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I MODELLI DI BUSINESS DELL’ECONOMIA CIRCOLARE
Maurizio Dallocchio / Leonella Gori / Emanuele Teti *
* Maurizio Dallocchio - Professore Ordinario di Finanza Aziendale Università Bocconi e Senior Professor SDA Bocconi
Leonella Gori - Lecturer di Finanza Aziendale SDA Bocconi
Emanuele Teti - Professore Associato di Finanza Aziendale Università di Pisa e Affiliate Professor SDA Bocconi
The Business Models of Circular Economy - Abstract
The issue of environment and sustainability of the eco-system is a topical matter also within supranational institutions, especially in the last decades. The expression “circular economy” refers to the science based on waste reduction, to be carried out by reusing materials in subsequent production cycles, able to determine a widespread and durable sustainability whose realization is unavoidably based on a correct and renewed waste management. Five main models to implement the production activity, compatible with the achievement of survival and sustainability objectives have been identified: circular supply chain; extension of life cycle of products; sharing; transformation of goods into services; recovery and recycling. The model of circular economy can be an effective and sustainable answer both to needs of nature and economic world, which can implement productive techniques eventually compatible with the ecosystem.
Parole chiave: Economia Circolare; Riutilizzo; Sharing; Vantaggio Circolare; Riciclo
Sommario
1 Introduzione
2 Verso una definizione di economia circolare
3 Il vantaggio circolare
4 Modelli di business per una economia circolare
5 Conclusione
Il tema e problema dell’ambiente e della sostenibilità dell’ecosistema è diventato argomento di interesse e dibattito anche all’interno delle istituzioni sovranazionali, soprattutto negli ultimi decenni. L’espressione “economia circolare” definisce la scienza basata sulla riduzione degli sprechi, da effettuarsi attraverso il riutilizzo dei materiali in successivi cicli produttivi, in grado di determinare una sostenibilità diffusa e duratura, la cui realizzazione effettiva si fonda imprescindibilmente su una corretta e rinnovata gestione dei rifiuti. Sono stati identificati cinque modelli di implementazione dell’attività produttiva compatibili con il raggiungimento di obiettivi di sopravvivenza e sostenibilità: filiera circolare; estensione del ciclo di vita dei prodotti; sharing; trasformazione di beni in servizi; recupero e riciclo. Il modello di economia circolare può costituire una risposta felice e sostenibile alle esigenze espresse sia dalla natura, maggiormente salvaguardata e compresa nella sua irrinunciabile centralità, sia dal mondo economico, che non appare costretto a rinunciare ai propri obiettivi di generazione di ricchezza e valore bensì può dedicarvisi alla luce dell’applicazione delle tecniche produttive finalmente compatibili con l’ecosistema.
1 Introduzione
Alla ribalta delle cronache moderne, forse con enfasi accresciuta dalla quasi ingestibile situazione dell’ultimo anno, appare insistentemente un problema riconducibile ad una presa di coscienza collettiva ancor prima che ad una necessità di ottimizzazione economica: la quantificazione, l’impiegabilità e la sopravvivenza delle risorse disponibili.
I messaggi scientifici non appaiono tranquillizzanti: alle voci che si affrettano a ribadire quanto gli sconvolgimenti naturali abbiano costituito da sempre eventi anche catastrofici con cui l’umanità abbia dovuto convivere, si affiancano gli autorevoli pareri di scienziati che sottolineano la frequenza e le accresciute imprevedibilità e pericolosità dei cambiamenti climatici ed ambientali. L’opera dell’uomo contribuisce innegabilmente a ridurre la biodiversità e si è ormai formata una consapevolezza diffusa del rischio di distruzione del patrimonio ambientale da cui dipende la sopravvivenza del pianeta e, con esso, dell’intera specie umana. Le scoperte ed i progressi scientifici di indubitabile valore che si succedono e sono stati intrapresi e in gran parte realizzati soprattutto nell’ultimo centennio, che la storia ha già ribattezzato sapientemente il “secolo breve”, hanno contribuito ad attribuire “tangibilità” ai problemi di sostenibilità e scarsità delle risorse.
Il tema e problema dell’ambiente e della sostenibilità dell’ecosistema è diventato argomento di interesse e dibattito anche all’interno delle istituzioni sovranazionali, soprattutto negli ultimi decenni.
