Archivio opinioni

Povertà educativa e digitalizzazione dei processi: sfide per una economia differente. Una lettura delle Encicliche di Papa Francesco
Di Elisa Pandolfi
Con l’avvento delle nuove tecnologie e i relativi cambiamenti economici globali, le sfide legate alla povertà si sono evolute, assumendo nuove forme.
Nel dialogo con il Professor Massimiliano Padula, docente di “Scienze della Comunicazione Sociale” presso l’Istituto Pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense, sono stati affrontati temi cruciali che definiscono il nostro contesto attuale, con particolare attenzione a come l’educazione economica interagisca nella crescita personale e collettiva sulle nuove povertà del territorio, sulla povertà economica ed educativa. Abbiamo approfondito il ruolo della digitalizzazione che non deve essere legata solo all’uso dello strumento stesso ma all’opportunità e la capacità di creare relazioni, di istruirsi e fare impresa.
Il microcredito sociale e il microcredito per l’impresa sono strumenti validi che hanno il potenziale per trasformare vite e comunità, offrendo opportunità economiche a coloro che sono stati storicamente emarginati dai tradizionali canali finanziari. Questo tema è stato affrontato nelle Encicliche di Papa Francesco, che le ha integrate nelle sue politiche economiche sotto il concetto di “Economia di Francesco”.
Professore, come esperto di sociologia e di comunità, volevamo capire con lei qual è la situazione delle nuove povertà che si estendono sul territorio nazionale.
Per rispondere a questa domanda cito il Report statistico 2023 elaborato da Caritas Italiana che traccia un identikit integrale dei beneficiari della rete Caritas individuando cinque cluster. Il primo fa riferimento ai cosiddetti “vulnerabili soli”, per lo più uomini tra i 35 e i 60 anni, soprattutto celibi e divorziati; poi ci sono le “famiglie povere”, in prevalenza formate da donne adulte con figli a carico; il terzo gruppo comprende “giovani uomini stranieri in transito”, spesso molto giovani e provenienti da paesi africani. I “genitori fragili” rappresentano il quarto profilo, mentre l’ultimo cluster è quello dei “poveri soli”, in maggioranza uomini. Da una prima analisi mi sembra la fotografia di una nuovo scenario di povertà riflesso di macro fenomeni sempre più incarnati nella realtà sociale contemporanea: la diminuzione della nuzialità o delle unioni stabili, l’aumento delle separazioni e dei divorzi, l’intensificarsi dei processi migratori, lo sfibramento dei legami familiari e comunitari.
A Suo avviso, la povertà economica può essere direttamente associata a quella educativa?
Economia ed educazione sono due tra le istituzioni dalle quali nasce e sui cui si poggia la società moderna. Esiste, quindi, certamente un forte rapporto di interdipendenza tra le due tipologie di povertà. Spesso, infatti, il basso livello di scolarizzazione è annoverato tra gli indicatori di povertà, così come gli investimenti economici in aree povere del Paese sono, in molti casi, destinati a programmi di sviluppo culturale come il potenziamento del sistema scolastico o di altre strutture educative.
Parliamo di information technology, digitalizzazione dei processi, gap generazionale e digital divide.
Come queste attività possono essere considerate il futuro dei processi educativi, formativi ed economici e come oggi incidono sulla povertà?
Il digital gap è un processo di cui si parla da decenni e fa riferimento alle differenze geografiche in termini di possesso e funzionamento di apparati tecnico-informatici. Oggi, il processo di digitalizzazione sta sanando questo divario perché – cito il Report Digital 2023 stilato dall’agenzia “We Are Social” – due terzi della popolazione mondiale usa Internet ed è attiva sui social media. Le proiezioni dicono che a breve in Italia la “web connection” diverrà un bisogno soddisfatto dalla totalità dei connazionali al pari dell’accesso all’elettricità, all’acqua potabile e ai servizi sanitari di base. La sfida del futuro, dunque, non riguarderà la proprietà del device connesso, ma la capacità di capitalizzarne le potenzialità anche a livello educativo ed economico. Per farlo occorre interiorizzare anzitutto una cultura digitale che non è legata all’uso dello strumento, ma alla capacità di creare relazioni, lavorare, istruirsi, fare impresa attraverso esso. Promuovere quindi una rivoluzione culturale digitale diventa dirimente per chiunque voglia scongiurare nuovi formati di povertà.
