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Microimprese italiane: Il macro esercito in campo per la ripresa con le armi spuntate

Avv. Erminia Mazzoni -Esperto politiche dell’Unione, del Lavoro e delle Libere Professioni

Sommario

1 Premessa

2 Il tessuto produttivo dell’Italia

3 Il peso della illiquidità

4 Piccolo è bello

Parole chiave:

Micro Impresa - Occupazione - Credito – Riforme

Abstract

Small is beautiful! Being a micro enterprise is a value but even a challenge! It preserves quality and foster the “Made in”. In addition, especially in Italy, the smallest they are the more they contribute to higher the employment rate. On the other side, small and micro enterprises do not contribute to GDP proportionally to their number. They suffer of low credit, high fiscal burden and heavy bureaucracy. To let them survive in the global market, because they serve and support the entire system even the big enterprises, State must do more and better, approving a specific Financial and reforming strategy.

1 PREMESSA

“Al giorno d’oggi soffriamo di un’idolatria quasi universale per il gigantismo. Perciò è necessario insistere sulle virtù della piccola dimensione, almeno dovunque essa sia applicabile.” così scriveva Ernst Friederich Schumacher nel 1973, nella sua raccolta di riflessioni economiche dal titolo Piccolo è bello”.

Il tema, negli anni, ha vissuto momenti alterni, dall’altare alla polvere ciclicamente.

Nella fase espansiva della visione economica globale, la grande impresa è apparsa la soluzione unica per affrontare la sfida del mercato mondiale.

Ma, nonostante le attenzioni fossero tutte rivolte alla crescita dimensionale delle aziende, la struttura polverizzata della piccola impresa ha resistito e, in alcuni casi, ha accresciuto la propria presenza.

Tale forza di sopravvivenza valutata in termini di potenziale sprigionato dalla moltitudine di micro e piccolissime aziende su uno dei fattori fondamentali della produzione, la forza lavoro, ha condotto la riflessione degli economisti verso un ripensamento.

Dalla globalizzazione si è giunti al glocale, termine che sintetizza globale e locale e raccoglie una serie di iniziative volte a dotare la piccola impresa degli strumenti necessari a superare le enormi distanze del mercato allargato.

Il dibattito, portato anche a livello europeo, dopo annose battaglie, ha raggiunto un importante risultato, in termini di riconoscimento del valore della micro e piccolissima impresa.

L’acronimo PMI – Piccole Medie Imprese – è stato superato dalla definizione, introdotta con la Raccomandazione della Commissione Europea n. 2003/361/CE, di MPMI – Micro Piccole Medie Imprese -, che descrive in modo più esatto le realtà economica del variegato mondo imprenditoriale.

Nonostante tale nuova definizione venga di rado usata nel linguaggio comune, essa ha conquistato uno spazio di attenzione nelle legislazioni europea e nazionale.

Il riconoscimento però non ha tenuto conto, o almeno non del tutto, delle modifiche di sistema che sarebbero state necessarie affinché la neo introdotta dimensione Micro” potesse realmente e pienamente avvantaggiarsi delle previsioni legislative e programmatorie in suo favore e, di conseguenza, rafforzare l’efficacia dei programmi e delle politiche comunitarie.

2 IL TESSUTO PRODUTTIVO ITALIANO

In Italia il tema dimensionale è centrale rispetto a tutti gli scenari macro economici, in quanto l’Italia è, per struttura, il Paese della Micro impresa.

Su circa 5,5 milioni di imprese attive in Italia, le microimprese, cioè quelle con meno di 10 addetti e un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro, sono quelle numericamente più consistenti, rappresentando il 94,8% del totale, contro il 5,11% delle piccole e medie imprese e lo 0,09% delle grandi imprese (dati Osservatori.Net Digital Innovation).

La microimpresa rappresenta il 45% degli occupati totali e genera un valore aggiunto pari al 30% per addetto.

Le PMI italiane sono invece circa 206mila e sono responsabili, da sole, del 41% dell’intero fatturato generato in Italia, del 33% dell’insieme degli occupati del settore privato e del 38% del valore aggiunto del Paese.

Le grandi imprese con il loro 0,09% occupano il 22% della forza lavoro e esprimono il 32% del valore aggiunto.

Una fotografia che denuncia quanto e come i fattori della crescita del sistema - occupazione e produzione - siano interrelati con la composizione dimensionale del sistema di impresa.

L’occupazione cresce di pari passo con l’aumento del numero delle micro e piccole imprese, mentre la produttività non segue.

La produzione cresce con l’aumento della dimensione dell’azienda, ma la forza lavoro diminuisce.

Quando il capitale umano, uno dei primi fattori di crescita di un Paese, non viene valorizzato nel ciclo della produzione, è inevitabile il cortocircuito.

Quindi è necessario risalire al perché la somma delle piccole e piccolissime imprese non porti allo stesso risultato di un’unica grande impresa di dimensione pari al totale di esse.

3 IL PESO DELLA “ILLIQUIDITÀ”

La prima causa di dispersione produttiva che consegue alla polverizzazione del tessuto imprenditoriale viene dalla mancanza di liquidità della impresa di ridotte dimensioni, cosa che non consente di finanziare gli investimenti e spesso di coprire gli sfasamenti tra incassi e pagamenti.

