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ITACA 20.23 VIAGGIO TRA LE IDEE: START UP Ed ECONOMIA SOCIALE.
IL FUTURO DEL TESSUTO ECONOMICO ITALIANO E L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Di Elisa Pandolfi
È questa l’esortazione di Atena a Telemaco, nel I canto del Poema Omerico (vv.301-302). Partendo proprio da questa frase, la sesta edizione della manifestazione “Itaca 20.23” ha coinvolto nell’ideale viaggio Omerico amministratori, istituzioni e professionisti del territorio per un libero confronto e un momento di riflessione sulle proposte programmatiche con cui affrontare le criticità del nostro Paese.
Itaca è il mitico regno descritto nell’epica omerica, un’isola greca lontana e desiderata, che diventa l’obiettivo del lungo viaggio di Ulisse. Un viaggio ricco di valori e di principi radicati, la sua ricerca del ritorno a casa, simboleggiano la lotta umana per la scoperta del proprio sé e il desiderio di ritrovare ciò che è caro. La figura di Ulisse rappresenta la tenacia, la saggezza e la perseveranza nell’affrontare le avversità della vita, diventando un simbolo eterno di eroismo e determinazione. Questa raffigurazione è stata scelta come guida in occasione del viaggio tra le idee di oltre 60 relatori, in rappresentanza di istituzioni Europee, locali, Nazionali, di imprese e professionisti, che si sono confrontati su temi sociali e di attualità della vita dei cittadini e dei territori.
A questa manifestazione ha partecipato l’Ente Nazionale per il Microcredito per offrire il proprio contributo e raccontare delle attività microfinanziarie in ambito locale e nazionale.
La seconda giornata di lavori dedicata al focus “Start up economia sociale, nuove occupazioni; come programmare il futuro” è stato presentato dalla direttrice di Microfinanza, Emma Evangelista, durante questo spazio si è discusso a lungo di intelligenza artificiale, applicata al mondo del lavoro con il saggista e scrittore Sergio Bellucci, di microcredito come strumento di welfare, con il Segretario Generale dell’Ente Nazionale per il Microcredito, Riccardo Graziano, di nuove opportunità per il tessuto economico del Paese con Enrico Coppetelli, Segretario Generale CISL Lazio, e di assistenza allo sviluppo di nuove imprese con Evelyne Malaponte di Ekm Consulting.
Attraverso le domande del direttore di Microfinanza e gli interventi dei relatori, abbiamo ricostruito il panel.
Il primo intervento su sollecitazione della moderatrice chiedeva un parere sulla nuova organizzazione scientifica del lavoro dovuta all’applicazione dell’intelligenza artificiale.
Così i relatori sono intervenuti sulla questione:
Sergio Bellucci
Oggi percepisco un atteggiamento continuista nell’approccio alla formazione e alla cultura delle nuove generazioni. Abbiamo la necessità di mettere al centro della riflessione la rottura verticale di quella che è la condizione produttiva del sistema. Vorrei portare ad esempio, uno studio condotto sull’applicazione dell’intelligenza artificiale nei settori di Confartigianato, i cui dati mostrano che nel nostro Paese si assisterà alla perdita del lavoro da parte di più di 8,4 milioni di persone. Negli Stati Uniti i processi di questa descrizione sono ancora più drastici se consideriamo cosa sta accadendo nelle aziende a tecnologia più avanzata, come l’IBM, META, ALPHABET o APPLE. Tutte queste grandi strutture, che sono quelle che portano la maggioranza del PIL americano, parliamo del 30%, hanno ad oggi, non solo ridotto o annullato i piani di occupazione che erano previsti prima dell’avvento dell’intelligenza artificiale generativa, ma addirittura in alcuni casi stanno tagliando i loro dipendenti. Siamo attualmente di fronte ad un enorme processo di trasformazione, che necessita di due grandi approcci culturali: il primo approccio sarà quello di affrontare il tema della trasformazione dell’idea del lavoro, un punto che alcuni economisti e teorici, già cominciano a mettere al centro delle loro riflessioni; il lavoro non potrà essere più concepito come noi lo abbiamo pensato finora, in termini proprio non solo di realizzazione individuale e quindi di soddisfacimento del proprio bisogno realizzativo, ma anche proprio di come questo possa dare una ricaduta in termini di reddito di valore distributivo, all’interno della società. Tra qualche decennio non sarà più il lavoro a redistribuire reddito e questo comporterà una rottura epocale nella storia umana. Questa riflessione, ci serve per comprendere quali sono gli impatti e le trasformazioni in atto e da qui bisogna ripartire per progettare il nuovo, perché il nuovo ci sarà, le nuove forme ci saranno, ma andranno tutte quante ripensate, tutte riprogettate partendo dalle strutture sociali, che oggi, noi consideriamo storicamente datate. Siamo in presenza del fatto che, questa tecnologia