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Vittorio Emanuele Agostinelli | Project Assistant dell’European University College Association Membro di Giunta della Facoltà di Giurisprudenza - Università “La Sapienza di Roma”

Cresce la richiesta di microcredito sul territorio
italiano. Alle Banche convenzionate con l’Ente Nazionale
per il Microcredito sono arrivate oltre 1.500 domande
nel corso del primo semestre del 2018, con un incremento
del 260% su base annua. Domande di finanziamento
da parte di quelle persone – i cosiddetti
“soggetti deboli” - che nove volte su dieci non riescono
ad aprire un canale bancario tradizionale, per l’assenza
di garanzie da prestare in cambio di denari.
L’attività di lotta alla povertà e all’esclusione sociale e
finanziaria è determinante in un Paese come l’Italia in
cui la piccola, piccolissima e media impresa sono il
vero motore dell’economia e altresì un modello funzionale
come lo strumento del microcredito può, a
buon diritto, essere riprodotto ed esportato in altre
Nazioni con i benefici di una finanza etica che può
svilupparsi anche con prodotti di tipo diverso come
microhousing, microleasing e microcredito per il
sociale. L’obiettivo fissato dall’Ente è quello di mettere
a sistema il mondo delle Ong, dell’associazionismo e
buona parte del mondo creditizio, per sostenere la
diffusione e il controllo di uno strumento sostenibile
e produttivo, promosso dalle politiche dello Stato
con un fondo di garanzia ad hoc.

La sfida futura riguarda la professionalizzazione degli operatori che
svolgono i servizi ausiliari perché possano sostenere
con maggiore attenzione le dinamiche e i processi per
i microcrediti, affinché il default delle imprese sia
pari a zero.
Non è abitudine né cosa facile monitorare l’impatto -
economico e sociale - del credito bancario: troppe variabili,
troppo difficile andare indietro nel tempo,
troppi i possibili effetti che sfuggono all’attenzione. Le difficoltà si moltiplicano nel caso del microcredito,
dove la polverizzazione degli interventi e le diverse
zone grigie dove per lo più opera rendono ancora più
complesso il monitoraggio ex post degli impieghi.
Ne abbiamo parlato con Angelo Coco, Dirigente enti
e contribuenti della Agenzia delle Entrate e Riscossione
e Responsabile della comunicazione.
L’Ente Nazionale per il Microcredito svolge da molti anni un’attività importante nell’erogazione di microfinanziamenti con lo strumento del microcredito a famiglie, aziende e giovani. Ma a quanto corrispondono
e quanto sono importanti le entrate fiscali che derivano dalle piccolissime, piccole e medie imprese in Italia?
Il sistema fiscale italiano è sostanzialmente basato sul
tributo, ed è quindi a questo target di fissazione che è opportuno fare riferimento per offrire una risposta il
più vicino possibile alla realtà.
La stima del gettito ottenuto dai versamenti delle
principali imposte versate nel corso del 2017 da
imprese e lavoratori autonomi con un fatturato
inferiore a 5 milioni di euro (per stare nel perimetro
delle piccolissime, piccole e medie imprese) è così
suddivisa:
Ires € 8.788.000.000,00
Irpef € 24.508.000.000,00
Irap € 5.466.000.000,00
Imu/Taxi € 2.878.000.000,00
Add.le Reg.le Irpef € 1.700.000.000,00
TOTALE € 43.983.000.000,00


