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LA REALTA' DEL BUSINESS LIQUIDO. Intervista a Lorenzo Ait
Elisa Pandolfi
Il business liquido, la visione del mondo del lavoro di Lorenzo Ait, co-fondatore del gruppo Allcore Spa e Chief Commercial Office in Amyralia Consulting.
Da anni specializzato nella fase di accompagnamento di azienda, dal lancio sul mercato fino alla sua crescita, ha pubblicato diversi saggi con importanti case editrici (Mondadori, Rizzoli BUR Sperling & Kupfer), ideatore e conduttore della trasmissione Brain Back Home per Sky/MTV/Paramount Pictures. Insieme a lui parleremo di business, marketing e nuove tecnologie, ma soprattutto affronteremo il tema delle caratteristiche manageriali, che bisogna avere per realizzarsi nel complicato mondo dell’impresa.
Mi chiamo Lorenzo Ait, sono un imprenditore, come tutti gli imprenditori ho la mia specializzazione che nello specifico va dal Good Market fino alla prima fase dello skillup, cioè dal lancio sul mercato fino ai primi 10 milioni poi quello che faccio solitamente è o vendere l’attività anche prima di raggiungere quella cifra oppure rimanerci dentro ma come socio di minoranza, cosa che ho fatto con l’attività che ho co-fondato di maggior successo del gruppo Allcore guidato dal Presidente Gianluca Marsini Rosati in cui sono ora socio di minoranza. Siamo ormai quotati in borsa, non sono l’unico a detenere le azioni però in quel gruppo, all’interno di una delle verticali ricopro il ruolo di chief commercial officer quindi sono un manager all’interno di un’azienda del gruppo che ho contribuito a fondare. Questo è un po’ un esempio di modo contemporaneo di essere imprenditore e poi a volte manager man mano che cambiano gli scenari di mercato. La mia visione del business e quella del business liquido. Inizialmente per partire devi avere meno costi fissi, meno ancoraggi al territorio per poter essere più agile e scalare più velocemente e poi ti stabilizzi, ti assettizzi quando ormai l’azienda inizia ad essere un’azienda, cioè smette di essere una Family Company, una micro impresa, ... per capirci... i primi due milioni li fatturi con costi e spese il più possibile variabili e pochissima struttura, poi inizi ad assettizzare l’azienda e a stabilizzarla costruendo reparti e facendola scalare. A volte riesce, a volte riesce un po’ meglio e quando riesce è un bene essere rimasti soci di quella azienda.
Avvio di impresa a nuove tecnologie, quanto è importante per un imprenditore riuscire a stare al passo con i tempi?
Ormai è obsoleto non essere al passo con i tempi! Cosa intendo dire? Ci sono talmente tanti strumenti che facilitano il compito a chi vuole fare business che se non si utilizzano si viene tagliati fuori. Purtroppo, o per fortuna, questi strumenti si rivolgono sia ai tuoi concorrenti che al tuo mercato e al tuo target, quindi cambiano le abitudini anche nei tuoi consumatori. Uno dei miei libri sul business si intitola “Il business liquido non è una scelta” quel “non è una scelta” è perché i cambiamenti nella società liquida, le tecnologie agiscono come un “cavallo di troia” che ti cambia l’abitudine e quindi inizi un nuovo comportamento senza chiederti se è giusto o sbagliato ma semplicemente perché ti conviene di più, se io adesso ti chiedessi quando è stato l’anno in cui hai smesso di ricevere a casa lo stradario, il tuttocittà, non puoi ricordarlo perché già da tempo non lo utilizzavi e non lo utilizzavi, non perché a un certo punto hai fatto un processo razionale di scelta, uso il navigatore del telefonino piuttosto che lo stradario, ma semplicemente la tecnologia ti ha cambiato il modo di rapportarti. Il mondo è in mano a delle multinazionali che hanno un solo scopo nella vita, rendere sempre più semplice “per te” fare i soldi grazie a loro, se sei un imprenditore. In quel “per te” ci sono anche i tuoi competitor, i tuoi clienti, quindi anche loro cambieranno le loro abitudini, i tuoi competitor diventeranno più competitivi, i mezzi che oggi non stai sfruttando magari perché costano tanto o sono complicati, diventeranno sempre meno costosi, più accessibili, più semplici da utilizzare. Un esempio per tutti: sono spariti i manuali d’istruzioni, oggi ci sono dei tutorial che ti fanno apprendere le cose mentre le usi e addirittura i vari strumenti tecnologici sono pensati a seconda della fascia di età, come ad esempio le app, anche quelle pensate per fascia di età, quindi tu puoi cercare una parola chiave per trovare un app trovi 6,7,10 opzioni magari anche gratuite, ci giochicchi per un po’ e scegli quella con cui ti trovi bene, ma ti trovi bene con quella pensata per la tua fascia di età. Le app sono pensate customer-oriented, cioè per come le dovrebbe utilizzare il cliente, ad avviare questa idea è stata la Apple. Per rispondere alla tua domanda: “quanto deve essere al passo un imprenditore?” Non può non esserlo!
