Luciano Ghelfi Giornalista Quirinalista Del tg2
Non è stato né facile né breve il percorso che nell’ultimo decennio le banche italiane hanno fatto per modernizzare il rapporto con la clientela e adeguarsi alle nuove normative europee. Secondo Antonio Patuelli, presidente dell’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana, il quadro è senza dubbio migliorato, anche se i problemi non mancano, in particolare in questa delicata fase di ripresa economica post pandemica. Patuelli descrive la traiettoria dei cambiamenti in questa intervista esclusiva a “Microfinanza”, nella quale esprime anche apprezzamento per tutte le iniziative di sensibilità e crescita della cultura economica e di attenzione al sociale, come il microcredito, sottolineando come anche le banche stiano facendo attivamente la loro parte. 70 anni, nativo di Bologna, romagnolo di adozione, Patuelli dal 1995 è alla guida della Cassa di Ravenna, nella cui zona guida un’azienda agricola, ed ha alle spalle anche una esperienza parlamentare di due legislature fino al 1994. È stato anche sottosegretario alla Difesa nel governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi fra il 1993 e il 1994. Una doppia esperienza, quindi, sul versante istituzionale e su quello economico, che rende particolarmente interessante il suo punto di vista Nel 2014, nel suo libro “Banche, cittadini e imprese”, il presidente dell’ABI scriveva che dove stanno male le imprese stanno male le banche. E che se le forze produttive soffrono, stentano a sopravvivere anche i cittadini e le famiglie. “In questi sette lunghi anni - spiega Patuelli - abbiamo assistito a un indubbio miglioramento. Quando scrissi quelle parole ci trovavamo in uno dei momenti di maggiore confusione della situazione bancaria e dei rapporti con l’opinione pubblica. Proprio quell’anno, il 4 novembre, divenne operativa l’Unione Bancaria Europea, e il passaggio fu traumatico. Andò anche ad assommarsi con le difficoltà di alcuni istituti di credito, che andarono in crisi l’anno successivo. Per quelle quattro banche italiane in grave difficoltà vennero applicate normative europee mai prima utilizzate. Ne nacque una situazione di confusione giuridica, da cui scaturì il ricorso in sede europea sul caso della banca abruzzese TERCAS. Fu un punto chiave. Il ricorso fu accolto, si parlò di “errore di diritto della Commissione Europea”, con l’effetto di influenzare in senso più oneroso quella crisi e quelle successive. Hanno pagato soprattutto le banche concorrenti. Va ricordato, infatti, che i risparmiatori erano stati colpiti nella fiducia, con le perdite almeno parzialmente rimborsate prima dal Fondo interbancario di tutela dei depositi e poi da un apposito fondo costituto dai depositi dormienti. Al contrario, le banche concorrenti sono state chiamate a pagare per “risoluzioni”, che si sono rivelate molto più onerose degli interventi preventivi che erano stati previsti dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, costituito delle banche stesse”. Presidente Patuelli, l’avvio dell’Unione Bancaria Europea è stata, quindi, una fase convulsa e confusa. La sua convinzione è che da allora le cose siano andate migliorando? “Decisamente si. Ora abbiamo alle spalle quelle esperienze e quell’incertezza giuridica. C’è maggiore certezza del diritto e sulla base delle dichiarazioni delle autorità di vigilanza italiane e europea la situazione generale delle banche è patrimonialmente rafforzata, dopo le difficolta di avvio dell’Unione Bancaria Europea. Oggi le banche vengono definite fattori decisivi della soluzione dei problemi economici e finanziari connessi alla pandemia”. Alla luce degli aiuti previsti nel quadro europeo per il sostegno dell’economia, quale peso possiamo attribuire al valore dell’etica nel sostegno alle imprese, in particolare di quelle più piccole? “L’eticità è una precondizione per chi fa banca, e lo deve essere per tutti, indipendentemente dalla tipologia della clientela. Le banche sono e devono essere avamposti di legalità. Non a caso la maggioranza più che assoluta delle segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio viene fatta alle autorità competenti in Italia da parte delle banche. E questo mi sembra un forte indicatore di legalità. Non c’è dubbio che le normative possano talvolta essere fin troppo complesse, ma il diritto deve sempre prevalere, e questo vale per tutti”. Ritiene, allora, che sia giustificato il timore di alcuni osservatori che i criteri più stringenti