio di fattibilità ovvero: tipo di attività, sua collocazione, verifica dell’attività stessa.
Si passa poi all’analisi che ovviamente si basa sull’esperienza ovvero si cerca di comprendere e approfondire da “dove” stiamo partendo, ovvero se proviene dall’ambiente (socio, dipendente, collaboratore etc.) oppure se tutto parte daconsiderazioni ed elaborazioni proprie, le sue idee circa il concetto di impresa, ditta, attività in proprio. Quanto personale occorrerà, se dipendente o di famiglia perché ovviamente vi è oppure no un appesantimento dei costi.
Come sono pianificate nell’immaginario del richiedente le anticipazioni dei costi correlati alla produzione in attesa dei ricavi sufficienti a far fronte al flusso dei costi.
Ci si addentra sempre più nel problema e la domanda seguente riguarda gli impegni finanziari del richiedente già esistenti. Se si quali; importi, scadenze, durate, e come sono stati portati avanti fino a quel momento? Come intenderebbe impiegare il denaro relativo al finanziamento? Ha capitale proprio da investire? Poi se è convincente si prepara la bozza del BP e della relazione da inoltrare dopo la presa in carico se il soggetto richiedente è una ditta costituita che rientra nell’ambito dei 5 anni previsti dalla norma, in alternativa attraverso i tecnici della nostra associazione CONFIMPRESE ITALIA (per chi lo desidera ovviamente) si provvede ad assistere il soggetto richiedente in tutte le fasi di creazione del nuovo soggetto economico (dall’apertura della ditta ed eventuale costituzione di società con lo studio notarile del luogo di gradimento del richiedente). In ogni caso l’intervista si conclude con la visita dei locali occupati o che occuperà la ditta costituenda.
Quali sono i fattori che determinano il successo di un progetto finanziato con un microcredito?
L’adeguatezza alle richieste dell’area di operatività, la completezza e l’onestà dell’analisi che il richiedente fa verso sé stesso. La proporzionalità del mix delle fonti di approvvigionamento delle risorse finanziarie, ma soprattutto la consapevolezza delle difficoltà e delle (perché no…) rinunce a molte cose che la vita da dipendente offre e prima fra tutte la libertà dalle responsabilità in prima persona. La contropartita è la dignità del lavoro nella libertà mentale di essere liberi di autogestirsi.
Quali sono i successi più significativi che ha visto nel suo lavoro con i beneficiari del microcredito?
Vede, quando la fuori delle persone che riescono ad andare avanti, vivere, tenere fede ai loro impegni, far progredire la famiglia, e magari riescono a far guadagnare e vivere altre famiglie, perché l’attività cresce bene e possono essere assunti dipendenti, allora ogni successo è significativo ed è una molla che si carica ed autoalimenta per cui la pratica più significativa è sempre quella a cui si sta lavorando.
Qual è l’azienda più interessante che ha seguito come tutor? E quale ha avuto più successo?
C’è un’azienda di confezioni e abbigliamento che ho fatto partire in forma di s.r.l.s.. Dopo lo studio di cui sopra ho chiesto 40.000 euro alla locale filiale di una delle banche convenzionate e dopo 7 mesi me ne hanno erogati 25.000. L’imprenditrice (su mio consiglio) si è adattata e seppur fossero appena la metà del fabbisogno li ha presi acquistando attrezzature usate anziché nuove). Come faccio sempre l’ho seguita e oggi non è più una srls ma una SRL, attorno a questa è stato costruito un insieme di attività satelliti che altre banche con organi deliberanti più lungimiranti hanno saputo riconoscere e finanziare e oggi fattura qualche milione di euro. Impiega 40 persone ed opera per Valentino, Armani D&G e altri grandi marchi
Quali sono le sfide, invece, da affrontare quando si lavora con beneficiari di diverse culture e differenti background?
La sfida più grande è far comprendere che lo strumento che hanno in mano (ed è ben spiegato nella loro scheda prodotto), va letto ed utilizzato. Perché finanziare una startup di giovani, o esodati dal loro lavoro (ma con tutta l’esperienza che sono in grado di dare i secondi e tutta la voglia di riuscire dei primi), vuol dire dare una opportunità all’Italia. Siamo nel post industriale, finanziario, e gli unici assorbimenti di masse lavoratrici sono le micro piccole e medie aziende: 4.200.000 che danno lavoro a 11.600.000 dipendenti e tenuto conto di una media di 4 persone a famiglia il calcolo è presto fatto, 50.000.000 di persone vivono su questo. Ormai sono moltissime le famiglie che hanno al loro interno le così dette “Partite Iva”, per questo meritano il rispetto e la cura dovuta e mi rivolgo a chi governa perché abbinano il rispetto e la cura che è loro dovuta. Poi per il resto l’analisi è la stessa ma con la difficoltà in più sta nella diffidenza verso la diversità. In questo senso in Piemonte sto tentando, di far partire il microcredito dell’ente con l’etnia cinese molto dinamica nel settore imprenditoriale.
