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Come Generare Circuiti Virtuosi, L’esempio Del Microcredito Di Libertà
Daniela Brancati
Capoprogetto Microcredito Di Libertà
COME GENERARE CIRCUITI VIRTUOSI, L’ESEMPIO DEL MICROCREDITO DI LIBERTÀ
Tracciare bilanci quando ancora sei nel mezzo dell’opera è difficile. E tuttavia opportuno.
Dunque proviamoci. Iniziando dalla domanda fondamentale: alla prova dei fatti il Microcredito di libertà si è dimostrata una misura giusta? Rispondo che non solo è giusta, ma anche innovativa. Riempie un vuoto culturale e concreto al tempo stesso. E questa prima fase di sperimentazione l’ha dimostrato. Per almeno due ordini di motivi.
Il primo è che purtroppo il problema dei femminicidi è tutt’altro che passato di attualità. Ce lo dicono i numeri, fanno impressione le notizie che per fortuna ormai i telegiornali non occultano più dietro titoli generici, ma rubricano per quello che sono: omicidi di uomini che ammazzano donne sulle quali pretendono di esercitare un potere assoluto. Di vita e di morte per l’appunto.
E per ogni donna che si salva, si affaccia grave e imponente il problema del futuro suo e dei suoi figli: che farò adesso? Come mi guadagnerò da vivere, come ricostruirò un tessuto di sane relazioni intorno a me e così via.
L’accento in questi ultimi anni è stato messo quasi sempre sulla violenza assassina. Ed è ovvio. Ma esiste un altro tipo di violenza, più subdola almeno all’inizio: quella economica. Del tipo: non ti affaticare e non perdere tempo con questioni di denaro, ci penso io ad amministrare le tue cose. Oppure firma qui, ti ho intestato l’azienda o il mio conto corrente e così via. Nel primo caso lei presto si ritrova espropriata di qualunque suo bene. Nel secondo, forse peggio, nei guai con la giustizia amministrativa, il fisco, le banche. Finisce nel registro Crif, bollata come colei che non assolve a suoi debiti, quando in realtà non ne sa nulla, non ha gestito nulla. Prestando il proprio nome ha solo salvato lui dalle conseguenze delle truffe, imbrogli, fallimenti da lui stesso perpetrati. E poi c’è il fatidico non andare più a lavorare, ci penso io a te, adducendo magari gelosia verso i colleghi, oppure la necessità di accudire meglio il suo uomo.
Sono solo alcuni aspetti di un’articolata e complessa violenza economica che, in buona sostanza, punta a espropriare la donna di qualsivoglia autonomia economica, di ogni possibilità di dire ‘basta me ne vado, mi allontano da te perché non sopporto la tua prepotenza, violenza’, o peggio. Privata dei mezzi è privata della libertà di scegliere cosa fare della propria vita. Resta in balìa del violento che ben presto si leverà la maschera, se mai l’ha indossata, e si rivelerà per quello che realmente è. Fino al peggiore e più grave dei gesti. Così si può passare dalla privazione della libertà alla privazione della vita stessa.
E non si pensi che questo possa capitare solo a donne con scarsa cultura o esperienza, con basso livello. Nel corso di questi anni di operatività del Microcredito di libertà, abbiamo incontrato diverse imprenditrici cascate nella trappola che, grazie alla loro forte volontà di sottrarsi alla violenza, e grazie all’aiuto concreto di questa misura, sono riuscite a rimettere in piedi una loro attività.
Il secondo motivo, strettamente legato a questo è la situazione soggettiva, davvero complessa in cui si trovano le donne, una volta che il loro percorso presso i centri antiviolenza sia concluso.
E stavolta non mi riferisco solo alla condizione concreta e pratica (come procurarsi una casa, un contratto di lavoro, ciò che occorre per la macchinetta dei denti dei figli, dare l’esame della patente e potrei andare avanti con un elenco infinito di necessità che fanno parte del nostro quotidiano a tal punto che non ce ne accorgiamo più).
Penso soprattutto alla condizione psicologica di chi sta uscendo dal problema e dallo status di vittima.
Una condizione che nei momenti di debolezza ti porta a dubitare di te stessa, di potercela davvero fare a tornare a una vita senza eccessive scosse. Di dubitare d’essere all’altezza della fiducia che lo stato ti da concedendoti un prestito. Di dubitare a volte che valga la pena di scommettere su se stesse. Figuriamoci di creare un’attività, per ‘micro’ che sia.
E qui vado a un altro aspetto per cui questa misura è giusta e utile. Ha rimesso in un circuito di comunicazione vitale i soggetti che operano sul campo e che spesso vivevano come realtà separate che non s’incontrano mai. E che invece proprio incontrandosi favoriscono la ripartenza dei soggetti che hanno tanto subito. Le istituzioni da una parte, i centri antiviolenza dall’altra, e da ultimo ma non certo per importanza, le banche. Soggetti questi ultimi, che hanno un ruolo fondamentale se e solo se dimostrano di saper venire incontro a un target ben diverso da quello a cui sono abituati. Se imparano a rivolgersi loro con atteggiamento rigoroso ma disponibile. Di quest’ultimo aspetto come Ente Nazionale del Microcredito siamo particolarmente orgogliosi. Il dialogo è una componente essenziale del ‘Riparti da te’ come recitava un nostro fortunato slogan di molti anni fa. E da questo dialogo siamo ripartiti per il Microcredito di libertà.