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Le nuove migrazioni e l’autoimprenditorialità, scenari di cooperazione internazionale per l’integrazione, attraverso l’educazione finanziaria Intervista al direttore CESPI Daniele Frigeri
I flussi migratori e la nuova demografia contribuiscono a delineare un quadro geopolitico che l’Europa cerca di governare attraverso strumenti di integrazione economica e finanziaria. Secondo l’ultimo rapporto World Migration Report di IOM1 “contrariamente alle precedenti concezioni sulla migrazione delle persone provenienti da Paesi ad alto reddito, l’entità e la proporzione della migrazione in uscita dai Paesi ad alto e altissimo IDH è aumentata in modo significativo. In effetti, questa analisi bivariata dell’evoluzione delle migrazioni nel corso del quarto di secolo scorso indica che si è verificato un effetto “polarizzante”, con un’attività migratoria sempre più associata ai Paesi altamente sviluppati. Questa correlazione solleva la questione chiave dell’accesso ai visti e delle politiche migratorie connesse, soprattutto nel contesto delle aspirazioni migratorie dei potenziali migranti di tutto il mondo che potrebbero desiderare di sfruttare le opportunità offerte dalla migrazione internazionale, ma non sono in grado di farlo. Una nuova ricerca dimostra che i cittadini dei Paesi ricchi sono molto più in grado di accedere ai regimi di mobilità regolamentata rispetto a quelli dei Paesi poveri. La necessità di rivalutare la migrazione come una scala di opportunità ha implicazioni per l’Agenda 2030 per gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e il Global Compact per la migrazione sicura, ordinata e regolare. In un ambiente in cui la migrazione è restrittiva, le politiche correlate, come la gestione delle frontiere, i requisiti di ingresso e le limitazioni di soggiorno, sono diventate più importanti in tutto il mondo. Sembra che ci siano rischi sistemici per la piena realizzazione degli SDG e dei vantaggi nello sviluppo umano (come indicato nella relazione sullo sviluppo umano del 2019). La situazione è stata ulteriormente complicata dalla pandemia COVID-19, che sta temporaneamente bloccando la migrazione e la mobilità in tutto il mondo e costringe tutti i Paesi a rivalutare le loro politiche migratorie e di frontiera per il nuovo mondo post-pandemia”. In Italia la situazione è varia; solo per analizzare i flussi derivanti dai lavoratori immigrati si può far riferimento ai dati di rilascio di permessi regolari: in particolare il Ministero degli Interni ha previsto nell’anno appena trascorso 151.000 quote di ingresso in Italia per lavoratori non comunitari. In particolare, 61.250 per lavoro subordinato non stagionale e assistenza familiare, 700 per lavoro autonomo e 89.050 per lavoro subordinato stagionale. In questo contesto risulta di grande valore l’approfondimento del CESPI che si occupa di scenari, geopolitica, approfondimenti di natura operativa e speculativa per sostenere le politiche nazionali. In accordo con il Ministero degli Affari Esteri e la Cooperazione e con think tank internazionali, questa realtà, sostiene le attività di ricerca e studio che possono aiutare da un lato la comprensione dello scenario e dall’altro l’integrazione reale attraverso politiche attive del lavoro come nel caso del progetto “Finanza inclusiva per l’integrazione” che coinvolge in partnership l’Ente Nazionale per il Microcredito. Di seguito abbiamo chiesto al direttore del Cespi, Daniele Frigeri, quali sono le prospettive comuni.
Dottor Frigeri, ci presenta l’attività del CESPI? In cosa siete impegnati?
Il CESPI è un think tank internazionalistico, noi copriamo tutta una serie di tematiche e aree del mondo che appartengono, alcune alla nostra tradizione, l’Africa, i Balcani, l’America Latina, alcune invece sono nuove, come la Turchia e l’India in modo particolare. Sono tutte aree che il CESPI copre anche in questo momento, nel senso che abbiamo attivi una trentina di progetti complessivamente che le coprono o progetti specifici su aree del mondo, in questo momento, come ad esempio il Medio Oriente che è uno dei focus più importanti, oppure tematiche su cui il CESPI ha un expertise da diversi anni.
