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Erminia Mazzoni

IL CAMBIAMENTO DELLE POLITICHE DI GENERE DEL PARLAMENTO EUROPEO E LA QUESTIONE DEMOGRAFICA

“Ogni donna dovrebbe crescere sapendo che non ci sono limiti! (Every girl should grow up acknowledging that the limit is the sky!)

L’Unione Europea si trova ad affrontare una sfida demografica significativa. A causa dell’invecchiamento della società, si stima che circa un milione di persone usciranno dal mercato del lavoro ogni anno fino al 2050.

Allo stesso tempo, la carenza di manodopera nel settore dei servizi è aumentata di oltre il 50% rispetto a dieci anni fa.

Per affrontare questi problemi, ritengo che l’UE debba adottare misure che aiutino le famiglie a investire nell’istruzione dei propri figli, promuovendo la mobilità del lavoro all’interno dell’Unione grazie al riconoscimento delle qualifiche e delle competenze oltre i confini nazionali.

Cinque anni fa, l’UE ha messo al centro dei propri impegni la questione demografica. Questa continua a essere una priorità del Parlamento Europeo: lavoreremo su tutti i fronti per adottare politiche ambiziose che aiutino tutti gli europei, giovani e anziani.”

* Dichiarazione della Presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola

Da Simon Veil, prima Presidente del Parlamento Europeo, dal 1979 al 1982, a Roberta Metsola, ultima Presidente in carica, l’integrazione di genere ha fatto progressi. La normativa in materia di pari opportunità è entrata pervasivamente e progressivamente in tutti gli ambiti di competenza dell’Unione. Gli ostacoli all’uguaglianza non sono stati tutti visibili da subito. Il processo di acquisizione della consapevolezza delle differenze ha rappresentato e rappresenta una parte rilevante del cammino. Il punto di debolezza iniziale è stato il macrosettore dei diritti fondamentali.

L’Unione, pur avendo puntato sin dalla sua istituzione, sulla importanza di colmare i divari e superare le differenze di genere, ha mancato di farne menzione tra i diritti fondamentali e ha potuto agire debolmente sulla implementazione della corposa normativa di genere, che ha prodotto dal 1975 a oggi, trovando nel principio di sussidiarietà un limite opportunamente utilizzato dagli stati membri per contenere le spinte europee.

Ma il lavoro europeo è andato avanti incessantemente, portando il livello della legislazione anche nazionale a una apprezzabile compiutezza.

Oggi resta da percorrere l’ultimo miglio. Quello della messa in atto del corpus di regole giuridico predisposto negli anni. Ma a rendere impervio il raggiungimento del traguardo si aggiungono, oggi, la degenerazione valoriale, che trascina con sé anche i principi di democrazia, e l’iperindividualismo, che compromette la socializzazione dei diritti e la solidarietà politica, sociale ed economica. La crisi finanziaria poi ha portato all’estremo tali sentimenti di chiusura, rendendo ancor più difficile far comprendere che il tema non è il riconoscimento di nuovi diritti a una parte, bensì il naturale portato di un nuovo umanesimo, che parafrasando Publio Terenzio Afro, “significa anzitutto volontà di comprendere le ragioni dell’altro, di sentire la sua pena come pena di tutti: la donna non è più un nemico, un avversario da ingannare con mille ingegnose astuzie, ma un altro essere da comprendere e aiutare”.

Tra gli ostacoli anche gli stereotipi di genere, che, come spiega Elisabetta Camussi, docente di Psicologia sociale all’università Bicocca di Milano ed esperta di Psicologia delle Differenze e delle Disuguaglianze, sono alla base del “perché le donne più difficilmente dei maschi si pongono in posizione proattiva, raramente si candidano per promozioni o accedono a quei bonus e aumenti di retribuzione che premiano i comportamenti di potere più che di responsabilità, le strutture gerarchiche più che la cooperazione, l’affermazione individuale più che il lavoro di squadra. Stereotipo vuole che il potere declinato al femminile sia “communal“, basato sulle relazioni, la cura, l’accoglienza. E, al maschile, “agentic“, sintesi di assertività, affermazione di sé, individualismo. Nel contesto della socializzazione – dice Camussi – si impara che alcune caratteristiche vengono premiate se corrispondono a quelle previste per il proprio genere”.

