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Franz Botré racconta gli oltre 70 anni di investimenti e prospettive a milano su misura
Emma Evangelista
Milano su Misura è una manifestazione nata nel dopoguerra per valorizzare l'alta sartoria italiana maschile. Quella stessa 'confezione su misura' che oggi è sinonimo di italianità, lusso, eccellenza ed eleganza nel mondo. La rivalutazione di questo progetto e il sostegno continuo e tangibile della sartorialità italiana e del gusto del bello sono gli status symbol di un progetto editoriale come quello promosso da Arbiter, la rivista dei gentleman. Franz Botrè, direttore del noto mensile e promotore del nuovo corso del progetto >Milano su Misura, racocnta a MIcrofinanza le luci e le ombre di un mondo che deve essere riscoperto e sul quale investire risorse equivale a recuperare un tessuto economico fondamentale per il nostro Paese, anche nell'ambito della promozione e dell'internazionalizzazione dei prodotti d'eccellenza nazionali.
Direttore ci racconti cos’è Milano su misura, come nasce questa iniziativa e perché è importante oggi ricominciare dall’artigianato del lusso?
Milano su misura appartiene alla cultura di Arbiter, che nel 52 creò la prima sfilata al mondo della sartoria italiana dando spazio e voce a tutti gli artigiani che avevano voglia di parlare col mondo. Era un fermento e il direttore di Arbiter dell’epoca lo capì e trovò nel Comune di Sanremo la voce megafono per amplificare a tutti questa grande realtà, la sartoria italiana, l’artigianato. Il concetto che io dico sempre: mente, mano e materia, che creano per l’uomo gratificazione e appagano tutto quello che l’uomo può pensare. L’uomo che vede la vita attraverso una vita su misura, studiata nei minimi particolari. Visto poi che Sanremo non ha fatto più nulla, l’ho spostata su Milano, è diventata quindi Milano su misura. Una manifestazione nata per esaltare quello che è il nostro concetto, la nostra manifattura, il nostro sapere. Quindi il mio compito è quello di farlo sapere, di farlo apprendere e trovare come un talent scout in giro per l’Italia chi fa artigianato su misura, che è un concetto che va ben oltre il Made in Italy. Il “fatto a mano su misura” è un concetto italiano e viene fatto qui! Sono prodotti che nascono dalla mano e dall’esperienza dell’uomo che li fa.
Cosa serve oggi ad un artigiano per poter emergere e fare della sua azienda una piccola impresa del lusso?
Oggi ad un artigiano serve tutto, perché il peggior nemico dell’artigiano è l’artigiano stesso. Alcuni non hanno saputo evolversi, in questo caso stiamo parlando di sartoria che è un esempio unico, ma ciò succede anche in altri campi, come ad esempio in quello della gastronomia, i cuochi 40 anni fa, si alzavano al mattino alle 4:30 per andare al mercato a fare la spesa per trovare le migliori opportunità con cui poter creare i loro piatti. Questo è l’esempio che dovrebbe prendere la sartoria per evolversi e per imporsi in un mercato che ha bisogno di lui.
Secondo Lei, i giovani oggi vogliono ancora fare il mestiere del sarto e creare artigianalmente qualcosa che possa diventare uno status symbol? E quanto impiegano i giovani a diventare un’azienda leader?
