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Le PMI - Piccole/Medie Imprese e i cittadini, consumatori e utenti, sono ancora lontani dall’adozione di comportamenti per produrre, consumare, lavorare e governare, in linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Senza la loro partecipazione consapevole, il percorso con cui raggiungere la salvaguardia del futuro sarà lungo e impervio.

La Ricerca SVILUPPO SOSTENIBILE PMI, I CONTI NON TORNANO, con la verifica di carenze e negatività, insieme a concretezze e positività, si propone di tracciare il percorso per ottimizzare l’efficacia e l’utilità del Bilancio/Report di Sostenibilità – BdS. In pratica, esamina sia come le imprese adottano pratiche sostenibili e quali performance propongono anche in relazione alla CSRD-PMI (la Direttiva per il Report di Sostenibilità proporzionato alle PMI); e allo stesso tempo si propone come guida per programmare l’adozione di misure per cogliere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e colmarne eventuali lacune.

Da tempo è stato ampiamente accertato, oggi anche dalla stessa UE, che molte imprese non comunicano informazioni rilevanti sulle principali questioni di sostenibilità.

Tali imprese non ritengono necessario né tanto meno conveniente avviare nel breve periodo, un’evoluzione sostenibile poiché ritenuta un costo che non genera ricavi, una complicazione organizzativa appesantita da adempimenti burocratici e non stimolata da incentivi. Dunque preferiscono ignorarla. Ovvero fanno finta di adeguarsi pubblicando Report inadeguati, per non dire furbeschi, che comunicano in maniera autoreferenziale: prolissa, banale, anonima, carente di numeri, fatti e misurazione d’impatti; o peggio, si adoperano in modo limitato, vago e secondo convenienza, con il rischio che le informazioni sulla sostenibilità, laddove mascherate o confuse, generino fenomeni inaccettabili di green washing, social washing, governance whashing e hazy: tutti insieme di sustainability washing.

Quello che va affermato è il potere della consapevolezza conseguente a una comunicazione su misura, seria ma accessibile e coinvolgente, attraverso BdS mirati al cittadino, consumatore e utente.

Motivare il proprio impegno per la sostenibilità dipende infatti da una comunicazione costante per costruire quella consapevolezza che rende possibile migliorare il proprio stile di vita e valutare scelte di acquisto motivate, guardando non solo al rapporto prezzo-qualità del prodotto/servizio. La maggioranza dei cittadini, non si sente coinvolta nel percorso di evoluzione sostenibile, poiché destinataria di informazioni confuse, complicate e impersonali. Forse è anche diffidente e si sente addirittura vittima indifesa e impotente.

C’è molto da fare, e occorre partire da un dato di fatto già chiaro alla maggioranza delle imprese: il modello di ogni business va svecchiato, adeguato alle crescenti sensibilità e attenzioni al futuro in convergente integrazione con l’insieme degli stakeholder.

La Ricerca ha esaminato 3.814 aziende. Il 48,6% del campione di 510 imprese sulle 4.532 con più di 250 dipendenti pubblica il BdS. L’11,4% del campione di 1.574 imprese sulle 24.526 con 50-250 dipendenti pubblica il BdS. L’1,1% del campione di 1.730 imprese sulle 196.855 con 10-49 dipendenti pubblica il BdS.

In totale sono quindi 446 i BdS pubblicati da un campione di 3.814 aziende esaminate. (Tab 1)

La trasformazione sostenibile ha creato posti di lavoro molto limitati. Proiettando il numero sull’intero campo (3.818 aziende) possiamo stimare che in totale ad oggi ha creato in totale tra 2.400 e 2.800 nuovi post di lavoro. Se ne prevedono per il 2025 circa la metà, da aggiornare in funzione dell’incremento di aziende che si impegneranno nella rendicontazione ESG. (Tab 2)

Un’arretratezza preoccupante. Abbiamo calcolato che la spesa per i consulenti incaricati di assistere le imprese nella redazione dei BdS nel 2024 assomma a circa 160 milioni di euro. Un investimento per l’innovazione del “Sistema Italia” decisamente modesto.

Ancora oggi, il 57% dei cittadini non conosce gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, benché in sei anni tale percentuale sia diminuita del 22% (era il 79%).

