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DALLO STATUTO DEI LAVORATORI ALLO STATUTO DEL LAVORO

I radicali cambiamenti socio-economici degli ultimi vent’anni accelerati dalla pandemia richiedono

un sistema normativo adeguato

Tiziano Treu – Professore di Diritto del Lavoro

L’epoca che stiamo vivendo, oltre ad offrire una visione sempre più sfocata ed indistinta del lavoro, delle sue forme e categorie giuridiche, ripropone una divaricazione, già da tempo avvertita, tra i bisogni sociali di chi, vivendo nel “regno della necessità”, svolge un’attività a favore di altri, e il mondo della regolazione, il cui baricentro rimane centrato sulla fattispecie di subordinazione quale forma egemonica di attività lavorativa.

In pochi anni siamo passati da una società in cui il lavoro era il centro dei diritti dell’uomo ad un tempo caratterizzato dal lavoro ‘povero’, in cui il compenso di chi lavora, spesso anche tanto, non è sufficiente neanche a sostenere i costi della vita quotidiana. Un tempo in cui i lavoratori autonomi sono diventati la categoria più debole e precaria, anche a fronte di esperienze professionali appaganti. I giovani non hanno più quelle garanzie che hanno avuto i loro genitori, non hanno quelle sicurezze economiche e previdenziali necessarie a metter su famiglia e acquistare casa. Un tempo dal futuro incerto anche per i pensionati che vedono calare di anno in anno il loro potere di acquisto da un’inflazione sempre più ingestibile. Le prospettive del mercato del lavoro per i prossimi anni potranno essere positive se le politiche saranno in grado di lavorare in modo coordinato verso un fine comune. Dobbiamo pensare che le professioni saranno sempre più variabili e mutevoli: il momento è di grande transizione e i profondi cambiamenti nel mondo del lavoro richiedono che istituzioni, scuole e imprese siano legati da un costante flusso di scambio.

La pur risalente asimmetria tra le forme sociali del lavoro, accomunate nella realtà dei processi sociali di produzione dal lavoro personale reso a favore di altri, e le sue tutele giuridiche, si è accentuata negli ultimi anni per una serie di fattori (catene globali del valore, esternalizzazioni produttive, economia delle piattaforme, ecc.) che hanno contribuito a rendere il lavoro umano, nella sua accezione generale e comprensiva anche delle diverse forme del lavoro autonomo, più esposto alle dinamiche del mercato, più bisognoso di reti di sicurezza economica e sociale, non diversamente da quanto accade per il lavoro subordinato, tradizionalmente oggetto di protezione. La sociologia economica ha coniato il termine “neoplebe” per descrivere il lavoro autonomo debole che Max Weber e Theodor Geiger indicavano con la parola “proletaroide”, riferita alle libere professioni nella Germania di inizio novecento: oggi, uno strato di lavoratori autonomi che cresce ai margini ed include la classe media impoverita, il lavoro intellettuale precario e malpagato accanto al proletariato dei servizi in cui si riconoscono i mestieri tradizionali, la piccola impresa tradizionale ma anche segmenti specifici di “classe creativa”, come i knowledge workers e indipendent professionals, un gruppo in crescita in Italia e in Europa nonostante il generale trend di declino del lavoro indipendente.

Mentre il lavoro personale, nell’evoluzione del sistema capitalistico di produzione, esprime crescenti bisogni di tutela sociale, che attraversano l’intero spettro delle sue “forme e applicazioni” (art. 35 Cost.), il sistema giuridico (sia pure con i movimenti che vedremo infra) tende a rimanere arroccato sulla distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, producendo in tal modo effetti giuridici assai sperequati sul piano assiologico-regolativo. Un simile squilibrato assetto del sistema delle tutele ha, nel tempo, subito esso stesso un processo evolutivo, visualizzabile nelle diverse articolazioni in cui le tutele sono state disaggregate per essere poi ricondotte a nuove tipologie o “fattispecie” di lavoro personale, trascurando però, in quest’opera di continua “distinzione”, ciò che rende il lavoro personale reso per altri - variamente organizzato nei sistemi sociali della produzione - un fenomeno fondamentalmente unitario.

Serve un nuovo statuto del lavoro. Che risponda alle diverse esigenze delle persona che lavorano non solo nelle forme tradizionali del lavoro subordinato, ma anche in posizione di autonomia ma in posizione di debolezza nel mercato del lavoro.