Nello scorso numero di Arbiter c’erano delle interviste fatte a tanti giovani sarti siciliani, napoletani e pugliesi, che hanno avuto molto riscontro dal loro apparire, ma devono imparare ad andare oltre… Intanto diciamo la verità, non tutti i giovani sono preparati e credono in questi progetti, perché molti hanno addosso una grande indole come dico io di “cialtroneria” non hanno voglia di fare niente, perché sono gestiti dallo Stato e quindi si guardano bene dall’andare a fare dei compiti che secondo loro sono ingrati. Dall’altro canto c’è un problema enorme, che è lampante, ossia che non c’è posto per tutti, non tutti possono fare l’avvocato o l’ingegnere. Il buon Dio ci ha selezionato e non tutti siamo in grado di poter svolgere al meglio qualsiasi attività, quindi non è un discorso di classismo ma di opportunità e credibilità di reputazione che un uomo deve avere, così come la consapevolezza di appartenenza verso un certo modo di percepire la cultura ed esercitarla. Noi abbiamo bisogno di fare le scuole professionali, abbiamo bisogno di tornare intorno agli anni 40. Letizia Moratti fece proprio una riforma quando era Ministro dell’Istruzione, proprio per gratificare, perché abbiamo bisogno di istruire i ragazzi, abbiamo bisogno di avviarli al mondo del lavoro, perché questi giovani fanno un salto troppo netto e troppo arduo. La scuola non li prepara assolutamente ad entrare nel mondo del lavoro e poi c’è un altro grande problema, la consapevolezza, in questo caso la scuola non c’entra nulla, ma è la famiglia in primis che deve educare il figlio e fargli capire verso cosa è più portato. Certo che se la gente continua a vivere legata al cellulare e continua a guardare il mondo praticamente sempre in orizzontale quindi piatto e non entra mai in verticalità, non approfondisce mai, è come se andiamo in un grande ristorante a buffet, con 1500 piatti, assaggiamo un pò tutto ma non non impariamo niente, non ci rimane nessun sapore, nessun profumo, nessun ricordo nella mente di quello che abbiamo mangiato. Ecco dobbiamo cercare assolutamente di non fare come questo oggetto, cioè di vivere la vita in superficialità, ma piuttosto in verticalità, questo avviene in tutto oggi attraverso questo mezzo, che io adoro ed è fantastico, ma è a mio servizio non sono io al suo servizio.
Bene allora la domanda mi nasce spontanea, cosa pensa Lei degli influencer?
La maggior parte degli influencer oggi si “arrabatta” con la nuova tecnologia per sopravvivere, ci sono influencer e influencer, alcuni sono colti e raffinati che hanno studiato e che diventano influencer a 45/50, ma la maggior parte degli influencer oggi è gente che ha sposato il modo di “non fare le curve” ma di raddrizzarle per rendere tutto più facile nella vita. Ogni tanto mi capita che mi invitano all’Università di Milano a parlare e quando entro all’Università già vedo i ragazzi come si comportano. Questo è proprio un esempio di com’è questa società. L’ultima volta che sono andato all’Università per tenere un discorso, ho notato che i ragazzi che arrivavano a questa Università nuova, bellissima, con tutto un giardino perfetto e il prato curato, invece di passare sul sentiero che chiaramente era da seguire, sono passati tutti tagliando sul prato, come tante pecore. Arrivato in aula li ho trovati tutti lì e la prima cosa che gli ho dovuto dire è stata: “Guardate nella vita dovete cercare di stare con gli occhi aperti e di guardare. Le strade sono fatte per essere seguite, se voi passate tutti tagliando il sentiero come tante pecore, avete non solo rovinato il prato ma anche un concetto etico-estetico di questa Università. Ecco parte tutto da qui. Quindi questi ragazzi devono cercare di essere educati ma il problema è che non possiamo demandare tutto alla scuola, va demandato alla famiglia prima di tutto, dopodiché gli insegnanti prendono lo scettro e portano avanti il lavoro.
In questo mondo di velocità e mediaticità dell’immagine, della bellezza del lusso, quanto vale l’investimento in marketing e pubblicità per un’azienda?
Oggi l’immagine è tutto, questo sì è vero, però sono i dati delle aziende che non lo confermano, se lei pensa che a livello globale 10 anni fa l’investimento di tutti i brand in pubblicità al mondo facevano X miliardi di euro, l’investimento sulla carta era il 68%, quest’anno l’investimento arriverà a malapena al 5%. L’investimento va sulla televisione, sul web, che però ha altri codici e altri prezzi, le aziende lo hanno capito e puntano tutto su questo concetto di andare nel web per informare, con un grande problema però, si può fare solo per una fascia, un target ben preciso di giovani.
