Economia della violenza e violenza eonomica: quando il lessico non smaschera il problema

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La violenza ha un costo. Economicamente la violenza vale e pesa sulle casse dello Stato in termini di welfare, aiuto e sostegno medico, aiuto finanziario. Ha un costo umano che emargina l’individuo, crea paura, distacco, malattia e morte dell’individuo. Ha un costo sociale perché impedisce la crescita del tessuto relazionale normale e della interazione che genera benessere e produttività.

L'economia della violenza, è la teoria che si riferisce all'insieme dei costi sociali ed economici derivanti dalle diverse forme di violenza, in particolare quella di genere, e all'uso del controllo economico per esercitare potere all'interno di una relazione. Include le spese sanitarie, la perdita di produttività, i costi sociali e le inefficienze economiche legate alla violenza domestica.

È strettamente collegata alla violenza economica, che si manifesta con il controllo del reddito, la limitazione dell'accesso alle risorse, il sabotaggio economico e l'esclusione dalle decisioni finanziarie, ma anche alle strategie di prevenzione e supporto, come il microcredito di libertà, per promuovere l'indipendenza economica delle vittime. In sintesi, l'economia della violenza non si limita ai costi monetari, ma include anche l'uso delle risorse economiche come strumento di potere e controllo, e le strategie per contrastarla si concentrano sulla promozione dell'indipendenza finanziaria delle vittime.

La prima forma di contrasto della violenza è la parola. La narrazione ci aiuta a capire il fenomeno e contrastarlo. Non si può mascherare o edulcorare la realtà dietro una barriera di bias e pregiudizi di genere. Il primo passo è circoscrivere il problema descrivendolo con esattezza, il secondo contrastandolo con strumenti di educazione e formazione culturale.

Per arrivare a una svolta significativa il modello deve agire non solo sull’emergenza delle violenze di genere ma sulla progettazione e quindi un pubblico più esteso possibile e soprattutto sui giovani.

Educare i più giovani all’economia della persona, al rispetto dell’altro e alla cultura di una finanza che crea emancipazione e riesce a essere strumento di libertà individuale è il primo esercizio utile a rovesciare le dinamiche che generano pregiudizi e violenza. Molte e sottili sono le forme di sopruso e nel mese di novembre, in cui la sensibilizzazione diventa maggiore, sono due i temi che vengono affrontati: l’attenzione alle differenze di genere e l’educazione finanziaria. Due materie che naturalmente si compensano, beni succedanei di un paniere che deve nutrirsi di cultura economica per ogni persona, in primis per le donne e i giovani che vengono compresi nelle fasce deboli della società.

L’emarginazione parte dall’ignoranza, quella economica crea voragini. Dal 2024 l’insegnamento delle basi economico-finanziarie come materia scolastica durante le ore di educazione civica è entrato nei programmi per decreto legge. L’Ente Nazionale per il Microcredito che nella sua mission ha la diffusione della cultura microfinanziaria e dell’economia sociale e di mercato propone progetti che possano aiutare i ragazzi, finite le scuole dell’obbligo, a trovare una dimensione nell’autoimprenditorialità cercando di contrastare il fenomeno NEET per creare sempre più EET, ossia giovani che hanno una visione chiara del proprio futuro lavorativo e professionale e siano integrati nel tessuto glocal attraverso strumenti innovativi e sempre più tecnologici. Con le parole, con la formazione professionale, è necessario contrastare la great resignation, la disoccupazione giovanile e soprattutto il divario tecnologico che sta trasformando repentinamente il mercato del lavoro modificando radicalmente le necessità e le professionalità.

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