generativa, che è quella che interagisce con il linguaggio umano diretto, è calcolata oggi come capace di aumentare del 35% - 40% la produttività del lavoro. In termini macroeconomici, noi dobbiamo porci questo problema, che è prettamente politico; un conto è se parliamo della singola impresa o del singolo Paese, ma nel suo complesso, se il sistema incrementa nel giro di pochissimi anni il 40% della sua capacità produttiva, in presenza di una riduzione del monte salari, e c’è della capacità di acquisto dei beni, noi ci troveremo esattamente con lo stesso tornante che abbiamo vissuto nel 1929, ovvero con un grosso problema di programmazione. Perché mentre nel ‘29, Keynes ebbe la grande idea di dire che si potevano prendere risorse dal futuro e portarle nel presente, facendo debito, questa cosa oggi ci viene resa impossibile dal fatto che l’abbiamo praticata per 80 anni e che il livello di debito che noi abbiamo portato dal futuro, oggi, è ormai gigantesco. Si parla di oltre 300 trilioni di debito accumulato tra pubblico e privato a livello mondiale, cifre enormi se consideriamo che il PIL mondiale è circa 100 trilioni. Quindi stiamo parlando di tre volte tanto, noi siamo in un tornante della storia in cui abbiamo bisogno di riprogettare, e di ripartire dalle fondamenta della nostra struttura. La tecnologia però ci dà anche la possibilità di utilizzare in maniera diversa il fare umano, e qui sta a noi e alla nostra capacità. L’Italia da questo punto di vista può avere, se capisce questa cosa, e la prende al volo, un’opportunità gigantesca, perché noi abbiamo una capacità creativa enorme, e la dobbiamo mettere a disposizione, cambiando molto di quello che, fino ad oggi, è stata la nostra società.
Al secondo relatore è stato chiesto di come la tecnologia e la politica della digitalizzazione e delle nuove competenze possano sostenere il mondo del lavoro e allo stesso tempo contribuire a battere la “pandemia della povertà”.
Enrico Coppetelli
Condivido molto del suo ragionamento sul tema dell’importanza delle nuove competenze, perché noi possiamo fare tutte le analisi possibili immaginabili, però poi ogni giorno ci dobbiamo scontrare con la triste realtà, e la triste realtà è ancora purtroppo una regione fortemente disallineata tra domande e offerta di lavoro. Fortemente disallineata su quello che le imprese chiedono e quello che poi il mondo della scuola riesce a tirare fuori, e credo anche che, il nostro ruolo di parti sociali, non possa essere un compartimento stagno, ma deve essere un qualcosa che entra in queste dinamiche e che soprattutto possa essere un punto di incontro tra quello che le imprese chiedono e quello che il mondo della scuola, che poi sarà il mondo del lavoro futuro, ha bisogno. Tutte queste tutele poi chiaramente vanno costruite, oggi il mondo del lavoro è disallineato, la pandemia ci ha insegnato che si può lavorare da remoto, e come difendiamo noi sindacato di vecchio stampo il lavoratore che opera da remoto? Quindi va ripensata anche un po’ la nostra azione sindacale, deve essere un’azione sindacale che entri nelle dinamiche e nella partecipazione. Attualmente stiamo facendo una proposta di legge di iniziativa popolare, che si chiama “partecipazione al lavoro” perché pensiamo che per i lavoratori sia giunto il momento di entrare a pieno titolo in quello che dice l’articolo 46 della Costituzione, e cioè, partecipare agli utili delle imprese. Ma non deve essere solo una partecipazione agli utili, ma una partecipazione anche gestionale e una partecipazione alle responsabilità, perché troppo spesso imprese e lavoratori si sono trovati su piani differenti e troppo spesso, non si è data piena applicazione all’articolo 46 della Costituzione. Noi ci crediamo moltissimo a questa proposta di legge di iniziativa popolare, perché pensiamo che si possa finalmente cambiare anche la dinamica tra capitale e lavoro all’interno di questo Paese ripartendo dal Lazio che è stata una regione che, più delle altre è stata colpita dalla cosiddetta “pandemia della povertà”, in quanto buona parte del lavoro della nostra regione è un lavoro bassamente qualificato. Ci preoccupa moltissimo oggi anche il tema del Giubileo; ne ho discusso recentementecon la struttura del Commissario Straordinario di Governo, poiché noi ci troveremo tra qualche tempo, a dover accogliere 32 milioni di pellegrini, e il tema dell’accoglienza sarà un tema fondamentale ma se intorno a quello non costruiremo dei lavoratori altamente professionalizzati e tutelati, soprattutto nei cantieri che ci dovranno essere per le opere mirabili che Roma dovrà avere, noi rischieremo soltanto di commentare i dati e non entrare in questa dinamica. Il sindacato CISL, che è quello che io rappresento oggi, vuole tendere a questo, ossia avere un ruolo proattivo di proposta e non solamente di protesta.
