MICROCREDITO: UN'ECONOMIA CIRCOLARE DELLE RELAZIONI UMANE
< >LUISA BRUNORI socio fondatore e responsabile scientifico Associazione WINWIN, con DANIELE RICCARDO ABBLASIO, ALESSIO ESPOSITO
< > In collaborazione con TOMMASO CALZOLARI
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Con questo articolo si vuole stimolare una riflessione circa le correlazioni che possono intercorrere tra il servizio di micro-finanza per eccellenza, il microcredito, e il nuovo paradigma economico che si sta pian piano affacciando nel mondo accademico e non solo, ossia quello che sostiene la circolarità dei nostri sistemi di produzione e di consumo, la cosiddetta “economia circolare”. La tesi in discussione in questo lavoro rileva l’esistenza di una correlazione tra microcredito ed economia circolare, poiché entrambi sono rivolti verso l’ottimizzazione delle risorse e il recupero di tutto ciò che viene etichettato come “non utile” dal sistema e di conseguenza condannato all’esclusione e allo “smaltimento”.
Quando parliamo di economia circolare ci riferiamo ad “un sistema economico in cui i prodotti ed i servizi sono scambiati in circuiti chiusi o cicli”1.
Il punto focale è il superamento del concetto di rifiuto”, inteso come risultato di un’attività economica che segue il modello “take-make-dispose”, o “prendi produci getta”. Infatti il modello economico tradizionale alla base della fabbricazione e dell’utilizzo dei beni viene definito “lineare”, perché ha un inizio, l’acquisizione delle materie prime e una fine, che coincide con l’esaurimento della loro funzione e con la loro trasformazione in rifiuto. In questo contesto, secondo gli esperti, una transizione verso l’economia circolare si realizzerebbe disegnando un ciclo produttivo perpetuo e, dunque, circolare del bene, in modo che non sia mai scartato ma al contrario sempre recuperato, riparato e riutilizzato o scomposto nei suoi materiali per essere riciclato. Infatti, uno dei fini principali dell’economia circolare è quello di ridurre la dipendenza del nostro sistema economico dal consumo di materie prime, poiché si è raggiunta la consapevolezza di come queste non siano fruibili in eterno2.
Ed è proprio grazie a questa avversità verso lo smaltimento delle risorse ancora reintegrabili nel ciclo produttivo che è possibile sostenere un’affinità tra il principio base del nuovo modello economico e la ratio ispiratrice del microcredito. Quest’ultimo infatti si riallaccia alla teoria dello sviluppo delle “capabilites” dell’economista e premio Nobel Amartya Sen, secondo cui la povertà è il frutto della mancanza dello sviluppo delle risorse, intese nel loro significato più ampio, siano esse tangibili o intangibili. Secondo tale prospettiva si può affermare come non ci siano soggetti totalmente incapaci, ma tutti siano in possesso di qualche abilità, anche se non ancora identificata; la persona deve semplicemente essere messa nelle condizioni di poterla individuare e sviluppare. Non pare quindi improprio sostenere una correlazione diretta tra il riciclaggio dell’economia circolare e una forma di “riciclaggio” delle risorse umane attraverso il microcredito. Certamente si può affermare come quest’ultimo, tenda verso la riabilitazione di tutti quei soggetti considerati come “scarti” dalla società, concedendo loro la possibilità di riscattarsi attraverso attività lavorative. In questo modo si previene il rischio di degenerazione tipico di ogni modello di welfare state, ossia la creazione di un programma volto involontariamente verso il mero assistenzialismo, da cui il soggetto interessato si ritrova dipendente. Al contrario, il prestito di microcredito, seppur modesto, è in grado di sviluppare una indipendenza sia finanziaria sia psicologica del soggetto, affermandolo come cittadino attivo all’interno della società in cui vive e agisce.
Per sostenere più attivamente l’ipotesi della circolarità economica del microcredito, qui di seguito sono esposti alcuni dati e proporzioni di risparmio sul bilancio pubblico, riguardo l’utilizzo di tale strumento. I dati in questione riguardano tre gruppi di soggetti considerati “marginali” dalla società: persone affette da patologie psichiatriche, i carcerati, i ragazzi inclusi nella NEET Generation.
