Archivio opinioni
Vittorio Emanuele Agostinelli
Consulta Giovanile Del Cortile Dei Gentili
PARITÀ DI GENERE, LINGUAGGIO ED ECONOMIA
Intervista a francesca dragotto
Abstract: gender equality, language and economy interview to prof. Francesca dragotto
The interview explores the importance of gender, generational equality and inclusion for disadvantaged people. The distortion of the concept of “meritocracy”, often used to mask gender discrimination, is discussed. It is emphasized that quotas are essential to increase female representation and combat social prejudices. The study center “grammatica e sessismo” focuses on linguistic gender distortion. Finally, an in-depth analysis of female representation in economic media is proposed, highlighting how it affects social perception and women’s economic autonomy.
Parità di genere, linguaggio, economia, media e comunicazione.
Il Codice dei contratti pubblici prevede specifiche disposizioni per realizzare le pari opportunità generazionali e di genere e per promuovere l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità o svantaggiate. Cosa pensa del concetto di “parità” e dell’uso della parola “meritocrazia” dove il merito a volte è un parametro distorto utilizzato per nascondere chiare discriminazioni di genere?
L’affiancamento della triade generazionale, di genere e dell’inclusione di persone con disabilità e svantaggi, è cruciale per affrontare le disuguaglianze sociali. Questo approccio ci consente di esaminare la disuguaglianza di genere non solo in termini di quote o “onda rosa”, ma come una questione più complessa. È fondamentale riconoscere che la percezione sociale delle quote spesso le considera come riservate alle donne. Attualmente, le donne occupano posizioni subordinate, rendendo essenziale il restituire loro pari opportunità per accedere a ruoli e stipendi di prestigio.
Inoltre, il tema delle pari opportunità nazionali evidenzia una forma di discriminazione più diffusa di quanto si creda: l’ageismo. Questo pregiudizio colpisce le generazioni più giovani e quelle anziane, suggerendo che la diminuzione della fertilità, in particolare per le donne, possa compromettere il loro valore sociale. Superare la discriminazione generazionale è importante per offrire una prospettiva critica su problematiche spesso trascurate.
Un’analisi delle rappresentazioni della popolazione non giovane, specialmente nei media pubblici, rivela quanto pregiudizio esista verso le donne anziane. Le forme di disabilità e altri svantaggi mostrano che i pregiudizi si intersecano, rafforzando le discriminazioni. Inoltre, l’appartenenza culturale, etnica e religiosa contribuisce a questa complessità, rendendo necessaria una visione integrata delle ingiustizie sociali.
L’inclusione, negli ultimi anni, è stata usata come un termine vuoto, un modo per mascherare politiche che, pur essendo necessarie, non affrontano le rappresentazioni mentali della diversità. Le politiche devono mirare a modificare le percezioni e i modelli mentali per essere efficaci.
Parlando di meritocrazia, vediamo che il termine è emerso negli anni ‘70 e riflette l’interesse per l’idea di meritocrazia. Questa è spesso usata in modo controproducente, sostenendo che le donne talentuose non necessitano di quote, ignorando le barriere sistemiche che ostacolano il progresso delle donne e di altri gruppi svantaggiati. In effetti, i modelli mentali influiscono profondamente sulle scelte di carriera, specialmente per le donne, alimentando la convinzione che debbano lottare più degli uomini.
Le quote sono essenziali per qualsiasi categoria. È dimostrato che, senza di esse, le percentuali di rappresentanza rimarrebbero bassissime, in particolare per le donne, che rappresentano la maggioranza. Un cambiamento significativo richiede interventi dall’alto, ma anche un cambiamento dal basso, simile a quello linguistico, in cui nuovi concetti si integrano nella lingua e nella società.
Per promuovere le pari opportunità, è necessario un “centro di radiazione” che favorisca la diffusione di nuove idee. Tuttavia, questo richiede anche un’azione sociale che parta dai modelli mentali di ciascuna comunità. I modelli mentali, che si formano attraverso l’interazione sociale, influenzano profondamente come uomini e donne percepiscono e affrontano la vita pubblica e privata.