Marketing e comunicazione, possiamo intenderle oggi come nuove chiavi di accesso al mondo imprenditoriale?
Mi fa rabbrividire un po’ il fatto che le si intenda come nuove, nel senso che nell’orizzonte temporale che vediamo oggi il nuovo ha forse, sei mesi di vita, quindi no, direi che sono imprescindibili. Più che solo il marketing, io direi, marketing e vendite. La comunicazione fa da cappello, cioè se il cliente arriva senza avere chiaro perché deve comprare da te piuttosto che da qualcun altro o non comprare affatto, non stai facendo marketing, quindi devi avere già chiaro questo. Il tuo venditore deve rafforzargli le risposte che già conosce e oltre questo, se non c’è in questo preciso momento, nella tua azienda, una riunione tra il responsabile marketing e il responsabile vendite per concepire tutta la vita, tutta la customer journey, il viaggio che fa il cliente, da che non ti conosce sul mercato al momento in cui viene a sapere di te, e viceversa, se in ognuna di queste fasi non c’è la combinazione dei cervelli, del tuo responsabile marketing e del tuo responsabile commerciale, probabilmente non stai lavorando nella maniera più premiante.
Secondo te oggi quali sono le nuove skill o le caratteristiche generali che un manager deve possedere?
Oggi, sostanzialmente si può essere manager conservativo o manager innovativo-esploratore. Il conservativo cerca di mantenere quello che funziona e farlo durare il più a lungo possibile, mentre l’esploratore, di fatto innovatore, cerca nuovi mercati, nuove strade, corre rischi. Corrono comunque dei rischi entrambi e se su questo dualismo manageriale dovessimo identificare una skill fondamentale credo che sia la capacità di saper leggere i dati, mi spiego: oggi hai moltissimi dati e siamo in un’economia di dati e algoritmi, quindi l’accesso a questi è pressoché infinito, però saper interpretare quei dati, è ancora una cosa che le macchine non sanno fare. Saperli calcolare si, farceli avere e ordinarli correttamente si, è un po’ come quella storiella che si utilizza come metafora: durante la Seconda Guerra Mondiale quando gli ingegneri dovevano decidere su quale parte degli aerei appesantire, per blindarli, per rendere l’aereo diciamo più al riparo dagli attacchi della contraerea tedesca, avevano il dato, cioè sapevano esattamente dove gli aerei venivano colpiti e decisero di rafforzare le parti in cui gli aerei non venivano colpiti, perché? Perché l’intuizione geniale in controtendenza sulla lettura del dato è stata che gli aerei che riuscivano a tornare alla base, venivano colpiti in quelle parti, probabilmente quelli che non riuscivano a tornare è perché erano stati colpiti in altre parti che erano fondamentali per far tornare l’aereo. Ecco, spero si sia capita la metafora, saper leggere il dato, saperlo interpretare, è fondamentale. L’altra skill fondamentale è capire da che parte vuoi essere nel dualismo manageriale, cioè vuoi essere un conservativo o vuoi essere un innovatore? Fermo restando che oggi chi non innova muore, quindi anche il conservativo per rimanere, per mantenere le proprie quote di mercato deve innovare.
