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Sostenibilità, innovazione e concedere spazio e strumenti alle aziende che puntano sulla green economy. È questo ciò che unisce l’Ente Nazionale per il Microcredito e Sustainable Fashion Innovation Society. Una condivisa linea di pensiero, tradotta nella partnership siglata in occasione del Phygital Sustainable EXPO, tenutosi a Roma lo scorso 5 luglio, nella splendida cornice dei mercati di Traiano, affacciati sui Fori Imperiali. A presentare l’evento, a cui ha partecipato come relatore il Presidente ENM Mario Baccini, è stata la Presidente della Sustainable Fashion Innovation Society, Valeria Mangani.

Presidente, l’esposizione del 5 luglio si inserisce nell’ambito di una triade di eventi futuri che vogliono riportare in alto l’eticità nella moda Italiana. Da dove nasce il Phygital Sustainable EXPO?

Nasce dalla necessità di avere una piattaforma e un palco per queste aziende della sostenibilità, per comunicare e consapevolizzare meglio il filone etico che risiede dietro ogni manifattura.

Quali sono le aziende che si rivolgono a questa piattaforma per poter portare avanti il loro brand?

Dunque sono tutte quelle aziende che si sono rese conto che nell’immediato futuro non hanno molta chance di essere competitive con i mercati globali, in quanto devono assolutamente applicare la loro Green Disruption per essere assolutamente updated. Vediamo che le aziende post-covid avranno e hanno una grande difficoltà nel continuare la loro attività, perciò coloro le quali riusciranno ad introdurre almeno un elemento innovativo nella loro filiera di prodotto o di produzione, riusciranno ad attuare, anche gradualmente, la Green Disruption.

Molte aziende sono scoraggiate anche e soprattutto a causa della pandemia, che le rende poco propense a sostenere i costi dell’innovazione. Ma questa innovazione, quanto costa realmente? C’è la possibilità di cambiare la propria eticità e quindi di cambiare il modo di produrre senza dover per forza accedere a dei fondi importanti?

Si può iniziare come dicevo prima, veramente piano, introducendo un solo segmento innovativo nella propria filiera. Abbiamo ad esempio aziende che hanno semplicemente introdotto l’idea del riciclo e perciò della circular-economy nella loro filiera. Altri invece, che stanno iniziando la Disruption adesso e hanno semplicemente pensato che la cosa più etica che possono fare è di non acquistare nuove stoffe per creare, ma di andare a cercare gli scampoli di magazzino invenduti e perciò svuotano tutti questi magazzini dove altrimenti le stoffe andrebbero al macero e realizzano dei vestiti meravigliosi. Poi si evolvono naturalmente: l’anno dopo vanno a cercare magari il tessuto di bamboo, piuttosto che quello di fibra di rosa, e negli anni ho visto che vanno a cercare poi, sempre tessuti più innovativi, più sostenibili, cioè iniziano con un piccolo segmento innovativo e poi dopo piano piano diventano tutti sostenibili, tutta l’intera filiera diventa sostenibile.

Innovazione significa più tecnologia o più natura?

Innovazione significa esattamente dove la scienza incontra la moda. Molto importante, ricordiamoci sempre, è sottolineare come la moda sia una storia che parte dall’agricoltura e termina in comunicazione. È importante questo, non bisogna dimenticarlo, perché la tecnologia viene in aiuto alla natura in quanto possiamo creare sementi più intelligenti che consumano un terzo dell’acqua. Perché, ad esempio, il cotone è una delle piantagioni più dispendiose a livello di acqua. Abbiamo ad esempio aziende che ricavano la nuova pelle vegana dalle foglie di cactus. Perciò l’etica assoluta è quella di fare una moda che non solo rispetti l’uomo e il pianeta ma anche gli animali, creando una pelle nuova senza bisogno di uccidere animali, ma crearla dal mondo vegetale. La pianta di cactus, che è ad esempio endemica in molti Paesi del sud come il Messico, cresce selvaggia anche in Sicilia e in tantissime situazioni aride, non richiede acqua e se ne ricava una pelle eccezionalmente morbida ma nello stesso tempo molto duratura, molto resistente e questa pelle di cactus prossimamente la vedremo nell’uso dell’automotive.

Quanto l’ingegno italiano può essere utile a questa nuova evoluzione della moda?

Noi tutti italiani abbiamo il DNA di Leonardo Da Vinci. Io dico sempre che siamo veramente il popolo più geniale ma anche più artisticamente dotato, siamo un popolo di navigatori, di Santi e di eroi, di inventori e di poeti, abbiamo questo dualismo assolutamente umanistico ma nello stesso tempo tecnologico. Nessuno meglio di noi italiani potrà fare la Green Disruption: noi continueremo a fare un Made in Italy che sarà assolutamente sublime, ma sostenibile.