E c’è di più. “Quando le donne arrivano alla dirigenza (quel 12% su 97 milioni di lavoratrici che “ce l’hanno fatta”) tendono a lavorare un maggior numero di ore rispetto a quanto facessero prima, cercano di dimostrare in ogni momento di meritare il ruolo che hanno conquistato, investono di più sul lavoro. Laddove i maschi tendono a ritenere “ratificato” uno stato di capacità e riducono il proprio impegno e le ore lavorate. Il gap retributivo, insomma, e le difficoltà nel salire la scala sociale, sono anche figli di rigidità psicologiche e cliché”.

Per abbattere i muri rimasti l’Unione Europea continua la sua opera incessante, con interventi tesi ad affinare gli strumenti normativi, nella speranza di riuscire a insinuare cultura attraverso la puntualizzazione dei percorsi e delle regole.

Quest’anno ben due direttive sono state approvate a Bruxelles, per rafforzare il sistema di controllo del rispetto dei principi di parità di genere e di tutela in caso di violazione, sia in ambito sociale che lavorativo.

La Direttiva (UE) 2024/1499, del 7 maggio 2024, concerne norme riguardanti gli organismi per la parità in materia di parità di trattamento tra le persone, indipendentemente dalla razza o dall’origine etnica, tra le persone in materia di occupazione e impiego, indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dalla disabilità, dall’età o dall’orientamento sessuale e tra le donne e gli uomini in materia di sicurezza sociale e per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura, e che modifica le direttive 2000/43/CE e 2004/113/CE. E, in particolare, la Direttiva (UE) 2024/1500, del 14 maggio 2024, attiene alle norme riguardanti gli organismi per la parità nel settore della parità di trattamento e delle pari opportunità tra donne e uomini in materia di occupazione e impiego, e che modifica le direttive 2006/54/CE e 2010/41/UE.

Ma facciamo un passo indietro.

Con l’approvazione nel 2000 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, richiamata dall’art. 6 del Trattato sull’UE, gli Stati membri hanno finalmente introdotto, all’Articolo 23, il principio di “Parità tra uomini e donne”, stabilendo che esso “deve essere assicurato in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione. Il principio della parità non osta al mantenimento o all’adozione di misure che prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato”.

Il Trattato di Lisbona del 2009 ha, poi, riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini (già enunciato agli articoli 2, 3 e 13 del previgente Trattato CE), inserendolo tra i valori (art. 2 TUE) e tra gli obiettivi (art. 3, par. 3 TUE) dell’Unione.

Inoltre, il nuovo articolo 10, introdotto dal Trattato di Lisbona nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, prevede che nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione miri a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale

Due decenni e un lustro dal primo pieno riconoscimento hanno portato a un intensificarsi dell’attività legislativa dell’UE, che ha, come detto in apertura, infiltrato questo principio fondamentale, in materia di: accesso ai beni e ai servizi (Dir. 2004/113/CE del Consiglio); occupazione e impiego (Dir. 2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio); congedo parentale (Dir. 2010/18/UE del Consiglio); libero impiego e impresa (Dir. 2010/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, (che abroga la direttiva 86/613/CEE del Consiglio); prevenzione e repressione della tratta di esseri umani e di protezione delle vittime (Dir. 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI); diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato (Dir. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI); equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza (Dir. 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio, che abroga la direttiva 2010/18/UE del Consiglio); miglioramento dell’equilibrio di genere fra gli amministratori delle società quotate e relative misure (Dir. 2022/2381 del Parlamento europeo e del Consiglio); parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore, attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione (Dir. 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio); violenza contro le donne e violenza domestica (Dir. 2024/1385, che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 14.6.2027).

Il quadro normativo che ne è scaturito, anche a livello di legislazioni nazionali, ha consentito significativi passi avanti.

