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Tiziana Lang

Ricercatrice ANPAL, esperta di politiche del mercato del lavoro

The numbers of gender equality (and some policy proposals)

The article illustrates the existing gender gaps on the basis of a number of reports, studies and researches published in 2020, at international and EU level. The impact of COVID-19 pandemic on women (especially women entrepreneurs) and the need of targeted policies for the recovery phase is also discussed.

Parità di genere, squilibri di genere, occupazione femminile, Covid19, microfinanza, imprenditorialità donne, ripresa, resilienza.

Sommario

  1. I numeri della parità di genere

1.1 Il Global Gender Gap Report 2020

1.2 Il Rapporto di monitoraggio sullo sviluppo sostenibile nell’Unione Europea

1.3 Le donne imprenditrici nella crisi

1.3.1 Il rapporto di valutazione della microfinanza nell’UE

1.3.2 OCSE: la discussione sulle policy per le imprese femminili nella crisi COVID-19

  1. La Strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025
  2. Il Rapporto sugli sviluppi dell’occupazione e sociali nell’UE 2020 (ESDE)
  3. L’azione dell’UE per la ripresa e la resilienza in ottica di genere

The numbers of gender equality (and some policy proposals)

The article illustrates the existing gender gaps on the basis of a number of reports, studies and researches published in 2020, at international and EU level. The impact of COVID-19 pandemic on women (especially women entrepreneurs) and the need of targeted policies for the recovery phase is also discussed.

Parità di genere, squilibri di genere, occupazione femminile, Covid19, microfinanza, imprenditorialità donne, ripresa, resilienza.

Sommario

  1. I numeri della parità di genere

1.1 Il Global Gender Gap Report 2020

1.2 Il Rapporto di monitoraggio sullo sviluppo sostenibile nell’Unione Europea

1.3 Le donne imprenditrici nella crisi

1.3.1 Il rapporto di valutazione della microfinanza nell’UE

1.3.2 OCSE: la discussione sulle policy per le imprese femminili nella crisi COVID-19

  1. La Strategia dell’UE per la parità di genere 2020-2025
  2. Il Rapporto sugli sviluppi dell’occupazione e sociali nell’UE 2020 (ESDE)
  3. L’azione dell’UE per la ripresa e la resilienza in ottica di genere

  1. I numeri della parità di genere

1.1 Il Global Gender Gap Report 2020

Secondo il World Economic Forum ci vorranno ancora 99 anni e mezzo per colmare il divario esistente tra uomini e donne nel mondo1. E questo, sempre che si continui a progredire almeno al ritmo osservato dal 2006 ad oggi (anno della prima edizione del rapporto), ritmo che gli osservatori ritengono piuttosto lento. Un periodo di tempo molto più lungo ci vorrà per annullare il divario di genere nella “partecipazione economica” che richiederà fino a 257 anni per essere raggiunta a livello globale a causa del lento progredire di questo indicatore. Come si osserva nel grafico 1, tratto dal medesimo Rapporto, il divario nella partecipazione al mercato del lavoro e alle opportunità economiche è pari a 42 punti percentuali.

Tale gap rinvia alla diversa presenza di donne e uomini nel mercato del lavoro: infatti, solo il 55% delle donne è occupata contro il 78% degli uomini. Ma anche alle differenze di retribuzione e di reddito che ancora esistono tra uomini e donne, con un divario del 40% nei salari e di oltre il 50% nei redditi.

In nessuno dei Paesi esaminati dal Rapporto del WEF è stata raggiunta la parità retributiva. La condizione di svantaggio nei confronti degli uomini peggiora nei Paesi dove le donne non possono avviare un’impresa o guadagnarsi da vivere gestendo beni, perché è impedito loro sia l’accesso al credito e la gestione di prodotti finanziari, sia il possesso di terreni (da notare che in 72 dei 153 Paesi esaminati, le donne appartenenti a determinati gruppi sociali non hanno il diritto di aprire un conto in banca né di accedere al credito).

Rispetto al precedente Rapporto del 2018, l’Italia ha perso sei posizioni nella classifica globale scivolando dal 70° al 76° posto, quintultima tra i Paesi membri dell’Unione Europea davanti solo a Cechia, Grecia, Malta e Cipro. Pesano i divari di genere che ancora si registrano: i. nei tassi di occupazione, ii. nella qualità del lavoro (troppo esiguo il numero di donne nei settori e nelle posizioni meglio retribuite), iii. nella partecipazione al lavoro di cura familiare (congedi di paternità troppo brevi, congedi parentali scarsamente retribuiti).

1.2 Il Rapporto di monitoraggio sullo sviluppo sostenibile nell’Unione Europea

Una fotografia dei divari di genere a livello dell’Unione Europea è stata fatta di recente nel Rapporto di Eurostat dedicato al monitoraggio degli indicatori dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’ONU2 nell’UE. Qui si rileva come nel quinquennio 2015-2020 si sia assistito a un rallentamento dei progressi verso la parità tra uomini e donne. Nel grafico 2, di riepilogo dell’avanzamento dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (OSS) in Europa, è agevolmente riconoscibile la posizione arretrata dell’Obiettivo 5 “Parità di genere”. In effetti, la valutazione complessiva di questo obiettivo è definita nel rapporto come “moderatamente negativa”, poiché risultato dei diversi andamenti degli indicatori che misurano i progressi verso la parità di genere e l’emancipazione delle donne e delle ragazze, ossia: violenza di genere, istruzione, lavoro e posizioni di vertice.