Per quanto riguarda il primo gruppo l’esempio su cui ci soffermeremo sarà uno studio affrontato nel biennio 2009 - 2011 presso il Centro di Salute Mentale di Carpi, Modena, in cui fu avviato nel 2007 un programma di microcredito a forma gruppale per pazienti psichiatrici.
Un aspetto rilevante dimostrato da questa esperienza è che il “sistema di prestiti del microcredito investe sulla creatività dell’individuo, stimolando la persona a sviluppare le sue potenzialità3”. Tutto ciò andrà ad accrescere il senso di autostima e di orgoglio del soggetto in questione. Scopo di tale studio è arrivare ad una valutazione di efficacia ed efficienza del prestito, sia in termini di costi a carico del Sistema Sanitario Locale, sia in termini di benefici per la salute dell’individuo, attraverso le relazioni che andrà a sviluppare in contesti familiari e sociali4.
Lo studio effettuato sui risultati è andato a confrontare due differenti forme di reinserimento lavorativo, un gruppo di “borsa lavoro” e un gruppo di microcredito. Tralasciando il dettaglio dei dati della rilevazione e riportando invece solamente i valori pertinenti ai fini di questa discussione, lo studio riporta un diminuzione di più del 30% dei costi socio-sanitari dei pazienti (con il progetto “borsa lavoro” si è avuto un esborso di circa 8500 euro annui ridotti a poco più di 5100 euro con il gruppo del microcredito5). Inoltre, si è registrato un forte incremento esponenziale degli elementi intangibili come ad esempio la partecipazione, la fiducia sociale e l’autostima. Si può affermare che i pazienti abbiano avviato una transizione dalla passività sociale, che la loro condizione sanitaria imponeva, verso un nuovo ruolo di cittadinanza attiva, grazie ad una graduale reintegrazione nel mondo del lavoro.
Nonostante il successo dell’esperienza del microcredito presso il CSM di Carpi, che dopo 12 anni dall’avvio del progetto è tuttora attivo, non sono state avviate altre azioni di questo tipo.
Chi appartiene ad un’altra categoria estremamente marginale della società sono i detenuti, considerati oltre che come rifiuti della società, come vere e proprie minacce. Questi infatti appaiono come un gruppo abbandonato a se stesso, soprattutto perché le statistiche evidenziano quanto il sistema carcerario sia inefficace verso la loro reintegrazione sociale, nonostante la dichiarazione di intenti istituzionale.
In Italia infatti il problema principale è rappresentato dall’enorme tasso di recidiva che si aggira attorno al 70%6. È noto che nel caso in cui i detenuti trovino un lavoro lo stesso tasso diminuisce notevolmente, attestandosi intorno al 10-12%7.
La recidiva, ovviamente, comporta un elevato aumento delle spese pubbliche, infatti il costo di un detenuto nel 2013 era di circa 124 euro al giorno8. È quindi lapalissiano come un progetto di microcredito avviato in una comunità carceraria rappresenti un potenziale strumento per combattere sia l’altissima recidiva sia per diminuire in maniera considerevole la spesa pubblica.
Inoltre, vi sono ragioni giuridiche a supporto di, un prestito di tale tipo, che pare essere perfettamente coerente con quanto previsto nel terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione Italiana: in essa infatti viene esplicitamente enunciato che le pene da applicare verso coloro che hanno commesso reati “devono tendere alla rieducazione del condannato”9. Ecco dunque che subito viene spontanea una riflessione favorevole alla pertinenza del microcredito verso tale principio, soprattutto perché fine ultimo di questo finanziamento è la riabilitazione verso il mondo lavorativo, insomma una vera e propria rieducazione del reo che permette un suo graduale reinserimento all’interno della società.