Neanche un decimo dei Consumatori acquista consapevolmente prodotti di imprese sostenibili. Addirittura, un consumatore su cinque crede che la sostenibilità sia tendenzialmente uno stratagemma per gonfiare i prezzi o celebrare i prodotti. Persino i giovani - quella GenZ che incarna concretamente il futuro - sono attenti ai criteri di sostenibilità nello stile di vita più a parole che nei fatti: solo uno su quattordici rispetta correttamente detti criteri nelle scelte di acquisto.

La Ricerca, che accompagna il VII Index Future Respect 2024, ha approfondito le tematiche principali da diversi punti di vista e con modalità alternative in modo da offrire argomenti utili per una valutazione ad ampio raggio di un cambiamento complesso e anche controverso.

Possiamo sintetizzare cinque essenziali azioni da intraprendere:

  • tradurre con semplicità la CSRD e rendere disponibile una guida univoca, riconosciuta e accessibile, per consentire, anche gradualmente, una rendicontazione di sostenibilità compatta e asciutta, rappresentativa dei requisiti essenziali da implementare soprattutto a costi abbordabili e compatibile con il Bilancio economico/finanziario;
  • definire il target mirato a cui dedicare la comunicazione: istituzioni e finanza, pubblico e consumatori, committenti e mercato, addetti, interni ed esterni e sindacati;
  • coinvolgere concretamente gli stakeholder in proporzione all’importanza ricoperta e in funzione delle materialità stabilite. In particolare consumatori, dipendenti e fornitori;
  • accreditare la formazione di consulenti e formatori per ottimizzare l’identità delle imprese e focalizzare gli adempimenti con pragmatismo senza derive ideologiche nell’equilibrio tra costi individuali e benefici generali;
  • bandire e prevenire ogni tentazione nel declinare gli adempimenti cadendo nel sustainability whashing.

Ancora oggi le questioni di sostenibilità sono trattate più come oggetto di analisi e rendicontazione, e meno come stimolo per l’adozione di comportamenti attivi, responsabili, in linea con i criteri di sviluppo sostenibile. Sono inoltre trattate a livello elitario e proposte da direttive complicate che non permettono un’assimilazione graduale, accessibile e motivata. Questo sta alla base della difficoltà a comunicare con più efficacia, in maniera semplice, pratica, coinvolgente.

La sostenibilità non è un’ideologia. È l’obiettivo di allineare la natura al benessere e il benessere all’equità; una regola fondante che può riorganizzare la vita di tutti con un obiettivo unico e unificante. Di più, una legge universale valida in ogni luogo del pianeta, per ogni cultura e per ogni economia e per le diverse religioni.

Il motore dello sviluppo sono le imprese.

L’impresa, come motore finalizzato esclusivamente al profitto, non ha più ragion d’essere.

Troppi strappi ai valori naturali del pianeta sono oggi tollerati. Troppi valori guida sono artefatti e conducono a strade effimere, distraendo dal bene comune, dall’interesse generale, dell’equità e della coesione sociale.

Il potere delle rappresentanze divise non contrasta le derive della finanza e delle concentrazioni economiche. Il risultato più evidente è, nel mercato, l’infedeltà e l’instabilità dei consumatori; nella comunità, la debole coesione sociale e la marcata iniquità nella distribuzione delle risorse; nell’elettorato, la mobilità e l’astensione.

La sostenibilità è un processo integrale che coinvolge le diverse funzioni aziendali per generare un impatto positivo nelle strategie e negli obiettivi di gestione e crescita. Servono quindi competenze trasversali per ogni manager che non può prescindere dalla applicazione costante, nella gestione d’impresa, dei principi e dei criteri ambientali, sociali, economici e di comportamento. Non solo i manager, ma l’intero corpo aziendale dovrebbe assumere queste competenze, ovviamente proporzionate al grado di responsabilità d’azione.

Le imprese, soprattutto le medie e piccole, stentano ad assumere consapevolezza che la trasformazione sostenibile concorre in maniera concreta alla innovazione e alla competitività, anche per un’effettiva resilienza. Non è solo il mercato a chiederlo ma soprattutto il futuro di tutti.

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