Nella tabella 1, si nota come il gap retributivo U/D sia lentamente diminuito e sia invece aumentata la quota di donne nelle posizioni di comando (seggi in parlamento e posti nei consigli di amministrazione delle società quotate). Tuttavia, è possibile notare la permanenza di notevoli squilibri nella partecipazione al mercato del lavoro e nei tassi di occupazione delle diplomate e laureate. Tra il 2002 e il 2019 la quota di donne laureate della fascia di età 30-34 anni è passata dal 23,7% al 46,5%, pari a 22 punti percentuali, mentre quella dei colleghi uomini non è andata oltre un aumento di 14 p.p. passando dal 21,4% al 35,1%. Eppure, le laureate stentano a collocarsi nel mercato del lavoro.

Nel 2019, risultano occupati l’83,2% degli uomini tra i 20 e i 34 anni diplomati e laureati usciti dai percorsi di istruzione e formazione nei tre anni precedenti, contro il 78,6% delle donne nelle medesime condizioni. Il divario di genere del tasso di occupazione di diplomati e laureati nel 2019 ammontava al 4,6%, in crescita dello 0,8% rispetto al 2015. Tale divario è particolarmente sfavorevole per le donne, poiché a titoli di studio superiori si associano normalmente salari medi più elevati, ma anche versamenti contributivi più consistenti e pensioni più alte.

Tra il 2015 e il 2020 il divario occupazionale di genere dei 15-64enni si è mantenuto stabile intorno agli 11 p.p. (v. grafico 3), con il tasso di occupazione femminile cresciuto dal 58,1% al 67,3% tra il 2014 e il 2019 e quello maschile passato dal 74,5% al 79,0%. Al contempo, il gap di genere nell’occupazione si è ridotto di 4,7 punti percentuali.

Nel 2020, come si vedrà oltre, pur avendo assistito a una diminuzione generale dei tassi di occupazione per effetto delle misure di contenimento introdotte dai governi nell’emergenza della pandemia da Covid-19 (-1,7% per gli uomini e -1,5% per le donne), il gap di genere nel mercato del lavoro è rimasto invariato. Impattano negativamente sul divario occupazionale di genere, da un lato, le responsabilità genitoriali e di cura nonché l’accesso limitato a un’assistenza all’infanzia di qualità, e dall’altro, i disincentivi monetari alla partecipazione al mercato del lavoro.

Le donne nell’UE continuano ad essere sovra-rappresentate in settori e livelli scarsamente retribuiti e sottorappresentate nei settori meglio retribuiti. Le loro vite lavorative sono contraddistinte da una maggiore frammentarietà (maternità, congedi, lavoro di cura) e da un più frequente ricorso al lavoro part-time rispetto agli uomini. La media di donne che nell’Unione Europea lavorano part time è pari a circa un terzo dell’occupazione totale (30%) contro l’8% degli uomini (dati 2018) con un divario di circa 22 punti percentuali. In alcuni Stati membri l’occupazione femminile è prevalentemente part time, come nel caso dei Paesi Bassi dove il 74% delle donne e il 23% degli uomini lavorano a tempo ridotto.

Tutti gli elementi citati contribuiscono a determinare il divario retributivo di genere che ancora si registra nell’UE, con la retribuzione delle donne in media del 14,8% inferiore alla retribuzione oraria lorda media degli uomini per uguale lavoro (Eurostat, 2018). Eppure, il divario retributivo può essere ricollegato anche a un numero di fattori legali, sociali ed economici, che vanno oltre l’uguale retribuzione per uguale lavoro. Come nel caso di norme selettive, che accordando un valore più elevato all’impegno lavorativo maschile e un valore inferiore a quello femminile, comportano una discriminazione del mercato del lavoro ai danni di queste ultime. Nel grafico 4 è possibile rinvenire l’evoluzione dei gap retributivi di genere negli Stati membri dal 2013 al 2018.

Il rapporto di monitoraggio sullo sviluppo sostenibile nell’Unione Europea rileva, inoltre, la correlazione tra i tassi di inattività femminili e responsabilità di cura. Il divario di genere nei tassi di inattività è più pronunciato laddove mancano servizi di cura, accessibili e di qualità, soprattutto per l’infanzia.

Nel 2019, una donna inattiva su tre (32,2%) ha riferito di non partecipare attivamente al mercato del lavoro a causa delle responsabilità di cura familiare. Gli inattivi hanno indicato altre motivazioni (malattia, disabilità, pensionamento, istruzione, formazione), e solo nel 4,5% dei casi hanno riferito di essere inattivi a causa di responsabilità di assistenza. Da sottolineare che, pur esigua, la quota di uomini inattivi perché impegnati in attività di cura familiare è aumentata costantemente tra il 2006 e il 2019. Tuttavia, anche la quota di donne inattive per motivi di assistenza si è accresciuta nel periodo, portando il divario di genere a 27,7 punti percentuali nel 2019 (+3 p.p. rispetto al 2014) v. grafico 5.

Un ulteriore sotto-elemento dell’Obiettivo 5 “Parità di genere” è rappresentato dalla presenza delle donne nelle posizioni di leadership. L’UE promuove da tempo la parità nei processi decisionali come priorità nel cammino verso la parità di genere delle donne europee. Nel grafico 6 è osservabile l’aumento costante della quota di seggi detenuti dalle donne nei parlamenti nazionali a partire dal 2003, quota che ha raggiunto il 32,1% nel 2019 (media UE-27).

