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In questi giorni di crisi convulsa dove le dinamiche dei provvedimenti sembrano inseguire l’emergenza, Microfinanza ha approfondito il tema dello sviluppo sostenibile con il professor Enrico Giovannini, economista, statistico ed accademico, oggi portavoce dell’ASVIS e consulente del Governo. Nelle sue idee una prospettiva concreta che rivaluta secondo gli obiettivi fissati dall’Agenda2030 una politica economica che l’Italia deve continuare a portare avanti per una vera innovazione economica e un progresso sociale del Paese.

Che cosa significa oggi pensare ad un nuovo modello ovvero ad una utopia sostenibile nell’ambito economico, le politiche di economia sociale e di mercato improntate alla resilienza, una parola usata, abusata di questi tempi, ma applicata all’economia, cosa può significare?

Questa crisi ha dimostrato la fragilità del sistema economico, un sistema economico che ha portato grandissimi vantaggi, ha tirato fuori dalla povertà estrema migliaia di persone, ma è anche un sistema molto fragile difronte ad una crisi, non prevedibile, purché molti scienziati ci avevano avvisato di cambiare stile di vita perché avrebbe aumentato il rischio di pandemia, difronte a tutto questo, non solo nei Paesi sviluppati ma anche in quelli in via di sviluppo. Allora l’utopia sostenibile scritta un po’ di tempo fa sulla base dell’agenda 2030 da una indicazione chiara: E’ possibile un mondo diverso è possibile un mondo in cui sostenibilità economica, sociale, ambientale e anche istituzionale, quindi la ripartenza da questa crisi è una occasione per cambiare e la resilienza o meglio la resilienza trasformativa, cioè il fatto di non rimbalzare indietro ma cercare di rimbalzare su un vero e proprio sistema di sviluppo sostenibile per il lavoro.

Ha parlato di agenda 2030, l’ottavo obiettivo dell’agenda 2030 è proprio la sostenibilità del lavoro. L’implementazione del lavoro e lo sviluppo delle piccole, micro e medie imprese. In un tessuto sociale come il nostro, come in quello italiano, quanto può pesare questo sviluppo e questa ripartenza post crisi?

Può pesare moltissimo, noi abbiamo una quota di piccole imprese molto molto elevata, mi faccia dire … forse anche troppo elevata! Va benissimo partire piccoli ma poi c’è bisogno di cercare di rafforzarsi, ma soprattutto in questa fase può contare moltissimo. Sia perché il lavoro dipendente subirà dei contraccolpi come già sta subendo molto duri, che sono in particolare contraccolpi di una incertezza enorme sul futuro, dell’interruzione di catene di fornitura ma anche di una regolamentazione del mercato del lavoro che renderà molto più facile licenziare chi è stato assunto dopo il jobs-act, perché non avendo più l’art.18 vecchio stile sarà probabilmente tra i primi ad essere licenziato. Quindi vuol dire giovani, persone con conoscenze significative che potrebbero tentare la strada dell’autoimprenditoria ed è qui dove tutte le forme di sostegno alle start-up, soprattutto quelle innovative, potrebbero giocare un ruolo importante. La stessa cosa il servizio civile e anche altre forme come il microcredito che possono dare una nuova opportunità a tante persone che hanno visto la propria vita lavorativa interrompersi così bruscamente.

Lo sviluppo di genere e il women empowerment è un altro degli obbiettivi fondamentali dell’agenda 2030, Lei è stato testimonial per l’Ente Nazionale per il Microcredito del progetto “Riparti da te”, rivolto proprio all’educazione economica al femminile. Quanto pesa oggi il gender gap in Italia?