Diciamo che la politica italiana è molto propensa a stringere nuovi accordi, nuove alleanze, sia per quanto riguarda una politica di import-export, perché dobbiamo allargare il nostro mercato, sia per quanto riguarda la cooperazione. Si parla di un nuovo piano Mattei e di nuove politiche di sostegno e cooperazione. Il CESPI su quali di queste aree è focalizzato?
Il bacino del Mediterraneo è una delle aree centrali su cui noi concentriamo il nostro lavoro e su cui, come giustamente diceva, si concentrano le attenzioni internazionali, soprattutto di una parte, che è la parte che si affaccia sul Mediterraneo. Il Mediterraneo è per noi come l’Italia centrale, perché è un luogo di approvvigionamento energetico e qui tutto il lavoro che è stato fatto per sganciarsi dalla dipendenza russa di fatto ci ha portato a rafforzare i legami con i Paesi del Mediterraneo.
È luogo di scambi commerciali, ad esempio la Turchia, tutta la parte del Nord Africa, sono partner commerciali fondamentali per l’Italia, non solo in termini di esportazioni, ma anche in termini di importazioni e non solo di materie prime. L’area del Mediterraneo è un’area di transito fondamentale per il commercio internazionale e quello che sta accadendo a Mar Rosso, il canale di Suez, è uno degli altri elementi che caratterizzano e mettono in discussione i commerci internazionali. È luogo di connessioni, si pensi appunto a tutti i nuovi progetti di connessione che attraverso il Mediterraneo dovrebbero poi arrivare e arrivano all’India, quindi connessioni tra continenti.
È un luogo di accesso al continente africano, perché i Paesi del Nord Africa sono per noi il punto di accesso. È il luogo di transito delle migrazioni, perché tutti i tre principali canali di accesso all’Europa hanno a che fare con il Mediterraneo, il canale che passa dalla Spagna, il canale centrale e il canale a est che attraverso la Turchia e poi sale sui Balcani. Ed è anche il crocevia di scenari internazionali importanti, quello che sta accadendo in Medio Oriente, quello che sta accadendo in Libia, quello che è accaduto in Siria.
Parliamo invece di immigrazione, di demografia?
L’Italia ormai ha una piramide rovesciata per quanto riguarda la crescita demografica. Abbiamo necessità impellente di forza lavoro, caregiver, piuttosto che di personale qualificato. Abbiamo visto un esempio con i medici proprio in Calabria.
Abbiamo gli infermieri, i medici, piuttosto che personale istruito. Quindi, oltre ad avere una fuga di cervelli, abbiamo anche una grande necessità di importare delle grandi professionalità. Cosa fa il Cespi? Quali sono gli studi che ha portato a termine per capire qual è la fotografia oggi dell’Italia e dell’immigrazione italiana?
Il tema migratorio è un tema complesso, ampio e che ha varie sfaccettature.
Può essere visto sotto diversi profili, quello demografico, delle rimesse, dei conflitti internazionali e dello sviluppo dei Paesi di origine. Ci sono un’infinità di prospettive ed è questo che rende complesso parlare di immigrazione. Il Cespi cerca di provare a tenere insieme questi elementi.