Persistono, tuttavia, grandi differenze nella composizione di genere dei singoli parlamenti nazionali, che variano dal 47,6% dei seggi occupati da donne in Svezia al 12,2% in Ungheria. Da notare che a inizio 2019 in nessun Paese dell’UE le donne occupavano la maggioranza dei seggi (v. grafico 7).

Similmente ai parlamenti anche per le posizioni di leadership il divario di genere è in favore degli uomini. Nell’UE, sempre nel 2019, la percentuale di donne membri di governo (ministri e viceministri/sottosegretari) era pari al 31,2%, inferiore a quella degli uomini ma in aumento di quasi 10 p.p. rispetto al 2003 (quando era al 22,6%). In aumento anche il numero di presidenti e capi di governo donne che sono passati da zero a quattro tra il 2003 e il 2019 (pari al 14,3% del totale). Durante questo periodo, però, la quota di donne tra i capi di governo non ha mai superato il 14,3%, significando che non ci sono mai state più di quattro donne in questa posizione esecutiva allo stesso tempo. La sotto-rappresentazione delle donne nelle posizioni di vertice è determinata, secondo il monitoraggio di Eurostat, dalla persistenza di stereotipi nei ruoli di genere, dalla mancanza di servizi di supporto per chi lavora e ha responsabilità di cura familiare, dalla cultura politica, dalla cultura aziendale. Le donne raramente diventano leader dei principali partiti politici (fattore determinante nella formazione dei futuri leader politici) e le norme e le aspettative di genere riducono il numero di candidate donne da selezionare nelle competizioni elettorali.

Sempre con riferimento alle posizioni decisionali, è da sottolineare l’aumento di 20 punti percentuali della quota di donne nei consigli di amministrazione delle maggiori società quotate, quota che è passata dall’8,8% del 2003 al 28,4% nel 2019. Eppure, i numeri indicano che tre membri su quattro dei CdA delle maggiori società quotate sono uomini (v. grafico 8).

Al progresso di questo sotto-indicatore hanno certamente contribuito le legislazioni degli Stati membri che hanno introdotto l’obbligo di rispettare una determinata quota/rappresentanza di genere nei consigli di amministrazione3.

1.3 Le donne imprenditrici nella crisi

1.3.1 Il rapporto di valutazione della microfinanza nell’UE

A giugno 2020, la Commissione Europea (DG EMPL) ha pubblicato il rapporto di valutazione dell’attuale offerta di microfinanza nell’UE4 dove si osserva un’insufficienza generale delle risorse e dei finanziamenti erogati e si avanzano proposte per riuscire a soddisfare le esigenze di un mercato in evoluzione al fine di promuovere la crescita, l’occupazione e l’inclusione. Il modello di microfinanza sperimentato nell’UE ha dimostrato la sua efficacia ai fini dell’integrazione nel mercato del lavoro e dell’inclusione sociale. Tuttavia, nella crisi determinata dalla pandemia da COVID-19 il settore della microfinanza ha dovuto affrontare sfide impreviste e significative, così come le piccole e le microimprese, e i lavoratori autonomi.

Diversi approfondimenti del rapporto sono dedicati ai divari di genere nella gestione di impresa e nell’accesso al credito. La prima osservazione è che le donne europee hanno minori probabilità di diventare lavoratrici autonome o imprenditrici rispetto agli uomini. Devono affrontare più ostacoli degli uomini nell’avvio, gestione e crescita delle proprie imprese, in primo luogo per la carenza o mancanza del capitale umano e finanziario necessario. Infine, anche in questo settore professionale, le donne sono più svantaggiate degli uomini a causa delle regole e degli stereotipi sociali che le impegnano nelle responsabilità di cura familiare, limitando il tempo che vorrebbero (e dovrebbero) dedicare alle proprie attività imprenditoriali e alla mobilità. Nel 2018, solo il 32,4% dei 33 milioni di lavoratori autonomi dell’UE erano donne. Nel grafico 9 è rappresentata la quota di imprenditrici donne sul totale dei lavoratori autonomi per Paese membro dell’UE nel 2018.

Malta e Irlanda registrano la quota minore di imprenditrici sul totale dei lavoratori indipendenti dei due Paesi (23,2%), ma anche in Svezia le lavoratrici autonome non superano il 27,3% del totale. Viceversa, Lettonia (42,6%), Lussemburgo (39,4%) e Lituania (38,6%) presentano i valori più elevati di donne imprenditrici nell’Unione Europea. Il divario U/D è maggiore nelle imprese con dipendenti: nel 2018 erano donne solo il 26,5% dei lavoratori autonomi con dipendenti.

Tra le ragioni addotte nella scelta di divenire lavoratori autonomi/imprenditori, sia gli uomini che le donne indicano “l’occasione adatta” come prima motivazione (i primi nel 23,6% dei casi, le seconde nel 21,8%). Seguono, quindi, per gli uomini la prosecuzione dell’attività di famiglia, altri motivi personali e la pratica abituale. Mentre per le donne contano di più le motivazioni personali, la pratica abituale e la possibilità di avere orari flessibili (vedi tabella 2).

