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Angelo Perfetti | Giornalista

Quando si parla di start up, spesso, si pensa automaticamente alle imprese innovative che, solitamente, operano nei settori tecnologici dimenticando che il termine si riferisce più a un periodo che all’identi cazione di un tipo di azienda.
Con start up, infatti, si definisce, come da traduzione del verbo “to start up”, la fase di avvio di un nuovo business o di una business unit all’interno di una società consolidata. Questo periodo è sicuramente il momento più interessante dal punto di vista dell’investimento e, unitamente, il più critico poiché si coniuga anche con la ricerca dei capitali necessari ad avviare l’attività.

Ne abbiamo parlato con Matteo Gianola, che si definisce “economista per diletto e un polemista per attitudine”. Nato nel 1977 ha studiato Economia presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca specializzandosi in diritto per l’economia e metodi quantitativi; ha frequentato i seminari dell’Université d’Été de la Nouvelle Economie a Aix an Provence e nel 2012 ha superato con successo il Corso di Alta Formazione per Amministratori di Fondi Pensione promosso da ABI e Universitas Mercatorum. Dopo nove anni di impiego in banca come consulente e analista e quattro anni come membro del direttivo nazionale di un sindacato bancario, ha assunto il ruolo di asset manager presso una società fiduciaria a Lugano. È editorialista per diverse testate, per le quali analizza temi legati all’economia.

Dott. Gianola, ci inquadra storicamente il concetto di finanziamento per start up?

“Storicamente il nanziamento delle aziende in fase di avvio avveniva per mezzo di mezzi propri (il capitale di rischio) o tramite l’apertura di credito, da parte degli intermediari come le banche, che, però, richiedevano e richiedono tutt’oggi, soprattutto dopo la crisi del settore generata dalla mole di NPE nei bilanci accumulatasi dopo la recessione innescata nel 2007 dall’a aire sub prime mortgages e ampli cata dal crollo di Lehman Brothers, garanzie personali e un business plan accurato per valutare la pro ttabilità dell’idea.

Ovvio che l’avvio di un’iniziativa imprenditoriale, così, non sia esattamente semplice e necessita di capitali e strumenti, anche perché esempi come la nascita di Apple nel garage di Steve Jobs sono solo delle leggende poiché, come ha raccontato più volte Steve Wozniack ad esempio, l’azienda, oggi, più capitalizzata al mondo nacque in seno alla Hewlett-Packard dove questo lavorava e di cui usava saldatrici e macchinari per assemblare le schede di Apple 1”.

Che ruolo ha il credito in questa fase?

Beh, il ruolo del credito diventa centrale in questa delicata fase. Dimentichiamo i miti del venture capital e dei search funds, tipici soprattutto del mercato americano, poiché sono possibilità di nanziamento accessibili solo ad aziende ad alta capitalizzazione iniziale e che possono contare su sponsor importanti o nomi conosciuti tra i fondatori e che non potranno mai essere a disposizione di PMI o artigiani, per quanto innovativi e proiettati in quella che viene chiamata economia 4.0; le alternative all’impiego di mezzi propri possono essere ricercate, allora, nell’istituto del Microcredito o della c.d. sharing economy.

Come valuta quindi il ricorso al microcredito?

Il ricorso al Microcredito, oggi, dà una possibilità concreta di sviluppare un’attività di lavoro autonomo o di microimpresa senza garanzie reali. Le piccole aziende, i giovani professionisti possono nalmente ricevere nanziamenti per sostenere nuovi progetti e idee imprenditoriali innovative, coperti da una Garanzia Statale. Proprio sul Microcredito l’iniziativa del MISE è molto interessante, tramite la creazione di un fondo di garanzia ad hoc diretto verso le PMI che permetta alle nuove realtà imprenditoriali di accedere a nanziamenti a sostegno dell’avvio dell’attività. Il fondo, infatti, non eroga direttamente un contributo in denaro ma garantisce un sostegno non nanziario o rendo una garanzia con cui presentarsi alle banche e in quest’epoca non è poco.

