Rovesciamo la piramide

Print Friendly, PDF & Email

Guardo la vetrina di una farmacia e l’espositore elettronico mette in risalto il messaggio: Se hai bisogno di aiuto contro la violenza chiama il 1522, lo vedo su alcuni shopper, o su rudimentali cartelli scritti a mano. Ma quello promosso dai farmacisti come Progetto Mimosa, non è l’unico servizio di ascolto e prevenzione messo in campo attualmente. Sono impegnati i mezzi di comunicazione di massa tradizionali e non. Molte università, testimonial del mondo dello spettacolo e influencer. Scorrendo le pagine di internet si capisce quanti passi avanti abbia fatto la mobilitazione contro la violenza di genere. Bene. Benissimo. La consapevolezza non è mai troppa, i tentativi di aiuto non sono mai abbastanza. E viene davvero da chiedersi come mai con uno spiegamento di forze così importante e capillare il fenomeno non sembri davvero scalfito. Vero che le convinzioni ancestrali sono dure a scardinare. Vero che il potere – esercitato in questo caso nel peggiore e più brutale e miope dei modi – non tollera di essere messo in discussione. Ma insomma sessant’anni di femminismo, campagne di educazione, dibattiti, nuove leggi e così via sembrano passati come niente. Quattro passi per il web aiutano ad avere una visione della quantità di interventi, idee, espedienti messi in campo dalle persone e organizzazioni più varie.

Ho visto fra l’altro una piramide antiviolenza, pubblicata da Viole di Marzo. Ve la propongo perché interessante. Come ogni piramide che si rispetti ha una base e un apice. L’apice ovviamente, è violenza sessuale e omicidio. Alla base invece ci sono linguaggi, stereotipi, fattori psicologici e culturali. Poi le molestie e le minacce. Solo al quarto posto gli abusi finanziari.

È solo un esempio, ovviamente, non è legge. Ma la cito perché l’ordine in cui sono enunciati i pericoli corrisponde a un’opinione generalizzata e diffusa.

La violenza è una discesa agli inferi, a volte lenta, a volte precipitosa. Le forme in cui si manifesta non sono tutte uguali e come è ormai ben noto, passano per l’isolamento della donna dalla famiglia e dagli amici; il condizionamento psicologico prima ancora della costrizione fisica. Levare alla donna la possibilità di ribellarsi all’aggressione, agendo sulla sua autostima e sulla sua psiche. Ma c’è una precondizione al cui verificarsi ogni altro pericolo diventa minaccia reale. Ed è privare la donna dell’autonomia economica, lasciandola in uno stato di totale dipendenza che la induce a non ribellarsi perché le mancherebbe il sostentamento per sé e per i figli. “Se lo lascio, se lo denuncio, come e dove vivrò. Chi ci darà il necessario. Come troverò un lavoro.” Sono domande basilari, permeate di concretezza e ovviamente di disperazione. Ma chissà perché questo fattore ancora oggi è sottovalutato. La violenza economica è un’oppressione e aggressione molto concreta. Non spettacolare, ma insidiosissima. Che la si veda come una piramide, o come una piramide rovesciata (la discesa agli inferi per l’appunto) la violenza economica attraversa tutta la piramide, dal primo scalino in poi. Se ribellarsi quando la violenza economica non c’è richiede uno sforzo pari a 100, in presenza di questa lo sforzo è pari a 1000 e diventa titanico.

Il fatto che il grosso degli sforzi si concentri sulla peggiore delle patologie, quella che nelle forme estreme porta le donne a diventare vittime fino a morirne, ovvero la violenza fisica, è umano. Direi naturale. Se vedi uno sull’orlo di un burrone cerchi di tirarlo indietro, di salvargli la vita, non di posizionare un guardrail o robusta staccionata. Ma se capisci che di persone davanti a quel burrone ce ne muoiono molte, prima o poi questa potente rete la devi pur mettere. E la rete protettiva in questo caso è la prevenzione, quella che porta alla consapevolezza che nei limiti del possibile nessuna donna deve rinunciare alla propria autonomia economica o finanziaria.

Sarà anche un approccio più limitato, con campagne meno spettacolari e drammatiche, che facciano leva sul semplice dato della violenza economica, ma sono convinta che potrebbe aiutare moltissimo.