In relazione all’accesso al credito, secondo il Global Findex (https://globalfindex.worldbank.org), nel 2017 la percentuale di donne intestatarie di conti bancari nell’UE è leggermente inferiore a quella degli uomini (meno dell’1%), la titolarità più bassa si registra in Romania (53,6%), seguita da Ungheria (72,2%) e Bulgaria (73,6%). Inoltre, in quasi tutti gli Stati membri dell’UE, le donne hanno meno possibilità di ottenere un prestito da un istituto finanziario rispetto agli uomini). Il divario di genere più elevato si registra in Italia 11,2 punti percentuali e in Svezia (9 punti percentuali)

In questo contesto, la microfinanza rappresenta un’importante fonte di finanziamento per le donne imprenditrici. Le istituzioni di microfinanza nel territorio dell’UE riferiscono di avere nelle donne un importante segmento di clientela, al quale indirizzano prodotti e azioni mirate. Le politiche istituzionali dell’87% delle unioni di credito e cooperative finanziarie, il 71% delle ONG, il 60% delle istituzioni finanziarie non bancaria sono concentrate sulle donne. Nel 2017, secondo l’ultima indagine di settore5, il numero di donne mutuatarie attive è aumentato del 6% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la cifra di 347.779 mutuatari, ossia il 36% del totale. Ma ci sono margini di miglioramento, perché negli Stati membri dell’UE, la percentuale di donne che accedono a un prestito è pari al 42,3% del totale dei mutuatari (come riportato nella banca dati del Global Findex).

Per quanto concerne i microprestiti erogati nel programma EaSI, la tabella 3 illustra la panoramica degli indicatori di portafoglio di microprestiti nel 2017. Il 38% dei mutuatari attivi per attività di impresa è rappresentato da donne, percentuale che scende di 3 punti tra coloro che accedono a un prestito personale (35%).

In relazione al contributo che gli strumenti di microfinanza possono offrire al conseguimento dell’obiettivo per lo sviluppo sostenibile dedicato alla parità di genere (OSS 5), il rapporto di valutazione individua i seguenti indicatori di monitoraggio:

  1. percentuale di donne beneficiarie degli strumenti microfinanziari,
  2. percentuale di donne occupate dalle istituzioni microfinanziarie,

iii. percentuale di donne imprenditrici tra i fornitori di microcredito.

In questa direzione sembrerebbero procedere le istituzioni di microfinanza e microcredito che hanno avviato processi di valorizzazione della diversità di genere all’interno delle proprie organizzazioni (il 59% del personale occupato è rappresentato da donne, per un numero assoluto di 14.743 lavoratrici).

1.3.2 OCSE: la discussione sulle policy per le imprese femminili nella crisi COVID-19

Il 9 giugno 2020 l’OCSE ha organizzato un webinar dal titolo “Women enterprise policy and COVID-19: Towards a gender-sensitive response”6 al quale hanno partecipato delegati del Working Party per le piccole e medie imprese e l’imprenditorialità (WPSMEE) e il Comitato LEED (Local Economic and Employment Development). Al centro della discussione l’impatto della crisi da COVID-19 sui settori a prevalente presenza femminile (per es. ospitalità e vendita al dettaglio) e sull’offerta di servizi di assistenza all’infanzia a pagamento, che hanno avuto ripercussioni significative sulla disponibilità di tempo e sulla continuità aziendale per molte imprenditrici.

Le piccole imprese di proprietà femminile sono, in media, più piccole in termini di entrate e occupazione; e spesso ricorrono a fonti di finanziamento informali piuttosto che a prestiti bancari. Queste caratteristiche, unitamente alle differenze di alfabetizzazione finanziaria tra uomini e donne, rischiano di limitare l’accesso delle imprese di donne anche ai programmi di sostegno alle imprese messi in campo dai vari governi, in risposta alla crisi COVID-19, dato che le misure per le piccole imprese si basano per velocizzare l’erogazione del prestito d’emergenza su relazioni preesistenti con istituti di credito commerciali, e non includono disposizioni per le micro o piccolissime imprese. È fondamentale, invece, che i decisori politici garantiscano l’attenzione alle esigenze delle imprenditrici nei programmi di supporto a breve e medio termine.

A tal fine è necessario che i governi si attrezzino per raccogliere i dati sugli effetti di genere della crisi tra gli imprenditori per capire come aiutare le donne imprenditrici, quali misure sono già state adottate e come garantire l’accesso alle misure esistenti (pacchetti di aiuti generici).

L’OCSE ha fornito una breve panoramica del recente lavoro dell’organizzazione sulle politiche per l’imprenditorialità femminile. Tra il 2014 e il 2018, le donne impegnate nell’avvio di una impresa erano il 5% contro l’8% degli uomini. Il 16% degli imprenditori ha aspettative di crescita importanti rispetto al 9% delle imprenditrici (propensione al rischio). Tale gap potrebbe ampliarsi per effetto della crisi da COVID-19.

L’uso del potenziale inattivo delle donne imprenditrici “mancanti” comporterebbe un rafforzamento della crescita economica (fino al 2% del PIL globale secondo le stime) e un aumento della partecipazione alla forza lavoro delle donne (contribuendo al conseguimento dell’obiettivo dei leader del G20 di ridurre del 25% il divario di genere nella partecipazione femminile al mercato del lavoro entro il 2025). La raccomandazione del Consiglio dell’OCSE del 2013 sull’uguaglianza di genere nell’istruzione, nell’occupazione e nell’imprenditorialità, invita i governi a definire risposte adeguate ai fallimenti del mercato che colpiscono le donne imprenditrici e a garantire la parità di accesso ai finanziamenti.

