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Angelo Perfetti | Giornalista
“Ogni persona ha diritto ad un tenore di vita che garantisca la salute e il benessere proprio e della propria famiglia. In particolare, ha diritto al cibo, al vestiario, alla casa, all’assistenza medica e ai servizi sociali di base. Inoltre, ogni persona ha diritto a essere garantita in caso di disoccupazione, malattia, inabilità, vedovanza, vecchiaia e in mancanza di fonti di sopravvivenza per circostanze esterne alla sua volontà”. È l’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, adottata dall’assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. E la base di quella che viene definita “economia sociale”, di cui il microcredito è un tassello fondamentale.
L’idea del microcredito nasce nel 1974 a seguito di una terribile carestia che colpì il Bangladesh. Invece di pensare alle solite donazioni economiche, il professore di economia Muhammad Yunus lanciò una nuova iniziativa. Convin- to che l’elemosina inneschi un circolo vizioso, rivelandosi dannosa per chi la riceve, vuole invece “educare all’uso del denaro” gli strati più poveri della popolazione. Nasce così un nuovo modo di concepire il credito, prestando somme di denaro molto ridotte - microcrediti, appunto - ad alcuni abitanti del posto interessati a dar vita ad una piccola attività indipendente, ma considerati troppo poveri per ottenere credito dai tradizionali circuiti bancari. La crisi economica e le crescenti di coltà di accesso al credito delle banche per i soggetti più deboli, ha dato negli ultimi anni sempre più spazio al fenomeno del microcredito. Già nel 2012 l’ammontare di credito concesso grazie a questo strumento ha superato i 115 milioni di euro e sono stati oltre 12 000 i soggetti destinatari dei prestiti, tra cui numerose famiglie, aiutate a fronteggiare impreviste di coltà nanziarie, imprese – in particolare start-up – e studenti, che hanno potuto accedere all’istruzione universitaria o ai corsi post laurea. In Italia, fra il 2011 e il 2014, sono stati erogati microcrediti per 370,3 milioni di euro. Un trend in continua crescita no ad oggi.
Il ruolo del microcredito a favore dell’inclusione sociale dei soggetti non bancabili è ormai centrale, ed è per questo che una moltitudine crescente di soggetti – pubblici, privati o in partnership tra loro – realizza programmi di erenziati per target e obiettivi. Risulta evidente come il microcredito rappresenti uno strumento decisivo per sostenere il tessuto sociale e la piccola impresa per un Paese che sta tentando di uscire dallo stallo in cui si trova da troppi anni. Per questo sono sempre di più le banche che hanno stipulato convenzioni con l’Ente Nazionale per il Microcredito. Il modello di quest’ultimo prevede, oltre all’intervento del Fondo Centrale di Garanzia, appunto la valorizzazione dei servizi di tutoraggio.
Secondo un’analisi dell’Ente Nazionale per il Microcredito, sulla base di un monitoraggio e ettuato per conto del Ministero del Lavoro, chi ha bene ciato di microcredito produttivo ha generato in media 2,43 posti di lavoro. Dal 2011 al 2014, il microcredito produttivo ha nel suo complesso creato oltre 34.000 posti di lavoro. Dal 2015, le sole operazioni realizzate dalle banche convenzionate con l’Ente hanno generato oltre 9.200 posti di lavoro.
Lo scopo del microcredito è di favorire lo sviluppo di vocazioni imprenditoriali, con l’obiettivo di creare meccanismi virtuosi che consentano ai microimprenditori di generare reddito e diventare economicamente autonomi (Brunori et al., 2014, Negro, 2013, Andreoni et al., 2013). L’erogazione di tale forma creditizia richiederebbe la verifica della presenza di un reale impatto sul territorio da parte dell’iniziativa imprenditoriale da finanziare e quindi l’adozione di un processo comunque selettivo.
