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Offrire una possibilità per riparare il danno: il microcredito di libertà come riscatto personale

Daniela Brancati - Capoprogetto Mdl per ENM

Un anno fa iniziava la mia esperienza come capoprogetto del Microcredito di Libertà per l’ENM.

È presto per fare i bilanci, e dunque non ne farò, ma un’esperienza – al tempo stesso professionale e umana - voglio comunicarla ai lettori di questa rivista.

Chi chiede un Microcredito solitamente è persona che si trova in momentanea difficoltà, che gli impedisce di rivolgersi alle banche tradizionali o agli istituti finanziari, ma ha intraprendenza e voglia di risalita sociale. Se dovessimo fare un grafico sulle motivazioni, sulla spinta sociale, di certo si troverebbero nella parte alta. Sia che vogliano fronteggiare l’emergenza povertà, sia che lo concepiscano come strumento per creare nuove opportunità di lavoro per sé o i propri familiari, sono persone reattive e propulsive. Questa volta ci siamo trovati di fronte a una realtà nuova, diversa, difficile.

L’obiettivo che ci è stato assegnato era ed è quello di dare microcredito alle donne che – uscite dalla violenza domestica – avendo intrapreso un percorso assistito dai Centri Antiviolenza, si sentano pronte a riprendere un posto nel mondo. In autonomia e con soddisfazione dei propri bisogni e sogni. L’enunciato è semplice. L’obiettivo affascinante. E apparentemente semplice: offrire nuove opportunità alle donne che hanno subito violenza. Noi offriamo la soluzione finanziaria. Tu donna ci metti i tuoi sogni e bisogni.

Ma qui di semplice non c’è davvero nulla.

Il target al quale ci rivolgiamo è traumatizzato, a volte instabile, a volte il recupero della propria identità subisce battute d’arresto, altre invece procede con linearità. A volte ci vuole poco tempo. Altre volte moltissimo. Chi ha subìto anni e anni di minacce, per sé e per i figli. Chi ha subito aggressioni fisiche e non ne ha parlato nel tentativo (vano) di salvare il salvabile. Chi ha messo a rischio continuo la propria vita cercando di salvare quella dei figli. Chi infine ha trovato la forza e il coraggio di chiedere aiuto. Ebbene chi ha subito tutto questo e ne vuole uscire, ha subito traumi continui. A volte riparabili, e a volte meno. Con tutto l’aiuto, spesso le donne in questione vanno avanti a zig zag, fra decisioni e ripensamenti.

La nostra proposta di Microcredito di Libertà interviene a un certo punto del percorso di queste donne. E a volte è difficile per loro stesse e per le operatrici che le assistono capire quanto sia solida la fiducia in se stesse che hanno ritrovato. Quanto siano pronte a credere nelle proprie capacità. Quanto se la sentano di assumere un impegno nei confronti di se stesse, dello Stato e della società.

Perché in questo caso l’offerta di credito da parte dello Stato assume una valenza diversa, nuova e importante. È come offrire la possibilità di riparare un danno e riscattare la condizione di una persona, dirle tu hai valore per l’intera società. E, per chi accetta la proposta, dire ok, mi sento in grado di mettermi in gioco e non aderire all’idea di se come persona sconfitta. Al contrario immaginare un percorso operativo, concreto, di realizzazione di un proprio progetto di vita.

Spero di essere riuscita a spiegare come la responsabilità dell’Ente Nazionale del Microcredito in questo caso sia davvero grande. La sensibilità con cui si deve operare è superiore a quella che normalmente viene usata. La cautela pure.

La richiesta e l’erogazione del prestito non sono più semplicemente un’operazione amministrativa-finanziaria, ma richiedono una profonda trasformazione dell’atteggiamento di tutti i soggetti coinvolti: noi, i nostri partner, le donne.

Ovviamente ognuno di noi in questo porta le proprie consolidate abitudini, che a volte si trasformano in ostacoli. Ma a volte – spesso – gli ostacoli sono anche esterni.