[Mi consenta un appunto. Oggi molte banche hanno operatività diretta con il Medio Credito Centrale che come per le operazioni di microcredito garantisce l’operazione nella misura dell’80% del finanziamento erogato. Molte banche a valenza nazionale non hanno sottoscritto l’accordo con l’Ente Nazionale per il Microcredito considerando di avere il controllo diretto sulle diverse pratiche ma è illusione perché il presupposto è la conoscenza e il controllare seguendo. Ciò non può avvenire attraverso il bilancio consegnato a fine anno, c’è bisogno di seguire il percorso della ditta come partner, appunto tutor.]
Quali sono le 3 parole per definire il tutor?
Potrà forse suscitare un sorriso ma questa è la mia definizione (in alternativa c’è il mediatore creditizio e l’agente in attività finanziaria) ed è la seguente:
Visionario e romantico, perché deve saper vedere oltre se può o no partire quell’attività con quelle persone.
Ottimista - perché deve pensare che ognuna di quelle persone darà il massimo per il risultato.
Patriota, perché ogni struttura che fa partire è una mano alla nazione Italia a stare in piedi. Se un tutor vuole fare bene il proprio lavoro per un fattore economico io credo che spazio non ne rimanga.
FABIO D'AMORA
Come si chiama, qual è il suo background e soprattutto perché ha scelto di diventare tutor?
Mi chiamo Fabio D’Amora, sono laureato in Economia e Commercio e l’idea di diventare tutor è maturata durante gli anni in cui ho svolto la pratica come tirocinante per diventare commercialista.
In quel periodo mi resi conto che l’attività classica del commercialista era ed è ancora in via di evoluzione, oggi non è più come una volta e alla classica contabilità occorre affiancare dei servizi: decisi tra le varie possibilità di affiancare quello del microcredito e devo dire che è stata una scelta vincente perché è partito come un’attività collegata e oggi è diventata il core business del mio studio, faccio solo il tutor del microcredito.
Come si svolge il suo lavoro di tutor, quali sono gli step che segue per aiutare i beneficiari?
Il lavoro di tutor si svolge informando: la prima informazione che ho dovuto dare è stata agli stessi colleghi commercialisti, alcuni erano disinformati su questo prodotto, non ne conoscevano nemmeno l’esistenza.
Successivamente ho preso contatto con vari forum di giovani e forum territoriali.
Ho dato vita ad alcuni progetti di cui uno in particolare è stato il Microcredito Comunale, un progetto creato nel 2020, in cui il Comune di Pimonte, circa 6000 abitanti, per far sì che i residenti investano nel territorio stesso e che dava un contributo in conto interessi.
È stato lì che sono nate quattro attività, è stato un bel progetto, purtroppo col cambio dell’amministrazione comunale questo progetto è stato eliminato.
Il microcredito per un commercialista è fondamentale per due motivi: può dare sia servizi alla clientela, ma può dare l’opportunità di acquisire anche nuova clientela, di collaborare molto con i forum dei giovani, da cui arrivano le idee più belle e più motivanti e allo stesso tempo creare squadra con gli istituti bancari convenzionati.
Quali sono i successi più significativi che ha visto nel suo lavoro come tutor?
Il primo successo è stato quello di un ragazzo che partecipava a degli incontri che organizzai con il forum dei giovani, faceva il pizzaiolo e voleva fare il salto di qualità mettendosi in proprio: cercai di fargli capire la differenza tra essere dipendente e datore di lavoro e lui con la massima semplicità e sicurezza della sua idea mi disse che voleva andare avanti nella sua decisione.
Avviammo l’iter, gli spiegai la procedura del microcredito e illustari le difficoltà a cui sarebbe potuto andare incontro: nell’arco di 5 mesi fu perfezionata la pratica di microcredito con l’erogazione della somma richiesta.
La soddisfazione è stata far sì che, da sottopagato, riuscisse a concretizzare il suo sogno, ma è stato ancora più bello, dopo qualche mese, quando sono andato nel suo locale a mangiare una pizza e lui disse ad un suo dipendente che era grazie a me se aveva realizzato tutto!
Quell’attività, ad oggi, ha dato lavoro a sei persone: scherzando, dico sempre che le attività che contribuisco a far nascere con il microcredito, sono miei figli.
Ai giovani del forum sempre che per aprire un’impresa è fondamentale avere la conoscenza del mestiere e poi avere una particolare dote caratteriale, essere sempre disponibili verso il cliente.
E aggiungo che bisogna essere innamorati dell’idea imprenditoriale, come quando nella vita ci si innamora per la prima volta: quando ci si innamora, nulla può spaventarti, se sei convinto di quell’amore, di quell’idea imprenditoriale, vai sempre avanti per la tua strada.
Ci sono altre aziende interessanti che ha seguito come tutor?
Un’azienda che ha avuto molto successo è quella di un ragazzo che voleva aprire un canapa shop: onestamente io ero disinformato su questo settore e non ero convinto di questo progetto, ma lui mi portò, oltre all’analisi del settore e del mercato locale che aveva fatto in autonomia, anche dei prodotti. Io non sapevo che ci potevano essere delle creme corpo, shampoo, veramente un mondo che io non conoscevo e quindi mi sono dovuto ricredere e oggi è un’attività che sta funzionando bene.