imposti dalle autorità europee sul default possano portare ad un aumento della platea dei “non bancabili”? “Sicuramente più vengono poste in essere norme rigide, anche preventive, più si va a complicare il rapporto con il cliente, anche se va considerato che l’intenzione delle istituzioni europee e nazionali è quella di prevenire da un lato crisi bancarie e dall’altro lato atti illeciti da parte dei clienti. In questo quadro il rischio dell’aumento della platea dei “non bancabili” certamente esiste, e noi l’abbiamo segnalato per tempo e in anticipo in diversi casi nei quali sono stati ristretti i tempi per la restituzione dei prestiti, che prima erano più flessibili. La definizione di default è stata frutto di laboriosi negoziati europei, ma purtroppo è entrata in vigore in corso di pandemia, provocando una ulteriore complicazione del quadro. Di conseguenza, per far fronte a questo stato di cose e non dare velleitariamente dei pugni al cielo, la ragione e l’impegno devono spingere a una totale trasparenza nei rapporti fra banche e clienti e a trovare uno per uno per i clienti che possono essere problematici le soluzioni giuridicamente possibili in anticipo. E agire tempestivamente è fondamentale, perché quando gli atti giuridici sono avvenuti, la correzione dei medesimi è molto più complicata. Meglio prevenire”. L’Ente Nazionale per il Microcredito nasce proprio come strumento di integrazione a favore dei “non bancabili” ed ha contribuito alla nascita di migliaia di nuove piccole imprese. Il suo giudizio qual è? “Apprezzo tutte le iniziative di sensibilità e di crescita della cultura economica, del risparmio e di attenzione al sociale. E sono convinto che solo il pluralismo degli strumenti possa far crescere le attività e l’economia. Il microcredito, infatti, è sviluppato a volte da coloro che lo enunciano esplicitamente come finalità principale. Ma va ricordato come venga sviluppato anche nelle attività più generali delle banche che si rivolgono anche ai più piccoli risparmiatori, alle più piccole imprese. Il microcredito è erogato sia dalle banche sia da altri soggetti che rispettano specifici criteri. È una attenzione ad attività dei più piccoli operatori economici, che sono una quota molto rilevante numericamente nel nostro Paese. L’attenzione c’è anche da parte di chi non ce l’ha nella ragione sociale: c’è molto più microcredito in Italia di quanto non si immagini. Bene l’Ente Nazionale, ma in l’Italia non c’è solo quello”. A suo giudizio, è immaginabile un contributo maggiore da parte dell’universo bancario alla microfinanza, ad esempio attraverso un particolare fondo costituito da una cordata di istituti disponibili, oppure giudica sufficiente il panorama degli strumenti oggi disponibili? “I risultati non sono mai sufficienti, ma dobbiamo dire che in questi ultimi due anni di pandemia sono cresciute le sensibilità per i più piccoli operatori economici. Ci sono state delle garanzie, penso ad esempio a quelle emanate con il decreto legge dell’8 aprile 2020, inizialmente sino a 25mila e poi ampliate sino a 30mila euro per i prestiti garantiti al 100%. Il dato aggiornato a inizio ottobre ci dice che sono state fatte un milione e 170mila operazioni di questo tipo, quasi 23 miliardi di euro finanziati. Anche queste sono operazioni di microcredito. Non siamo all’anno uno, ma ci sono tante operazioni e tante iniziative, e se ne possono sempre pensare di nuove. La disponibilità delle banche a ragionare con le istituzioni c’è, senza dimenticare però che questa flessibilità non è eterna, perché le normative bancarie da sette anni non sono più nazionali, ma europee”. Gli indicatori sociali (ESG) potrebbero essere utili per migliorare la lettura dei bilanci aziendali e la valutazione creditizia dei progetti degli startupper e delle aziende finanziabili anche con il microcredito? “Il fattore dell’impatto sociale può pesare come ulteriore elemento di qualificazione rispetto al bilancio solamente di conto economico e stato patrimoniale, andando a integrarli, ma non sostituendoli. Su questo bisogna essere chiari: non è che avendo finalità più etiche si può andare malissimo ed essere finanziati lo stesso. La questione sostanziale è pensare che gli indicatori di carattere ambientale, sociale e di sostenibilità devono essere una precondizione rispetto agli indicatori classici, quelli di conto economico e stato patrimoniale. Se uno non svolge attività sostenibili, anche se ha il migliore bilancio non dovrebbe essere facilitato”.