I lavori sono proseguiti mantenendo centrale il tema del lavoratore come centro del sistema: quindi della necessità di rimettere al centro la persona, la sua formazione. In questo contesto si inserisce anche il mondo sindacale.
Enrico Coppetelli
Secondo me ci sono due grandissimi bacini: il primo chiaramente è quello della scuola e l’importanza dell’alternanza scuola-lavoro, in cui se ne è parlato anche nel precedente panel. Noi siamo all’interno della bilateralità, quindi all’interno di processi dove le imprese ancora oggi, e non è utopia, per ogni contratto che stipulano, devono destinare una parte alla formazione. Molto spesso questa formazione non è controllata, non è certificata, non è verificata, non si fanno le giuste verifiche e troppo spesso si lascia soltanto agli enti di formazione la possibilità di poter imprimere quello che può essere il piano formativo. Io credo che imprese, lavoratori, e i loro rappresentanti, possono essere fondamentali in questa fase per capire ognuno di che cosa ha bisogno.
Il microcredito è uno strumento finanziario che si occupa di rimettere al centro la persona e di offrire a quest’ultima una opportunità per l’avvio di impresa, attraverso un’esperienza anche di educazione finanziaria.
Riccardo Graziano
È evidente che ci troviamo di fronte ad una rivoluzione epocale in termini di accelerazione di strumenti di produttività, le apparecchiature riescono a fare in tempi ridottissimi ciò che l’uomo in teoria non riesce a fare. E’ anche vero che lo stesso problema se lo erano posti ai tempi della Rivoluzione Industriale, quando si riteneva che le macchine delle fabbriche avrebbero annullato i posti di lavoro; quindi oggi ci ritroviamo ad affrontare questo stesso problema, e va gestito in modo appropriato. La tecnologia va avanti e non si può fermare, il processo va gestito. Al fine di dare strumenti validi, a chi non ne ha, per realizzare un’impresa, la mano pubblica ha creato l’Ente Nazionale per il Microcredito, in cui una parte del fondo di garanzia PMI viene dedicato al microcredito; noi proviamo proprio a fare questo, ovvero finanziare idee valide e concrete di impresa. Siamo ad oggi, oltre i 20.000 finanziamenti erogati, dai quali sono nate migliaia di micro aziende che, a distanza di anni dalla loro costituzione, crescono ancora. Ovviamente nei primi due anni di vita di una start up, c’è una sorta di “valle della morte”, ma onestamente devo dire che noi stiamo superando questa fase con un successo interessante. I nostri dati di default sono sostanzialmente la metà di un chirografo ordinario e un terzo di un finanziamento a una startup. La mano pubblica, tramite un Ente pubblico, perché noi siamo un ente di regolazione economica ma appunto di tipo non economico, aiuta, attraverso un albo professionale di tutor, persone che hanno magari una bella idea, una buona volontà, ma non sanno cosa sia un business plan e non sanno cosa siano le logiche gestionali, e qui, entra in campo la figura del tutor di microcredito, che aiuta il beneficiario attraverso tutto un percorso che lo porterà alla realizzazione della sua impresa. Quando è nato l’Ente Nazionale per il Microcredito, in Italia sostanzialmente di microcredito non se ne parlava, poi siamo riusciti, con non poca fatica, ad ottenere una normativa primaria che regolasse il settore, e siamo passati da un tetto di importo finanziabile di 25.000€ a 50.000€ e arriveremo anche a 100.000€ per le srl ordinarie, che potranno presto anche loro richiedere il microcredito, oggi di fatto ancora non è così. La mano pubblica in questo caso ha funzionato, noi cerchiamo nel nostro piccolo di utilizzare la tecnologia, anche in chiave appunto di strumenti di accelerazione, con delle piattaforme molto sofisticate, di intelligenza artificiale, soprattutto in alcune simulazioni in fase di realizzazione di business plan che viene generato a fronte di una serie di macro dati che devono essere immessi mano mano; ma anche durante la vita dell’azienda, ci sono ad esempio dei questionari periodici che i nostri tutor fanno, e questo evidenzia, con tutta una serie di statistiche automatiche la solidità o la necessità di aiuto per una azienda. Per qualsiasi tipo di informazione vi invito a consultare il sito dell’Ente all’indirizzo: www.microcredito.gov.it, e concludo il mio intervento, con l’augurio che, questo ruolo di ascensore sociale e di moltiplicatore dei fattori di autoimpiego, anche grazie alle nostre iniziative, diventi possibile.