Un’altra azienda interessante è quella di alcuni ragazzi che hanno aperto un pet food in una zona residenziale dove ci sono molti animali domestici e, in aggiunta, avevano inventato una sorta di spa per cani e gatti. Dato che la loro attività andava bene, consigliai loro di affittare anche un altro locale per fare una sorta di parcheggio per chi ha difficoltà a portare con sé il proprio animale e deve lasciarlo magari un’ora o due.
Ad oggi, questa seconda attività va forse ancor meglio di quella iniziale!
Quali sono le sfide che deve affrontare quando si lavora con beneficiari che provengono da culture e background diversi?
Le sfide da affrontare sono numerose perché la maggioranza di chi arriva al microcredito conosce bene il mestiere, sono bravi in quello che vogliono fare, ma il 99% non sa cosa significa essere imprenditore, cosa significa dover pagare le tasse fare uno studio di settore e tante altre cose.
Bisogna quindi dare loro una spiegazione sul conto economico di un’attività, far capire quali sono i costi e quali i ricavi.
La sfida che mi è rimasta impressa è stata quella di un ragazzo che lavorava in un ristorante a Milano però voleva ritornare qui e aprire un ristorante e dopo qualche mese, parlando del più e del meno, mi disse che per effettuare i bonifici ai fornitori andava alla cassa in banca: io gli spiegai che poteva farlo online, ma non sentendosi in grado, delegò tutto a me.
È una cosa che mi è rimasta impressa: tra tutor e beneficiario si crea un rapporto di fiducia, un’unione, qualcosa di umanamente bello.
Io non imposto i rapporti sulla burocrazia, cerco di mettermi in contatto con la persona, di arrivare al suo livello, di capire, per creare delle relazioni solide.
Quando vado nei vari forum dei giovani, loro sono desiderosi di conoscere strumenti per creare qualcosa, ma spesso quello che manca è l’informazione: occorre informarli, è fondamentale!
Tre parole per definire il tutor?
Deve essere molto paziente, soprattutto nell’ascolto dell’idea di impresa, bisogna capire cosa deve essere concreto nel cercare di creare lo strumento giusto per portare a termine quell’idea di impresa e deve essere un esperto di finanza per cercare di guidare il beneficiario nella richiesta del finanziamento.
MARIA CLAUDIA COSTANTINI
Come si chiama, qual è il suo background e soprattutto perché ha scelto di fare il tutor?
Sono Maria Claudia Costantini, ho 59 anni e ho iniziato a fare il tutor relativamente tardi. Ho un background un po’ sui generis perché sono laureata in lettere, ho lavorato fin dall’inizio nel mondo non profit e sono arrivata a conoscere il microcredito solo nel 2004 quando sono entrata a lavorare nella Fondazione Risorsa Donna, un ente non profit di Roma.
Dopo un’attività di ricerca sociale con progetti europei di ricerca, sono approdata al microcredito dal punto di vista teorico e poi, solo in un secondo momento, dopo delle attività di formazione in cui ho partecipato come diciamo discente e delle attività di assistenza tecnica realizzata a livello europeo, mi sono avvicinata al ruolo di tutor.
Ho quindi effettivamente svolto questo ruolo da dopo il 2014 e poi quando l’Ente Nazionale per il Microcredito ha iniziato ad avviare la sperimentazione con le varie banche, io sono diventata tutor per la Fondazione Risorsa Donna, successivamente nel 2019/2020 la Fondazione è uscita da questo programma di microcredito e nel 2021, come libera professionista, sono diventata tutor.
Nel fare il tutor mi è rimasta questa impostazione da non profit, quindi un’attenzione particolare ai soggetti un po’ più deboli, giovani e donne.
Come si svolge il suo lavoro di tutor, quali sono gli step che segue?
Dipende dalle persone che vengono da me: ora il primo contatto avviene con il passaparola, quindi attraverso la collaborazione con commercialisti, oppure vecchi clienti che hanno segnalato il lavoro.
Un primo step è quello di far raccontare la loro idea, se è un’attività da avviare oppure quello che fanno, poi io racconto effettivamente che cos’è il microcredito perché tuttora ancora c’è qualche difficoltà di comprensione, chiarendo come funziona e le aspettative.
Dopodiché, usando strumenti come il Business Model Canvas e il Business Plan, aiuto a costruire la loro idea di impresa o, se è un’impresa attiva, a ricostruire il percorso.
Il Business Model Canvas è uno strumento utile specialmente per chi deve avviare l’attività e non sa da dove iniziare, per poi arrivare invece alla redazione del Business Plan perché è un modo per mettere su carta tutte le informazioni più importanti del progetto.
In linea di massima, dopo aver spiegato loro cosa bisogna scrivere, cerco di far scrivere a loro il Business Plan, quindi produciamo un documento definitivo e solo dopo aver fatto questo lavoro si va in banca.