I potenti della Terra hanno svolto numerose conferenze, affermato principi e stilato protocolli (il più conosciuto è quello di Kyoto, redatto dai rappresentanti di più di 180 Paesi nel 1997) con obiettivi volti alla salvaguardia ambientale, purtroppo quasi puntualmente disattesi in larga parte.
Come sostanzialmente comprensibile, la misura della bontà di un’iniziativa ha natura eminentemente economica: il conseguimento di un profitto sancisce il successo di un progetto. Non si può razionalmente negare la nozione di redditività che lega un accrescimento della ricchezza al conseguimento di più elevati ricavi, ma un modello economico che trasformi in rifiuto ogni bene per il quale venga a cessare l’impiego primario ha dimostrato la propria insostenibilità. La domanda di risorse è in continua crescita, ad un ritmo maggiore della velocità di sostituzione ed innovazione delle fonti disponibili.
Ciò impone la necessità di un nuovo modello di efficienza in cui i beni utilizzati possano essere reintegrati nel processo produttivo dopo il loro uso iniziale, dando vita ad una circolarità compatibile sia con le esigenze di creazione di valore economico sia di sopravvivenza degli ecosistemi naturali. Ad oggi, nonostante i passi avanti in tale direzione, resi possibili anche dagli avanzamenti tecnologici, il mondo aziendale appare ancora distopico e lontano dal raggiungimento di tali obiettivi di sostenibilità. Il concetto di vantaggio circolare, in cui ogni risorsa è valorizzata secondo un approccio che ne privilegia un poliedrico reimpiego al termine di ogni passaggio lungo la catena produttiva, è attualmente un’ambiziosa finalità cui l’economia volge a passi ancora troppo discontinui.
Solo un’attività di ricerca instancabile, affiancata dalla continua maturazione di una sensibilità istituzionale globale, possono contribuire a dotare il mondo industriale degli strumenti e delle competenze, ma soprattutto dei paradigmi pratici che consentano alle imprese di volgere ad una trasformazione dotata della dirompenza necessaria a stravolgere l’archetipo dello scarto.
2 Verso una definizione di economia circolare
Tre concetti, ascrivibili come assiomi naturali, costituiscono i principi fondamentali dell’economia circolare:
il primo: ciò che è scarto per un essere vivente, è cibo per un altro;
il secondo: i viventi crescono grazie all’energia che ricevono dal sole: impiegando energie rinnovabili e pulite, l’uomo può salvaguardare il suo benessere e la salute dell’ambiente;
infine il terzo: al pari della natura, capace di adattarsi ad ogni ecosistema, l’uomo è chiamato ad accettare la diversità ed a coglierne le opportunità, valorizzandole.
Da tali postulati, nel 2002, Braungart e McDonough introducono il concetto di economia circolare: è l’alba del nuovo millennio, un momento storico e sociale in cui la necessità di un ripensamento profondo, motore di cambiamento, è già diffusa e percepita dalla coscienza comune.
L’esigenza che si insinua nella società nasce dalla consapevolezza guadagnata da larga parte delle popolazioni dei Paesi maggiormente sviluppati in merito alla gravità dei rischi ecologici sofferti dalla nostra Casa Comune, la Terra: l’industria globale è contagiata, almeno nei proclami e nelle intenzioni, dalla volontà di conseguire un risultato che appare a tutt’oggi un’utopia: un sistema a rifiuti zero.
E nel manifesto che sancisce la nascita del concetto di economia circolare, basata su approccio Cradle to Cradle (semplicemente noto come C2C, dalla culla alla culla) la trasformazione è radicale, poiché è il concetto stesso di rifiuto ad essere eliminato, a favore di una costanza universale che vede nella trasformazione perenne l’unica certezza stabile.
Riferimenti filosofici vecchi di circa 2500 anni a parte, nell’economia circolare le linee guida sono identificate da un insieme in R3: tali tre R, “Ridurre”, “Riutilizzare”, “Riciclare” costituiscono l’inno di un nuovo paradigma economico incentrato sulla sostenibilità e la convivenza possibile tra Uomo ed Ecosistema Naturale. Tre R che implicano un grande “No” davanti ad un’altra parola che inizia anch’essa con “R”: Rifiuto.