Per quanto riguarda le attività di microcredito sociale, microcredito per l’impresa, volevamo da Lei un parere su quella che è la funzione di questo strumento che anche Papa Francesco ha nobilitato nelle sue encicliche e che sostiene anche nelle sue politiche economiche, la cosiddetta “Economia di Francesco”.
Nonostante non abbia competenze di tipo tecnico riguardo il microcredito, lo trovo straordinariamente corrispondente al principio della Dottrina Sociale della Chiesa della sussidierietà. Esso, inoltre, si configura come un promotore di bene comune che destruttura le esclusive logiche profittevoli e individualistiche sui cui si basa la moderna economia, per (ri)dare al denaro la dignità di collante sociale. Mi piace, inoltre, sottolineare la significatività del prefisso “micro” che rimanda a un famoso studio pubblicato nel 1973 da Fritz Schumacher (Piccolo è bello. Uno studio di economia come se la gente contasse qualcosa, ndr.), nel quale il filosofo ed economista tedesco teorizzava la formazione di sistemi locali, basati su risorse locali e destinate al mercato locale, capaci di sviluppare un sistema di attività di piccole dimensioni, al fine di creare un’organizzazione socio-economica fondata sulla lotta all’analfabetismo e alla miseria e rivolta al rispetto dei diritti umani e della sostenibilità ambientale.
Lei insegna in un’Università pontificia frequentata da sacerdoti e religiosi, ma anche da studenti laici. Quali sono i bisogni che registra, e come a Suo avviso bisognerebbe intervenire sui giovani per indirizzarli alle nuove professionalità e al mondo del lavoro?
Credo sia finito il tempo della formazione a compartimenti stagni e delle specializzazioni fini a se stesse. Papa Francesco esorta le Università e le Facoltà ecclesiastiche ad applicare il “criterio dell’inter- e trans-disciplinarietà”, ossia a promuovere un’unità del sapere che, pur nel rispetto delle sue molteplici espressioni, sia in grado di creare meccanismi di integrazione e convergenza. Sono convinto che qualunque indirizzo o preparazione alle professioni e al lavoro, debba tenere conto di una formazione flessibile, “capovolta”, nella quale il docente funga da stimolo e da guida e sia capace di coinvolgere gli studenti in una relazione educativa orizzontale che, invece di formare solo ai tecnicismi, promuova la curiosità intellettuale, la creatività, la capacità di fronteggiare le contingenze e di gestire le emergenze.
Lei insegna anche “Sociologia dell’organizzazione e del tempo libero”. Oggi come si organizza il tempo e quanto di questo si dedica all’attività lavorativa, alla luce dell’utilizzo delle nuove tecnologie e dei new media?
Rispondo utilizzando l’immagine del tapis roulant come metafora dell’organizzazione del tempo oggi. Lo spunto nasce dal titolo di un film uscito lo scorso anno dal titolo omonimo (scritto in modo italianizzato: “tapirulàn”) diretto e interpreto da Claudia Gerini. La protagonista è una donna che per lavoro fa couseling online mentre si allena correndo sul suo tapis roulant tra le pareti di una stanza asettica. La sua vita non ha più divisioni, gerarchie, differenze, dinamicità, relazioni. Il suo lavoro è il suo tempo libero e viceversa.
Malgrado possa sembrare una situazione inverosimile, la fusione e l’osmosi dei tempi sociali (lavoro, svago, formazione) in una totalità temporale indistinta è già una realtà. Lo dimostrano processi in crescita come lo smartworking o il trasferimento di pratiche come lo sport da una condizione tradizionalmente “outdoor” a qualcosa da svolgere nella propria abitazione. Questo fenomeno è certamente favorito dai media digitali che, se da un lato favoriscono maggiori opportunità, dall’altro rischiano di provocare nuove criticità sociali come isolamento, dipendenze (il cosiddetto “workalcholism”), ansie e stress. Anche in questo caso, il ruolo dell’educazione (e dell’autoeducazione) a questi meccanismi risulta imprescindibile.
I social media, sono diventati anche strumento di lavoro e di pubblicità. Ma quanto sono utili e quanto dannosi?