La storia recente ci ha spinti a ripensare al mondo del lavoro in termini digitali, dunque si rende necessaria una ricontrattazione sociale per i “nuovi lavoratori”. Allo stesso tempo anche le imprese che vogliono rimanere in attivo sul mercato hanno bisogno di una riconversione che deve confrontarsi con il territorio e portare sviluppo. Di questo ne ha parlato il Presidente di Confimprese Italia.
Guido D’amico Presidente Confimprese Italia
Il contesto italiano, ma anche quello laziale è fatto dal 96.6% di micro, piccole e medie imprese iscritte nei registri camerali. In questo contesto poi, il 96.6% cioè oltre il 50% sono di natura familiare, in questa situazione, capite bene come sia fondamentale il capitale umano. Il capitano umano è realmente la chiave di volta del sistema imprenditoriale italiano, proprio perché è composto da quella tipologia di imprese. In riferimento a questo capitale umano è chiaro che, sono altrettanto fondamentali alcune fattispecie particolari, a cominciare dalla formazione, di cui parlava il Segretario Regionale Coppetelli. Tutto questo ha un significato molto forte, perché l’auspicio, anche nostro, come quello della CISL, è quello di arrivare, al modello renano, il modello renano è quello di cui parlava Enrico, cioè la partecipazione attiva dei lavoratori alla gestione, al centro direzionale, ai Consigli di Amministrazione e quant’altro dell’azienda. Questo è un auspicio che anche noi mettiamo in campo, proprio perché le tipologie di aziende italiane si contraddistinguono, e si attagliano perfettamente a quel modello, perché la capacità decisionale di un’azienda fatta da 50 dipendenti, 10 dipendenti, 25 dipendenti, non può che essere la coesione tra il titolare dell’azienda e i lavoratori. I dati di cui parlava il nostro saggista mi preoccupano un po’, però credo che sia un futuro molto lontano, almeno per l’Italia e per la nostra tipologia di imprenditoria. Per come è connaturata l’imprenditoria italiana, sono ancora al centro dell’impresa, il capitale umano, gli imprenditori, il valore personale e della famiglia, più delle macchine, più dell’intelligenza artificiale, più di tutto quello che è il sistema non personale. I valori dell’uomo sono ancora all’interno dell’azienda, sono il caposaldo dell’azienda; è chiaro che in questo contesto è importantissimo dare forza alle startup, perché qualcheduno un po’ di tempo fa diceva che, oramai gli uffici di collegamento sono le camere di commercio, perché sono sempre di più, i ragazzi e le ragazze, che, si immaginano imprenditori e vanno in Camera di Commercio a iscrivere la propria azienda e a cominciare un percorso imprenditoriale che è a tutti gli effetti un percorso molto coraggioso. E’ chiaro che, all’interno di questi percorsi, tutti gli aiuti che possono essere dati, a cominciare dal credito, sono fondamentali. Sempre di più c’è una volontà di fare impresa da parte dei giovani e dei meno giovani e sempre di più le condizioni per fare impresa sono difficili. Noi usciamo dalla pandemia e abbiamo un periodo di guerra alle porte, abbiamo un PIL che è quello che è, e abbiamo un’inflazione che “trotta”. A luglio abbiamo fatto un tavolo col Governo e già i dati di luglio dei flussi turistici erano del -20%, non ho gli ultimissimi dati perché chiaramente siamo ancora agli inizi di settembre ma ad esempio la mia azienda di Fiuggi ha avuto un notevole calo di presenza turistica italiana. Se non fosse stato per i gruppi stranieri che hanno corroborato con la loro presenza le deficienze degli italiani, sarebbe stata una stagione brutta, non dico pessima ma brutta e parlando con i nostri associati, è stato così anche al mare e in montagna. Le uniche città che si salvano, sono le città d’arte, che sono anche quelle che hanno fatto lievitare i prezzi. Sono cinque le città italiane che si possono permettere questo: Napoli, Roma, Firenze, Venezia e Milano, tutto il resto no. Per cui ritorno su quello che dicevo prima, ossia fare l’imprenditore e aprire una