L’espressione “economia circolare” è, in realtà, precedente al manifesto: il termine è infatti coniato oltre dieci anni prima, nel 1990, da Pearce e Turner, ed il suo significato si è affinato negli anni, conoscendo un’evoluzione che ha condotto all’attuale, nota definizione proposta dalla Fondazione Ellen MacArthur, secondo cui tale locuzione costituisce un “termine generico” per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola”.
La riduzione degli sprechi, da effettuarsi attraverso il riutilizzo dei materiali in successivi cicli produttivi, costituisce il mantra, il principio ispiratore di una sostenibilità diffusa e duratura la cui realizzazione effettiva si fonda imprescindibilmente su una corretta e rinnovata gestione dei rifiuti.
La sfida è imperniata su una dissociazione graduale, ma progressiva e costante, dell’attività economica dal consumo di risorse finite e la minimizzazione dei rifiuti destinati al mero smaltimento.
La medesima Fondazione indica il percorso industriale che può rendere possibile il raggiungimento di tale ambizioso ma indispensabile obiettivo: la transizione verso l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, a ben vedere lontane dal concetto di scoria nel termine stesso che ne indica la trasformabilità, la “rinnovabilità”.
Il fine auspicato, conseguibile dall’applicazione della mutata ottica produttiva, è la generazione di una ricchezza che si connota per caratteri di pervasività, economicità, naturalità e inclusione sociale.
È del tutto evidente il superamento del tradizionale modello di economia lineare, il cui presupposto è l’incorruttibile abbondanza di risorse naturali, acquistabili a prezzi competitivi, impiegabili nei processi industriali e smaltibili quali inutili rifiuti al termine della prefissata vita utile.
Nella nuova concezione circolare, i mezzi produttivi, in particolare se di origine naturale, sono concepiti come scarsi per definizione, di valore e non tramutabili con disinvoltura in scarti da finalizzare ad un rapido disimpegno. Il mutato paradigma evidenzia come non solo l’ambiente, ma anche le imprese ed i loro portatori di interessi possano beneficiare di tale approccio, che può consentire una positiva riduzione di costi nel lungo periodo ed una conseguente più ampia marginalità dei profitti, intesa come ampliamento della forbice tra componenti positive e negative di reddito, a tutto vantaggio dell’incidenza delle prime sul risultato aziendale.
Le linee guida per l’ottenimento della vantaggiosa sostenibilità descritta sono individuate, tra gli altri, dalla citata Fondazione Ellen McArthur, che suggerisce tre basilari principi:
Il controllo delle risorse limitate e la spinta all’impiego di fonti di energia rinnovabili, con l’obiettivo di preservare le fonti naturali;
L’ottimizzazione dell’impiego delle risorse all’interno dei cicli produttivi, secondo una logica di “rotazione” delle stesse che implica il riutilizzo dei fattori nei processi sia di tipo industriale, sia biologico;
La minimizzazione congiunta dei due aspetti che minano la sostenibilità di medio e lungo periodo delle attività umane, ossia la generazione di rifiuti sistematici e la produzione di esternalità negative connesse ai processi di trasformazione dei fattori primi.
3 Il vantaggio circolare
Lo sguardo dell’osservatore attento coglie i primi esiti di una transizione culturale che è già in atto e che appare evidente nei comportamenti del consumatore del nuovo millennio, abituato a disporre sia di ampia scelta sia di abbondante informazione nelle proprie decisioni di acquisto.
La dimostrazione di comportamenti sensibili a variabili diverse da prezzo, qualità, ampiezza della gamma di scelte possibili, dà origine ad una forma di domanda che include la considerazione di variabili connesse all’ecologia, la modalità prescelta di sfruttamento dei fattori produttivi da parte dell’industria e, più in generale, l’adozione di un modello di sostenibilità nella realizzazione dei percorsi produttivi che conducono alla disponibilità dei beni finali. Le imprese, prendendo atto di una radicale metamorfosi della domanda, hanno riconosciuto la potenzialità insita nel cambiamento ed hanno avviato processi di trasformazione del ciclo produttivo tesi all’implementazione di strutture caratterizzate da circolarità, nella convinzione che ciò possa tradursi in un elemento di vantaggio competitivo.
La spinta alla creazione di opportunità di riciclo e reimpiego dei fattori produttivi ha determinato e continua a causare anche la nascita di nuove realtà imprenditoriali che hanno raggiunto quote di mercato considerevoli e, in taluni casi, sono approdate sul mercato finanziario che ha loro riconosciuto valori di capitalizzazione inizialmente insospettabili.