Una vera campagna di sensibilizzazione su questo semplice aspetto avrebbe un effetto potente e dirompente. Giusta la campagna che dice se è violento non è amore. Altrettanto giusto sarebbe spiegare: consegnare a lui la tua autonomia economica non è amore, è resa. Impedire al violento di appropriarsi delle risorse della donna, significa metterla in una condizione di maggiore potere. Dandole fra l’altro il potere di ribellarsi se necessario.

Perché oramai è accertato: per la propria salvezza, il punto di partenza è solo la volontà di riprendere in mano il proprio destino. Solo in questo caso il punto di approdo sarà sconfiggere la violenza in ogni sua forma. Il primo gesto, il primo passo significativo, dunque, è sottrarsi a un rapporto malato e squilibrato, dove tutte le armi sono nelle mani di lui. Questo primo passo richiede assistenza, luoghi di accoglienza (psicologici o fisici) grazie ai quali sottrarsi all’aggressione. Il secondo è ancora assistenza, ma stavolta l’aiuto dello stato e della collettività nel suo complesso consiste nell’offrire il primo sostentamento a chi ha trovato questo coraggio.

Ma poi la storia deve cambiare. Facendo un paragone con le guerre che ahimè infestano il pianeta di questi tempi, c’è la fase degli aiuti umanitari. Poi c’è la fase della ricostruzione. L’abbiamo visto nelle guerre come nei terremoti. Lo dice il proverbio popolare tanto amato: aiutati che Dio ti aiuta. Ed è proprio così. La ricostruzione richiede la partecipazione attiva di chi ha perso molto nelle catastrofi e di chi ha perso tutto. Nella vita di una donna violata, la violenza può ben essere paragonata al terremoto e alla guerra. Disgrazia personale anziché collettiva.

Ecco quindi che, superata la fase della prima assistenza, quella che serve alla donna per consolidare la propria intenzione di sottrarsi alla violenza e di iniziare a ricostruire il proprio equilibrio psicofisico, anche la forma dell’aiuto deve cambiare.

Quando abbiamo iniziato tre anni fa circa a far conoscere il Microcredito di Libertà, molte organizzazioni femminili e cav ci chiedevano: perché la donna/vittima dovrebbe indebitarsi per ottenere un prestito quando ci sono altre misure che il denaro lo danno a fondo perduto. È una domanda che fa riflettere. In effetti di tali contributi ce ne sono diversi erogati dalle regioni e non solo. Ma ciò che rende unico lo strumento Microcredito di Libertà è proprio la concezione che ne è alla base, e che lo rende unico e necessario. La donna che decide di accedere a una misura come questa ha deciso contemporaneamente di non sentirsi più vittima, ma di reagire all’abuso perpetrato nei suoi confronti come soggetto volitivo, che prende in mano il suo destino. Decide di fare una scommessa su sé stessa, sulle sue capacità di restituire il prestito ricevuto dallo stato a tasso zero. Di ricambiare con la fiducia in sé stessa la fiducia che lo stato ha riposto in lei. Una donna che ha capito che come tutti affronta l’incognita del futuro, perché si è ripromessa di non soccombere mai più. E lo stato al tempo stesso la affianca in questa sua prova difficilissima, le concede la possibilità di inciampare nel percorso dicendole non sei sola, se proprio non ce la fai a restituire qualche rata del prestito c’è un fondo di garanzia che ne risponderà in tua vece. Credi in te stessa. Lo stato crede in te.

In definitiva quindi questa misura colma un vuoto, quello del terzo livello della rinascita personale. Opera un cambio di paradigma. Contribuendo a trasformare le vittime in soggetti che riprendono in mano la loro vita e con fatica, tenacia, alti e bassi come per tutte le cose che contano, tornano a essere soggetti attivi della società. Ad affrontare tutte le prove che la vita ci oppone. Solo – questa volta – con la corazza del guerriero e non con lo sguardo dell’agnello sacrificale. Speranza?

Certamente, e fiducia che il cambio di paradigma sia per l’appunto possibile.