Prendiamo ad esempio il paradigma esistente sulle donne che hanno subito violenza.

La cultura dominante, sostenuta innanzitutto dai media, vecchi e nuovi, le vuole vittime. I telegiornali che mettono il conteggio delle vittime nella propria scenografia; le scarpette rosse come simbolo; le storie a base di lacrime che devono commuovere lo spettatore e garantire gli ascolti. Sono tutte scorciatoie per arrivare all’emozione facile. Ma qual è l’aiuto concreto che danno? A mio parere nessuno. Nessuna donna troverà aiuto nel sensazionalismo. Nessun violento smetterà di esserlo.

Ciò che occorre invece è un cambio radicale di paradigma. Ovvero dell’insieme di abitudini di pensiero e di azione, che condizionano la logica e la percezione che l’individuo ha di sé stesso, dell’altro e della realtà esteriore. Questo radicale cambiamento deve partire dalle donne, dalla loro consapevolezza. È parte del lavoro che fanno i Centri antiviolenza, ma non può esaurirsi lì.

In questo lo Stato, con la misura del Microcredito di Libertà ha dimostrato una grande e inedita sensibilità. Perché dare il credito a queste donne significa dire loro: noi abbiamo fiducia in te, perché tu saprai riprendere in mano la tua vita e ripartire da te. Tu non sentirti vittima. Non sarai più vittima.

Altro cambio di paradigma necessario: la violenza subita è quella fisica. Sbagliato da molti punti di vista.

La violenza economica è spesso la prima forma dell’aggressione, quella che precede tutte le altre. Lascia il lavoro e dedicati solo a me. Firma queste carte che sto facendo un grosso affare. Poi, una volta private dell’autonomia economica, è molto più facile passare alla fase due: sei in balia della sua violenza e non ti ribelli perché non sapresti dove andare, come mantenere te stessa e i tuoi figli, sottraendoti alla violenza di lui. E una volta firmate carte compromettenti tu ti ritrovi protestata, fallita, o peggio. E lui resta libero e senza carichi. Insomma, la violenza economica è il primo gradino di una potenziale gravissima escalation.

Questi sono alcuni degli elementi che vanno tenuti presenti nel proporre la misura di Microcredito di Libertà. E quindi nel definire quali siano gli strumenti adatti a raggiungere il target senza forzare alcuna situazione.

Perciò abbiamo escluso campagne generaliste, che ci avrebbero portato a un target indifferenziato a volte solo curioso e non davvero interessato o bisognoso, che avrebbe impegnato gli operatori senza esito.

E - per farla breve – abbiamo scelto il classico approccio novecentesco: il contatto personale, il passa parola, l’organizzazione di eventi e microeventi. Due li abbiamo già organizzati a Roma e Milano in stretta collaborazione con i nostri partner. Altri sono in programma, per arrivare a coprire a macchia il maggior numero di zone.

E via facendo abbiamo scoperto donne interessantissime, a volte eccezionali. Poiché è sempre vero che dietro ogni statistica, dietro i numeri, dietro l’aridità delle frasi fatte, ci sono le persone.

Per esempio, abbiamo scoperto a Bologna un gruppo di donne che si erano auto organizzate per creare una forma di istintivo, embrionale microcredito. Quelle di loro che avevano trovato lavoro, accantonavano ogni mese una piccola cifra per costituire un fondo. Il denaro messo insieme andava a finanziare le piccole ma urgenti necessità delle altre che, appena possibile le avrebbero restituite. Cifre minime, che però stanno a significare solidarietà e finanza.

Abbiamo scoperto che dietro alcune cooperative di successo ci sono alcune donne che non solo sono uscite dalla violenza, ma hanno attuato un progetto di vita per sé e per tante altre, creando laboratori di catering e di moda. E potremmo andare avanti.

Via via che il lavoro prosegue, diventa una scoperta continua. E anche, sinceramente, una motivazione continua ad andare avanti, a far capire alle dirette interessate che ricominciare si può e – speriamo – a tutti gli altri che non si è vittime per sempre.

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