Tra le indicazioni emerse dall’incontro e raccomandazioni ai governi, innanzitutto, di aumentare l’accesso al credito e ai finanziamenti disponibili per la ripresa post-coronavirus, compresa la creazione di flussi di finanziamento dedicati o una quota riservata di programmi di prestito. Anche l’accesso agli appalti pubblici è da “favorire”. Un secondo intervento dovrebbe essere volto ad aumentare la consulenza aziendale e la consulenza alle imprenditrici da parte di mentori e consulenti (pool femminili?) per favorire la stabilizzazione delle imprese in difficoltà e sostenere le imprenditrici nel mantenere vive le proprie attività. Quindi, potrebbe essere utile nel momento attuale trasferire la formazione e il tutoraggio all’imprenditorialità sui canali online (compresi i corsi di alfabetizzazione finanziaria e per l’uso delle tecnologie digitali). Infine, secondo l’OCSE, potrebbe essere necessario rafforzare gli ecosistemi delle imprese femminili (che offrono accesso a finanziamenti, consulenza, apprendimento tra pari, tutoraggio, ecc.) e assicurare la prosecuzione delle attività delle reti di imprenditrici sul web nel contesto della crisi COVID-19.

2 La Strategia per le pari opportunità nell’UE 2020-20257

Come si legge nelle premesse della Comunicazione sulla nuova strategia per la parità di genere 2020-2025, pubblicata a i primi di marzo di quest’anno: “L’Unione Europea è all’avanguardia nel mondo per la parità di genere: 14 tra i primi 20 Paesi al mondo per l’attuazione della parità di genere sono Stati membri dell’UE” e deve tale posizione “ad una legislazione e ad una giurisprudenza solide in materia di parità di trattamento, agli sforzi intrapresi per integrare la prospettiva di genere nei diversi ambiti politici e a norme volte a sanare disuguaglianze specifiche.”

Ciononostante, ricorda sempre la Comunicazione, nessuno dei Paesi membri “ha raggiunto la piena parità di genere e i progressi sono lenti”, come dimostra il punteggio medio dell’indice sull’uguaglianza di genere nell’UE8 che nel 2019 si ferma al 67,4%, con nessuno degli Stati membri che raggiunge il punteggio pieno (100 punti), e un progresso di soli 5,4 punti percentuali rispetto al punteggio medio del 2005.

Il lancio quest’anno della nuova Strategia dell’UE per le pari opportunità coincide con il 25esimo anniversario della Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne dell’Onu, da cui scaturirono la dichiarazione e la Piattaforma di Pechino, il primo impegno e piano d’azione universale per promuovere l’uguaglianza tra donne e uomini.

La Strategia rappresenta il contributo dell’Unione Europea alla costruzione di un mondo migliore per donne e uomini, ragazze e ragazzi. Al contempo, risponde all’obiettivo di sviluppo sostenibile dedicato alla parità di genere (OSS 5) e alla volontà di fare della parità di genere una priorità trasversale di tutti gli obiettivi di sviluppo sostenibile.

Le tendenze incoraggianti che si erano osservate fino alla fine del 2019 (progressivo aumento dell’occupazione femminile, sviluppi positivi nel campo dell’istruzione e formazione di qualità) sono state, sfortunatamente, interrotte dall’impatto della crisi derivata dalla pandemia da COVID-19, che sta mettendo in pericolo i miglioramenti ottenuti.

Ulteriori carenze nella domanda di lavoro rispetto a quelle già presenti prima della crisi hanno peggiorato le condizioni delle donne. Le statistiche mostrano che prima della crisi del Covid-19, le donne avevano meno probabilità di lavorare a tempo pieno, più probabilità di essere impiegate in occupazioni meno retribuite e meno probabilità di progredire nella loro carriera rispetto agli uomini.

Di conseguenza, esiste un persistente divario retributivo di genere, con le donne che hanno maggiori probabilità di porre fine alla propria vita in povertà. Le aspettative sono ora peggiorate poiché le donne sono state colpite in modo sproporzionato dalla crisi nella maggior parte degli Stati membri: è più probabile che siano impegnate in forme di lavoro part-time, a tempo determinato e precario e nei settori più colpiti dalla crisi, come l’albergo, ristorazione e settore della ristorazione, cultura e comunicazione, attività di puericultura / famiglia / assistenza domestica. Inoltre, l’interruzione dei servizi scolastici e di assistenza all’infanzia durante il blocco ha ulteriormente ostacolato la partecipazione delle donne rispetto a quella degli uomini, poiché gli impegni familiari e di cura sono ancora principalmente considerati doveri delle donne nella maggior parte dei Paesi dell’UE. L’impatto complessivo della crisi è stato quello di spingere le donne fuori dal mercato del lavoro: di conseguenza, il numero di donne inattive è aumentato.

3 Il Rapporto sugli sviluppi dell’occupazione e sociali nell’UE 2020

Il rapporto ESDE 20209 della Commissione Europea, presentato a settembre 2020, fornisce un’analisi economica aggiornata dell’occupazione e delle tendenze sociali in Europa e presenta alcune possibili policy per la ripresa. Il sottotitolo dell’edizione 2020 richiama l’equità sociale e la solidarietà quali elementi essenziali dell’economia sociale di mercato dell’Unione Europea10.