È importante che in questo obiettivo ci affianchino partners come Abi e Federcasse, due organizzazioni che si sono mostrate molto sensibili a queste tematiche e già per loro conto abbiano avviato campagne di consapevolezza. Anche molto importante è il sostegno che abbiamo ricevuto da Rai per il sociale, che ci ha consentito una larga diffusione del contenuto di Microcredito di Libertà.

Un augurio? Che molti altri mezzi decidano di unirsi a questa battaglia. Più siamo meglio è. L’obiettivo è talmente importante che siamo sicuri di trovare molte altre collaborazioni.

Una volta, a Lucca, visitando il museo dell’emigrazione (era bellissimo, spero che ci sia ancora) lessi la lettera di un emigrato dalla Toscana agli Usa, l’aveva mandata alla fidanzata, piena di nostalgia. E diceva più o meno: quando credo di non farcela più mi aggrappo al ricordo di te, come quando vai in montagna e scivoli, ti aggrappi a un cespuglio di ginestre per non cadere. Era un’immagine forte e poetica che gli restituiva speranza nel futuro e allontanava la disperazione del presente. Dovremmo fare in modo che questa piccola misura (non poi così piccola) alimenti la speranza di chi vive un presente disperato. E che sia la ginestra a cui aggrapparsi per risalire dal dirupo.

CHE COS’È Il Microcredito di Libertà promuove l’inclusione sociale e finanziaria delle donne che hanno subìto violenza, agendo su quella particolare forma che è la violenza economica, ovvero il controllo esercitato sull’autonomia di una persona, al fine di renderla completamente dipendente da sé, come accade quando un uomo impedisce alla donna di lavorare, di gestire il suo denaro, o la costringe a sottoscrivere impegni economici.

A CHI SI RIVOLGE Alle donne assistite dai Centri Anti Violenza oppure ospiti nelle Case Rifugio che non troverebbero facilmente accesso al tradizionale credito bancario.

3 MISURE

  • Microcredito sociale
  • Microcredito imprenditoriale
  • Corsi di formazione ad hoc

COSA OFFRE

  • Finanziamento a tasso 0 fino a 10mila euro per superare una momentanea difficoltà finanziaria
  • Finanziamento a tasso 0 fino a un importo massimo di 50mila euro per avviare o sviluppare iniziative imprenditoriali
  • Assistenza gratuita di un tutor di microcredito, sia nella fase istruttoria che durante il periodo di ammortamento
  • Corsi gratuiti di formazione all’educazione finanziaria e all’autoimprenditorialità

FINALITÀ E UTILIZZO

Microcredito sociale
(solo a titolo esemplificativo e non esclusivo):

Spese mediche

  • Spese per l’istruzione scolastica e la formazione propria e dei figli
  • Spese connesse alla ricerca di una nuova situazione abitativa
  • Spese per la messa a norma degli impianti della propria abitazione principale e per la riqualificazione energetica
  • Spese per i servizi di trasporto

Microcredito imprenditoriale

  • Acquisto di beni (incluse le materie prime) o servizi connessi all’attività e alla vendita
  • Pagamento di retribuzioni di nuovi dipendenti soci lavoratori
  • Spese per corsi di formazione aziendale

REQUISITI

Donne italiane o appartenenti a uno Stato Estero, purché in regola con le leggi italiane.

Microcredito sociale è destinato a donne in condizione di transitoria difficoltà finanziaria

Microcredito imprenditoriale è destinato a donne che vorrebbero realizzare un progetto imprenditoriale:

  • Lavoratrici autonome o libere professioniste titolari di partita IVA da non più di 5 anni e con massimo cinque dipendenti;
  • oppure imprese con le seguenti caratteristiche:

1 Imprese individuali, anche neocostituite, titolari di partita IVA da non più di 5 anni e con massimo cinque dipendenti;

2 Società di persone, società tra professionisti, s.r.l. semplificate e società cooperative, associazioni, anche neocostituite, titolari di partita IVA da non più di 5 anni e con massimo 10 dipendenti.

(Sono escluse le richiedenti che svolgono attività economiche con codice Ateco: “A Agricoltura, Silvicoltura”)

Print Friendly, PDF & Email
© 2019 Rivista Microfinanza. All Rights Reserved.