Pesa ancora moltissimo, troppo e peserà ancora di più, perché i dati ci dicono che le donne pagheranno un prezzo altissimo a questa crisi. Per questo bisogna fare delle politiche mirate non solo sulla formazione delle donne ma anche sulle politiche attive rivolte alle donne con una difficoltà in più, il tema della conciliazione vita-lavoro, vista l’enorme incertezza sulla riapertura delle scuole. Allora è qui dove il Paese si deve dare, come avevo scritto nel rapporto Colao, la parità di genere come una delle priorità assolute, anche rispetto a molte altre tematiche. Un impegno non solo italiano ma anche europeo. I fondi europei andranno anche in questa direzione, ma poi bisogna essere equality, quindi lottare contro le diseguaglianze di genere non solo in termini di … lavoro si …. Lavoro no, ma anche in termini di parità di salario a parità di funzione svolta, soprattutto per i livelli più alti, parità di accesso alle posizioni dirigenziali di guida delle imprese, delle amministrazioni pubbliche. Quando ero Presidente dell’Istat c’era una perfetta parità per i primi due livelli dirigenziali, capo dipartimento e direttore centrale, era in parte dovuta alla qualità delle persone. Solo così si cambiano le cose

L’Europa ha programmato per il 2021 di lanciare un piano di azione europeo per l’economia sociale. Cosa pensa che si possa fare in Italia per l’economia sociale, per sostenere lo sviluppo dell’economia sociale?

Come dice il professor Zamagni …”se una economia non è civile … è incivile. Se non è sociale … è asociale”. Dunque in realtà tutta l’economia dovrebbe essere sociale. Naturalmente parliamo di una componente importante dell’economia in senso lato ma che è anche una economia molto rilevante nel momento in cui le persone che a causa della pandemia si sentono e sono più fragili. Pensiamo alle cooperative che hanno nel loro DNA sociale una forte componente di solidarietà. Tante persone oggi coinvolte, ma anche solidarietà intergenerazionale, trasmissione della cooperativa alla generazione futura. Mettere insieme la lotta alle diseguaglianze e alle ingiustizie all’interno dell’attuale generazione va coniugata con una equità intergenerazionale o almeno evitare che la situazione peggiori, come invece sta succedendo e succederà, per questo noi continuiamo a batterci per l’inserimento in Costituzione del principio dello sviluppo sostenibile che ha a che fare proprio con la giustizia tra generazioni perché non vorrei vedere domani mattina una “quota 99”, una “quota 98” o una “quota 97” che si caricherà ulteriormente sulle generazioni future il costo dell’aggiustamento. Il Governatore Visco ha detto: “ci sono due cose sicure sul futuro. L’aumento del debito pubblico e l’aumento delle diseguaglianze”. Nel momento in cui scarichiamo sulle giovani generazioni il peso di non aver preparato un sistema crisi di questo tipo, non possiamo scaricare di nuovo il debito pubblico in politiche che aumenteranno ancora di più il loro peso. Questo eticamente non è accettabile.

Esiste un etica nella finanza?

Si, per fortuna si ha sempre più spesso la finanza sostenibile con la dinamica della così detta finanza responsabile e sostenibile proprio di cambiare il paradigma che ha dominato il meccanismo negli ultimi 40 anni con un ottica di massimizzazione del profitto nel brevissimo termine … costi quel che costi … Prima della crisi proprio questa componente della finanza a livello globale ma anche a livello europeo dominava e non vedo perché visto che questa crisi ha reso il sistema molto più fragile, rischioso, improvvisamente le grandi case finanziarie, che stavano scegliendo di abbandonare le attività come l’energia fossile perché senza futuro, dovrebbero improvvisamente tornare alle vecchie scelte, anzi, i primi segnali sembrano andare esattamente nella direzione opposta, social investment ESG che già stanno guidando i comportamenti di molta parte del sistema finanziario, stanno diventando ancora più rilevanti. L’Italia ha l’opportunità di correggere il grave errore commesso dal Governo Renzi nel 2016 cioè di limitare la rendicontazione non finanziaria, pochissime imprese, poco più di 200, le grandissime di fatto, noi abbiamo proposto d’accordo anche con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, un emendamento al Decreto Rilancio, che vada su un allargamento progressivo di questo obbligo di rendicontazione non finanziaria, che vuol dire contare anche sull’impatto sociale e ambientale e lungo le filiere su tutto il sistema produttivo. Queste sono le scelte che cambiano il sistema.