I soggetti che costituiscono la potenziale domanda di microcredito imprenditoriale, sulla base del livello di esposizione debitoria e dinamismo imprenditoriale, possono essere classificati in tre grandi filoni: gli imprenditori “prudenti a bassa esposizione debitoria” (microimprese con bassa produttività, ma un sostanziale equilibrio economico finanziario); quelli “dinamicisti a elevata esposizione debitoria” (piccole imprese che tendenzialmente operano su scala sub-ottimale, con maggiore propensione all’investimento rispetto al caso precedente); quelli “assistiti a elevata esposizione debitoria” (piccolissime imprese con insufficiente giro d’a ari, bassa produttività e bassa propensione all’investimento, indebitamento piuttosto elevato e gestione assistita da commercialisti e associazioni sociali).
La dimensione massima dei nanziamenti, nel campo del credito imprenditoriale, mediamente più elevata rispetto al caso del sociale (tanto che la categoria no a 5mila euro praticamente scompare), si concentra nel 2013 princi- palmente nella categoria no a 25mila euro (89% dei prestiti al Sud, 62% al Centro e 56% al Nord); nel Nord e nel Centro sono frequenti anche i prestiti della categoria oltre 25mila euro (rispettivamente rappresentano il 22% e il 38% del totale) mentre quelli di importo no a 10mila euro sono presenti quasi esclusivamente al Nord (23%). I volumi presentano una distribuzione analoga, anche se con una quota del Centro superiore al 50% per i prestiti di dimensione massima (superiore a 25mila euro) e una percentuale al Nord molto ridotta (5%) per quelli no a 10mila euro. Nel Nord tre quarti dei prestiti vengono concessi a persone singole e circa un quarto nell’ambito di programmi che non consentono di individuare se si tratti di persone singlole o giuridiche; il Centro presenta una distribuzione piuttosto bilanciata tra persone singole, giuridiche e miste; nel Sud l’intervento è concentrato sui misti (93%). Quasi assenti i programmi rivolti a cooperative, associazioni di volontariato ed enti no pro t.
Dagli ultimi dati statistici rilevati, particolarmente interessante è l’esame degli obiettivi dei prestiti. Nella maggior parte dei casi si tratta di nanziare progetti di start-up o di avvio di lavoro autonomo (60% al Nord e al Centro, 79% al Sud); nel Centro il 24% dei prestiti è rivolto a imprese già esistenti e il 16% a casi misti (programmi in cui non è possibile individuare la nalizzazione a start-up o a imprese già esistenti); nel Nord è del 23% la quota di prestiti rivolta a casi misti, e un altro 18% è realizzato per combattere i fenomeni di usura. Colpisce il fatto che non siano presenti programmi imprenditoriali contro l’usura nel Mezzogiorno e nel Centro nel 2013 (e anche che negli anni precedenti le percentuali siano molto ridotte). La distribuzione dei volumi è molto simile; si osserva solo che nel Nord vi è una concentrazione molto più elevata sull’avvio di start-up o attività di lavoro autonomo.
Nel campo sociale, il microcredito sembra nascere al Sud e al Centro soprattutto per contrastare il fenomeno dell’usura, mentre al Nord si mirava inizialmente ad un generico sostegno delle famiglie. Peraltro nel tempo queste differenze si sono smussate, soprattutto con riguardo ai volumi di credito. Infatti, data anche la consistenza dei crediti concessi a fini di prevenzione dell’usura, questo obiettivo ha finito per assorbire la maggior parte delle risorse anche al Nord, mentre contemporaneamente nelle altre due zone si è di uso il microcredito rivolto alle esigenze delle famiglie. Solo nella parte più industrializzata del Paese, tuttavia, si è sviluppata una esperienza non del tutto irrilevante di microcredito rivolto al sostegno del lavoratore, che probabilmente rivela un interesse crescente, anche se ancora limitato, per le politiche attive del lavoro.
Per quanto riguarda il microcredito imprenditoriale, la prevalenza riguarda l’obiettivo dell’avvio di nuove imprese o attività di lavoro autonomo, che tra l’altro mira a rendere il soggetto (e la sua famiglia) economicamente indipen- dente, e in questo senso rappresenta un ponte tra il settore sociale e quello produttivo.
Complice anche il dramma della crisi, che ha sconvolto i bilanci familiari, moltiplicato i fallimenti di imprese e cancellato le occasioni di lavoro, le attività di microcredito si stanno diffondendo in Italia, si allarga la platea dei beneficiari e si accresce l’ammontare dei prestiti.