Quanto produce in termini fiscali ogni impresa finanziata
(fino a € 30.000,00) dal microcredito?
Ed in quale contesto moderno essa opera?
La modifica strutturale del mercato del lavoro con il
passaggio da un sistema prevalentemente basato sul
“posto fisso” a un sistema meno garantista, ma con
opportunità completamente nuove, sta stravolgendo il contesto sociale italiano, dando origine anche a fenomeni
che possono essere considerati negativi, se
solo pensiamo alla emigrazione intellettuale che caratterizza
l’Italia. Ogni anno partono circa 100 mila
giovani in cerca di realizzazione all’estero, con un
costo in termini di prodotto interno lordo di un
punto percentuale all’anno. Una ondata migratoria
con caratteristiche diverse da quelle precedenti: prima
si emigrava con la valigia di cartone, oggi con l’iPad.
Chi resta si trova ad affrontare sfide diverse e deve cogliere
quindi ogni opportunità, sviluppando nuove
modalità occupazionali. Certo, siamo ancora lontani
dal modello americano del garage culla di novità informatiche
sconvolgenti, ma sicuramente lo sviluppo
di nuove attività imprenditoriali, soprattutto giovanili,
ha preso piede. Diventa quasi impossibile dare dei
numeri su quanto lo Stato incasserebbe da una piccola
impresa con quelle caratteristiche.
Bisognerebbe conoscere il settore di attività, per
esempio, ma sapere anche a quale regime tributario
ha aderito, se ci sono altri finanziamenti oltre a quelli
concessi con il microcredito. Insomma, una serie di
altri dati che, anche conosciuti tutti, vista l’aleatorietà dei mercati, rischierebbe comunque di non avvicinarsi
neanche un po’ alla realtà.
Stime più precise, ma sempre stime, possono essere
fatte soltanto avendo a disposizione dei dati su cluster
simili e, quindi, poter approntare simulazioni ipotizzando
modifiche di alcuni fattori.
L’Ente ha censito oltre 8mila interventi del Fondo
di garanzia sulle operazioni di microcredito per
una cifra totale di 183 milioni di euro, riscontrando
quanto, come anticipato, lo strumento del microcredito
risulti particolarmente incisivo nel Sud.
Questo strumento, che accompagna e finanzia i
giovani e le PMI nell’economia reale, può essere
uno strumento per dare equilibrio al mercato locale
e nazionale?
Certamente si. Il microcredito può essere uno strumento
di forte riequilibrio dei mercati. I numeri dicono,
però, che bisogna far si che la fiducia degli investitori
aumenti, se pensiamo che ben il 40% del fondo di
garanzia è coperto da due soli istituti di credito.
Penso che una maggiore spinta dalle istituzioni che
detengono la conoscenza e le informazioni per ampliare la platea di fruitori e investitori dello strumento del
microcredito sia oggi più che mai necessaria, con un
occhio particolare anche alle opportunità che l’Europa
offre.
Il tema dell’inclusione sociale, che inevitabilmente
coinvolge aspetti di grande attualità, non ultimo
quello della gestione dei flussi migratori e della accoglienza,
è solo uno dei temi che meritano fiducia e
supporto da parte del mondo politico e finanziario.
Come già accennato in precedenza, i forti cambiamenti
che hanno riguardato e stanno riguardando il mercato
del lavoro nel nostro Paese stanno creando forti aspettative
soprattutto tra i giovani, ma al momento poche
soluzioni.
Un inciso, le chiedo, sulla rilevanza della formazione
ed educazione contro l’analfabetizzazione finanziaria.
Una adeguata formazione anche nel corso dell’iter
formativo pre-universitario e universitario, potrebbe
spingere molti giovani in questo tipo di impegno, soprattutto
se sostenuti dalle istituzioni locali impegnate
nel valorizzare le risorse intellettive del proprio territorio
e non invece nel vederle partire in cerca di opportunità
altrove.
In conclusione, il 98% circa del totale delle imprese
presenti in Italia ha meno di 20 addetti: una platea costituita
da oltre 5 milioni di piccolissimi e micro imprenditori,
artigiani, negozianti e liberi professionisti.
In materia di imposte e tasse, nel 2017 i lavoratori
autonomi e le piccole imprese sottoposte agli studi di
settore, hanno versato al Fisco € 43,9 miliardi (il
53% del totale delle principali imposte versate dal sistema
economico). Tutte le altre, prevalentemente
medie e grandi imprese, hanno invece corrisposto,
come emerge da uno studio dell’Associazione Artigiani
e Piccole Imprese Mestre Cgia, € 39,6 miliardi (il
47%). Al netto dei dipendenti del pubblico impiego,
le aziende con meno di 20 addetti danno lavoro alla
maggioranza degli italiani, vale a dire al 56,4% degli
occupati. Inoltre, queste microrealtà producono il
40% del valore aggiunto nazionale annuo, percentuale
non riscontrabile in nessun altro grande Paese dell’Unione
europea.
Lo studio restituisce l’immagine di un’economia che
si regge su microimprese, ma con performance fiscali
ed economiche sorprendenti e decisive.

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