Perciò, il cambiamento delle politiche di genere non può essere efficace senza un ampio mutamento sociale. È necessario lavorare su un’immagine collettiva più inclusiva ed equa, affinché le politiche migliorino realmente la situazione, sostenendo un cambiamento profondo e duraturo nell’immaginario collettivo.
Da una Sua idea nasce il Centro studi dipartimentale multidisciplinare “Grammatica e sessismo” del Dipartimento di Studi letterari, filosofici e di Storia dell’arte dell’Università di Roma Tor Vergata. Qual è il valore della parola e la distorsione o allineamento che c’è oggi nella sua declinazione di genere?
Dobbiamo innanzitutto chiarire un malinteso diffuso: la questione dei neologismi legati al genere non è esclusivamente linguistica né recente. Termini come “avvocata” e “ingegnera” non sono innovazioni ideologiche, ma fanno parte della lingua italiana da tempo. Questa idea è una vera e propria “fake news”, poiché questi termini possono essere trovati nei dizionari storici, dimostrando che l’idea di genere nella lingua è un argomento già esplorato.
Il concetto di “fake news” è pertinente qui, poiché si basa su una falsa convinzione che viene facilmente confutata consultando fonti affidabili. È interessante notare che parole come “regina” hanno subito evoluzioni linguistiche senza suscitare polemiche. In una lingua che prevede la declinazione di genere, non tutte le parole sono necessariamente vincolate a una distinzione binaria tra maschile e femminile. Questo genere serve a semplificare la comunicazione, legandosi a dimensioni cognitive.
Quando affrontiamo la resistenza verso l’uso di termini femminili, dobbiamo chiederci perché essi creino disagio. La lingua evolve con l’uso e le generazioni successive assimilano forme linguistiche diventate di riferimento. Non si tratta quindi di una questione di correttezza grammaticale, ma di una resistenza sociale legata al ruolo delle donne in professioni storicamente dominate dagli uomini. Ad esempio, l’introduzione del termine “avvocatessa” alla fine dell’Ottocento, originariamente in tono spregiativo, suggerisce una necessità di riconoscimento.
La resistenza all’uso del femminile si spiega anche con una dinamica psicologica. Molte donne preferiscono essere nominate con termini maschili per sentirsi parificate ai loro colleghi uomini, riflettendo una consapevolezza della percezione sociale che spesso minimizza la loro identità professionale. Questo porta a una dicotomia: da un lato, l’uso di termini maschili è percepito come un riconoscimento di status; dall’altro, i termini femminili sono visti come un modo per marginalizzare.
Facciamo un esperimento sociale: proviamo a rivolgerci a una parrucchiera chiamandola “parrucchiere”. L’effetto sorprendente dimostra come il linguaggio rifletta un pregiudizio radicato nella società. Ciò indica che il problema non è strettamente linguistico, ma profondamente sociale. Le donne spesso si oppongono all’uso del femminile proprio perché questo solleva questioni di identità e riconoscimento.
Inoltre, l’uso del linguaggio è strettamente legato ai diritti. Rivendicare l’uso di forme femminili è parte integrante della lotta per il riconoscimento e l’esistenza nello spazio simbolico e comunicativo. Quando si ignora il genere, si rischia di negare la rappresentanza di un’intera categoria sociale. Per questo è fondamentale combattere per una presenza linguistica femminile in tutti i contesti, non solo in quelli tradizionali o di minor prestigio.
In conclusione, la battaglia per una lingua inclusiva non è solo una questione di forma, ma un passo cruciale verso il riconoscimento e l’uguaglianza. È necessario che il linguaggio rispecchi e promuova una realtà più equa, in cui ogni individuo, indipendentemente dal genere, possa esistere e affermarsi pienamente.