Il Rapporto rileva le conseguenze profonde che la pandemia da COVID-19 sta avendo sulla salute, sull’economia, sull’occupazione e sulle condizioni sociali della popolazione, minacciando gran parte dei progressi che l’UE aveva realizzato negli anni precedenti. Sono fornite alcune indicazioni di policy (evidence based) per favorire una maggiore equità sociale nell’Unione a fronte della crisi attuale e delle sfide di lungo periodo derivanti da alcuni fenomeni strutturali pre-esistenti, ossia: invecchiamento demografico, cambiamenti climatici e digitalizzazione.

La crisi determinata dall’emergenza da COVID-19 ha interrotto la fase positiva dell’economia e dell’occupazione nell’UE. Nel secondo trimestre del 2020, a seguito del calo osservato nel primo trimestre (-3,3%), il PIL è sceso dell’11,4%. La diminuzione più netta mai registrata dal 1995, anno di inizio della produzione delle serie storiche.

Le misure di confinamento attuate in tutta l’UE nella primavera del 2020, al fine di arginare la diffusione del virus, porteranno a una significativa diminuzione dell’occupazione totale nell’anno in corso. L’occupazione, dopo essere aumentata per venticinque trimestri consecutivi, è diminuita dello 0,2% nel primo trimestre e del 2,7% nel secondo trimestre 2020.

Il tasso di disoccupazione dell’UE, che nel 2019 era sceso al livello più basso mai registrato (6,7%), dovrebbe aumentare fino al 9% nell’Unione e fino al 9,6% nell’area dell’euro prima di tornare a scendere nel 2021. Similmente, prima della pandemia, il tasso di occupazione nell’Unione era pari al 73,1% dei cittadini tra i 20 e 64 anni (72,7% nell’area dell’euro), e anche il tasso di occupazione dei più giovani (15 -24 anni) nel 2019 era aumentato sino al 33,5%, ma ancora al di sotto dei livelli del 2008 (35%).

Dal punto di vista di genere, il Rapporto ESDE evidenzia come nel periodo 2013-2019 i tassi di occupazione siano cresciuti sia per gli uomini che per le donne, a fronte di un divario occupazionale di genere stabile pari poco meno di 12 punti percentuali (11.2%). È stato calcolato, inoltre, il costo per la società dell’inattività delle donne e della loro mancata partecipazione alle forze di lavoro; secondo gli esperti della Commissione, ammonterebbe a circa 361,9 miliardi di euro l’anno in tutta l’Unione, tenuto conto delle perdite in entrate fiscali e del pagamento di benefici.

Dal 2014 al 2018, la maggior parte degli Stati membri ha compiuto progressi nella riduzione delle differenze retributive di genere, ma come visto qui al par.1.2., nel 2018 la retribuzione oraria lorda media delle donne nell’UE era del 15% circa inferiore a quella degli uomini. Il rafforzamento dell’equità sociale, anche attraverso gli investimenti nelle persone, ha effetti positivi generali. Come nel caso della diminuzione e azzeramento dei divari di genere esistenti (retribuzioni, pensioni, distribuzione del lavoro di cura, congedi, rappresentanza, presenza nei settori STEM) che può portare a un aumento dei rendimenti. All’obiettivo della parità uomo/donna sul posto di lavoro, ma anche all’equità intergenerazionale, può contribuire un dialogo sociale efficace, promuovendo con i contratti collettivi l’integrazione nella forza lavoro e l’equilibrio tra vita professionale e vita privata delle donne, e contrastando la discriminazione di genere e quella basata sull’età, come pure gli abusi, le violenze e le molestie sul luogo di lavoro. Si pensi che i lavoratori e lavoratrici delle aziende in cui opera una rappresentanza dei lavoratori riferiscono fino al 30% in meno di abusi verbali, il 20% in meno di bullismo e il 60% in meno di molestie sessuali. Inoltre, l’adozione di contratti collettivi da parte delle aziende comporta una riduzione del divario retributivo di genere fino al 5%.

Nel Rapporto si conferma quanto monitorato da Eurostat circa il progresso dell’UE in tutti gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile (OSS) con la sola eccezione della parità di genere determinata principalmente dall’alta percentuale di donne inattive a causa delle responsabilità di cura. Questa situazione, già presente in epoca pre-Covid19, potrebbe essere stata peggiorata dalla pandemia come peraltro è stato evidenziato dagli studi di Eurofound, in relazione al telelavoro, al lavoro agile e al confinamento.

Di particolare interesse, il modello attuariale utilizzato al capitolo 3, per quantificare i vantaggi derivanti dalla riduzione dei divari di genere nel mercato del lavoro in un contesto di rapido invecchiamento della popolazione. Tale invecchiamento potrebbe far diminuire il livello medio delle pensioni dell’UE, come percentuale dei salari, dall’attuale 43,3% al 26,7% entro il 2070. La riduzione dei tre divari legati al genere (partecipazione alla forza lavoro, parità di retribuzione e orari di lavoro) potrebbe attenuare questa diminuzione degli importi delle pensioni in modo significativo.