Non sono i social media ad essere utili o dannosi, ma possiamo esserlo soltanto noi che in essi proiettiamo la nostra umanità. In un certo senso, essi altro non sono che il traslato della nostra qualità etica. Pertanto, anche la loro efficacia come strumenti lavorativi o pubblicitari, dipenderà da come le persone decideranno di lavorare e comunicare negli spazi digitali: scegliendo il bene, il vero, il rispetto della dignità della persona, l’etica professionale. O, di contro, cadendo nelle spirali di comportamenti falsi, diseducativi, illegali.
Dagli Influencer ai micro e nano influencer, una nuova professione che muove l’economia delle imprese, cosa ne pensa?
Non conosco i numeri del fenomeno “influencer” né tantomeno il ROI (return n investiment, ndr.) di chi crea contenuti online. La mia sensazione è che solo una piccola parte di questi acquisisca un livello di monetizzazione tale da poterlo considerare a tutti gli effetti un lavoro. Per gli altri si tratta di una moda e la soddisfazione di un legittimo bisogno di apparire al di là dei guadagni. Diversa è la prospettiva del mondo delle imprese che sempre più “usa” i personaggi digitali come strategia di social media management e come strumenti pubblicitari.
Economia sociale, dignità del lavoro e nuove povertà, sono concetti che si correlano in un tessuto sociale sempre meno disponibile all’incontro e al sostegno dell’altro. Come invertire la tendenza e recuperare quella prossimità che ha reso il Belpaese forte nel dopoguerra?
Emile Durkheim, uno dei padri della sociologia moderna già nel 1888 spiegava che “non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti. La società di oggi non è né più, né meno perfetta di quella di una volta, è diversa perché le circostanze sono diverse”. Questa frase sintetizza perfettamente il senso del vivere sociale che fa del mutamento e del progresso le motrici e le matrici del proprio esistere. Pertanto io non credo che bisogna invertire le tendenze (cadendo in quella logica che Papa Francesco definisce “indietrismo”), ma comprenderle, accompagnarle, individuarne le minacce e per quanto possibile prevenirle e gestirle. Per fare questo – e mi scuso se mi ripeto – occorre investire sui processi educativi a tutti i livelli.
Da esperto di pastorale come si concilia l’economia di Francesco con i giovani?
Papa Francesco ha il grande merito di annusare il circostante, di capirne le evoluzioni e le fratture. In questo senso Bergoglio è un Papa sociale (e direi anche “sociologico”) perché incarna il suo ministero petrino (e pastorale) nel kairòs, ossia in rapporto con la situazione e il contesto del momento. Anche la sua idea di economia (esplicitata nel movimento “The Economy of Francesco) riflette questo legame con il momento e lo fa con un particolare sbilanciamento sulle giovani generazioni considerate dal Papa veri e propri motori di un cambiamento in positivo della società. Mi piace concludere questa intervista proprio con un passaggio del suo discorso tenuto ad Assisi in occasione dell’evento “Economy of Francesco” il 24 settembre 2022: “State attenti a questa gassosità delle finanze: voi dovete riprendere l’attività economica dalle radici, dalle radici umane, come sono state fatte. Voi giovani, con l’aiuto di Dio, lo sapete fare, lo potete fare; i giovani hanno fatto altre volte nel corso della storia tante cose”.
Massimiliano Padula
Massimiliano Padula, sociologo, insegna “Scienze della comunicazione sociale” presso Istituto Pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università Lateranense. È visiting professor di “Sociologia dell’organizzazione e del tempo libero” presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium di Roma. È stato Presidente Nazionale dell’Aiart (Associazione italiana ascoltatori radio e televisione) e del Coordinamento delle associazioni per la comunicazione (Copercom) vicino alla Conferenza Episcopale Italiana. È stato inoltre membro del Comitato Media e Minori dell’allora Ministero per lo sviluppo economico. Autore di monografie, curatele e articoli scientifici e divulgativi. Tra le ultime pubblicazioni: “Umanità mediale. Teoria sociale e prospettive educative”, (Ets, 2017-con F. Ceretti); “Comunica il prossimo tuo. Cultura digitale e prassi pastorale” (Paoline, 2020); “Comunicare il bene” (Armando, 2020); “Il futuro al centro. Bambini e adolescenti nella scena mediale contemporanea” (Egea, 2013-con M. Gavrila).