Pur non garantendo condizioni di favore, l’esistenza di questo fondo punta a creare un e etto leva dal lato degli investimenti e permettere una crescita del sistema attraverso la nascita di nuove realtà produttive, sia che si tratti di lavoratori autonomi (artigiani solitamente) o società e si rivolge proprio a quel settore che la crisi degli ultimi dieci anni ha falcidiato in maniera impressionante, quello cioè della piccola e media impresa.

Non c’è il rischio di fornire denaro a pioggia?

“No. I requisiti per accedere alla garanzia sono tassativamente impostati per permettere l’accesso solo alle PMI imponendo dei ferrei parametri: in caso di start up, quindi riferendosi a professionisti e imprese titolari di partita IVA da non più di 5 anni sono imposti dei limiti dimensionali cioè 5 dipendenti per professionisti e imprese individuali e 10 per società di persone e S.r.l. sempli cate o cooperative; per le imprese non in start-up, quindi con già un bilancio chiuso, sono imposti anche dei parametri di bilancio che ne garantiscano una certa solidità, quindi attivi sotto i 300’000 euro, fatturati inferiori ai 200’000 e indebitamento totale non superiore ai 100’000 euro”.

Tutto questo per delineare un pro lo di azienda rigorosamente appartenente alla PMI e nanziariamente sana che possa così ottenere facilmente i fondi necessari all’avvio o al consolidamento della propria attività con una garanzia pubblica pari all’80% dell’importo concesso.

E non c’è il rischio di elargire soldi senza ritorno?

“Ovviamente anche le aperture di credito hanno dei limiti precisi, proprio per evitare un eventuale moral hazard da parte degli attori e sono limitate a 25’000 per ciascun beneficiario (eventualmente aumentabili a 35’000 in caso di erogazioni frazionate, come i SAL per il settore edilizio, per intenderci) e non possono essere assistiti da garanzie reali”.

L’ultimo punto è fondamentale, come anche gli importi massimi concedibili, perché come dicevo prima questo va a minimizzare la possibilità di moral hazard da parte di chi richieda gli andamenti sia da parte di chi li conceda, non permettendo ai primi di accedere a somme eccessive e, per questo, indirizzando il più possibile i finanziamenti al sostegno del business e dall’altra di “strozzare” i nuovi imprenditori con garanzie personali che potrebbero divenire un peso insostenibile in caso di mancato successo dell’iniziativa, il tasso di mortalità delle start up è piuttosto elevato (circa al 50% nei primi cinque anni di vita), e poter accedere a una forma di credito garantito e relativamente poco rischiosa per l’imprenditore è un aiuto concreto che può concedere quella tranquillità necessaria a concentrarsi completamente sull’attività consentendo, in prospettiva, maggiori possibilità di successo e di buoni ritorni sia dal lato dell’istituto finanziatore, che comunque gode già di un’ampia garanzia sul credito, sia dal lato del sistema economico in generale che ha una possibilità concreta di sviluppo dato da un sostegno vero alla PMI.

Esistono altri modi di ricerca liquidità?

“Oggi, l’altro lato della medaglia, nella ricerca di liquidità con cui sostenere produzione ed investimenti per le nuove imprese è rappresentato da quello che viene chiamato crowdfunding.
Non si tratta, in e etti, di una forma di credito ma, bensì, una pratica di micro nanziamento collettivo che avviene, di solito, attraverso delle piattaforme create appositamente sul web andandosi a posizionare come forma principale di fundraising in quel modello economico che, oggi, viene chiamato sharing economy.