partita IVA oggi, è una cosa molto, ma molto difficile, per cui, più aiuti imprenditoriali, non aiuti di Stato, è finito per fortuna il tempo del fondo perduto. Il fondo perduto è quello che ha distrutto le aziende italiane, il fondo perduto è quello che ha distrutto l’imprenditoria sana italiana. Tutti gli aiuti che consentono all’imprenditore di avviare un’impresa dovrebbero camminare parallelamente ad una burocrazia 0, perché il male più grande dell’imprenditoria italiana è la burocrazia miope, noi siamo al centro delle molestie burocratiche, la burocrazia molesta gli imprenditori. Per cui c’è bisogno di burocrazia 0, aiuti finanziari nell’intraprendere, tutoraggio, perché l’imprenditore giovane o meno giovane che esce da un ciclo produttivo, ha bisogno di consigli, ha bisogno di studio, ha bisogno di professionisti che lo aiutino in un percorso che è molto difficile. Per cui abbiamo veramente bisogno di fare sistema, per allontanare il pericolo, di cui parlava prima il Dottor Coppetelli.
Il motto che ha caratterizzato l’evento di Itaca di questo anno potrebbe essere parafrasato con “Sii valoroso e apri la tua azienda”. Ne abbiamo parlato con chi da anni si occupa proprio di sostenere quella che è la capacità d’impresa sul territorio.
Evelyne Malaponte EKM Consulting
Ogni giorno in Consulting vediamo tanti professio-nisti, imprenditori, giovani e meno giovani; io non mi soffermerei sulle negatività, bisogna partire positivi perché è già un buon punto di partenza, bisogna soprattutto dare fiducia alle persone, perché gli imprenditori che noi incontriamo ogni giorno sono un po’ sfiduciati, soprattutto i giovani, per il clima e il contesto in cui viviamo. Io qui oggi rappresento la voce di coloro che vengono da noi per chiedere sostegno. Il nostro è un Paese che, secondo me, dovrebbe investire ancora di più sugli strumenti di accesso al credito. Da noi vengono numerosissimi imprenditori che hanno grandissime idee, i giovani hanno molta voglia di fare, non tutti però vengono da un contesto sociale che gli consente di conoscere come si fa impresa, come nasce un’impresa, non tutti vengono da una condizione economica brillante, per cui, sappiamo tutti ed è inutile che ci giriamo intorno, che per fare impresa serve la finanza, la leva finanziaria, e non tutti hanno questa possibilità. Per cui abbiamo il dovere di far conoscere oggi, gli strumenti che abbiamo a disposizione e che sono fondamentali per fare impresa. Ci sono un po’ di strumenti sul territorio nazionale, ci sono dei prodotti finanziari, dei prodotti bancari interessanti; solo l’anno scorso abbiamo fatto partire poco più di 800 imprese, noi siamo piccoli, ma non è poco, sono numeri che devono far riflettere, attraverso chiaramente lo strumento bancario, attraverso quella che è l’educazione finanziaria. Bisogna parlare ai giovani, vengono da noi e non sanno neanche cosa sia un codice Ateco o una partita IVA. Oggi noi vediamo, imprese che abbiamo sostenuto e fatto nascere qualche anno fa, che stanno crescendo, con dei numeri importanti. Non bisogna necessariamente diventare il tizio che inventa l’App di Facebook e che fattura miliardi, perché quello è un altro tema e non c’è oggi lo spazio per affrontarlo, però ci sono tante piccole imprese che generano in un anno, più del 40% dei posti di lavoro, e non è un dato da sottovalutare questo. Per cui bisogna affiancarli, non basta dirgli per fare impresa ti faccio avere i soldi, è molto più complesso di così, bisogna educare le persone, bisogna educare i giovani in un percorso e non abbandonarli, non deve diventare solo consulenza, non deve diventare solo lo strumento per, bisogna seguirli, perché non tutti hanno la fortuna di essere ben contestualizzati. Bisogna creare inclusione sociale, ricostruire quel tessuto sociale, che oggi manca, ma che crea occupazione. Io veramente vorrei filmare una settimana in EKM Consulting e farvi vedere all’interno come entrano persone e come escono e cosa sono oggi. Abbiamo ad esempio