Noi abbiamo sulle migrazioni una quindicina di progetti in corso che vanno dalle dimensioni internazionali, quindi un approccio rispetto ai fattori che spingono a migrare, che riguardano i Paesi di transito, perché anche molto spesso Paesi che un tempo erano Paesi di provenienza, di migrazione, in realtà oggi sono diventati anche Paesi di transito, quindi stanno vivendo le nostre stesse problematiche rispetto ai temi dell’integrazione. Il tema dell’integrazione è un tema fondamentale rispetto al mercato del lavoro, rispetto alle criticità che questo comporta, perché l’Italia giustamente ha bisogno di professionalità, ma ha anche bisogno di manodopera con qualifiche non particolarmente elevate, pensiamo al settore dell’agricoltura, al settore del turismo. L’Italia ha una domanda di lavoro molto ampia rispetto alla quale la migrazione dà risposte. Questo però crea anche delle aree di criticità, perché è chiaro che questo bisogno di lavoro da una parte, e questa ricerca di condizioni migliori, espone poi i migranti a situazioni di sfruttamento, a situazioni di illegalità anche all’interno del mercato del lavoro, che sono forse uno degli aspetti più critici, perché poi di fatto impediscono alla persona di integrarsi, di realizzarsi e di mantenere uno stato un po’ senza futuro. Abbiamo progetti sulla dimensione transnazionale delle migrazioni, quindi ad esempio il tema delle rimesse, il ruolo che la diaspora può avere rispetto allo sviluppo del proprio Paese, il ruolo della diaspora all’interno del sistema italiano.
Lavoriamo su alcuni progetti innovativi, che cercano soprattutto di valorizzare quella che è la capacità innovativa che può essere portata attraverso le migrazioni. Abbiamo un progetto sul ruolo dei co-working space all’interno del processo di integrazione, e poi tutto il tema dell’inclusione finanziaria dei cittadini stranieri, inclusione finanziaria come fattore abilitante all’interno di una società come la nostra. Oggi in un Paese come l’Italia questo è un portafoglio molto ampio di progettualità, ma che cerca di tenere insieme i vari aspetti che la migrazione sollecita. E proprio per questo ultimo aspetto, quello dell’educazione finanziaria e economica all’impresa, nasce il progetto con l’Ente Nazionale per il Microcredito.
Ci racconta di questo progetto?
Il progetto “finanza inclusiva” nasce all’interno di un percorso che il Cespi ha realizzato in questi anni attraverso la costituzione di un osservatorio nazionale sull’inclusione finanziaria dei migranti, che ha l’obiettivo di monitorare il fenomeno dell’inclusione finanziaria. Questo attraverso tutta una serie di strumenti che abbiamo creato, sia di raccolta di dati e di analisi, sia anche di interazione con i diversi operatori. Uno dei punti centrali che è emerso nel lavoro di questi anni è l’importanza di assicurare l’ultimo miglio, e cioè partire dall’educazione finanziaria, perché l’educazione finanziaria fornisce gli strumenti.
Si passa poi all’accesso agli strumenti finanziari, e qui entrano in gioco gli operatori finanziari. Poi però l’ultimo miglio è la capacità della persona di accedere effettivamente a questi strumenti e utilizzarli in modo adeguato. Su questo, l’educazione finanziaria ha un ruolo importante, ma nelle esperienze di questi anni abbiamo notato che mancava ancora qualcosa.
E qui l’idea che il microcredito, proprio come strumento che nasce per accompagnare, non soltanto fornire l’accesso a uno strumento, ma anche accompagnare la persona al corretto utilizzo del credito, potesse essere uno degli elementi più interessanti da sperimentare nell’ottica di raggiungere l’ultimo miglio. Ecco perché è nata l’idea di coinvolgere l’Ente Nazionale per il Microcredito, per provare a dare completezza al processo. Quindi l’educazione finanziaria e l’Ente Nazionale per il Microcredito ha una ricca esperienza.
C’è tutta una componente di educazione finanziaria che ha a che fare con l’accesso al credito, che ha a che fare con la via di attività imprenditoriale e una componente di educazione finanziaria generica. Queste tre componenti sono tre componenti centrali all’interno del progetto in termini di educazione finanziaria. E poi c’è l’attivazione di tutta la rete che l’Ente Nazionale per il Microcredito gestisce, che ha costruito negli anni, e questo ci consente di avere un ritorno rispetto a quello che sta accadendo veramente sul territorio, per l’utente finale e il migrante. Questa è un po’ l’idea che sta alla base dello sviluppo di questo progetto, che ha proprio in questa duplicità l’aspetto più innovativo, perché spesso i progetti di inclusione finanziaria si fermano o all’educazione finanziaria o all’accesso, ma l’idea di pensare l’intero processo con la capacità che l’osservatorio ha di monitorare i numeri e i dati, questo secondo me è l’aspetto più interessante del progetto che abbiamo realizzato.