Un’attenta osservazione del fenomeno rivela come i sistemi di riutilizzo delle risorse possano dare vita a nuovi fattori produttivi da impiegare direttamente nell’attività industriale senza richiedere il costoso riacquisto di materie prime, resesi nuovamente disponibili all’interno dell’impresa grazie alla rielaborazione dei cicli di creazione di beni e servizi.
Si intuisce il potenziale di risparmio e di efficientamento anche monetario implicito nell’adozione della rinnovata ottica.
In gergo si diffonde il termine anglosassone di upcycling, ossia di riciclo creativo, proprio ad indicare la nobilitazione degli scarti che assurgono al ruolo di nuovo elemento capace di partecipare alla creazione del valore anche nei confronti del cliente finale.
È essenziale sottolineare che solo un’assidua e costante attività di Ricerca & Sviluppo può condurre all’implementazione di un metodo di lavoro volto al perseguimento del vantaggio ambientale, sociale, economico che l’economia circolare può favorire. È appena il caso di sottolineare che l’attività stessa di ricerca deve essere, per l’efficace conseguimento dei vantaggi connessi alla circolarità, improntata a costituire una relazione intrinseca con gli obiettivi di sostenibilità cui l’attività aziendale ambisce ed in cui i risultati degli studi e degli investimenti in progresso trovano concreta applicazione.
4 Modelli di business per una economia circolare
È necessario individuare modelli di implementazione dell’attività produttiva compatibili con il raggiungimento di obiettivi di sopravvivenza e sostenibilità. A tale proposito è dedicato il lavoro di eminenti studiosi; in questa sede si ritiene opportuno presentare e commentare brevemente i risultati delle analisi condotte da Lacy, Rutqvist e Lamonica, i quali, avendo stimato in oltre quattro trilioni di dollari (al 2030) i vantaggi economici derivanti dall’implementazione dell’economia circolare, propongono cinque modelli di business capaci di realizzare la mutazione ad un sistema produttivo coerente con le finalità descritte.
(1) La prima soluzione identifica la creazione di una filiera circolare, che mira alla sostituzione dei fattori produttivi caratteristici dell’economia lineare e tradizionale con altri biodegradabili o riciclabili, utili sia nel processo produttivo sia ai fini dell’estrazione dell’energia necessaria al compimento delle varie fasi. Tali risorse si contraddistinguono non solo per sostenibilità ecologica, ma anche, sovente, per minore e più controllata volatilità e per una contenuta tendenza al rialzo nei prezzi. L’adozione di filiere circolari rende possibile l’esportazione del modello di business in parola e, persino, la possibilità che l’impresa, con la propria attività, diventi input produttivo effettivo per altre aziende, riducendo le necessità di approvvigionamento esterne e favorendo l’impiego di fonti naturali non soggette ad erosione continua, quali il calore del sole ed il movimento delle acque, solo per citare alcuni esempi.
(2) Un secondo modello di business coerente con le esigenze di sopravvivenza della natura e dell’economia medesima si fonda sulla possibilità di estendere il ciclo di vita dei prodotti, che può riguardare anche i beni tradizionalmente concepiti come a più alta deperibilità, quali gli oggetti tecnologici. Non di rado sono ignorati gli enormi costi ambientali connessi al continuo ricambio di prodotti elettronici in realtà ancora perfettamente funzionanti, in favore di modelli solo leggermente più evoluti. La coscienza di tale problematica deve essere sollecitata soprattutto dal lato del produttore, non con l’ambizione innaturale di fermare il progresso e l’avanzamento tecnologico, ma con il più realistico obiettivo di indurre una veicolazione di modelli non più estremamente innovativi verso segmenti di mercato che potrebbero prestarvi interesse, precedentemente poco o non coinvolti nelle scelte dei canali distributivi. Tale logica conduce all’identificazione dei veri rifiuti, che hanno completamente esaurito la propria vita utile e consente una contemporanea massimizzazione del valore delle componenti dei beni prodotti con un’ottica che può spingersi al medio ed al lungo periodo.