Questa esigenza, è stata resa particolarmente evidente dalla crisi di questi anni ed ormai riconosciuta da molte leggi europee. Anche nel nostro ordinamento si è avviato un percorso in questa direzione con la legge sul lavoro autonomo del 2017, che va ora continuato per rispondere ai bisogni di tutela e di riconoscimento delle diverse figure di lavoro autonomo e professionale

La perdurante struttura rigorosamente duale tra lavoro autonomo, nelle sue diverse articolazioni, e lavoro subordinato (tutt’ora egemone nel sistema di tutele sociali) evidenzia la frattura esistente tra norma giuridica e realtà sociale, con importanti conseguenze sul piano assiologico. Il nuovo lavoro autonomo professionale, incubato dai processi di esternalizzazione della produzione, cui si sommano gli effetti del capitalismo cognitivo, si caratterizza per spiccate condizioni di “dipendenza economica” e/o organizzativa, associate alla discontinuità dell’attività lavorativa in mercati altamente monopsonistici. Un acuto bisogno di tutela sociale, in questi segmenti del mercato del lavoro, si è manifestato nel corso della pandemia Covid-19, costringendo i legislatori europei a ripensare strumenti e forme della sicurezza sociale. Né può dirsi che gli effetti della rivoluzione digitale abbiano ridimensionato il problema della vulnerabilità sociale del lavoro autonomo di nuova generazione (freelancers, I-Pros, partite IVA, collaborazioni coordinate e continuative, ecc.). Difatti, se è vero che i nuovi settori dell’economia della conoscenza e delle piattaforme digitali stanno creando nuove opportunità di lavoro (per lo più qualificato come autonomo) bisogna riconoscere che si tratta di percorsi professionali spesso caratterizzati dall’insicurezza e dalla discontinuità del reddito, per i quali l’accesso al sistema di tutele sociali è assai scarso, o addirittura nullo. Esigenze di tutela ancor più corpose riguardano, poi, le forme di lavoro autonomo meno qualificato, come quello svolto tramite piattaforme digitali in un mercato del lavoro on line ormai globalizzato (dal crowdwork alle varie attività c.d. “human as a service”). Di fronte a questo mutato contesto sociale ed economico non si può che condividere l’insegnamento di Mario Napoli, secondo il quale “il diritto del lavoro di oggi impedisce di leggere l’art. 35, 1° comma, come riferito al solo lavoro subordinato proprio perché nel lavoro, tutelato in tutte le sue forme e manifestazioni, è ricompresa la forma del lavoro autonomo”. Se il diritto del lavoro non ha saputo in passato estendere la sua tutela verso il mondo del lavoro autonomo, “ciò è dipeso da fattori contingenti e non strutturali e soprattutto dalla convinzione della non necessità della tutela”.

Da questo quadro emerge chiara una delle criticità più grandi e per il momento insormontabili del mercato del lavoro italiano: la mancanza di competenze specifiche che genera mismatch e il debole rapporto tra università e imprese per l’inserimento dei giovani. Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è un problema strutturale in forte crescita che ha interessato nel 2022 oltre 2 milioni di persone. Un fenomeno accelerato dalla pandemia che ha a che fare con le competenze e il divario tra quelle richieste dalle imprese e quelle possedute da chi cerca lavoro. L’orientamento scolastico è fondamentale. Negli ultimi mesi, al CNEL, abbiamo raccolto la disponibilità di governo, regioni, parti sociali, istituzioni formative sull’urgenza della collaborazione stabile tra tutti gli attori e le istituzioni coinvolte a livello nazionale sulle prospettive dell’accesso al mondo del lavoro.

Nelle diverse condizioni storiche in cui il lavoro sociale si è manifestato in forme complesse e irriducibili al paradigma codicistico del “lavoro nell’impresa” per diventare “lavoro per l’impresa”, la conseguenza non può che essere l’estensione di tutti i diritti costituzionali in materia di lavoro ad ogni forma di lavoro, sia subordinato che autonomo, pur nei limiti e con gli adattamenti eventualmente necessari per realizzare quei principi al di fuori del lavoro subordinato. Sulla base di questa scelta di campo, che rispecchia non solo le esigenze materiali di tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni ma, più profondamente, una maturazione culturale del diritto del lavoro nella sua fondamentale componente assiologica, si muove la nostr

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