Ma le differenze di genere sopravvivono e il processo di mainstreaming di genere non può essere interrotto. Le donne sono ancora sottorappresentate nel mondo del lavoro e, soprattutto, nelle posizioni apicali e le loro retribuzioni rimangono inferiori a quelle dei colleghi di sesso maschile. E la violenza nei loro confronti, soprattutto quella endofamiliare, ha una forte connessione, oltre che con gli stereotipi culturali, con la dipendenza economica.

Nonostante gli sforzi, anche documentati, compiuti a livello europeo, i risultati sono, quindi, difficili da organizzare in categorie classificabili come progressi.

Tanto è vero che le 5 aree prioritarie di intervento –

  1. l’aumento dell’occupazione femminile e della indipendenza economica;
  2. la riduzione delle differenze retributive e pensionistiche e la lotta alla povertà femminile;
  3. la promozione della parità di genere nei processi decisionali;
  4. la lotta alla violenza di genere e l’introduzione di misure protettive e di supporto per le vittime;
  5. promozione dell’uguaglianza di genere nel mondo - e il macro obiettivo - integrare la prospettiva di genere in tutte le politiche europee e in tutti i programmi finanziari- definiti dalla Prima Strategia europea per la parità di genere, 2016-2019, si ripetono nella seconda Strategia, 2020-2025.

Tale ultima strategia, ancora in corso, rappresenta un impegno fondamentale della Commissione Von der Leyen, che punta a un’Europa, nella quale “donne e uomini, ragazze e ragazzi, nella loro diversità, siano liberi di perseguire i propri sogni, abbiano uguali opportunità e possano partecipare alla vita sociale in maniera equilibrata”.

La presidente Von der Leyen punta a sensibilizzare oltre che imporre. Il suo messaggio è “Usare solo la metà della popolazione, metà delle idee o metà delle energie disponibili è uno spreco.”

Aggiungerei che ostacolando gli apporti di una parte, peraltro maggioritaria della popolazione, l’umanità non sopravvive a se stessa.

Dall’ultimo rilevamento dell’Ufficio Statistico dell’UE, al 1° gennaio 2023 nell’Ue le donne erano 229 milioni contro i 219 milioni di uomini - il sesso debole supera del 4,6% gli uomini! -, la popolazione di età pari o superiore a 80 anni è cresciuta in tutti i paesi dell’UE in media di 2,3 punti percentuali, mentre la percentuale di bambini e giovani adolescenti (al di sotto dei 15 anni) è diminuita a livello UE di 1,5 punti percentuali.

Ne consegue che l’età media è aumentata, passando dai 39 anni del 2003 ai 44,5 del 2023. L’Italia è in testa con un’età media di 48,4 anni.

Quindi una popolazione che invecchia, perché la natalità continua a ridursi.

Questo tema è strettamente connesso ai temi tipicamente di genere, ma in pochi considerano l’incidenza del fenomeno. Tutto quanto frena la piena e completa equiparazione delle donne agli uomini nella società, nel lavoro, nei doveri di cura e assistenza, nella retribuzione, etc. impatta sui bilanci nazionali oggi e ancor più lo farà in futuro.

L’Unione Europea ha ancora un approccio compartimentato e non ha ancora definito un piano d’azione che colleghi parità di genere e crescita economica e sociale.

* Alla domanda: “In your speech, on the occasion of the Epp study Days in Napoli, you analyzed the theme of demographic decline in the European Union. Young people, between 15 and 25, are nowadays a minority. Do you Think that female disparity has an impact on it? Do you think the Eu Gender equality strategy 2020/25 has reached its goals? Should the European political attitude, in this regard, reconsider the role of women in our society?”, la Presidente del Parlamento Europeo risponde: “The European Union faces a significant demographic challenge. As society grows older, about one million people will leave the labour market every year until 2050. Meanwhile, the services labour shortage has increased by over 50 per cent compared to ten years ago. To address these issues, I believe the EU must take measures that assist families to invest in their children’s education, promoting labour mobility within the Union by ensuring the recognition of qualifications and skills across borders. Five years ago, the EU put addressing demographic issues back at the heart of its efforts. This continues to be a priority for the European Parliament today: we will work on all fronts to adopt ambitious policies that help all Europeans, young and old.”

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