Secondo Lei in una previsione più aderente alla realtà. L’Italia in quanti anni riuscirà a diventare una nazione green?

Dipende da noi. Dipende per esempio dal fatto che smettiamo di spendere 19 miliardi l’anno di sussidi che appunto fanno male all’ambiente. Trasformiamo, tutti insieme, in sussidi per trasformare il sistema di produzione per azioni in economia green. L’abbattimento del costo del lavoro e quindi favorire le imprese che creano occupazione, un piano straordinario per l’occupazione giovanile e femminile. Spetta a noi ed a nessun altro. La buona notizia è che da tutti i sondaggi, sembra che l’occupazione in Italia sia molto più orientata su questi temi rispetto a 4 anni fa. Perché hanno capito che la crisi sanitaria è legata al degrado ambientale, abbiamo visto la possibilità che cambiando il nostro stile di vita l’ambiente possa tornare a rifiorire, insomma abbiamo visto la possibilità di cambiare, ora lo dobbiamo fare. I costi per farlo ci sono, ma in questo momento in cui i costi del petrolio sono crollati e resteranno bassi per molto tempo, non vedo perché dopo il beneficio che il mercato sta portando a tante società che consumano energia lo stato ci deve pure mettere un regalo, no, questi sfondi usiamoli per trasformare la nostra economia

Digital Trasformation, ovvero come possiamo imparare ad utilizzare i nuovi media e le nuove tecnologie a nostro vantaggio ed a vantaggio dell’economia reale del Paese. È Possibile?

Lo abbiamo fatto in questi di lock-down in cui tutti abbiamo trasformato la nostra casa in luoghi di lavoro, in luoghi di formazione e sappiamo quanto questo è più difficile per chi è più indietro e quindi questa trasformazione rischia di lasciare indietro proprio i più deboli ecco perché parlavo di lotta alle disuguaglianze. Adesso abbiamo la possibilità di imparare da questo “home-working”, non smartworking che è un’altra cosa, molto più intelligente e decidere di spalmare con lo smart-working le attività durante la settimana. Evitando di fare tutti lo stesso giorno e quindi così facendo continuando ad avere città intasate dal traffico per 4 giorni a settimana invece di cinque, non mi sembra un grande salto qualitativo. Ecco, queste sono scelte che noi abbiamo oggi oltre che una digitalizzazione veramente spinta che può migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione, delle nostre città, della nostra vita. Abbiamo imparato che possiamo risparmiare tanto tempo nella nostra quotidianità, il tempo per il trasferimento da casa al lavoro che tra l’altro da tutte le indagini sulla felicità è il peggiore in termini qualitativi delle nostre giornate. Questo è un altro esempio che dimostra che possiamo migliorare il nostro benessere a parità di reddito, che non è poco.

Quando avremo un Ministero della felicità?

Il Ministero della felicità e qualcosa che io personalmente non suggerirei perché il concetto della felicità è complesso va visto non solo come felicità soggettiva ma come una combinazione di situazioni oggettive. La recessione che stiamo vivendo non rende più felici le persone e dunque preferisco come Taiwan ha appena pronunciato di mettere in pratica, avere in ogni Ministero e per ogni Ministro due “mentor” cioè due esperti che aiutano a valutare i provvedimenti proposti da quel Ministro o da quella Ministra in un ottica di sviluppo sostenibile oppure più facilmente come abbiamo proposto nel documento programmatico per lo sviluppo sostenibile, far si che ogni proposta sia accompagnata da una valutazione ex ante di un impatto rispetto agli obbiettivi dell’agenda 2030. Abbiamo dimostrato che si può fare non vedo perché non si faccia.

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