Non a caso, come evidenziato anche da uno studio del FMI del 2013, condotto sul periodo post crisi economica del 2008 (Small and Medium Size Entreprises, Credit Supply Shocks and Economic Recovery In Europe di Nir Klein) i Paesi europei con una maggiore presenza di MPMI hanno avuto mediamente una crescita inferiore agli altri, in presenza di una crescita bassa o addirittura negativa del credito concesso alle imprese.

Si legge nello studio:

“L’analisi mostra come il ritmo della ripresa economica e la crescita del credito nel 2010-2012 sono negativamente correlati con la prevalenza di piccole e medie imprese di tutti i Paesi dell’Ue. Più in particolare, i risultati indicano che i Paesi con elevata percentuale di piccole e medie imprese tendevano a riprendersi più lentamente dalla crisi finanziaria globale rispetto ai Paesi con bassa percentuale di Pmi, il che implica che l’interazione della struttura economica e l’accesso al finanziamento bancario giocano un ruolo critico durante le fasi della ripresa economica.”

L’analisi dei tassi per classe dimensionale del prestito svolta da Confartigianato in un recente studio, pubblicato lo scorso ottobre, evidenzia, infatti, che Ad agosto 2022 il tasso di interesse per prestiti entro il milione di euro (era) è pari al 2,51%, pari a +139 punti base rispetto all’1,12% dei prestiti superiori ad 1 milione di euro, mentre in Eurozona il tasso per importi fino a 250 mila euro è del 2,32%, 65 punti base superiore all’1,67% dei prestiti superiori.” (STUDI – Stretta monetaria e criticità per la finanza d’impresa, nel 2022 a rischio il 15% delle MPI CONFARTIGIANATO – 13.10.2022).

Le banche hanno perso da tempo la vocazione di infrastruttura a servizio della produzione di beni e servizi.

Negli anni novanta, superata la separazione tra banche di investimento e banche per il credito ordinario a breve termine (nate proprio per garantire liquidità) le banche sono entrate nel capitale industriale attraverso l’acquisizione di partecipazione, diventando player sia del mercato reale che di quello finanziario.

Esse operano dunque come attori economici nel mercato parallelo della finanza e trattano i prestiti alle imprese come uno dei diversi prodotti sui quali fare profitto.

Tale profilo comporta che, diversamente da quanto accadeva ai primordi della vita delle banche, esse non assistono ma partecipano dell’andamento complessivo del mercato.

Il cambiamento è stato illogicamente sostenuto dai sistemi paese, che hanno regolamentato i nuovi orizzonti delle banche, peraltro creando un reticolo di presidi a garanzia delle operazioni finanziarie, che da un canto irrigidisce le banche rispetto alle concessioni di credito e dall’altra le spinge ad aumentare il costo del denaro.

È evidente che la condizione data qualifichi le micro imprese come clienti non interessanti e scarsamente affidabili.

Se alla condizione di illiquidità indotta dal mercato si aggiunge la forte pressione fiscale e l’aggravio burocratico caricato sulle aziende di piccole dimensioni, la prospettiva di vitalità e di produttività di questa cellula importante del nostro sistema economico diventa estremamente fragile.

4 “PICCOLO È BELLO”

La micro impresa è un presidio della nostra tipicità locale ed è un pilastro del mercato del lavoro.

Come suggeriva Schumacher, insistere sulla piccola dimensione si può e si deve quando essa è applicabile.

Significa che, in particolare in Italia, dove la piccola dimensione rappresenta l’ossatura della economia nazionale, si dovrebbe investire diversamente le risorse, sia nazionali che europee, orientandole specificamente verso la creazione e il rafforzamento dei sistemi di rete nonché all’accompagnamento all’investimento in innovazione di processo e, naturalmente, al sostegno al credito.

Tale impostazione risponderebbe peraltro al criterio della concentrazione tematica” che l’Unione Europea impone di applicare in sede di approvazione degli accordi di programma nazionali e regionali.

Oggi, invece, le programmazioni distribuiscono le risorse su molteplici obiettivi riducendo l’effetto moltiplicatore che esse avrebbero se esse fossero responsabilmente finalizzate su obiettivi strategici.

Ma non basta. Investire, come insegna la filosofia del PNRR, è una parte del programma di ripresa, alla quale va affiancato il riformare.

Lo Stato deve pensare a soluzioni più articolate e puntuali mirate ad alleggerire il carico fiscale della microimpresa, a semplificare i passaggi burocratici obbligati e a rafforzare la garanzia pubblica al credito.

Nel pacchetto imprese previsto dalla Legge di Bilancio 2023 è previsto il rifinanziamento con un miliardo di euro del Fondo di Garanzia PMI, strumento che viene utilizzato come garanzia per l’accesso alle operazioni finanziarie (quali prestiti e mutui), ma anche per erogare alle piccole e medie imprese servizi come il microcredito e le convenzioni con i Confidi.

Questo è qualcosa, ma non è tutto. Bisogna capire che piccolo è senz’altro bello, ma è difficile e diverso.

Lavorare per garantire la vitalità della micro piccola impresa vuol dire conservare all’Italia la sua unicità; conservare all’Italia la sua unicità vuol dire scegliere di essere competitivi sul mercato globale con la riconoscibilità del prodotto.

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