Con il crowdfunding si nanzia direttamente un’idea o un progetto che vedrà la luce in futuro, il nanziamento può essere a titolo gratuito (come avviene, solitamente, per associazioni e ONLUS che lo attivano) oppure dietro ricompensa, come fu, a tutti gli e etti, la prenotazione della Model 3 di Tesla che avvenne quando l’auto esisteva solo sulla carta, oppure con l’acquisto di una quota di capitale di rischio sperando in futuri ritorni da dividendo.

Non c’è il rischio di fornire denaro a pioggia?

“No. I requisiti per accedere alla garanzia sono tassativamente impostati per permettere l’accesso solo alle PMI imponendo dei ferrei parametri: in caso di start up, quindi riferendosi a professionisti e imprese titolari di partita IVA da non più di 5 anni sono imposti dei limiti dimensionali cioè 5 dipendenti per professionisti e imprese individuali e 10 per società di persone e S.r.l. sempli cate o cooperative; per le imprese non in start-up, quindi con già un bilancio chiuso, sono imposti anche dei parametri di bilancio che ne garantiscano una certa solidità, quindi attivi sotto i 300’000 euro, fatturati inferiori ai 200’000 e indebitamento totale non superiore ai 100’000 euro”.

Tutto questo per delineare un pro lo di azienda rigorosamente appartenente alla PMI e nanziariamente sana che possa così ottenere facilmente i fondi necessari all’avvio o al consolidamento della propria attività con una garanzia pubblica pari all’80% dell’importo concesso.

E non c’è il rischio di elargire soldi senza ritorno?

“Ovviamente anche le aperture di credito hanno dei limiti precisi, proprio per evitare un eventuale moral hazard da parte degli attori e sono limitate a 25’000 per ciascun bene ciario (eventualmente aumentabili a 35’000 in caso di erogazioni frazionate, come i SAL per il settore edilizio, per intenderci) e non possono essere assistiti da garanzie reali”.

L’ultimo punto è fondamentale, come anche gli importi massimi concedibili, perché come dicevo prima questo va a minimizzare la possibilità di moral hazard da parte di chi richieda gli a damenti sia da parte di chi li conceda, non permettendo ai primi di accedere a somme eccessive e, per questo, indirizzando il più possibile i nanziamenti al sostegno del business e dall’altra di “strozzare” i nuovi imprenditori con garanzie personali che potrebbero divenire un peso insostenibile in caso di mancato successo dell’iniziativa, il tasso di mortalità delle start up è piuttosto elevato (circa al 50% nei primi cinque anni di vita), e poter accedere a una forma di credito garantito e relativamente poco rischiosa per l’imprenditore è un aiuto concreto che può concedere quella tranquillità necessaria a concentrarsi completamente sull’attività consentendo, in prospettiva, maggiori possibilità di successo e di buoni ritorni sia dal lato dell’istituto nanziatore, che comunque gode già di un’ampia garanzia sul credito, sia dal lato del sistema economico in generale che ha una possibilità concreta di sviluppo dato da un sostegno vero alla PMI.

Esistono altri modi di ricerca liquidità?

“Oggi, l’altro lato della medaglia, nella ricerca di liquidità con cui sostenere produzione ed investimenti per le nuove imprese è rappresentato da quello che viene chiamato crowdfunding.
Non si tratta, in effetti, di una forma di credito ma, bensì, una pratica di microfinanziamento collettivo che avviene, di solito, attraverso delle piattaforme create appositamente sul web andandosi a posizionare come forma principale di fundraising in quel modello economico che, oggi, viene chiamato sharing economy.

Con il crowdfunding si nanzia direttamente un’idea o un progetto che vedrà la luce in futuro, il nanziamento può essere a titolo gratuito (come avviene, solitamente, per associazioni e ONLUS che lo attivano) oppure dietro ricompensa, come fu, a tutti gli e etti, la prenotazione della Model 3 di Tesla che avvenne quando l’auto esisteva solo sulla carta, oppure con l’acquisto di una quota di capitale di rischio sperando in futuri ritorni da dividendo.

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