Una “guerra culturale” è la definizione utilizzata dal Presidente del CIO Thomas Bach, in occasione delle Olimpiadi di Parigi 2024 riferendosi a identità di genere, diritti LGBTIQ e al corpo delle donne. Il ‘caso’ delle due boxeur Imane Khelif e Lin Yu-Ting è diventata una delle storie più dibattute delle Olimpiadi di Parigi 2024, dove lo scontro è avvenuto sui social, sui media e la violenza delle parole ha superato quella del ring. Tralasciando il caso specifico, TV e media, prima ancora degli utenti social, spesso cadono nella violenza di linguaggio.
Siamo di fronte a una significativa difficoltà culturale nell’accogliere il cambiamento, un fenomeno che non riguarda solo l’Italia ma si manifesta anche in altre società europee. Le risposte a questa resistenza variano notevolmente da paese a paese, rendendo l’Europa un mosaico di reazioni diverse nei confronti di tematiche come l’uguaglianza di genere.
Attualmente, non vogliamo concentrarci sulla violenza di genere, ma è utile considerare il contesto più ampio di polarizzazione che caratterizza il dibattito pubblico. In questo clima, il confronto tra idee è diventato simile a quello tra tifoserie, dove si tende a schierarsi rigidamente su posizioni opposte, perdendo così la capacità di riconoscere le sfumature intermedie. In un ambiente così polarizzato, il dialogo diventa povero, limitato a una comprensione riduttiva della realtà.
La nostra società sembra incapace di adattarsi a un progresso tecnologico che avanza a ritmi senza precedenti. A differenza di innovazioni passate, come l’invenzione della stampa, oggi ci troviamo di fronte a cambiamenti che si diffondono rapidamente, senza dare tempo alle generazioni di adattarsi. Questa velocità ha un prezzo: le nostre capacità interpretative si trovano in difficoltà.
In questo contesto, i social media hanno creato un “Far West” comunicativo, dove la legge del più forte prevale e dove è facile infliggere ferite emotive senza considerare le conseguenze. Un pregiudizio culturale comune è quello che riduce le parole a semplici espressioni, mentre in realtà esse hanno un potere profondo, capace di lasciare cicatrici nella nostra coscienza.
Le parole non feriscono solo a livello emotivo, ma segnano profondamente la nostra vita e il nostro modo di interagire con gli altri. Aggressioni verbali e microaggressioni diventano parte integrante delle nostre esperienze, influenzando negativamente le relazioni sociali. Pertanto, non basta introdurre quote o misure legislative; è essenziale un cambiamento culturale profondo, che comporta pratiche quotidiane all’interno della comunità.
In questo scenario, il ruolo dei media diventa cruciale. Non ci si può limitare all’educazione scolastica; è fondamentale che i media, in particolare quelli di servizio pubblico, contribuiscano a diversificare i modelli mentali delle persone. Se continuiamo a riproporre determinati schemi, la nostra capacità di riconoscere le sfumature rischia di essere compromessa.
La società ha bisogno di un dibattito aperto e inclusivo, capace di coinvolgere tutte le fasce generazionali e sociali. Solo così potremo sperare in un miglioramento reale, che richiede tempo e impegno. L’inclusione di nuove prospettive nei media è un passo fondamentale per arricchire il nostro inventario mentale e per favorire un clima di comprensione e rispetto reciproco.
Qual è l’interazione tra genere femminile ed economia, e come si manifesta nel sistema economico-finanziario attuale? Esaminiamo, ad esempio, come questo tema viene trattato nel servizio pubblico odierno attraverso l’analisi delle donne nel campo economico e finanziario.
È fondamentale avviare un’analisi dettagliata sulla rappresentazione delle donne nei contenuti economici e finanziari del servizio pubblico. Questa analisi ci permetterà di comprendere meglio il loro posizionamento in un settore cruciale. Analogamente alla rappresentanza generazionale, quando monitoriamo i contenuti televisivi, ci poniamo spesso la domanda: “Quante donne sono state rappresentate quest’anno?” Se il dato raggiunge il 40%, si tende a considerarlo un segnale di progresso. Tuttavia, è essenziale andare oltre questa cifra: dobbiamo esplorare il ruolo di queste donne, il tipo di argomenti trattati e il loro background professionale e sociale.