In relazione alle differenze nella partecipazione alla forza lavoro, nel 2019 persiste un gap occupazionale tra uomini e donne di 15,7 milioni di individui, pari a un tasso di partecipazione femminile per la fascia di età 20-64 anni del 72% nell’UE, 12 punti percentuali al di sotto del tasso di partecipazione degli uomini. Il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro della Svezia nel 2019 con circa l’84% è stato il più alto dell’UE e pari al tasso medio di partecipazione maschile dell’Unione. Per colmare il divario attuale, si presume che entro il 2030 il tasso di partecipazione delle donne aumenterà all’84% nell’UE, corrispondendo al tasso attuale della Svezia. In questa ipotesi, l’occupazione complessiva potrebbe continuare più a lungo sul suo percorso di crescita annuale dell’1,2% e iniziare a diminuire solo dopo il 2030, a causa del previsto calo della popolazione in età lavorativa. Entro il 2030, l’occupazione sarebbe del 6,7% superiore rispetto all’ipotesi del mancato superamento del divario di partecipazione da parte delle donne.

La differenza di retribuzione tra uomini e donne: secondo i dati EU-SILC, la retribuzione oraria media nell’UE nel 2018 era inferiore per le donne (14,20 euro) rispetto agli uomini (16,60 euro). Tale differenza produce il gender pay gap del 14% nell’Unione. In Svezia, al contrario, il divario è inferiore (10,9%). Se il divario si riducesse nel complesso dell’UE al livello della Svezia, equivarrebbe a un aumento medio dei salari (per uomini e donne) dell’1,8% entro il 2030.

Oggi, quasi il 30% delle donne tra i 20 e i 64 anni nell’UE lavora in part time (in un quarto dei casi involontario), contro appena il 7% degli uomini. Di conseguenza, il numero medio di ore lavorate a settimana è molto inferiore per le donne rispetto agli colleghi uomini (rispettivamente 35,2 e 40,5 ore). In Svezia, il Paese benchmark, le donne lavorano in media 37 ore settimanali. Per colmare il divario, occorrerebbe introdurre da parte degli Stati membri migliori politiche per le famiglie che consentano alle donne di tutta l’UE di lavorare in media 37 ore a settimana, aumentando così l’orario di lavoro complessivo nell’economia del 2,3% entro il 2030.

A parità di condizioni, la riduzione di tutti i divari legati al genere sul mercato del lavoro determinerebbe un aumento dell’11% della retribuzione totale del lavoro. L’aumento dell’occupazione totale del 6,7%, dell’orario di lavoro del 2,3% e dei salari dell’1,8% a lungo termine farebbe aumentare la retribuzione totale del lavoro dell’11%. Poiché i diritti a pensione sono solitamente legati alla retribuzione del lavoro, ciò avrebbe anche ripercussioni dirette sui diritti alla pensione e sulla sostenibilità del sistema pensionistico e gli importi delle pensioni scenderebbero meno rapidamente, giungendo al 29,9% dei salari entro il 2070 (oltre 3 punti percentuali più elevati rispetto alla proiezione attuariale del 26,7%, a divari di genere invariati). In valori attuali, tale risparmio equivale a quasi 400 miliardi di euro all’anno. Questo importo potrebbe essere considerato in termini di riduzione annuale del costo dell’invecchiamento, sotto forma di pensioni future più elevate.

Attraverso livelli pensionistici più elevati, la riduzione dei divari di genere rafforza l’equità intergenerazionale. Il grafico 10 mostra che, in termini assoluti, le pensioni medie a lungo termine saranno più alte dell’11% nello scenario “Attività femminile” (eliminazione dei divari di genere), rispetto alla situazione di riferimento. La curva tratteggiata nel grafico (a destra) mostra il resoconto generazionale di migliori prestazioni del mercato del lavoro femminile, salari migliori e orario di lavoro più elevato.

Il grafico mostra, per ciascuna coorte di pensionati, l’aumento della pensione media che i lavoratori avrebbero per tutta la vita, a partire dalla coorte che compie 65 anni nel 2018. Le future coorti di pensionati stanno beneficiando della riduzione del costo dell’invecchiamento. Avranno, in media, una pensione più alta di quella che avrebbero se i divari di genere non venissero tempestivamente ridotti.

4 L’azione dell’UE per la ripresa e la resilienza in ottica di genere

Al fine di porre un freno all’emergenza sanitaria, tenuto conto dell’impatto della recessione economica del 2008-2009 sull’intera società nell’UE, le azioni messe in campo dagli Stati membri sono state rapide e decise, con massicce misure di stimolo fiscale (in alcuni Stati membri fino al 20% del PIL). Nel giro di poche settimane dallo scoppio della pandemia, la Commissione Europea ha presentato una serie di iniziative mirate a sostenere gli stati nel contrasto alla crisi sanitaria ed economica.

Questi includono una maggiore flessibilità nelle regole di bilancio e sugli aiuti di Stato dell’UE e due pacchetti di sostegno (Coronavirus Response Investment Initiative, cosiddetta CRII e CRII+)11 che introducono una straordinaria flessibilità nell’uso dei Fondi strutturali e di investimento europei, al fine di contrastare le conseguenze della epidemia da COVID-19. L’UE ha inoltre adottato uno strumento per il sostegno temporaneo all’occupazione al fine di mitigare i rischi di disoccupazione nell’epidemia (SURE)12, un nuovo strumento di solidarietà finanziaria agli Stati membri.

