Quale sarà il futuro delle città? Urge risarcire le giovani generazioni cui è stata tolta la socialità

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Mario Occhiuto

Sindaco di Cosenza e delegato ANCI per l'urbanistica e i lavori pubblici


Le città sono l’invenzione più straordinaria degli uomini perché contengono la vita delle persone e sono state costruite proprio per assecondare il bisogno di socialità degli uomini. Però, paradossalmente, rappresentano il luogo più inquinato. Si pensi che pur occupando solo il 2% della superficie terrestre e ospitando il 50% della popolazione, producono l’80% dei fattori inquinanti da anidride carbonica.

Le città sono il luogo più importante, ma anche il luogo dove esplodono le più strane contraddizioni, come quella tra il bene e il male, tra il bello e il brutto.

La vera contraddizione in termini di fronte alla quale siamo stati posti è che da una parte aspiriamo alla socialità e per questo abbiamo inventato le città, ma, dall’altra, viviamo, paradossalmente, nei luoghi più inquinati. Aspiriamo alla qualità della vita, alla bellezza, e poi siamo inclini alle cattive pratiche e all’egoismo, a quelle pratiche che negli anni ‘70 hanno contribuito a peggiorare le città e la vita di chi le abita. È l’eterno contrasto dell’uomo tra il bene e il male, tra la bellezza e la ripugnanza, che si riflette nella città che è il luogo della vita degli uomini e delle loro contraddizioni. L’uomo aspira al bene e alla bellezza, però poi si lascia sopraffare dalla sua inclinazione verso l’egoismo o verso le speculazioni edilizie che conducono, inevitabilmente, alle cattive pratiche. E allora, o prevalgono le tendenze a esaltare le migliori aspirazioni degli uomini (le città sono belle se le persone lo sono altrettanto) oppure, se non si riesce a migliorare la qualità della vita delle persone, con un ripensamento degli spazi fisici pubblici, ci sarà posto solo per una reiterazione degli errori urbanistici del passato, quando venivano creati degli agglomerati urbani generando fenomeni di insicurezza urbana e sociale. Dagli anni ‘60/’70 in poi, le città, infatti, sono state trasformate costruendo all’interno di esse grandi “autostrade del traffico” che le attraversavano e che creavano congestione urbana e inquinamento ambientale. Sempre in quegli anni, sono stati costruiti quartieri periferici, con case popolari identiche nella tipologia e prive di identità -seguendo la fallimentare idea della “casa collettiva”- che ancora oggi provocano miseria e le condizioni di insicurezza evidenziate. Quell’idea di città è oggi superata da una nuova visione più sostenibile che riflette lo stile di vita contemporaneo degli uomini più attenti al benessere e alla salute. Inoltre, la nuova e drammatica realtà di fronte alla quale le città si sono trovate dopo aver dovuto fare i conti con la pandemia, ci ha obbligati a doverle ripensare, sostenendone la crescita in un’ottica completamente mutata, con progetti di sviluppo all’altezza delle sfide attuali. In un contesto così mutato, l’interrogativo predominante è: quale sarà il futuro delle città? Dobbiamo cominciare a lavorare per disegnare il futuro delle nostre città, così come ci viene imposto dalle nuove sfide che ci attendono. Le città devono, oggi più che mai, diventare il luogo della vita degli uomini. Ed è per questo che nel mondo, dagli Stati Uniti all’Europa, c’è un rifiorire di idee e visioni architettoniche che fanno a gara per immaginare quali fisionomie dovranno assumere le città del post-Covid. Dalle piazze sociali, iperconnesse e a zero emissioni, ai droni per il delivery, è una vera e propria corsa al ripensamento delle città in chiave green, sostenibile e tecnologica. Si è lavorato da tempo per imprimere una svolta green ed ecosostenibile alle nostre città, ma il Covid oggi ha dato una notevole accelerazione a questo processo. Anche perché è stata sostenuta, e anche dimostrata, una stretta correlazione tra le città più inquinate e la diffusione del contagio, per la presenza nell’aria di polveri sottili e del particolato che aiutano la persistenza del virus. Abbiamo quindi l’obbligo, ancora di più rispetto a prima, di ridurre le emissioni di queste sostanze nocive per l’organismo umano. Quel che aveva tutte le caratteristiche per imporsi come un punto di debolezza, lo abbiamo trasformato in un punto di forza, interpretando la necessità del cambiamento con una nuova idea di città che abbiamo cominciato a coltivare ripensando innanzitutto agli spazi e a una nuova mobilità, fondata essenzialmente sugli spostamenti a piedi, in bici o in monopattino. La pandemia ci ha messo di fronte all’urgenza di lavorare e incidere sulle città, trasformandole, nella piena consapevolezza che sono