Nel fare questo lavoro cerco di dar loro degli elementi che riguardano anche la gestione d’impresa in modo tale che loro sanno cosa stiamo andando a fare, qual è il loro lavoro e quali sono i rischi.
Cerchiamo poi di fare un’analisi dei rischi che si potrebbero presentare: così facendo, a volte, ci si accorge anche che il progetto non è sostenibile, oppure ha necessità di essere sviluppato maggiormente.
In seguito aiuto a raccogliere tutta la documentazione da portare in banca, che rappresenta un po’ un momento dolente.
Quali sono secondo Lei i fattori che determinano il successo di un progetto finanziato con il microcredito?
Sicuramente le competenze tecniche, poi la capacità da parte degli imprenditori di capire se la propria idea è accettata nel mercato, ad esempio molte volte ci sono delle belle idee molto interessanti dove però o è troppo presto per essere inseriti in quel mercato oppure non è il mercato territorialmente giusto.
Il successo è fatto da tanti pezzetti: io ho avuto casi di idee molto interessanti che però non hanno retto, magari anche dal punto di vista psicologico: bisogna saper chiedere aiuto al momento giusto, senza vergognarsi, senza aspettare troppo perché poi potrebbe essere troppo tardi.
Altro fattore di successo secondo me è la capacità di crearsi una rete, di formarsi, non si deve rimanere ancorati all’idea di saper essere bravi a fare tutto: ad esempio, puoi essere un bravissimo pizzaiolo, ma se non sai gestire la contabilità, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti e se ne occupi, di continuare sempre ad investire sulla propria attività.
Quali sono i successi più significativi che ha visto nel suo lavoro da tutor?
Ho visto vari insuccessi e tanti problemi, però ho quattro aziende che per me sono state quelle più di successo, tre a Roma e una in Campania.
Quella in Campania è una profumeria biologica di una ragazza che l’ha creata in provincia di Napoli, in un paese minuscolo e, nonostante tutte le difficoltà, è riuscita e continua a tenere in piedi una bella attività, si è creata il suo mercato, è molto competente, è giovane ed è riuscita a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione, compresi i social e continua, ormai da 7 anni.
Poi invece le tre aziende che sono a Roma sono tre tipologie differenti: una è gestita da una signora dell’Ecuador che aveva iniziato con un’azienda di e-commerce digitale e poi è riuscita ad aprire anche il negozio su strada ed è riuscita, con le sue forze, a fare questo salto di qualità.
La seconda invece è una società di droni, nata come una ditta individuale di una persona che aveva poche competenze, ma una grande passione (era un parrucchiere): adesso sono diventati una società a responsabilità limitata in forma semplificata, fanno gare, hanno una rete di rapporti molto forte e sono diventati anche una società riconosciuta dall’Enac per la formazione. Qui c’è stata la grande capacità del titolare, ormai sono in due, di crearsi una rete molto forte, chiedere aiuto quando era necessario, chiedere consigli, infatti io continuo a collaborare, loro ogni tanto mi chiamano, mi raccontano cosa fanno e mi chiedono aiuto.
È proprio una classica azienda in cui il microcredito è servito come inizio e poi sono esplosi, piano piano, con una crescita lenta.
Poi c’è il caso di un istituto di odontotecnici che avevano in mente di utilizzare le tecnologie digitali e, nonostante le difficoltà del sistema regionale sanitario, quindi la capacità di dover accreditarsi, comunque sono riusciti ad andare avanti e adesso sono diventati un’azienda che lavora tranquillamente,
Mentre nella mia seconda vita ho seguito un forno al centro di Roma, nato come solo forno per il pane, adesso è diventato un bar pasticceria forno, anche abbastanza famoso: c’è stato un exploit in un anno, un anno e mezzo.
Quali sono le sfide che deve affrontare quando ci si relaziona con background differenti?
La prima difficoltà è quando si ha a che fare con persone con una scarsa scolarizzazione e quindi la sfida più grossa è riuscire a passare contenuti attraverso un linguaggio semplice, ma comprensibile, non semplificando troppo, però facendo arrivare tutto quello che vuol dire avviare un’attività di impresa.
Altra sfida, al contrario, è quando si hanno davanti persone che pensano di essere molto competenti e pensano di sapere essere degli imprenditori nati e fargli quindi capire che invece qualche cosa non la sanno ed è quindi necessario ascoltare e continuare ad apprendere.
Ulteriore sfida, sicuramente interessante, è il fatto di far capire il vero impegno della tua impresa, che non è per tutti, non risolve tutti i tuoi problemi e molte volte questo è la sfida da far capire, anche dovendo dire alle persone che forse non è quella la sua strada.
Bisogna prendere atto che certe cose bisogna dirle in faccia e infine non si può negare che, specialmente in Italia, l’altra sfida è far capire a tutti che ci sono delle regole che non sempre vengono accettate specialmente quando devi spiegare l’accesso al credito, che è il mondo delle banche, delle regole, che bisogna pagare le tasse e puoi anche non pagarle, ma poi non pensare di accedere al microcredito.
Tre parole che definiscono il tutor?
Ascolto, responsabilità e onestà.