situazioni in cui purtroppo persone grandi hanno perso il lavoro o che hanno lavorato per una vita all’interno di un’azienda, il titolare dell’azienda chiude, perché ormai è in età molto avanzata e non se la sente più, i figli del titolare fanno altro nella vita, non vogliono semplicemente proseguire l’attività del padre, e chi ha lavorato lì in quell’azienda, vuole magari rilevare quell’azienda, però ha fatto sempre l’operaio e non ha la possibilità di sostenere tutte le spese che comporta rilevare quella impresa, e perché perdere un patrimonio tale? Le risorse umane sono la cosa più importante che abbiamo, io parlo tutti i giorni con imprenditori di tutte le età, uomini, donne giovani meno giovani, con realtà più disparate, e per noi, oggi, la nostra soddisfazione più grande è quella di vederli realizzati. Cerchiamo ogni giorno di creare occupazione, e di sostenere l’educazione finanziaria. Alla luce di questo, abbiamo bisogno di più strumenti, abbiamo bisogno di sensibilizzare di più le banche, che fanno già tanto ma non è sufficiente rispetto alle esigenze che ci sono. Dobbiamo sensibilizzare di più i genitori e gli amici, bisogna contestualizzare la startup, bisogna parlarne ovunque anche in chiesa se necessario, perché c’è tanta voglia di fare e i ragazzi vanno sostenuti, che siano giovani o meno giovani. Si è creata tanta occupazione in questi anni con il sistema startup ma se ne parla ancora troppo poco. Noi siamo a disposizione nell’ascoltare e nello sviluppare insieme un percorso e un processo formativo. I ragazzi oggi sono molto ricettivi e in tempi brevissimi gli diamo la possibilità di fare impresa, anche a chi non ha garanzie reali. Per cui sensibilizzo tutti, bisogna, passatemi il termine, “divulgare il verbo” e chiudo con una citazione che ho fatto mia: “Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”.
Infine è stato chiesto ai relatori una opinione su quello che loro ritengono la distorsione peggiore del nostro sistema e l’opportunità invece che può essere colta attraverso l’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro.
Sergio Bellucci
Io credo che abbiamo un problema di aggiornamento, di formazione, questa è una questione che attraversa tutte le professioni, perché l’intelligenza artificiale e le frontiere tecnologiche in futuro, attraverseranno ogni professione; negli ambiti creativi addirittura abbiamo avuto un impatto così forte che fino a ieri non potevamo nemmeno ipotizzarlo. Faccio un esempio, Bild una delle principali testate giornalistiche tedesche, dal primo gennaio, rinuncerà a 200 occupati, tra giornalisti, grafici, coordinatori di redazione ecc. Verranno tutti sostituiti da software di intelligenza artificiale; un risparmio di cento milioni di euro l’anno, la dimensione dell’impatto è questa. La formazione è il primo punto, se dobbiamo formare un giovane che oggi vuole aprire un’impresa, probabilmente avrà un certo tipo di impatto se l’impresa guarda ai servizi su un territorio piccolo, ma se è un’impresa che produce una cosa che ha tendenzialmente un mercato non locale, a quel punto la concorrenza sarà gigantesca, perché noi possiamo pure non applicare l’intelligenza artificiale nelle nostre imprese, ma ci sarà qualcuno che l’applicherà e proporrà servizi fatti attraverso quella tecnologia, con costi più bassi e con un livello occupazionale di un certo tipo. Quindi il tema principale è la formazione, perché dalla formazione possono venire fuori tante idee, tante applicazioni, e si riesce a stare sul mercato. Mi è piaciuto molto l’ultimo intervento, in cui si è parlato di crescita di queste opportunità. Perché credo che questo sia il punto principale, per cui, chi ha una responsabilità pubblica, deve sostenere questo aspetto. Siamo di fronte ad un cambio di logica produttiva, che necessità anche di un cambio di logica di gestione centrale su come l’organizzazione sociale supporta questi passaggi e qui c’è proprio un salto, e su questo punto, vedo ancora molti ritardi purtroppo.
