Il microcredito e la spinta sociale: Un nuovo welfare per una nuova economia di rete

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Il microcredito e la spinta sociale: Un nuovo welfare per una nuova economia di rete

Mario Baccini – Presidente ENM

Il microcredito nella sua essenza nasce come strumento di riscatto, di rivalsa, di emancipazione personale e lavorativa e quindi sociale. Se riflettiamo sulle origini dello strumento microfinanziario ci rivolgiamo con la mente a scenari di povertà diffusa che possiamo localizzare in quelli che ieri venivano definiti Paesi in via di sviluppo e che oggi, invece, sono la culla di economie potenti legate ad un neocolonialismo imperante e ad una digitalizzazione esponenziale. Oggi, lo scenario è traslato, in modo ovattato e invasivo nella vecchia Europa creando anche in Italia situazioni di nuove povertà emergenti che possono essere contrastate, sul nascere, proprio attraverso gli strumenti micro-creditizi supportati dallo Stato. Le necessità dei cosiddetti ‘nuovi poveri’ nelle metropoli e nelle città italiane sono dovute a diversi fattori: inflazione, crescita demografica esponenziale, immigrazione irregolare, analfabetismo digitale, trasformazione dei nuclei famigliari e non ultimo alla crisi climatica e alla pandemia da covid19. Il pesante impatto della pandemia sul mercato del lavoro globale e il dramma del Covid sono andati ben oltre il bollettino delle vittime: per il tasso di disoccupazione si è registrato il record del secolo.

Le necessità di ripensare a un tessuto sociale che possa fungere da ‘rete di protezione’ per l’individuo in termini di assistenza, educazione e promozione delle realtà territoriali come motore di una nuova economia della ripresa, che sposa l’idea di rimettere al centro del sistema l’individuo con le sue necessità e le sue potenzialità. Ripartire dal soggetto come promotore di una circolarità che diventa economia sociale e di mercato che dà origine ad attività che dal locale possano ricostruire un tessuto sociale che si trasforma in tessuto economico, può creare quel sistema che supplisce in termini di welfare e sussistenza a un assistenzialismo di stato che nella maggior parte dei casi diventa un’emorragia di denaro pubblico per curare sintomi di devianza e marginalità.

Il microcredito, peraltro, come strumento di impresa è destinato proprio a quelle fasce border line che alimentano queste aree di disagio e che possono essere recuperate all’impresa e alla contribuzione attiva. Per quel che riguarda, poi, la spinta sociale che la microfinanza potrebbe garantire in un sistema che si occupa di prevenire situazioni croniche aiutando la persona a superare gli stati di momentanea difficoltà economica o di necessità per cause contingenti (come una malattia, una cura particolare o una professionalizzazione attraverso la frequenza e il pagamento di un corso o di una rata di un mutuo in scadenza, una spesa improvvisa, tante sono le situazioni in cui si può intervenire), la potenzialità del microcredito sociale può attivarsi appieno.

Dalla sperimentazione avviata in questi anni con progetti pilota che hanno offerto uno spiraglio di luce attraverso questo strumento a tante realtà che attraverso l’aiuto dello Stato e il sostegno educativo dei tutor di microcredito sono state sottratte a possibili comportamenti di devianza e di criminalità: anche in questo caso il microcredito diventa strumento di welfare. Da un lato, quindi, si limita l’aumento della microcriminalità che potrebbe portare l’individuo all’interno di una spirale di racket e violenza e dall’altro si prevengono quelle che potrebbero essere ulteriori cause di debilitazione che andrebbero a gravare sul sistema assistenziale e socio sanitario nazionale. In questo senso è necessario sempre di più sviluppare programmi di microcredito sociale garantiti dallo Stato con un sistema forte di tutoraggio che garantisce il microcredito e propone l’accompagnamento dell’individuo verso la propria autonomia consentendo alla persona di far fronte alle contingenze e imparando anche quelli che sono i principi di educazione finanziaria utili a un’interazione migliore con il sistema economico, bancario e burocratico nel quale comunque vivono e con cui devono confrontarsi quotidianamente.

Esistono, poi, strumenti che uniscono entrambe le potenzialità di sviluppo e che contribuiscono in modo assoluto alla ricostruzione di un tessuto sociale ed economico in qualunque delle forme venga utilizzato. è l’esempio del microcredito di libertà: uno strumento studiato per le donne che hanno subito violenza e che dopo un percorso difficile di consapevolezza all’interno dei centri antiviolenza e delle case rifugio, vogliono intraprendere una nuova esperienza che deve essere sostenuta dallo Stato. In questo caso sia che si utilizzi lo strumento per il sociale che per la creazione di impresa il risultato è un recupero del soggetto all’integrità e al circuito economico. Per chi esce da un percorso di vita molto complicato e ha necessità di un riscatto sociale attraverso la libertà e la dignità del lavoro, piuttosto che far fronte a necessità economiche momentanea, lo strumento messo a disposizione dal Ministero delle Pari Opportunità e sviluppato dall’Ente Nazionale per il Microcredito con il concorso di Caritas e Federcasse permette una reintegrazione del soggetto beneficiario all’interno del normale tessuto sociale di territorio.

Il microcredito dunque assume nelle sue evoluzioni progettuali un valore sociale predominante contribuendo a rinsaldare quella rete di relazioni che prendono vita dall’individuo che interagisce con il territorio attraverso i suoi progetti economici e salvaguardandolo da eventuali devianze. Questa capacità dello strumento microfinanziario diventa, dunque fondamentale per lo sviluppo socio economico del Paese e va valorizzata e sostenuta con nuove politiche attive del lavoro per aumentare maggiormente la capienza economica e il raggio d’azione di questa attività.

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