Se, all’interno di quel 40%, le esperte e le professioniste sono nettamente inferiori, cosa accadrebbe se il numero scendesse sotto il 20%? Un’analisi approfondita dei dati del 2022-2023 ci fornirebbe un quadro più realistico del cambiamento in corso. È importante scoprire quante donne sono state invitate a discutere di economia e gestione del patrimonio. I risultati potrebbero essere sorprendenti, considerando che, secondo l’ISTAT, molte donne non hanno nemmeno un conto corrente. Questo tema non riguarda solo la rappresentazione mediatica, ma anche l’autonomia e l’autodeterminazione, che richiedono strumenti economici di base.
Il problema coinvolge non solo le donne disoccupate, ma anche quelle che, pur lavorando, non sanno gestire le proprie finanze e dipendono dai partner. Questo è un aspetto cruciale. Mi aspetto che il servizio pubblico, impegnato nella crescita sociale, conduca un’analisi approfondita, simile a quella portata avanti da figure storiche come il maestro Manzi. Programmi come “Non è mai troppo tardi” hanno avuto un impatto significativo; ora è fondamentale applicare lo stesso approccio ai temi economici e finanziari, per aiutare le persone a comprendere meglio il contesto in cui vivono.
L’analisi dei dati del servizio pubblico ha rivelato una realtà spesso diversa da quella percepita, influenzata dalla nostra bolla sociale. Monitorare significa considerare i programmi delle reti generaliste: con 1750 trasmissioni all’anno, emergono migliaia di domande che ci aiutano a ricostruire il posizionamento su temi cruciali.
La rappresentazione femminile è solo uno degli aspetti da esaminare; dobbiamo anche considerare il turismo sociale e la rappresentanza di minoranze e disabilità. La questione sociale è centrale nel contratto di servizio del servizio pubblico e i programmi dovrebbero promuovere questa dimensione. È fondamentale anche analizzare il fenomeno dell’odio nei media, poiché i dati annuali raccolti forniscono un quadro dettagliato.
Nel campo dell’economia, temi come le nuove tecnologie e il metaverso sono trattati sempre meno, limitando la diffusione delle conoscenze. Quanto sono rappresentate le donne in queste discussioni? La loro presenza è fortemente ridotta.
Un servizio pubblico che discute questi argomenti, prevalentemente con ospiti maschili, non riesce a rompere i modelli delle generazioni precedenti. I dati mostrano chiaramente questa tendenza. Tuttavia, c’è un paradosso: sebbene il servizio pubblico sia obbligato a realizzare ricerche dettagliate, spesso non le promuove adeguatamente. Molti non sono a conoscenza delle analisi condotte, eppure i risultati potrebbero stimolare dibattiti significativi.
La nostra popolazione è altamente istruita, ma presenta anche una fascia con scarsa educazione digitale, che si informa principalmente attraverso la televisione. Le narrazioni online meritano attenzione.
Proponiamo quindi di analizzare come si parli di economia e finanza nel servizio pubblico: in quali fasce orarie, quali sottotemi vengono affrontati e se questa narrazione contribuisce alla crescita sociale. Questa analisi, basata su dati concreti, è essenziale. È importante superare l’idea che si tratti solo di opinioni. Con dati basati su campioni ampi, è difficile sostenere che si tratti di una mera percezione.
In questo contesto storico critico, dobbiamo usare la conoscenza per sostenere le nostre argomentazioni. Analizzando i dati, possiamo comprendere meglio l’immagine del paese e il suo sviluppo. È tempo di un monitoraggio significativo, per garantire che la rappresentazione delle donne e delle minoranze diventi una priorità nella narrazione mediatica, contribuendo così a un cambiamento sociale reale e significativo.