La moda Made in Italy potrà dunque riguadagnare il proprio posto elitario all’interno della scacchiera internazionale proprio attraverso l’innovazione?

Assolutamente sì! Alle condizioni attuali il Made in Italy non andrebbe avanti, ma sarebbe sorpassato da tutti gli altri players. Ricordiamoci che il nord Europa è fortissimo nell’innovazione a livello di sostenibilità. Paesi come l’Olanda e i Paesi Bassi in generale, in cui l’idea della sostenibilità è da tempo ben radicata, attuano politiche green da quasi un paio di decenni, sia nel food che nel fashion. Noi siamo terribilmente indietro. Questa pandemia ci ha risvegliato, ci ha fatto accorgere che dobbiamo attuare subito delle politiche non più rimandabili. Sicuramente un Made in Italy rinnovato avrebbe ben poco da temere rispetto ai competitors.

Cosa significa, oggi, allestire un EXPO che abbia una visione lungimirante e itinerante, che parta da Roma per allargarsi sia a Nord che a Sud?

L’impegno è immenso naturalmente. Più che impegno parlerei proprio di una mission, perché bisogna avere dentro un fuoco interiore che te lo fa fare, una “call to action”, una chiamata che si sente inderogabile e va attuata, va fatta! L’idea del Phygital Sustainability Expo è venuta per aiutare proprio questo settore che non sapeva a chi rivolgersi e dove andare per fare la loro disruption. Spiegare dove trovare la seta di bambù, dove trovare le fibre di rosa, pittuosto che le proteine del latte, il cupro. Qui ci viene incontro la scienza! Ecco tutto questo è importante, è importante che il consumatore sappia. Serve una presa di consapevolezza del consumatore in primis, che faccia sì che tra una t-shirt sostenibile e una non sostenibile non possa che scegliere la prima. È un atto di rispetto per se stesso, per il Pianeta, perché questo Pianeta è l’unico che abbiamo. Tante volte ci comportiamo come se questo fosse il nostro pianeta di Serie B, ma non c’è un altro pianeta di serie A nel quale andare, perciò dobbiamo veramente prendere consapevolezza e rispetto, la parola è rispetto. Mettere tutti questi grandi players, questi stakeholders, insieme in una unica piattaforma è una visione importante, bella, ma per il Pianeta e l’Umanità, soprattutto per la manifatturiera italiana che ne ha bisogno. Perchè dopo questo covid ci siamo tutti resi conto che non è più derogabile nulla. La disruption va fatta ora, attuata nel migliore dei modi, non deve essere traumatica perchè anche qua poi arrivano gli esaltati, quindi bisogna stare attenti, bisogna rivolgersi a Enti, a Istituzioni Governative competenti, perché naturalmente tutti si fanno sciacalli, tutti si fanno squali. Bisogna fare sistema, bisogna fare networking, la Sustainable Fashion Innovation Society è collegata con tutte le altre società internazionali di moda etica e sostenibile. Se ci si mette tutti in rete per il Pianeta è una sorta di agopuntura terrestre ed è per il bene delle future produzioni e delle future generazioni.

Il Microcredito può inserirsi in questo percorso, che prende l’azienda dalla sua nascita fino alla sua evoluzione estrema, pensiero della moda attuale?

Il Microcredito potrebbe avere un ruolo importantissimo di tutoring, nel dare dei consigli a queste aziende che a volte si trovano subissate di richieste pubblicitarie, o magari non sanno a quali banche rivolgersi. Ecco il Microcredito può essere veramente il mezzo giusto per modulare le loro richieste e farli approdare dove loro possono essere serviti meglio. Perciò è sicuramente un modulatore importantissimo, che fa anche una prima cernita, di attenzione, di fattibilità, di tante cose. È un ruolo fondamentale perché comunque, come dicono nella finanza della moda, “Finance makes fashion”. È la finanza che fa la moda e alla fine gli aiuti concreti ci vogliono per rinnovarsi, le stoffe non sono gratis, le innovazioni tanto meno, però ci sono tantissimi strumenti che lo Stato mette a disposizione per aiutare e per seguire a livello di tutoring dove meglio apportare questa innovazione. Vediamo tutte queste Start Up innovative, quanti incentivi sono dedicate a loro ed è lì che il Microcredito può veramente fare un mentoring importante.

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