Abbiamo parlato di educazione, di investimento, di etica, attraverso questo tipo di informazione si riesce a creare un’opinione che ha un valore, un valore specifico come quello che hanno le imprese che voi promuovete attraverso tutta questa stampa di settore che è ben ponderata. Ma che cos’è l’etica e qual’è il valore che si da all’etica dell’impresa artigiana?
Diciamo che in una azienda artigiana e io mi considero un artigiano dell’editoria, cerchiamo di costruire il bello dell’informazione. Bisogna stare attenti ad usare questo termine perchè spesso si sovrappone al termine “comunicazione”. Sono due cose completamente diverse, sembrano uguali, ma non lo sono e quindi questo tipo di modo di fare informazione parte da un concetto etico, il giornale deve essere una cosa che parte da un concetto del sapere, della cultura e della storia etica ed è l’etica che alla fine determina l’altro punto che è estetico. Etica ed estetica, questi due punti base vanno l’uno verso l’altro per creare il fulcro dell’informazione, che deve essere come dico io QE, qualità ed emozione. Parto da un punto etico e arrivo alla qualità, la percepisco attraverso la mia cultura e le emozioni che mi trasmette quando leggo un pezzo.
Moda e sostenibilità, questo binomio è possibile e quanto costa?
Si è possibile, con questa sostenibilità bisogna stare un po’ attenti perché è una parola un po’ troppo abusata, un po’ come la cultura, sono tre parole che ormai risuonano sempre nelle orecchie, uno è la filosofia, ognuno parla della sua azienda e dice: “ La filosofia della mia azienda…”, io direi più il pensiero, la filosofia è un’altra cosa. Secondo, la cultura e qui se ne abusa, perché la cultura è ampia a 360° e poi c’è quest’altra parola, sostenibilità, che bisogna cercare di contenere perché in realtà oggi con queste tre parole si riempiono tutti la bocca. Poi in realtà bisogna andare a vedere se tutto questo esiste nei contenuti che propongono. La gente ha preso coscienza di questo problema legato alla sostenibilità, che poi lo mette in pratica al 100% sarebbe da vedere, perché andrebbero affrontati temi su temi, argomenti per argomenti, aziende per aziende, perchè c’è un punto di vista anche etico dietro a tutto questo, molte aziende si sono lavate l’anima e la coscienza attraverso questa parola ma poi producono e sfruttano il lavoro costruendo all’estero e non in Italia e poi ci mettono il marchio Made in Italy. Ci sono poi delle realtà invece italiane e sappiamo perfettamente che tutta la filiera dal punto di vista sostenibilità - etica, prevede un processo per la lavorazione dei tessuti che viene fatto accuratamente rispettando la legge, perché 50 anni fa c’erano delle grandi industrie inquinanti, ora ci sono solo industrie di riciclo di benessere dell’acqua, del riscaldamento, dell’irrigazione, nel movimento elettrico, quindi c’è stata una grande inversione, non possiamo fare di tutta un’erba un fascio.
Abbiamo parlato di moda e quindi Le devo chiedere qual’è l’ultima tendenza dell’uomo elegante?
Questo è un controsenso, nel senso che non c’è una tendenza dell’uomo elegante, l’uomo elegante si basa sul greco, sul latino, sul classico, per cui c’è eventualmente il colore che può fare la tendenza della stagione, il tessuto stesso può fare tendenza, ma non c’è questa esasperazione che c’è nella moda di rinnovarsi ogni 6 mesi. C’è un concetto di foggia e un concetto di design che vengono applicati insieme, nella moda lo chiamono design ma la sartoria lo chiama “foggia” che è esattamente l’espressione che ogni sarto usa per indicare che un qualcosa ha la sua impronta, il suo cliché, che nasce dalle proprie mani e dalla propria testa. Diciamo che il gioco per un uomo elegante è la cromia che appartiene alla sua cultura e alla sua professione, perché l’abito comunque è una divisa, è come se fosse una mimetica con cui l’uomo deve combattere la sua giornata e deve sentirsi bene con se stesso. Poi uno si diverte con i colori, ma non c’è una tendenza vera e propria, perché la sartoria è creatività e soggettività e interpreta quello che il cliente desidera e che il cliente vuole, non è la sartoria che impone come fare la moda, la moda si impone da sola.