GIACOMO MARCHIORI
Come si chiama, qual è il suo background e soprattutto perché ha scelto di diventare tutor?
Mi chiamo Giacomo Marchiori, ho 49 anni e il mio background nasce subito dopo la laurea in Economia e Commercio: subito dopo la laurea ho iniziato le attività classiche, nel 1999 il tirocinio di dottore commercialista, ma contemporaneamente era ancora vicino all’università e un mio professore universitario mi segnalò l’opportunità di diventare tutor Invitalia, o meglio di un’agenzia che svolgeva servizi ausiliari in Italia e in Sardegna ai tempi del vecchio prestito d’onore.
In quell’ambito ho iniziato a collaborare con questa azienda, da una parte svolgendo l’attività di tirocinio, quindi imparando gli aspetti contabili, dall’altra parte ho avuto la possibilità invece di gestire delle nuove iniziative partendo, come si confaceva in quel periodo, con dei veri e propri corsi di formazione di un paio di settimane in cui i vari docenti si alternavano dando in input trasversali, che andavano dagli approcci con l’INPS, con l’Inail o l’ASL nell’ambito della sicurezza e dell’igiene dei posti di lavoro, fino al direttore di banca per l’apertura dei conti correnti con una pletora di circa 200 beneficiari a quel tempo gestiti da questa agenzia parallela in Italia.
In qualità di tutor ho avuto la possibilità di imparare da subito che cosa volesse dire effettivamente partire per un’impresa: non tanto la contabilità che imparavo in studio, ma quanto gli adempimenti, quindi procedimenti amministrativi e autorizzativi, i requisiti soggettivi e tutti gli aspetti che poi sono un po’ il cuore anche della creazione.
Dopo questa attività che è durata per due anni, da subito poi ho continuato nella creazione di impresa, dedicandomi alla finanza agevolata come consulente, aprendo la mia posizione professionale specifica in questo ambito e nell’ambito della formazione di creazione di impresa.
Tra le altre attività similari a quella che svolgo come tutor ho avuto anche il piacere di lavorare per tre anni come consulente nell’ambito della gestione di un fondo europeo, il fondo J.E.S.S.I.C.A. per conto della finanziaria regionale sarda che gestiva tutto questo e noi facevamo la parte di istruttoria, analisi economico-finanziaria sulla fattibilità dei progetti, realizzati esclusivamente da enti pubblici, quindi con un focus non speculativo, ma adattivo al territorio.
Quindi ho sempre alternato l’attività professionale del creare col cliente con quella dell’istruttore, del valutare, anche nel rispetto del cliente: non sempre un no è un problema anzi, delle volte è una fortuna saperlo dire!
Quali sono gli step che lei segue per aiutare i beneficiari a capire il processo per ottenere il microcredito?
In prima battuta, non appena ricevo una pratica in procedura, contatto i beneficiari, con i quali faccio una prima chiacchierata metodologica per capire effettivamente che cosa dovremmo fare insieme, le varie fasi del processo, quindi nelle sue tre dimensioni (il tutor, la banca e il fondo di garanzia) e in quella circostanza ho predisposto una lista, che poi è quella disponibile presso il sito dell’Ente Nazionale per il Microcredito, nella quale richiedo tutta una serie di documentazioni, tra cui ovviamente oltre i documenti di riconoscimento, il titolo di disponibilità dell’immobile, preventivi e visura certificata, attribuzione della partita iva, piani eventuali di ammortamento, regime fiscale ipotizzato qualora fosse una ditta individuale quindi ci fosse il dubbio e altra documentazione di questo genere.
Dopodiché, acquisita la documentazione da parte del cliente, inizio in prima battuta un’analisi in maniera totalmente asettica, successivamente faccio degli incontri con l’imprenditore che possono essere sia telefonici sia in presenza, poi faccio un contro business plan: solitamente l’imprenditore riceve un business plan e chi arriva al microcredito e ha già un certo livello di consapevolezza è già passato in banca, gli hanno già spiegato che deve essere, quindi deve avere fatto degli adempimenti formali importanti e deve avere un piano di investimenti, per cui è già abbastanza consapevole (ha già assunto degli impegni) di che cosa lo aspetti.
Normalmente cerco di fare un contro business plan e di calcare la mano più sugli aspetti negativi che su quelli positivi, perché io servo per i problemi!
Insieme al cliente cerco poi di fare un’analisi di tutte le sfaccettature e i fabbisogni di risorse umane e di risorse economiche del processo e talvolta induco il beneficiario anche a desistere: ho circa un 15% di persone che non hanno superato il sistema di valutazione dal mio punto di vista ed un 10% che invece si inducono in rinuncia perché ovviamente capiscono che è meglio riprogrammare.
La responsabilità di attivare un nuovo imprenditore è tanto dell’imprenditore che ce la deve fare e poi ce la può fare, ma anche del tutor e del sistema in generale che deve accompagnare il processo di crescita dell’imprenditore: quando l’imprenditore non è pronto ciò non vuol dire che non lo sarà un domani però magari gli mancano degli strumenti in quel momento.