A che punto siamo? Perché è un progetto che dovrebbe svilupparsi in tre anni (2024-2027) è già iniziata la raccolta dati? Il progetto ha già una sua conformazione?
Il progetto si svolge su tre anni, diciamo che una componente del progetto è la prosecuzione delle attività che l’osservatorio già svolge, quindi ha una sua regolarità, una sua sistematicità. Siamo in fase di raccolta dei dati relativi al 2023 e poi avvieremo con l’anno nuovo una nuova indagine campionaria e questo ha una cadenza annuale. Poi invece c’è tutta la parte nuova che è appena iniziata, nel senso che il progetto è iniziato formalmente poco prima dell’estate, quindi siamo veramente alle prime battute e la costruzione della struttura che sta alla base del processo che spiegavo prima, quindi l’ampliamento della rete e la messa in rete rispetto al progetto; la creazione di quelli che saranno i laboratori territoriali dove andremo a sperimentare su quattro territori alcune idee e anche alcune ipotesi che stanno alla base del progetto. Il piano di educazione finanziaria complessivo dell’intero progetto, che appunto si svolgerà poi negli anni e man mano il coinvolgimento dei beneficiari, oltre che la ricostituzione di questo tavolo interistituzionale che mette in relazione più soggetti che vanno appunto dai regolatori, dai ministeri, agli operatori finanziari, con l’idea di creare una sorta di strumento di condivisione di quelli che sono i risultati. Lo stato del progetto per poter poi discutere quelli che possono essere elementi interessanti, criticità, opportunità che emergono dal lavoro di quest’ultimo. Un modo anche del progetto di restituire poi alle istituzioni tutta una serie di informazioni e di dati.
Un’ultima cosa, una previsione: quante persone potreste o vorreste formare per poi avviarle eventualmente all’impresa?
Non faccio numeri, ma io credo che la potenzialità della rete, che con il Cespi, con l’osservatorio avevamo già attivato, ma soprattutto che l’Ente Nazionale per il Microcredito ha nel suo DNA, ci permetterà di raggiungere un buon numero di destinatari. C’è un grande interesse da parte dei cittadini stranieri. Noi lo vediamo anche nelle attività che svolgiamo di educazione finanziaria. Ci sono tutta una serie di fattori che confermano la potenzialità del bacino a cui noi ci possiamo rivolgere.
Perché non faccio previsioni? Perché credo che i risultati richiederanno un certo tempo di avvio perché è importante creare quell’autorevolezza che è fondamentale quando si parla di questi temi con le persone, l’autorevolezza che c’è già, come progetto va costruita e vanno individuate insieme ai beneficiari le modalità migliori. Per cui quello che mi interesserebbe molto è l’opportunità di raggiungere un numero adeguato di beneficiari, ma poter costruire con loro anche dei percorsi che rispondono alle loro necessità. Ecco perché non mi piace fare numeri, ma certamente le potenzialità sono importanti.
Quindi al di là di tutto stabilizzare il progetto sulla figura, sul profilo umano, rendere sempre più umano il soggetto beneficiario aiutandolo realmente, sarà anche un elemento interessante da sperimentare e su cui ragionare all’interno del progetto. Questo è un dato che emerge dai lavori che abbiamo fatto finora, la digitalizzazione anche sui temi dell’educazione può aiutare. È uno strumento che certamente aiuta ma non è sufficiente, è necessario ma non sufficiente per poter effettivamente avere dei risultati e rispondere a dei bisogni.