Ultima domanda: cosa pensa dei microcredito come strumento per l’avvio di un’impresa?
Credo che sia molto fondamentale il microcredito per una piccola e media impresa. E’ come avere un papà che ti garantisce, non solo un capitale iniziale, ma anche un aiuto più pratico, concreto di accompagnamento, perché molte volte questi artigiani sono impreparati, non hanno una costruzione aziendale e non sanno come gestirla. Diciamo che sono un po’ ancora vecchio stampo, non erano abituati alla gestione di un’azienda che oltretutto rispetto ai regolamenti italiani è sempre più complicata. Nonostante ciò, un artigiano di tutto quotato, può cercare di fare al meglio il proprio compito, ma diventa un impegno arduo, deve cercare di assolvere tutto il problema finanza - economia messi insieme. Ecco credo che il microcredito potrebbe essere una pietra miliare su cui costruire la propria azienda e su cui appoggiarsi esattamente come se fosse un socio o un padre che ti assiste e ti segue mano per mano, passo per passo, in tutte le tue problematiche di crescita.
Direttore il Made in Italy è vivo o è morto?
Il Made in Italy è vivissimo! Tutti continuano a parlare di questo Made in Italy, però poi bisogna vedere esattamente quanto c’è di vero nel Made in Italy. Se lei parla dei nostri artigiani che fanno tre paia di scarpe alla settimana o tre giacche la settimana, questi sono veri artigiani, se uno ne fa 400 al mese già diventa difficile essere un vero e proprio artigiano, se poi ne fa 2000 al mese è impossibile per un artigiano. Dopodiché bisogna vedere esattamente dove fa cosa e con chi. Perchè sappiamo perfettamente che ci sono aziende che stanno in Turchia, Svizzera, in Romania, in Bangladesh, in Brasile, e etichettano Made in Italy. Beh non è carino dal punto di vista etico, devo dire che non tutto il Made in Italy è così per fortuna, c’è molta gente che all’interno usa il terziario per cercare di creare quello che gli inglesi chiamano “total look”, il total look che non lo fanno in Romania, in Turchia, in Albania, lo fanno tutto in Italia con dei piccoli artigiani che smembrano il loro lavoro e lo curano nella filiera italiana. Questi signori andrebbero riconosciuti, andrebbero onorati, mentre purtroppo ci sono troppe aziende importanti che decentrano tutto all’estero e lo firmano Made in Italy, questo non mi piace assolutamente. È un po’ il Paese dei furbi come dicevo prima, c’è la strada e tutti raddrizzano le curve. Per cui il Made in Italy è sempre stato la nostra salvezza, ma le dirò di più, fin quando noi avremo questo grande cliché del Made in Italy che ci appartiene, che possiamo averlo nel vino, nei tortellini, nei salami, nei prosciutti ecc... Di queste cose il mondo non ne sa niente! Che ne sa uno svedese, un inglese, di come noi chiamiamo il tortellino in 4 modi diversi da Parma a Bologna! Questa sofisticazione culturale che deriva dalla nostra storia è sinonimo di grande esperienza in cui gli altri non possono neanche entrare, perché non hanno le competenze minime per poter dialogare e per sapere che cosa avviene nel Made in Italy, quello che oggi chiamiamo il lifestyle è in realtà il modo di vivere italiano, che è ben diverso. Noi dobbiamo difendere questo Made in Italy perché sarà la nostra spada per poterci difendere dal mondo.