Una statistica storica del Sole 24 Ore recita che su 100 imprese che operano e che aprono oggi, entro 5 anni chiudono più del 75% e non sempre chiudono casi di successo perché hanno raggiunto il loro obiettivo, ma maggiormente sono dei casi di insuccesso.
Ogni insuccesso è una diseconomia, noi siamo qua per creare economia quindi ovviamente dobbiamo farlo con coscienza.
Quali sono secondo Lei invece i fattori che determinano il successo di un progetto?
Io mi soffermo in maniera assolutamente maniacale con i beneficiari nell’ambito dell’analisi dei bisogni: se il tuo prodotto/il tuo servizio soddisfa un bisogno e la percezione della soddisfazione del bisogno avviene anche nella mente dell’imprenditore allora questo è un presupposto di partenza.
Successivamente bisogna capire qual è il mercato all’interno del quale si va ad adoperare e qua gli rappresento la teoria del mercato in concorrenza perfetta, all’interno del quale nel lungo periodo non esisteranno gli utili, ma soltanto la remunerazione di fattori produttivi compresi i costi figurativi. Quindi l’attività di impresa, nel lungo termine, non dovrebbe generare utili, ma equilibrio economico e questo mi piace che l’imprenditore lo percepisca!
Quali sono i successi più significativi che ha visto nel suo lavoro come tutor?
Ho avuto la fortuna di vedere molti casi di successo o che almeno attualmente si dimostrano come tali, ho vari casi veramente interessanti.
Il primo caso è stato anche uno dei primissimi che ho seguito e si tratta di un imprenditore individuale, era un giovane laureando in Scienze delle Comunicazioni che aveva predisposto un’idea di business assolutamente innovativa nel 2017 con la realizzazione di una serie di felpe e maglie di lusso nell’ambito di disegni esclusivi realizzati da tatuatori professionali con un modello di business, di commercializzazione dei prodotti e di comunicazione veramente interessante e fui entusiasta di portare in banca al direttore questo ragazzo come un caso esemplare di microcredito ministeriale. Oggi ha concluso il rimborso del finanziamento in modo puntuale.
Altri casi molto interessanti sono: la pizzeria “L’isola che non c’è” che opera a Olbia, dove una signora extracomunitaria da dipendente è diventata proprietaria comprandola;
poi abbiamo il caso del commerciante di carni che ha prima attivato due punti vendita in due supermercati e attualmente ne conta 7 con un fatturato altissimo.
Tre casi sicuramente emblematici di successo;
ho anche l’architetto che in ambito comunicazionale è colui che ha seguito le campagne pubblicitarie di Converse, di Salmo e che da un punto di vista di notorietà è il cliente più visibile.
Quali sono le sfide che si trova ad affrontare da tutor quotidianamente?
Le principali sfide che mi trovo ad affrontare in un mondo veramente complicato come quello di un’impresa sono quelle di cercare di servire i beneficiari, supportare i beneficiari e delle volte dare un contributo che non sempre è apprezzato nel suo contenuto, ma sicuramente lo è nel suo significato.
Delle volte evidenziare le criticità di un progetto spingendo l’imprenditore a volerci ripensare, non per farlo desistere, ma per poterle superare è un po’ un elemento che ti contrappone e che quindi non sempre ti gratifica perché il nostro obiettivo è quello di crescere insieme; quindi, quando si creano delle condizioni non totalmente idilliache noi dobbiamo essere un po’ un semaforo da quel punto di vista.
La maggior parte capisce, comprende e supera, altri la vivono come un limite e il nostro compito è aiutarli a superare questo limite.
Tre parole per definire il tutor?
La disponibilità, l’attenzione e il rispetto.
Tre parole che vanno declinate in una doppia valenza: la disponibilità la dobbiamo avere nei confronti dei beneficiari, ma al contempo anche nei confronti degli istituti che ci supportano perché chiaramente si deve creare un dialogo; l’attenzione deve esserci nel non creare difficoltà gli imprenditori, a clienti venditori né al sistema che li supporta e infine il rispetto perché noi incontriamo nel nostro mestiere e dal più grande dei professionisti al più modesto degli imprenditori o dei lavoratori e tutti devono essere trattati esattamente nella stessa maniera perché tutti facciamo parte di un sistema che, se funziona, funziona per tutti e a tutti i livelli.
MARINA GIANGIULIANI
Come si chiama, qual è il suo background e soprattutto perché ha scelto di diventare tutor?
Mi chiamo Marina Giangiuliani, sono un consulente aziendale e sono un europrogettista, quindi la mia attività prevalente è quella relativa ai bandi pubblici e alla finanza agevolata.
Quello che noi vogliamo fare, per cui appunto siamo diventati tutor è promuovere il ricorso al microcredito per tutti quei giovani in particolare, o comunque aziende neocostituite, che partecipano a bandi pubblici con successo però poi non riescono ad avere le linee di credito necessarie per sviluppare l’attività per tutto quello che riguarda la parte della gestione dell’impresa, in quanto un bando pubblico finanzia l’investimento però poi restano comunque da pagare affitto, utenze e il microcredito potrebbe essere uno strumento utile proprio a questo tipo di progetti e di progettualità.