La Commissione Europea il 27 maggio ha presentato un Piano per la ripresa del valore di 2,4 trilioni di euro. Il piano comprende un nuovo strumento denominato “Next Generation EU”

(https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/3pillars_factsheet_0.pdf), dotato di una capacità finanziaria di 750 miliardi di euro. #NextGenerationEU è integrato nel quadro finanziario pluriennale dell’UE (ampliato di 1,85 trilioni di euro), incentrato sulla promozione di una ripresa sostenibile e ricca di posti di lavoro. Per garantire che il sostegno alla ripresa proceda di pari passo con gli investimenti nelle priorità a lungo termine dell’UE, in particolare la resilienza verde, digitale e sociale, #NextGenerationEU finanzierà, in particolare, lo strumento per la ripresa e la resilienza (Recovery Fund) per un valore di 672,5 miliardi di euro in prestiti e sovvenzioni. Si tratta di un sostegno finanziario su vasta scala (310 miliardi di euro in sovvenzioni e fino a 250 miliardi in prestiti) sia per gli investimenti pubblici sia per le riforme strutturali che promuovono la transizione verde e digitale, nonché l’equità e la resilienza sociale, contribuendo in tal modo a preparare gli Stati membri per l’economia del futuro.

Come più volte richiamato, nell’attuale crisi, senza precedenti, le donne hanno svolto un ruolo vitale in prima linea nella lotta contro la pandemia da COVID-19: come operatrici sanitarie, scienziate e ricercatrici, fondamenta di famiglie e comunità. In Italia, sono state delle ricercatrici ad isolare per prime il virus COVID-19. Eppure, le donne sono state colpite in modo sproporzionato dalla pandemia. Abbiamo visto come i settori dove erano principalmente presenti siano stati maggiormente colpiti e abbiamo riflettuto, con i dati Eurostat, OCSE, WEF e Commissione europea alla mano, sui principali gap di genere nel mercato del lavoro e nella redistribuzione dei tempi di lavoro e di cura tra donne e uomini. Infine, ma non ultimo, abbiamo richiamato il settore della microfinanza e i divari di genere nell’imprenditorialità femminile.

Le linee guida della Commissione Europea per la redazione dei Piani nazionali per la ripresa e la resilienza (PNNR)13, che i singoli Paesi membri devono elaborare per la successiva approvazione da parte della Commissione Europea entro marzo 2020, dovranno innanzitutto indicare come si intende realizzare le riforme strutturali - indicate nelle Raccomandazioni specifiche per Paese del 2020 e del 2019; quindi, introdurre gli interventi e incentivi che possono contribuire al conseguimento delle transizioni verdi e digitale e delle altre priorità dell’UE. L’Italia ha ricevuto nel 2019 una raccomandazione specifica sull’occupazione femminile. È necessario cogliere il momento per presentare un piano organico per un cambiamento radicale nel nostro Paese (culturale, organizzativo, infrastrutturale) che riporti nel mercato del lavoro migliaia di donne, accompagnato dalla creazione di infrastrutture sociali, come gli asili nido, che hanno un impatto diretto anche sulla crescita e sul PIL. È indispensabile unire questi interventi ad una riforma dei congedi parentali e di paternità.

Infine, è urgente mettere a disposizione delle donne che vogliono fare impresa risorse adeguate, facilmente accessibili e a loro dedicate (immaginiamo un “Fondo donne” costituito anche con risorse provenienti dal Fund raising e garanzie dello Stato) con figure di supporto e percorsi formativi specifici per lo sviluppo delle competenze matematiche e finanziarie.

Note

1 WEF, Global Gender Gap Report 2020, Ginevra.

2 Eurostat, Sustainable development in the European Union. Monitoring report on progress towards the SDGs in an EU context, 2020 Edition https://ec.europa.eu/eurostat/web/sdi

3 Commissione europea, 2018 Report on equality between women and men in the EU, Publication Office of the European Union, Luxembourg, 2017.

4 Commissione europea, Microfinance in the European Union: Market analysis and recommendations for delivery options in 2021-2027, Luxembourg, 2020.

5 Diriker, D., Landoni, P., Benaglio, N. (2018): Microfinance in Europe: Survey Report 2016-2017,

6 https://sites.telfer.uottawa.ca/were/files/2020/06/OECD-Webinar-Women-Entrepreneurship-Policy-and-COVID-19_Summary-Report.pdf

7 COM (2020) 152 final del 5 marzo 2020, Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni ‘Un’unione dell’uguaglianza: la strategia per la parità di genere 2020-2025’

8 Sviluppato dall’EIGE (l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) l’indice misura la vicinanza degli Stati membri ai target posti dall’Unione europea per la parità di genere nel periodo 2016-2019 https://eige.europa.eu/gender-equality-index/2019

9 Commissione europea, Employment and Social Development in Europe 2020. Leaving no one behind and striving for more: fairness and solidarity in the European social market economy”, Bruxelles, 2020.

10 ESDE è il rapporto faro della Commissione europea in tema di analisi dell’occupazione e delle politiche sociali, come previsto dagli articoli 151, 159 e 161 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

11 Regolamento (UE) 2020/460 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 marzo 2020 CRRI e Regolamento (UE) 2020/558, CRRI+ del 23 aprile 2020.

12 Regolamento (UE) 2020/672 del Consiglio, del 19 maggio 2020, che istituisce uno Strumento europeo di sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione nello stato di emergenza (SURE), a seguito dell’epidemia di Covid19

13 European Commission, Commission Staff working document, Guidance to Member States Recovery and Resilience Plans, SWD (2020) 205 final del 17.09.2020

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