Qual è secondo te il valore della microfinanza legato alla nascita di nuove imprese oggi nel nostro Paese?
Non c’è impresa che non sia stata prima una microimpresa, una piccola impresa, e quindi il valore della microfinanza è fondamentale soprattutto in un ecosistema come quello italiano, dove il 92% delle imprese, sono microimprese. Noi siamo abituati ad avere un gergo tutto nostro, abbiamo dei parametri completamente nostri, per noi è media un’impresa da 20 milioni, mentre in Europa se non fatturi almeno 50 milioni, se non hai almeno 50 dipendenti, non puoi pensare di essere una media impresa. Noi abbiamo ridefinito i parametri di quella che è una piccola impresa, ma in realtà il microcredito serve alle imprese probabilmente quanto serve la cultura imprenditoriale, è uno strumento fondamentale molto più che la politica dei bonus, molto più che la politica degli aiuti istantanei, momentanei, una tantum, possiamo dire di essere entrati in una economia del microcredito, dove serve una cultura specifica dell’accesso al credito che può avere una micro impresa.
Dal micro al macro secondo te l’Italia è un Paese capace di trasformarsi e trasformare le imprese?
L’Italia è sicuramente un Paese dove c’è tantissimo spazio per chi vuole far scalare le piccole e medie imprese, per un motivo molto semplice, ce ne sono moltissime, quello che dobbiamo fare innanzitutto è capire quali sono i problemi, come ad esempio la pressione fiscale, che paradossalmente si può superare quando si è una grande azienda, perché si hanno a disposizione molti più strumenti dal punto di vista della pianificazione, si possono avere interi reparti dedicati alla pianificazione fiscale, alla strutturazione dell’azienda, all’amministrazione. Per le piccole aziende bisogna, per poterle far scalare, risolvere il problema della burocrazia attraverso i processi interni, quindi snellire il più possibile le aziende. Prima abbiamo parlato di denaro, nel discorso della quotazione. Il giorno in cui ci siamo quotati, il nostro presidente disse: “Le aziende si reggono su due fattori, il secondo sono i soldi, il primo sono le persone”. Allora più che di scalabilità la domanda è: A livello di cultura imprenditoriale quanto lavorano gli imprenditori per creare la propria “prima linea”? non tanto per strutturare le parti, ma per strutturare le persone all’interno di quelle parti. Quando le facciamo crescere? quando siamo in grado di farle crescere? e quanto siamo in grado di costruire un team di persone realmente affidabili che non sono lì per un lavoro ma che sono lì per una carriera e per lavorare all’interno dell’azienda per farla crescere e per sostenerla? Le aziende non scalano con un solo uomo al comando! Detto questo c’è una prateria per farlo e io ho la fortuna di lavorare all’interno del gruppo che fa questo, cioè si occupa di far scalare le imprese proprio costruendo la prima linea dell’imprenditore, quindi lavorando su dei pilastri che sono: amministrazione, finanza e controllo. Lavoriamo sull’ambizione, educazione delle risorse per permettere di fare carriera all’interno dell’azienda, di costruire una cultura imprenditoriale all’interno dell’azienda perché alla fine di tutto, prima delle procedure, prima dei processi, prima degli obiettivi, prima dei piani, prima delle mission, prima del budget, c’è la cultura interna dell’azienda. Se le persone che lavorano dentro l’azienda lavorano soltanto per lo stipendio quell’azienda non scala, se lavoro soltanto per le ore, quell’azienda non scala. La dirigenza deve premiare i lavoratori, ma la soddisfazione economica è soltanto un fattore, non è il fattore determinante, l’identità lo è, e questa si viene a creare soltanto se spendi risorse per crearla. Qualsiasi azienda abbiate, il vostro cliente deve rimanere, fidelizzarsi, portare altri clienti, diventare il vostro ambassador, perché è soddisfatto dell’esperienza che gli avete offerto.