(3) Un modello di business che si è diffuso particolarmente negli ultimi anni e che è parte dell’universo dell’economia circolare è riconducibile all’impiego di piattaforme di condivisione, o sharing. Tale concezione prevede l’uso condiviso di un bene, la cui utilità non viene esaurita dall’intervento di un unico soggetto, ma che viene concesso in impiego a più di un individuo per la soddisfazione di un bisogno. Il paradigma dello sharing è usualmente implementato mediante il ricorso a piattaforme di intermediazione che lucrano un profitto dal trattenimento di una percentuale. L’utilizzo condiviso di un bene è coerente con i principi dell’economia circolare, in quanto potenzia la fruizione delle possibilità di applicazione di un bene da parte di una pluralità di soggetti singolarmente capaci di un impiego solo saltuario del prodotto. Da sottolineare la riduzione di costi per il consumatore finale che la presenza di piattaforme di condivisione può garantire rispetto all’acquisto diretto di beni e servizi.
(4) Ancora, innovativi modelli di business procedono alla trasformazione dei beni in servizi: la logica nota come “tutto compreso” estende all’acquirente una più ampia gamma di elementi inclusi nell’acquisto originario cui si aggiungono, infatti, servizi addizionali che comprendono manutenzione, estensione delle garanzie e che possono non solo ampliare la soddisfazione del cliente, ma anche consentire una successiva rivendita del bene ricondizionato, o ancora funzionante, ad altri segmenti di mercato. Il cliente è tranquillizzato, in questo modello, da una formula di vendita che lo libera da molte incombenze e pensieri collegati alla fase del post-acquisto. Il produttore può avvalersi di un consumatore disposto a pagare per un prodotto più completo, che include una gamma di attività accessorie ed allontana il momento in cui il bene dovrà essere sostituito da una produzione completamente rinnovata. All’estremo di questo concetto che legge il bene come un servizio vi è la possibilità, consentita dagli avanzamenti tecnologici, di non procedere più all’acquisto di capacità di calcolo e software: la disponibilità del cloud-computing può consentire di noleggiare capacità di calcolo all’occorrenza, riducendo anche drasticamente gli investimenti.
(5) Infine, vessillo dell’economia circolare è il modello che propone recupero e riciclo: in tale ottica, gli scarti sono reimpiegati in alternativi processi produttivi che avvengono in linee di business dell’impresa originaria o che appartengono ad altre realtà aziendali, per le cui caratteristiche i residui delle filiere di produzione di una fabbrica possono costituire valido input da impiegare. Cuore di un modello di business votato al recupero ed al riciclo è l’eliminazione del concetto di rifiuto da smaltire privo di qualsivoglia utilità residua o alternativa. Per quanto l’obiettivo di un mondo “a rifiuti zero” sia ancora una chimera ambita ma lontana, l’affermarsi di un nuovo paradigma all’interno di molte realtà produttive, incentrato sulla concezione del residuo come potenziale fonte di nuovo valore e sulla difesa della salute ambientale, pone solide basi per una rivoluzione che trasforma la concezione dell’ambiente in risorsa non solo da impiegare, ma da tutelare continuativamente.
5 Conclusione
I mutamenti in atto nella coscienza civile, danno evidenza di una trasformazione nell’opinione diffusa che non appare possibile arrestare.
Il tradizionale paradigma dell’economia lineare è superato dalla consapevolezza della necessità di riconsiderare profondamente le modalità di utilizzo delle risorse, finalmente comprese nelle loro caratteristiche intrinseche di scarsità e preziosa caducità. Il modello di economia circolare può costituire una risposta felice e sostenibile alle esigenze espresse sia dalla natura, maggiormente salvaguardata e compresa nella sua irrinunciabile centralità, sia dal mondo economico, che non appare costretto a rinunciare ai propri obiettivi di generazione di ricchezza e valore bensì può dedicarvisi alla luce dell’applicazione delle tecniche produttive finalmente compatibili con l’ecosistema e rese disponibili dagli investimenti in Ricerca e Sviluppo.
Messaggio fondamentale è dunque, l’attenzione al lungo periodo, alla sostenibilità delle attività umane, che possono proseguire mantenendo il tradizionale obiettivo di facilitare e migliorare lo stile di vita, ma che necessariamente devono avvalersi di una rinnovata concezione dei sistemi industriali e investire negli studi che rendono possibili le modalità produttive fondate su una logica di continuo rinnovamento circolare.