A tal proposito, nel 2006 si è tentato di avviare nella Regione Lazio un progetto di microcredito per i carcerati. Purtroppo però, il progetto vero e proprio non è stato mai avviato poiché il programma pilota, condotto per 10 mesi e con 81 prestiti concessi, non ebbe i risultati sperati con un tasso di restituzione che si aggirò sul 46%. Sono diverse le cause attribuite ad un risultato così scarsamente soddisfacente: Innanzitutto, il tipo di prestito concesso non aveva come vincolo di destinazione unicamente la creazione di un’impresa, ma venne erogato anche come strumento riparatorio a favore di persone che si trovavano in una situazione economica disastrata. Altra causa del fallimento è imputabile ad una preparazione inadeguata degli operatori coinvolti nel progetto, sia da un punto di vista della strutturazione del progetto sia dal punto di vista delle competenze tecniche e relazionali degli operatori. Infine non fu prevista alcuna attività di tutoraggio e supporto verso i beneficiari del prestito10.
Dopo l’insuccesso del progetto, non sono mai più state proposte idee di questo tipo in nessun altro istituto penitenziario.
Tuttavia, alla luce delle imperfezioni rilevate nel programma laziale, si ha comunque modo di credere che un progetto più accurato, che impari dagli errori passati e dalle esperienze virtuose in atto, sia fortemente auspicabile. È di cruciale importanza che l’autorità statale, attraverso le agenzie competenti, si preoccupi di creare le condizioni per il superamento del problema del mondo carcerario. A tale scopo è evidente l’importanza della creazione di nuove opportunità lavorative che di conseguenza andranno ad abbassare il tasso di recidiva dei detenuti, diminuendo in concomitanza la spesa pubblica, in modo anche da alleviare il sovraffollamento nelle carceri, dato che attualmente, in Italia, sono contenuti 60.476 detenuti su una capienza massima di 50.52811.
Un fenomeno scarsamente conosciuto ma ampiamente diffuso nella nostra società è quello della NEET generation (Not (engaged) in Education, Employment or Training). Si tratta di quei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e che nemmeno seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale. In Italia sono oltre 3 milioni (24,1%)12 ed il loro mancato inserimento nel mercato del lavoro comporta un costo “sociale” di 36 miliardi all’anno (il 2% del PIL)13. A differenza degli altri due casi, socialmente marginali, ciò che è veramente preoccupante nel caso dei NEET è l’assopimento psicologico dei giovani che fanno parte di tale categoria. A tal proposito, i dati dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo enfatizzano soprattutto come “la permanenza nella condizione di NEET tende a produrre nei singoli un effetto corrosivo. Infatti, al «non» studio e lavoro tendono ad associarsi anche altri «non» sul versante delle scelte di autonomia, di formazione di una famiglia, di partecipazione civica, di piena cittadinanza. Il fenomeno non va letto solo in termini di costi, ma anche di mancata opportunità del sistema paese di mettere la sua componente più preziosa e dinamica nella condizione di contribuire pienamente Dopo l’insuccesso del progetto, non sono mai più state proposte idee di questo tipo in nessun altro istituto penitenziario.
Tuttavia, alla luce delle imperfezioni rilevate nel programma laziale, si ha comunque modo di credere che un progetto più accurato, che impari dagli errori passati e dalle esperienze virtuose in atto, sia fortemente auspicabile. È di cruciale importanza che l’autorità statale, attraverso le agenzie competenti, si preoccupi di creare le condizioni per il superamento del problema del mondo carcerario. A tale scopo è evidente l’importanza della creazione di nuove opportunità lavorative che di conseguenza andranno ad abbassare il tasso di recidiva dei detenuti, diminuendo in concomitanza la spesa pubblica, in modo anche da alleviare il sovraffollamento nelle carceri, dato che attualmente, in Italia, sono contenuti 60.476 detenuti su una capienza massima di 50.52811.