Enrico Coppetelli
Io partirei dalla distorsione, abbiamo perso il senso di essere comunità, e abbiamo eccessivamente estremizzato l’individualismo. Per chi ogni giorno fa sindacato, fa politica, è il senso della comunità che rende il tuo agire, un agire concreto. Quindi questa è la grande distorsione del nostro tempo. La parte secondo me da cogliere, sono oggi le opportunità irripetibili. Facciamo dei nomi? Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ci dà la possibilità, da qui, ai prossimi tre e quattro anni, di modernizzare tantissimo il nostro Paese. Il Giubileo della chiesa cattolica su Roma, immaginate quanti Paesi al mondo vorrebbero il Giubileo della Chiesa Cattolica, e poi scongiuro che a novembre sapremo se Roma sarà o meno l’ospitante di Expo 2030. Davanti a questo, in tutte le riunioni che faccio soprattutto con il Presidente Rocca, la cosa che non manco mai dire è: “Presidente, cerchiamo di dare la possibilità alle persone di questo territorio di avere le opportunità”, perché davanti alle, non opportunità, c’è un senso di frustrazione, c’è un senso di continuo allarmismo, invece dobbiamo dare segnali positivi e questi segnali positivi possiamo darli soltanto se diamo l’opportunità alle persone. Qualche tempo fa c’è stata una forte riduzione del reddito di cittadinanza e alcuni hanno cavalcato questo, creando un senso di smarrimento e di abbandono oltre che di protesta nei confronti del Governo. Noi la prima cosa che abbiamo detto come sindacato è: “Questa è un’opportunità per cercare di capire come rimpiegare queste persone” perché noi pensiamo che, fin dall’origine dell’uomo, a fronte di un lavoro, deve esserci un corrispettivo economico. La deriva politica se volete è diventata anche una deriva culturale, si è messo in testa alle persone che, solo il concetto di cittadinanza, ti dava diritto ad avere una corresponsione. Io credo che la metamorfosi del nostro tempo ci porti a capire un po’ quello che diceva Aldo Moro: “La stagione dei diritti diventerà effimera, se in Italia non uscirà un nuovo senso del dovere”. Quindi io credo che oggi dobbiamo riappropriarci del senso del dovere, perché ci sono tante opportunità e davanti a tutto ciò, io credo che i lavoratori e la persona, che abbiamo oggi messo al centro di questo dibattito, saranno sicuramente, tra qualche anno, migliori di come li troviamo oggi, ma lo possiamo fare soltanto in un caso, se ci crediamo e se soprattutto stimoliamo, non la rabbia, ma il senso di applicazione e abnegazione.