ancora le città il luogo migliore in cui vivere. Ed è per questo che la ripresa e la ripartenza non possono che muovere dalle città. Dobbiamo prenderci cura dei luoghi in cui viviamo, creare qualità degli spazi abitativi e degli spazi pubblici, non solo parchi, ma luoghi di cultura che siano portatori di aggregazione e identità. Ecco che le opportunità che ci vengono dal Recovery Fund e le risorse che da esso direttamente discendono dovranno essere utilizzate soprattutto in questa direzione. Oggi allora è quanto mai necessario assecondare l’esigenza dell’uomo di vivere in luoghi salubri e non inquinati. E anche di ritornare alla bellezza. Il nostro contributo deve essere quello di orientare la crescita delle nostre città in questa direzione, aderendo ad una buona consuetudine che si va facendo strada in Europa dove si diffondono sempre di più i cosìddetti ecoquartieri e le ecocittà. Le città del futuro devono poter incrementare sempre di più gli spazi liberi, i campi di strada, i giardini tematici, devono contenere vere e proprie “linee verdi” dove sia possibile camminare a piedi, o in bici, percorrendo anche lunghi tratti all’interno di reti ecologiche al riparo dai gas di scarico delle auto, utilizzando per gli spostamenti un po’ più lunghi i mezzi di trasporto pubblico elettrici. Devono essere città più belle, in modo che le persone possano viverle e attraversarle più volentieri a piedi, perché la bellezza crea ricchezza e maggiori opportunità di lavoro e di occupazione. Occorre immaginare che, in ogni città, il verde deve essere un elemento strutturale e non più elemento di risulta o di semplice decoro urbano. Il verde, nella concezione ottocentesca e novecentesca, era un elemento progettato ma confinato. La città contemporanea deve ritornare a contemplare il verde come elemento strutturale -ma non più come spazio ristretto e recintato in alcuni ambiti magari anche periferici- estendendo le funzioni a quelle ormai necessarie di riconnessione urbana per conseguire obiettivi di benessere fisico, ricreativo, sociale dei cittadini. Nella città ideale del futuro non ci sarà più posto per le auto e i quartieri periferici saranno rigenerati e riconnessi al tessuto urbano con grandi opere di qualità architettonica e con servizi efficienti. Una città che abbia un centro più esteso con ampie zone di riconnessione urbana e che restituisca ai cittadini quegli spazi inquinati che una volta servivano per l’attraversamento veicolare. Non più la città delle macchine, ma delle persone che vogliono stare insieme. Dire che la città possa vivere con le persone distanziate una dall’altra equivale ad una grande ipocrisia. Oggi la socialità è ridimensionata a causa dell’emergenza sanitaria, ma le persone torneranno a reincontrarsi e a stare insieme perché questa è una loro necessità, il senso stesso della vita. Quel che diventa quindi importante e imprescindibile, in prospettiva, è far acquisire alle città una dimensione più bella e più vivibile. Ma il nostro compito per il futuro non si ferma qui, perché ne abbiamo uno ancora più importante: lavorare per offrire un “risarcimento” alle giovani generazioni che sono state private della bellezza e del tempo della socialità, subendo, a causa della pandemia, una vera e propria sottrazione di vita. Oggi siamo attesi da questa che è un’autentica sfida, quella più importante: come riportare alla socialità, attualmente penalizzata dalle restrizioni, le categorie di cittadini più fragili, anzitutto i nostri ragazzi ma anche le persone avanti con l’età. La socialità non è qualcosa che si manifesta e sviluppa solo tra le mura domestiche e all’interno dei nuclei familiari, ma comporta dinamiche spazio-temporali molto più ampie e irrinunciabili. È nei confronti delle giovani generazioni che l’agire delle istituzioni dovrà assumere una “connotazione risarcitoria”, non sotto forma di ristoro materiale come può essere per le categorie produttive, ma immaginando e progettando un nuovo modello di città che possa contemplare spazi aperti e piazze e scuole più funzionali, con maggiori spazi verdi. Non c’è dunque solo e soltanto la necessità di creare “città green”, ma anche di offrire un “risarcimento”, in questo senso, alle giovani generazioni, verso le quali abbiamo un vero e proprio dovere morale. Altrimenti lasceremo loro solo il peggio, quanto è stato costruito da uomini privi di scrupoli che non hanno avuto negli anni rispetto per la sostenibilità. Abbiamo consumato tutte le risorse a loro destinate, non solo quelle economiche, ma anche quelle che riguardano la qualità della vita. Nella sostanza, o nelle città prevalgono adesso le idee dell’altruismo e della sostenibilità (quelle che sono le migliori aspirazioni dell’uomo) e del “risarcimento” dovuto alle giovani generazioni, o le nostre città saranno ancor di più sopraffatte dall’egoismo e dalle cattive abitudini ormai consolidate (quelle che rappresentano le peggiori inclinazioni degli uomini che le abitano), e quindi avremmo fallito il nostro compito. Con il Recovery Fund si apre una nuova prospettiva. Occorre, infatti, ripartire dalle città anche nella gestione del Recovery Fund. I Sindaci vanno coinvolti nella scelta dei progetti e non possono stare a guardare da semplici spettatori. Il futuro delle nostre città sarà quello che sarà segnato dall’uscita, si spera prima possibile, dalla pandemia, grazie alla vaccinazione che riguarderà la gran parte della popolazione. Ma sarà anche quello nel quale saremo chiamati a fare i conti con le conseguenze, economiche e sociali, causate dalla pandemia e dall’emergenza sanitaria che ha attraversato i nostri territori, mettendoli a dura prova. Il futuro dell’Italia è, pertanto, legato indissolubilmente alle città. L’Italia è, storicamente, il Paese dei Comuni e nei comuni, nelle piccole e medie città, vive la maggior parte delle persone. L’Italia è anche il Paese nel quale i Comuni hanno contenuto e contengono tutto il patrimonio culturale che rappresenta la più grande risorsa del mondo. La cultura ha un carattere pervasivo, è coinvolgimento, contaminazione, ma è anche testimonianza del grado di civiltà di una civitas divenendo partecipe dei suoi processi di trasformazione e di gestione, concorrendo, attraverso di essi, alla crescita della comunità e alla liberazione delle energie creative. Lo spazio pubblico che oggi siamo chiamati a trasformare deve essere rigenerato e restituito ai cittadini secondo quelle idee che oggi abbiamo il dovere di seguire perché sono profondamente cambiati gli stili di vita delle persone. Le persone vivono più a lungo, ma gli ultimi venti/trenta anni di esistenza la qualità della vita può essere superiore; perché avvenga tutto ciò è necessario che la prevenzione primaria dalle malattie possa essere praticata nella città: le persone devono svolgere attività fisica all’aperto, potersi muovere, camminare, per prevenire le malattie cardiovascolari od oncologiche. Una volta si diceva “vivi in campagna dove l’aria è migliore”. Oggi la maggior parte delle persone vive in città, ma le città devono recuperare caratteristiche di qualità. La città che migliora contribuisce a migliorare la qualità della vita dei cittadini e diventa più competitiva. E anche le opportunità di lavoro sono candidate ad aumentare perché una città con queste credenziali ha più chanches di diventare turistica e di garantire più opportunità per tutti. Per questo siamo oltremodo convinti che una parte importante delle risorse del Recovery Fund debba essere destinata alle città, anche perché nelle città c’è un bisogno impellente di dare risposte che riguardano i settori individuati come assi strategici europei: green e sostenibilità, digitalizzazione e coesione sociale, obiettivi legati tutti e tre alle città e alla loro connotazione futura. Non dobbiamo, pertanto, dimenticare che le risorse del Recovery Fund vanno impiegate, certo, per le grandi infrastrutture, ma anche per riqualificare e rigenerare le città dove vive la maggior parte delle persone, soprattutto nelle zone periferiche. Per dare loro un nuovo volto, in ragione anche delle mutate esigenze provocate dalla diffusione del Covid-19. Questo significa non solo cambiarle, ma dare anche nuove opportunità lavorative. Un’occasione questa non solo per trasformare le città, ma anche per migliorare la vita delle persone. In questa sorta di Piano Marshall al quale è assimilabile il Recovery Fund per il rilancio del Paese dopo la pandemia, le risorse vanno distribuite con criterio e senza prescindere da una consultazione preventiva proprio dei Sindaci cui va demandato questo ruolo di indirizzo, almeno per le opere di infrastrutturazione locale e delle città. Anzi, ai Sindaci andrebbero conferiti dei veri e propri “poteri commissariali” in deroga, dalla programmazione alla realizzazione e gestione concreta delle opere, per consentir loro di spendere direttamente le risorse individuate nei piani strategici al fine di dotare le città di infrastrutture necessarie ad affrontare il post Covid. I sindaci vengano dunque indicati come “Commissari Straordinari” per la programmazione e realizzazione delle opere strategiche di interesse locale, di importo superiore al milione di euro, che riguardino la mobilità e lo sviluppo sostenibile, ma anche per quelle che afferiscono alla digitalizzazione e alla coesione sociale. Solo attraverso questo percorso sarà possibile ridisegnare le città del futuro.

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