Un fenomeno scarsamente conosciuto ma ampiamente diffuso nella nostra società è quello della NEET generation (Not (engaged) in Education, Employment or Training). Si tratta di quei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano e che nemmeno seguono corsi di formazione o aggiornamento professionale. In Italia sono oltre 3 milioni (24,1%)12 ed il loro mancato inserimento nel mercato del lavoro comporta un costo “sociale” di 36 miliardi all’anno (il 2% del PIL)13. A differenza degli altri due casi, socialmente marginali, ciò che è veramente preoccupante nel caso dei NEET è l’assopimento psicologico dei giovani che fanno parte di tale categoria. A tal proposito, i dati dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo enfatizzano soprattutto come “la permanenza nella condizione di NEET tende a produrre nei singoli un effetto corrosivo. Infatti, al «non» studio e lavoro tendono ad associarsi anche altri «non» sul versante delle scelte di autonomia, di formazione di una famiglia, di partecipazione civica, di piena cittadinanza. Il fenomeno non va letto solo in termini di costi, ma anche di mancata opportunità del sistema paese di mettere la sua componente più preziosa e dinamica nella condizione di contribuire pienamente alla produzione di crescita presente e futura”14.
Alla luce di quanto riportato finora appare evidente come un eventuale progetto di microcredito, soprattutto se valorizzato negli aspetti relazionali, possa attivare queste risorse, a cui verrebbe data la possibilità di integrarsi all’interno del mondo lavorativo e di uscire conseguentemente dalla categoria NEET.
Questi elementi intangibili si traducono rapidamente in elementi concreti se prendiamo in considerazione i relativi aspetti economici.
Si vorrebbe ora concludere proponendo una riflessione circa la correlazione, che pare sussistere tra la diade economia circolare/microcredito e tra due recenti definizioni alternative di capitale, quello naturale e quello umano.
Infatti, quest’ultimi, possono tranquillamente trovarsi in un rapporto di interdipendenza l’uno dall’economia circolare, l’altro dal microcredito.
Il capitale naturale è definito come “l’intero stock di beni naturali che contribuiscono a fornire beni e servizi di valore, diretti e indiretti, per l’umanità e che sono necessari per la sopravvivenza dell’ambiente stesso da cui sono generati”15. La rilevanza e la tutela del capitale naturale è aumentata in maniera esponenziale soprattutto negli ultimi anni, tanto quasi da affermare, che sia esso stesso la base del cambiamento da un’economia classica lineare ad una circolare.
Difatti, un risultato particolarmente efficace di salvaguardia dell’ambiente si ottiene proprio dal riutilizzo delle risorse e attraverso il monitoraggio dell’eccessivo sfruttamento di esse.
Il capitale umano invece è definito dall’OCSE come “l’insieme di conoscenze, abilità, competenze e capacità degli individui, che facilitano la creazione di benessere personale, sociale ed economico”16; si aggiunga a questo il valore del benessere psicologico e relazionale degli individui e della comunità.
Si può affermare che la mancata valorizzazione dei talenti costituisca una vera e propria perdita del capitale umano di una nazione, un vero spreco di risorse umane. Infatti, come detto in precedenza, le persone valutate come “scarti sociali”, non vengono considerate per le loro qualità e potenzialità. Con l’applicazione del microcredito si vuole modificare questa concezione proprio attraverso il recupero di queste potenzialità e il loro reinserimento nella società per un vantaggio degli individui e della comunità.
In questo modo si palesa il rapporto di dipendenza che esiste sia tra economia circolare e capitale naturale, il quale per essere salvaguardato necessità della diffusione della prima, sia tra microcredito e capitale umano: anche quest’ultimo infatti può essere implementato attraverso l’integrazione sociale e lavorativa che il primo comporta.
Inoltre, è possibile affermare che il capitale umano sia dipendente da quello naturale, poiché, in maniera molto semplicistica, se non ci fosse il mondo l’uomo non potrebbe esistere. Per tali motivi, questo articolo sostiene che vi sia uno strettissimo legame tra microcredito, economia circolare, natura e benessere sociale.
Di conseguenza, pare corretto affermare come l’economia circolare ed il microcredito rappresentino, un’espressione del futuro che non solo si vuole ma soprattutto si deve raggiungere per garantire uno sviluppo economico, sociale e sostenibile del mondo: entrambi, infatti, ci insegnano a trasformare la crisi in occasione.