Quali sono gli step per aiutare il beneficiario a ottenere il microcredito?
La prima cosa che noi facciamo è ascoltare perché nella maggior parte dei casi ci sono persone, soprattutto i giovani, che non hanno le idee chiarissime, cioè sanno che cosa vogliono fare però è un sogno, quindi la prima cosa che noi chiediamo è quella di sviluppare l’idea scrivendo una sorta di “lista della spesa”, con quello che si vuole fare e quanto costa farlo.
Solo in seguito si può parlare del progetto che si vuole realizzare: fatta questa prima parte in cui i giovani impiegano più o meno un mese, poi tornano con il loro progetto e da lì noi riusciamo a seguirli per tutta la parte accessoria, cioè tutto quello che bisogna fare per poi sviluppare un progetto che può essere presentato, che abbia una linea e che riesca a portare alla realizzazione del progetto: ascoltiamo tanto sia tutta la parte economica e finanziaria, sia la persona e il progetto che vuole sviluppare.
Diamo delle indicazioni cercando di capire il più possibile se l’idea può prendere forma e se si è in grado poi di gestire l’impresa: essere un cuoco bravissimo non vuol dire saper gestire un’impresa, sono due cose molto differenti.
Secondo Lei quali sono i fattori che determinano il successo di un progetto finanziato con il microcredito?
Forza di volontà e determinazione sono essenziali: quando si parte tutti sono determinati poi entra in gioco la forza di volontà per fare fronte a tutto quello che comporta l’impresa.
L’aspetto più importante in assoluto è la capacità di essere in grado di sacrificarsi anche quando è necessario, avere la prontezza sempre di fare fronte alle variazioni e agli scostamenti che sono essenziali e ci sono sempre.
Invece quali sono le sfide che bisogna affrontare quando si entra in relazione con persone che hanno background molto diversi dal proprio?
La sfida più grande è l’integrazione: noi cerchiamo di farlo il più possibile perché vengono persone di ogni nazionalità, donne, uomini, grandi e giovani. Quando vengono degli stranieri da noi, cerchiamo di creare un’integrazione con il territorio: se non parlano la lingua cerchiamo di spiegare loro che è essenziale integrarsi sul territorio, anche nei rapporti con altre imprese e con i cittadini, i quali rappresentano i destinatari dell’attività produttiva che andranno a realizzare con l’accesso al microcredito.
Tutto ciò non è sempre semplice e nemmeno banale.
Tre parole che definiscono il tutor?
Professionalità, empatia e successo: sono queste le tre parole che mi vengono in mente e che rappresentano poi in realtà il concetto per cui noi tutor dobbiamo essere professionali, avere le capacità e le competenze per aiutare i ragazzi a sviluppare le imprese e se siamo empatici riusciamo anche a capire con chi abbiamo a che fare ed è più semplice gestire tutto il progetto affinché possa avere successo.
GIANCARLO ZECCHINI
Come si chiama, qual è il suo background e perché ha scelto di diventare tutor?
Sono Giancarlo Zecchini, dottore commercialista ormai da anni, provengo da Roma, ma in effetti sono più di quarant’anni che esercito la professione su Milano.
Ho scelto di fare il tutor perché dopo tanti anni di attività professionale ho considerato il tutor come un’evoluzione dell’attività professionale di dottore commercialista.
In effetti mi sono sempre occupato di verificare ex post le situazioni di redditività, le situazioni di bilancio, di situazioni a volte anche di contenzioso e sono entrato in contatto invece contemporaneamente con diversi giovani che hanno la creatività, l’intenzione di costruire dei progetti nuovi e con delle iniziative peraltro sovente interessanti e allora il l’evoluzione dal dottore commercialista, che comunque continua ancora a esercitare, all’ attività di di tutor è un passaggio che ho considerato non soltanto propositivo, ma anche incentivante, che proprio in forza dell’esperienza dell’attività professionale metto a fuoco, dando il vantaggio di poter dare una consulenza più ampia per tutte quante poi le fasi di attività in cui si compone il lavoro di microcredito.
Come si svolge il suo lavoro di tutor, quali sono gli step che segue per aiutare i beneficiari a capire il processo di richiesta per il microcredito?
Fondamentalmente in due ambiti.
Il primo è un passaggio, che direi fondamentale, di relazione con le banche perché poi di fatto il microcredito, una volta fatta l’analisi con il cliente, deve comunque passare per la banca, è un passaggio obbligato.
Ora le banche hanno una loro struttura, hanno le circolari, le comunicazioni, tutto è registrato all’interno di strutture e, a fronte di questo io ci metto un altro aspetto collaterale, ovvero la relazione individuale con i direttori delle banche, che in fondo serve per poter dare un’attualizzazione a queste circolari che sono anche fatte bene e sono complete, ma relazione personale vuol dire illustrare, vuol dire anche creare un ambito in cui certe situazioni vengono spiegate in maniera interpersonale.
Quindi il primo aspetto è quello di creare una relazione con i funzionari, con i direttori delle banche.