Riccardo Graziano
I problemi creano opportunità se li sai gestire e di fatto le opportunità non esisterebbero se non ci fossero i problemi. È evidente che il microcredito, ma più in generale, l’economia e la finanza a impatto sociale, abbiano meritato questa considerazione fra gli strumenti di finanza moderna più efficaci. Detto questo, dobbiamo dare gli strumenti, che sono anzitutto di cultura, di aiuto e di formazione, e poi anche economici ovviamente. Il nostro settore è quello delle micro imprese, tendenzialmente sono realtà da 2,3,4 persone, e ogni micro impresa ha un fattore di autoemployments di 2.4, pensate quindi al rapporto tra soldi pubblici investiti e non prestati; pensate a quanta autoimprenditorialità si è sviluppata quando il fondo di garanzia PMI, quotava ancora 25.000€. Credo che, per il sistema Italia, sia anche uno degli strumenti, non solo più validi, ma anche che più ci possiamo permettere come rapporto benefici effetti benefici. Sono anche assolutamente d’accordo sul fatto che in questo momento, fra piano di resilienza e quant’altro, ci siano in questo momento tanti soldi, bisogna dunque saperli spendere, e dobbiamo aiutare i progetti che a questi fondi vanno ad attingere. Ricordiamoci anche che, purtroppo, stiamo ancora brillando come fanalino di coda per quanto riguarda i soldi impegnati in progetti in stato di avanzamento. Se buchiamo un’altra volta, non è detto che poi la nostra Patria avrà quella quantità di potenziale ricchezza che ci si aspetta. Ricchezza che dobbiamo saper gestire, perché poi diventa debito, non sono soldi regalati, e quindi dobbiamo realizzare infrastrutture che creino ricchezza di lungo periodo per il sistema Paese. Noi come microcredito ad esempio, abbiamo finanziato startup informatiche importanti, abbiamo due società che si sono poi quotate in borsa, noi diamo delle opportunità, diamo fiducia ai nostri ragazzi e ai nostri microimprenditori, perché poi alla fine, il futuro è quello. L’Italia non vive dell’ex Fiat che, ormai non è nemmeno più italiana, vive di centinaia e centinaia di migliaia di imprenditori micro, piccoli e medi. La grande impresa da noi, purtroppo o per fortuna, è marginale rispetto ai numeri che il resto della nostra realtà economica esprime.
Guido D’Amico
Le imprese italiane hanno un gap gravosissimo, che è quello della burocrazia, fare imprenditoria in Italia è difficile soprattutto per tutti gli sbarramenti burocratici che ci sono a tutti i livelli. La grande opportunità invece, oltre chiaramente a brevissimo il PNRR, è la competenza. L’imprenditoria italiana è un’imprenditoria competente, noi abbiamo un grado di competenza superiore e forse la maggior competenza che c’è in Europa, e di questo ne siamo consci, anche se, ripeto, un po’ abbiamo vergogna a dirlo, ma in realtà non è così. La grande sfida è quella di superare questo gap e di mettere in campo con forza tutte le competenze che abbiamo, perché ne abbiamo tante e siamo ancora i migliori nonostante tutto. L’imprenditoria italiana è ancora oggi la più intelligente e la più competente, non lo diciamo noi, lo dicono tutti gli osservatori internazionali. Questo è il grande valore di cui qualche volta ci vergogniamo, non siamo, come dire, orgogliosi di questo ma in realtà è così, mettiamoci d’impegno e vinciamo la sfida ancora una volta, come abbiamo fatto nel dopoguerra.
Evelyne Malaponte
L’assistenza all’impresa conta moltissimo, quello che noi vediamo spesso, parlando con gli imprenditori di tutte le età, è che c’è vergogna nel chiedere finanza come se uno stesse chiedendo di andare a rubare, c’è proprio un retaggio sbagliato in questo. Non deve esserci vergogna nel chiedere di essere inserito nel mondo del lavoro, io mi riferisco soprattutto alle persone un po’ più avanti con l’età, che oggi hanno perso il lavoro, e hanno un po’ di vergogna e di frustrazione nell’andare a chiedere aiuto. Quindi quello che noi facciamo è cercare di mettere a proprio agio le persone, dicendo loro che non bisogna mai vergognarsi. Per me nessuno dovrebbe mai vergognarsi per ciò che non possiede, nessuno dovrebbe mai provare questo sentimento. Gli strumenti, attraverso gli enti erogatori, attraverso le banche, attraverso l’Ente Nazionale per il Microcredito, ci sono, ma c’è ancora tanto da fare, non basta perché siamo tanti. Sicuramente, quello che possiamo fare è mettere a disposizione la conoscenza di base per ogni impresa, perché ogni impresa ha le sue necessità, dobbiamo essere noi lo strumento per far conoscere e per mettere in condizioni gli imprenditori di fare impresa e non ci deve essere vergogna, perché si sta creando lavoro, si sta lavorando, non si sta rubando. Nella nostra Costituzione la parola impresa è scritta un po’ troppo poco, per cui dobbiamo essere più attivi e far conoscere questo strumento, e come diceva prima il Segretario Generale dell’Ente Nazionale per il Microcredito, bisogna responsabilizzare l’imprenditore al debito, perché comunque è un debito, non sono soldi a fondo perduto, bisogna dare soprattutto valore alla persona, valore all’imprenditore, e dignità, perché è un prestito d’onore.