Il secondo aspetto è indubbiamente il cliente: è il cliente che deve essere supportato nella sua idea, a volte sono idee teoricamente parlando fattibili, ma praticamente con poco mercato, a volte sono soltanto dei sogni, a volte invece, come per la gran parte accade, ci sono dei progetti che vanno comunque realizzati.
Quindi il terzo passaggio, che è una conseguenza di questi primi due, è l’attività del tutto, la capacità di poter ben rappresentare la relazione col cliente e la relazione con la banca in un tutt’uno e quindi portarlo in banca è la conseguenza dei primi due.
Fondamentalmente è un compito che ha un ambito di responsabilità molto ampio perché anche un bel progetto strutturato male e rappresentato in maniera negativa alla fine finisce purtroppo per naufragare, mentre un progetto ben spiegato, ben motivato, perché ci siano chiaramente le condizioni e le caratteristiche, riesce ad avere il suo successo.
Quali sono i fattori che determinano il successo di un progetto?
Il primo fattore è la chiarezza col cliente: inizialmente quello che interessa è che ci sia un progetto valido su cui poi si possa costruire la relazione, dove il cliente vuole arrivare, come si vuole arrivare, con quali mezzi.
Dopodiché entrano, in seconda istanza, i vari supporti di carattere economico, di carattere di marketing, di carattere di comunicazione: sono fattori che seguono immediatamente questo secondo aspetto, un aspetto che vuol dire però relazione di fiducia col cliente, il quale si apre ed è disponibile a comunicare tutto quello che ha, se ha costruito con il tutor quell’aspetto di fiducia che gli consente di poter mettere sul tavolo esattamente il progetto nella sua interezza.
In questo percorso non tutti i progetti poi hanno lo stesso livello di caratteristiche di fattibilità e quindi la capacità di poter dialogare col cliente in tutta franchezza serve anche per poter supportare il cliente a dargli una strada giusta: se è un progetto che può andare bisogna spenderci sopra del tempo, delle motivazioni, mentre il progetto che invece già in partenza ha degli aspetti di criticità, questi chiaramente devono essere in qualche modo almeno al momento sospesi.
Quali sono i successi più significativi che ha visto nel suo lavoro come tutor?
È indubbiamente importante dare al cliente la fiducia, ma anche di supportarlo in tutta quella serie di servizi accessori che sono una caratteristica importante, che non vanno a sostituirsi chiaramente né al commercialista, che tradizionalmente segue il cliente, né si sostituisce ad altre figure professionali a cui il cliente poi normalmente si deve rivolgere, però i servizi che poi vengono fatti sono verificati in occasione del monitoraggio.
Quindi il successo più importante è questo e lo verifico ex post, quando il cliente ha saputo costruire, facendo tesoro di quelle che sono state le varie attività, una sorta di sistema di controllo, a volte addirittura presentando successivamente grafici e curve di incasso.
Il successo maggiore, quindi, è vedere effettivamente ex post che quello che è stato impostato poi si è realizzato e questo accade spesso e anche le banche lo apprezzano moltissimo perché vedono che c’è dietro una attività che viene perseguita con costanza di relazione col cliente.
C’è un’azienda più interessante che ha seguito o un’azienda che ha avuto maggiore successo tra quelle che ha seguito?
Parecchie direi! Una originalissima è una società costruita da tre professioniste di cui due laureate alla Bocconi di Milano che hanno saputo realizzare, grazie al microcredito, una piattaforma tecnologica di dialogo per le donne sole, un’attività molto interessante, peraltro venendo fuori dalla pandemia.
Questa piattaforma tecnologica è già attiva ed è una iniziativa peraltro interessante di per sé perché, tra l’altro, è a livello mondiale, per cui si svolgono attività di dialogo non soltanto di persone italiane, ma anche straniere.
Un’altra è una rosticceria al centro di Milano di un giovane, a cui è andata talmente bene che il papà, che a sua volta aveva un’attività professionale propria, l’ha lasciata e si è dedicato a questa rosticceria.
Un’altra ancora simpaticissima come idea è quella dei profumi alla spina: è nata a Bergamo, è un’idea originale ed è stata costruita grazie al microcredito.
Quali sono le sfide che deve affrontare quando si lavora con background diversi e con culture differenti?
La sfida è quella di entrare in sinergia con il cliente e poi dopo con la banca, ma prima con il cliente.
Si tratta di guidare il cliente nelle sue varie componenti di realizzazione, negli aspetti di marketing, di pubblicità, di specie di investimento perché sono tutti aspetti che fanno parte di un progetto.
Il cliente deve avere fiducia, deve aprirsi e deve avere la consapevolezza che sta in questo momento prendendo un impegno, un impegno economico e ha una durata sul medio termine e quindi è questa consapevolezza che deve esserci.
Tre parole per definire il tutor?
La relazione, la competenza perché se non ci fosse competenza professionale direi che tutto si vanifica in poco e la fiducia: se mettiamo insieme relazione competenza e fiducia da parte delle parti che sono coinvolte direi che l’operazione può riuscire, anche nel caso in cui c'è qualche difficoltà.